Nicola Valletta
Cicalata sul fascino volgarmente detto jettatura

CICALATA IN DIFESA DEL FASCINO VOLGARMENTE DETTO JETTATURA

25. Che altri coll'aspetto, col discorso o coll'invido sguardo ci produce

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25.

Che altri coll'aspetto, col discorso
o coll'invido sguardo ci produce

 

Per le cose fin qui dette può leggermente osservarsi come possa per natura su di noi operare questa prima patente jettatura, che deriva dall'impressione molesta degli altri uomini sul cervello e sull'animo nostro, col solo di loro aspetto, o col discorso, o colla guardatura, ch'essi faccian. Abbiam detto che certe contrarie fisonomie ce la jettano. Certi omaccioni co' loro visacci; certi mascheroni, figure da cembali e da cessi; certe donne, che avendo visto piú di un giubbileo sono rimedio delle tentazioni; alcune quatriduane larve, che non sai se sono sostanze, o accidenti; alcuni macilenti, e pallidi piú de' poeti Fileta e Archistrato,130 non la jettano infallibilmente? e non dimostrano nel viso anche i vizi dell'animo?131 Il discorso inoltre ci vien dalla natura, e da' bruti ci distingue: fu prodotto da' bisogni degli uomini, e divenne idoneo ad istruire, dilettare, e commover l'animo altrui, secondo i progressi della socievol vita e la perfezione delle arti e delle scienze.

Or chi non sa quanta potenza abbia la parola di scotere il nostro interno, e la forza dell'eloquenza, che flexanima perciò si è appellata, quando desti ed agiti le passioni umane? Quante volte le vive immagini degli oratori, i traslati, la robustezza delle voci e 'l nesso loro, in una parola quell'arte stupenda, che dov'è piú meno si scerne, non altramente che la musica pasce ed alimenta lo spirito, e i bellici stromenti l'animo commuovono; quante volte, io diceva, l'eloquenza ha mossi gli eserciti a combattere valorosamente, ha rotta l'ira de' stizziti uomini, siccome M. Antonio raddolcí i rabbiosi soldati, mandati ad ucciderlo da Mario e Cinna,132 ha persuasa la morte per evitarsi la miseria della vita, siccome fece l'oratore Egesia, ha sedati i tumulti de' popoli, ed intenerito l'animo di un giudice, costretto ad abbandonare perciò involontariamente i sacri principi del Giusto?133 Se pendiamo da' labbri eloquenti di Vincenzo Medici sul pulpito, o da' fecondi avvocati nostri nel foro, l'animo è vinto, e ligato.

L'eloquenza desta in noi le passioni, figlie tutte dell'amor proprio, e di varia forza, secondo il dominio che hanno su de' : l'amore, soave nodo de' cuori, che mitiga i mali della vita, e fa soffrire i rigori della fortuna: l'ambizione, che non mai contenta, disprezzando ancora la gloria, la brama: la gelosia, che rende piú forti le catene d'amore, mentre dovrebbe romperle; il mal della quale per gli stessi rimedi si accresce: la malinconia, che scema il vigor dello spirito, fa diventar gli uomini eunuchi, come disse un antico, e li fa affligger del bene, e del male, siccome gl'infermi non possono né i buoni, né i cattivi alimenti soffrire: la compassione, ch'è la piú bella passione, ove non si estenda su i delinquenti: il timore, che ci fa provar le disgrazie nel prevederle: l'odio, che avvelena i piú belli momenti della vita: l'invidia, sua sorella; e tante altre passioni, ch'io mi rimango di rivangare.134 Puol'essere allo incontro la voce di un jettatore, di una jettatrice, che col suono o soverchiamente esile, o troppo grande, ambiguo, disarmonico al nostro timpano ci disgusta, e disturba ancora il corpo e l'interno.

Finalmente la vista è de' sensi il principe, che della luce, cosa piú bella da Dio creata, si diletta: non altrimenti che della verità gode l'animo nostro. Hanno gli occhi i segni degli affetti dell'animo e vi corrispondono: onde diconsi dell'animo fidissimi duci. Or come i begli occhi piacciono, allettano, e l'ardor vicendevole degli amanti fomentano: come dice il Petrarca: «Veggo, penso, ardo»; cosí per lo contrario i brutti occhi jettatori abborriamo, e par che ci avventino su tutte le disavventure. Voi vi guardereste bene dal ferro di un assalitore, e non vi sapreste guardare degl'influssi tristi de' jettatori. Non è che i corpi trasmettano a noi le loro spoglie, o che la vista si faccia spingendosi cosa dagli occhi fuora, che anzi essi dagli oggetti che guardano, certa passione ricevono. Cosí nel guardar color vario e verdeggiante, o una bella ninfetta, ricreansi e prendon ristoro: come all'opposto nel guardar cose oscure o una vecchiaccia lezzosa si rattristano e si annoiano; ma non può dubitarsi che dagli occhi altrui ci si tramandano effluvi che han dritto a muoverci gli affetti e la macchina.

