28.
E da' bruti animali
Lo
stesso è ne' bruti. In Egitto il Basilisco per gli aliti suoi velenosi reca
danno.148 È notissimo ancora il fascino del rospo, che,
vedendo l'usignuolo, a sé cogli occhi lo tira e lo divora.149
Che
diremo de' nuotanti? Vi ha lo scorpio colle punte aspre, e villane;150 la tragina, che ha spina mortale; e la
torpedine, che produce stupore e dolore nella mano di colui che la tocca.151 Di passaggio osservo qui che dalla seppia
astuta, che sparge il nero veleno all'ingordo lancioniere,152 è in Napoli nato l'adagio, jettare lo nigro de
la seccia, che alla jettatura degli uomini in senso traslato suole adattarsi.153
148
Plinio, VIII 21. Dice Solino, c. 29: «Ægyptus Basiliscum creat malum in terris
singulare. Serpens est pene semipedalis longitudinis, alba quasi macula
lineatus caput, nec hominum tantum, et aliorum animantium exitio datus, sed
terrae quoque ipsius, quam polluit, et exurit ubicumque ferale sortitur
receptaculum, denique extinguit herbas, necat arbores, ipsas etiam corrumpit
auras; ita in aerea nulla alitum impune transvolet infestum spiritu
pestilenti». E perché non si creda ad un solo testimonio, ecco Plinio ancora,
VIII 24: «Cyrenaica basiliscum generat provincia, duodecim non amplius
digitorum magnitudine, candida in capite macula, ut quodam diademate insignem,
sibilo omnes fugat serpentes, nec rectus in medio incedens: necat frutices, non
contactos modo, verum et afflatos; exurit herbas, rumpit saxa». E Platina, in vita
Joan. IV scrive: «Romae inventus est Regulus, qui solo habitu venenoque
multos mortales perimeret»;
I quadrupedi ancor hanno
Lor maligni jettatori.
Qual non recan strage, e danno
Volpi, lupi insidiatori?
E la donnola vorace
E 'l fier istrice minace?
Jettatrice anch'è la biscia,
Onde al fiato il basilisco
L'erbe adugge, per cui striscia,
E le serpi fuga al fischio.
Quindi è simbolo dell'empio
149
Non insidia il
rospo sozzo
E cogli aliti a sé tira
L'usignuol, che nel rio gozzo
Va a cadergli, appena il mira?
Salta, vola, fugge intorno,
Ma al nemico fa ritorno.
Le civette allor che stridano
E quei tanto infausti gufi,
Che al tuo albergo intorno annidano
Tra gli oculti e rosi tufi,
Da te mai soffrir si ponno?
Non ti rubano anche il sonno?
Sai la nottola molesta,
Sai la strige e la cornacchia,
Sai del corvo la funesta
Jettatura quando gracchia?
Sai già il nibbio, e l'avoltoio;
150 Morgan 14 66; Jonstono.
151
Arist. IX, c. 3: «Torpedo piscis, quam appetit, afficit ea ipsa, quam in suo
corpore continet facultate torpendi, atque ita retardata animantia prae stupore
capit, iisque vescitur».
152
Appiano, ed il P. Giannattasio nella sua Alieutica, lib. 5.
153
Degl'insetti:
Quanto mai l'estive sere
Non angosciano le zenzale?
S'una passa il zanzaniere,
E ronzando batte l'ale,
Basta a farti in mezzo all'ire
Bestemmiar piú d'un Visire.
Le cicale, che di state
Al Sol cantan con gran lena,
Non assordan le brigate?
Ma alfin scoppian per la schiena.
Deh cosí crepasser anco