Nicola Valletta
Cicalata sul fascino volgarmente detto jettatura

CICALATA IN DIFESA DEL FASCINO VOLGARMENTE DETTO JETTATURA

18. Risposta ad un argomento contrario

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18.

Risposta ad un argomento contrario

 

E questi pochi poi su di che appoggiano la loro perfida incredulità e 'l disprezzo che fanno di noi seguaci del vero? Uno è il di loro discorso. Non troviamo ragione in questo ed è in loica fallace argomento post hoc, ergo propter hoc; dopo venuta quella vecchia bavosa si è ammalato il bambino ed i bachi da seta son morti; dunque son morti, ed è ammalato, perché la vecchia venne. Come essere in natura un effetto senza causa, o di genere dalla causa differente? Cosí uno de' nostri, per altro dottissimo,99 si scaglia filosoficamente ed assalisce la jettatura, volendola levar dal mondo; anzi confondendola coll'ubbia, che significa propriamente pensiero di superstizione.

Ora, per far passaggio alla seconda parte di questa filastrocca, nella quale le cause della jettatura, e l'argomento, come dicono, a priori, dobbiam disaminare, togliamci prima di tutto l'impaccio del proposto contrario argomento. Coloro che contro di noi siffattamente ragionano, affibbiandosi la giornea, ed entrando in lizza, si coprono sotto lo scudo dell'ignoranza: e la conseguenza de' loro raziocini è che ignorano i fatti ed hanno le traveggole agli occhi. Eglino discorrono cosí: «non intendo la causa di ciò, dunque non è vero». Vi par questo un parlar di uomo sano, o un audace delirio, un sogno d'infermo? E dicon gli avversari poi che non si possa argomentar cosí: dopo ciò, dunque per ciò? , è vero ch'è questa una fallace maniera di ragionare. Ma non è tale ove l'esperienza, di tutte le cose gran maestra, e base di tutta la filosofia, ci faccia rinculare, e vedere che non una volta, o due, o piú, ma sempre, nel mondo, sono alcune cose costantemente avvenute dopo altre, colle quali niuna relazione par che potessero aver giammai.

Ah! che noi ignoriamo i fili e la tela di alcune combinazioni che pur vediamo. Vorreste voi sapere l'occulto fato e le ragioni di tutte le cose? Sareste felice. Intendete forse le relazioni tutte dell'Universo, per poter poi dire che o l'effetto sia di sua causa privo, o di genere da quella differente: quandoché la nostra scienza non è se non che una dotta ignoranza: ed i principi dell' sapere sono sull'ignoranza delle cose fondati?100 E siccome non è da uom saggio prestar subito fede ad ogni cosa, levis est corde, qui cito credit; cosí allo 'ncontro sarebbe temerario Pirronista chi volesse tutto negare. Il che può derivare o da presunzione di saper molto, o da ignoranza: mentre per ordinario non costa gran fatica negare una cosa della quale s'ignorino le cagioni e le proprietà.

Dice bene Cicerone: «Non equidem quia rem non capio, fallax est; sed potius, quia rem non assequar, ignarus sum. Multa enim, quae vera sunt, inverisimilia videntur; consulta vero ratione, verissima conspicientur». Cosí han conchiuso i Savi; ma dopo che han consumata e logora la loro vita in filosofiche meditazioni. Io negar non posso che per naturali cagioni un uomo giunto all'ottimo stato di salute, o di bellezza, cada repente; perché le cose in estremo grado buone facilmente all'istante peggiorano, oveché durano le moderate: onde Cornelio Celso101 ebbe a dire: «quicumque coloratior, ac speciosior, quam antea, factus est, suspecta sua bona habere debet». Ed Ippocrate:102 «habitus qui ad summum bonitatis attingit, periculosus est». E Lucano:103

 

In se magna ruunt; laetis hunc Numina rebus,

Crescendi posuere modum.

 

Comprendo ancora che il profano volgo, non intendendo di ciò la cagione, agli occhi spettatori, massime di crespa e rugosa vecchia, l'attribuisca. Ma debbo confessare altresí che, vedendosi costantemente tristi effetti innanzi agli occhi di taluno, costui potesse esserne la causa, tuttoché ignota al nostro corto intendimento; pel dritto ed influenza, che han gli occhi sulle cose. Di qui è che i dotti ancora han seguita questa comune opinione: «hanc vulgi opinionemscrisse Martino del Rio104 paulatim etiam doctiores nonnulli sequuti sunt». E Leonardo Vairo:105 «historiis fidem non habere periniquum esse duco, cum rerum eventa famae respondeant. Nec si causae ratio nos penitus praetereat, idcirco rem ipsam ridiculam, ducere debemus: infinita enim prope sunt, quorum rationem adipisci nequimus».