Son noti i raggi avvelenati degli occhi del Basilisco, del rospo, del lupo, della torpedine, e delle donne mestruanti.135 Le testuggini fomentano l'uova cogli occhi. L'augello Galgalo attrae cogli occhi l'itterico morbo degli uomini. Gli occhi de' galli al povero Leone inferiscono mestizia, e timore essendo alcuni semi ne' corpi de' galli a' Leoni nemici.136 Il cuore quasi trasmette agli occhi gli affetti suoi. E come l'occhio umano spira amore, soavemente mirando, cosí avanza ogni terribile oggetto, mirando minaccioso e adirato. Molti animali non fuggono dall'uomo, se non li guarda. E lo stesso Leone si ritira, e si scansa, ove l'uomo in campagna si ferma a mirarlo fisso senza abbassar le palpebre.137

Specialmente gl'invidiosi, tanto se guardan biecamente, quanto se con guardi affettati a dolcezza, la jettano; perché l'invidia fa destare tutti gli affetti dell'animo, e gl'invidiosi nocciono col guardo; essendo per natura ingenito a chiunque di toglier di mezzo le cose, che dispacciono.138 Il sentimento stesso fu del Gran Cancelliere Bacone da Verulamio, il quale scrisse: «ex affectibus nulli sunt, qui existimantur fascinare, proeter amorem, et invidiam. Uterque acria progignit desideria: uterque se perniciter efformat in phantasias, et suggestiones: atque uterque facile inscendit in oculos; praecipue, quando objectum adest. Videmus Scripturam invidiam oculi mali nomine insignire».139

 

 





130          Eliano, IX 14, X 6: «Philetam Coum, ajunt, macerrimo corpore fuisse. Ferunt, eum plumbeas habuisse soleas in calceis, ne a ventis prosterneretur, si paulo durius eum afflassent... Archistratus vates captus ab hostibus, et ad lancem appensus, inventus est, habere pondus unius oboli». Chi sa se è vero!



131          Un nostro Forense, Prospero Farinacio, de crimine laesae Majest., par. 4, quaes. 116, § 3, n. 170, dice, per sua esperienza, che i pallidi e macilenti, massime se abbiano piccola barba e voce femminile, sieno traditori: «juxta exemplum relatum per Plutarchum in vita Julii Caesaris, cui cum fuisset dictum, quod a Galba sibi caveret, qui crassus erat, respondit, sibi cavendum esse a pallidis, et macilentis, volens inferre de Caio Cassio, et Bruto, non autem a crassis, prout erat Galba».



132          Val. Max., VIII 9; Patercul., lib. 2.



133          Quindi gli Spartani con ampio significato chiamarono fascino l'eloquenza, ed esiliarono un giovane, che in Atene allo studio di essa avea i suoi gran talenti impiegati.



134          Delizie dello spirito e del cuore del Marchese d'Argens.



135          Aristotel., lib. de insomn., c. 2; Plin., XVII 15. Di coloro, che patiscono di oftalmia, dice il Poeta: «Dum spectant oculi laesos, laeduntur et ipsi; / Multaque corporibus transitione nocent».



136          Lucrezio scrive cosí, lib. IV:

                Nimirum, quia sunt gallorum in corpore quaedam

                Semina, quae cum sint oculis immissa Leonum

                Pupillas interfodiunt, acremque dolorem

                Praebent, ut nequeant contra durare feroces.



137          Tassoni, Pensieri, VI 29; Simon Porzio, de' colori degli occhi; Palemonte Ateniese, de' segni della Natura.



138          Franciscus Valesius, de sacra philosophia, c. 68. Operae horarum subcisivarum centuria, 3. È l'invidia bellamente da Ovidio descritta cosí:

                Pallor in ore sedet, macies in corpore toto,

                Nusquam recta acies, livent rubigine dentes,

                Pectora felle virent, lingua est suffusa veneno.

                Risus abest, nisi quem visi fecere dolores.

                Anguillara traduce:

               È tutto fele amaro il core, e il petto,

               La lingua è infusa d'un venen, che uccide:

               Ciò ch'esce dalla bocca, è tutto infetto,

               Avvelena col fiato, e mai non ride.

                E Ovidio stesso, lib. 2, Metamorph.: «Successus hominum carpitque, et carpitur una, / Suppliciumque suum est». Berni, Orl., 15 67: «Che sol col viso, e fiera guardatura / Cader faratti morto di paura».



139          Sermones Fideles, IX, de invidia. Aristotele, lib. 2, de arte dicendi, estima che l'invidia abbia piú spesso luogo ne' beni della fortuna che dell'animo. Io non saprei se ciò fosse vero. Perciocché dice bene Orazio, Carmin., lib. 3, od. 24: «Virtutem incolumem odimus, / Subiatam ex oculis quaerimus invidi». E l'invidia è, quando alcuno mal soffre, che altri l'avanzi ne' beni dell'animo, o del corpo, ed in un certo modo li vede con animo iniquo: onde Cicerone disse invidentia. Mentre crede che oscurino la propria luce i raggi altrui. Ha principalmente l'invidia luogo fra gli eguali: perché la disparità maggiormente risalta, ove i simili si conferiscano, e paragonino. Ed è molto debole l'invidia contra coloro, che di molto avanzano altri, e sono perciò d'ogn'invidia maggiori. Orazio, IV, od. 3: «Jam dente minus mordeor invido». L'invidioso fomenta la sua infelicità. Orazio, lib. I, epist. 2: «Invidia Siculi non invenere Tyranni / Majus tormentum». E Laerzio, lib. 6, In vit. Antist., fu solito dire: «sicuti aerugo ferrum, ita invidia animum hominis, ubi insita est, consumit». Quindi per translazione chiamarono l'invidia aeruginem Marzial., lib. X, epigr. 33; Oraz. lib. I, sat. 4. Del resto il nostro volgar detto, è meglio invidia che pietà, è molto antico. Pindaro in Pyth., od. I, scrisse: Ἄλλ'ὅμως, ϰρείσσον γάρ οίϰτιρμῶν φϑόνος. («Veruntamen melior miseratione invidia est»).



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