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CICALATA IN DIFESA DEL FASCINO VOLGARMENTE DETTO JETTATURA 23. Argomento dall'agitazione della fantasia |
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Argomento dall'agitazione della fantasia
Cosí la nostra fantasia viene ad agitarsi. Anzi rifletto che, come gli effluvi da' corpi umani sono con maggior violenza scagliati a noi nello stato dello sconvolgimento della fantasia e degli affetti altrui, cosí l'innata forza di jettarla, che hanno gli uomini, può accrescersi nello stato medesimo. Fate che una donna jettatrice si agiti per l'irascibile, o pel concupiscibile appetito (perché le femine, com'è negli adagi di P. Sirio, o amano, o odiano, non vi è via di mezzo), osservate che gli occhi o truci od irrequieti gira quà e là; e, cosí conturbati, gli umori la cattiva lor qualità esalano, che io vorrei anzi un colpo di stile che uno di quei sguardi sopra torbidi e funesti: se sono poi per amore scintillanti ci vengono per dritta via al core, e con esso l'abbracciamo, ove la fantasia al cuore stesso li raccomandi.
Da Aristotele la fantasia, cioè l'imaginazione, vien definita: «quidam motus factus a sensu actu operante, interventu specierum ab externo objecto receptarum». E siffatte specie sono come le impressioni che si fanno nella cera; e restano piú o meno impresse, secondo la gagliardia delle impressioni, e la qualità della membrana, in cui si fissano, piú o meno tenera. Le specie medesime ne' sogni si risvegliano: e Renato des Cartes rassomiglia questa membrana ad un ventaglio di donna, che in tutto si dispiega, ove siam desti; o in alcune parti soltanto, ove dormiamo. E qui potrebbesi osservare una virtú, per dir cosí, simpatica fra' vapori, e fumi, che si mandano dallo stomaco al capo, e le piegature di quella membrana, dove son fissate specie tetre e malinconiche, o amene e gioconde, secondo i cibi crudi, aspri, o buoni, e succosi.
Chi non sa intanto che questa potenza è miracolosa nelle sue operazioni, e nel modo di operare? Chi non sa quanto potere abbia sul proprio corpo? «Imaginationem in proprio corpore multum valere, nemini non constat», dice il medico Avicenna.118 Anzi soggiunge: «si hominis voluntas, et imaginativa fuerint vehementes, elementa, venti, et reliqua naturalia sunt nata eis obedire».119 Io non entro ad esaminare ciò che dicono alcuni, che per una forte fantasia possa un uomo, senza articolar parola, comunicare i suoi sentimenti interni ad un altro in qualche distanza; per una copia di spiriti da essa emanati, che commuove l'ambiente aria, a guisa della voce; siccome Mitridate Re di Ponto, dotato di una stupenda imaginativa, comunicava cosí, senza parlare, i savi pensieri a' ministri suoi:120 e che, come i magnetici effluvi mantengono equilibrato in aria un corpo più grave di essa, possa avvenire lo stesso al corpo di un uomo elevato dalla forza di piú copiosi spiriti, trasfusi da una forza vitale, qual'è quella di una gagliarda fantasia.
Mi basta solamente il fatto, che Luciano rapporta, che sotto Lisimmaco avendo Archelao rappresentato l'Andromeda di Euripide in Abdera, fece tanta impressione ne' spettatori che, alteratasi la fantasia, cagionò loro la febbre, nell'eccesso di cui rappresentavano Andromeda, Perseo, Medusa: il che si diffuse negli animi, a guisa di malattia epidemica. E mi basta il riflettere come nel feto, dentro l'utero materno, s'imprimano delle macchie per la forza degli spiriti della fantasia;121 per conchiudere che abbia questa quasi una magica forza;122 e che corrotta, ne' malinconici specialmente, tutt'i sensi, e più la vista sia perduta, e si vegga quel che non è.123
Dobbiam dunque dire che la jettatura dalla fantasia grandissima forza prende. Per essa talvolta quel che non è vediamo.124 Onde se alcuno ha la forza jettatrice di sconcertarcela, sia che comunichi la sua fantasia a noi, come dice Malebranche, sia che ci fosse antipatico, vedendo noi le cose, o che non sono, o altramente da quel che sono, ne siegue il giudicar perverso, l'operar cattivo, e lo sconcerto, non solo del nostro piccol mondo, ma delle operazioni altresí: che sono della jettatura gli effetti funesti.
Mentre io debbo far cosa, mi si avvicini alcuno, che io apprenda esser malagurioso, e jettatore, o che veramente mi sia antipatico, e cogli effluvi suoi a me contrari la fantasia mi sconcerti; ecco io non sono piú io, dentro di me piú non mi trovo, gl'interni sensi e le operazioni dell'animo non hanno piú regola, tutto mi par cattivo, e la mia sorte stessa sembra funesta; fino le carte da gioco par che mi si mutino in mano; e quanto la fantasia mi dipinge io credo esser vero. Lo stesso è da dirsi, se alcuno vedendo un pelo ritorto, o altra fattura, apprenda la malia. Egli sente già il male. Direte che sarà un mal di fantasia. Ma non è anche questo reale ed esistente?