Il perché ben a ragione Daniel Sennerto106 scrisse: «quae de fascino dicuntur plane de nihilo esse non possunt». Ed il sottil Cardano107 dopo d'aver approvato due spezie di fascino, una che nasce dal temere ed immaginare alcuni mali, l'altra, che deriva dal modo di trattare e di guardare attentamente, si meraviglia che queste sieno cose ignote, o disprezzate da' medici. Vi so a dire però, miei signori, che perlopiú chi la jettatura nega suol esser fral numero de' jettatori. E l'osservò ancora il mentovato Carducci:

 

Osservai, che chi non crede

Al gran mal di jettatura,

Forse in sé la stessa vede

Qualità, segni, struttura.

E chi ancor confessò altrui

Il rossor, gli opprobri sui?

 

Faticate pertanto, anime pigre ed inerti, studiate sulla jettatura, che vi farete scoverte grandiose a benefizio dell'uomo, e delle nazioni. Se ognuno si fosse stato cosí colle mani in mano, la terra si crederebbe ancor'oggi piana piana come una tavola, il cielo solido come un cristallo, i colori un misto di lume e d'ombra; non si caminerebbe per le vie del mare da' feroci ed arditi nocchieri, non si avvicinerebbero agli occhi nostri le bellezze del cielo, non sarebbe penetrato lo sguardo umano nelle viscere della terra e nel seno della Divinità, non si sarebbe fissata la parola e 'l suo suono fugace e scorrevole sulle carte, e colle stampe: e che so io quanto ha fatto col suo ingegno quest'uomo, cui niente è impossibile quando il voglia.

Voi ve ne state trascurati e neghittosi in materia di jettatura, e poi venite a negarmela con una fronte marmorea, ed ammetterla solo negli spazi immaginari della fantasia. Del rimanente sento io intimo piacere che a' giorni nostri non solo la bassa plebe le persone malaguriose fugge, ed evita, ma credono alla jettatura puranche gravi togati, cavalieri di rango, avvocati, giurisperiti, medici valenti, mattematici sublimi, acuti filosofi, e tante a me note persone coltissime ed erudite. Gloria del secol nostro, in cui il lume delle scienze e delle belle arti chiaro ed alto risplende; e non cede nemmeno in questa parte alla felice età di Augusto, quando cattivi auguri generalmente diceansi quelle che oggi chiamiam jettature. Nel vocabol si varia: la cosa è stata sempre la stessa.108

 

 





99            Riflessioni umiliate a S. M. sull'affitto progettato della Lotteria. Ecco le parole: «Non è egli vergogna nel secolo 18. sentir parlare anche da quelli, che non han l'abito di popolo, e credersi alle jettature, ossia alle ubbie? Come se potess'esserv'in natura un effetto senza cagione, o a meglio dire, come se la cagione di un genere potesse produrre effetti di un genere differente; come se il passaggio fortuito d'un insetto, il guardo livido d'un malnato, o la noiosa presenza d'un seccatore, potessero aver forza di turbare il destino del giuoco, e cangiar nelle mani del giocatore l'ordine necessario delle carte, di favorevoli facendole divenir contrarie, o di contrarie favorevoli».



100          Vedi Corn. Agrippa, de vanit. scientiar. L'Abbé Pernety nella Prefazione della sua dottissima opera La connoissance de l'homme moral par celle de l'homme physique, dice benissimo cosí: «On sait que dans l'esprit de la plupart des hommes, les choses les plus réelles passent pour des chimères, dès qu'elles mortifient leur amour propre, ou qu'ils n'en connoissent pas les principes ni les causes». E gravemente scrisse Plinio: «multa sunt Naturae miracula incompertae rationis, et in Naturae majestate penitus abdita».



101          Lib. 2.



102          Aphorism. I, tex. 5.



103          De bell. civil. Ved. Franc. Vallesio, de sacra philosoph., c. 68; S. Basil., homil. de invidia.



104          Disp. Magicar., lib. 3, p. 1, q. 4, sect. 2., in fin.



105          De fascino, lib. 1.



106          Lib. de chimicor. Galen. et Aristotelic. dissens. et consens., tom. 1, c. 14.



107          De venen., I 17.



108          Fascinum esse receptum ab antiquis constat, scrisse Cardano de venen., I 17. E che i Romani molte cose avesser detestate, come auguri cattivi, ne abbiamo qualche documento ancora nel corpo della loro legislazione: come nella stipulazione, nella quale deduceasi un uomo libero sotto condizione, se servo divenisse, L. 83, § 2, ff. de contrah. emt.



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