Nicola Valletta
Cicalata sul fascino volgarmente detto jettatura

CICALATA IN DIFESA DEL FASCINO VOLGARMENTE DETTO JETTATURA

28. E da' bruti animali

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28.

E da' bruti animali

 

Lo stesso è ne' bruti. In Egitto il Basilisco per gli aliti suoi velenosi reca danno.148 È notissimo ancora il fascino del rospo, che, vedendo l'usignuolo, a sé cogli occhi lo tira e lo divora.149

Che diremo de' nuotanti? Vi ha lo scorpio colle punte aspre, e villane;150 la tragina, che ha spina mortale; e la torpedine, che produce stupore e dolore nella mano di colui che la tocca.151 Di passaggio osservo qui che dalla seppia astuta, che sparge il nero veleno all'ingordo lancioniere,152 è in Napoli nato l'adagio, jettare lo nigro de la seccia, che alla jettatura degli uomini in senso traslato suole adattarsi.153

 

 





148          Plinio, VIII 21. Dice Solino, c. 29: «Ægyptus Basiliscum creat malum in terris singulare. Serpens est pene semipedalis longitudinis, alba quasi macula lineatus caput, nec hominum tantum, et aliorum animantium exitio datus, sed terrae quoque ipsius, quam polluit, et exurit ubicumque ferale sortitur receptaculum, denique extinguit herbas, necat arbores, ipsas etiam corrumpit auras; ita in aerea nulla alitum impune transvolet infestum spiritu pestilenti». E perché non si creda ad un solo testimonio, ecco Plinio ancora, VIII 24: «Cyrenaica basiliscum generat provincia, duodecim non amplius digitorum magnitudine, candida in capite macula, ut quodam diademate insignem, sibilo omnes fugat serpentes, nec rectus in medio incedens: necat frutices, non contactos modo, verum et afflatos; exurit herbas, rumpit saxa». E Platina, in vita Joan. IV scrive: «Romae inventus est Regulus, qui solo habitu venenoque multos mortales perimeret»;

   I quadrupedi ancor hanno

          Lor maligni jettatori.

          Qual non recan strage, e danno

          Volpi, lupi insidiatori?

          E la donnola vorace

          E 'l fier istrice minace?

   Jettatrice anch'è la biscia,

          Onde al fiato il basilisco

          L'erbe adugge, per cui striscia,

          E le serpi fuga al fischio.

          Quindi è simbolo dell'empio

          Fascin rio, che in noi fa scempio.



149              Non insidia il rospo sozzo

   E cogli aliti a sé tira

   L'usignuol, che nel rio gozzo

   Va a cadergli, appena il mira?

   Salta, vola, fugge intorno,

   Ma al nemico fa ritorno.

  Le civette allor che stridano

   E quei tanto infausti gufi,

   Che al tuo albergo intorno annidano

   Tra gli oculti e rosi tufi,

   Da te mai soffrir si ponno?

   Non ti rubano anche il sonno?

   Sai la nottola molesta,

   Sai la strige e la cornacchia,

   Sai del corvo la funesta

   Jettatura quando gracchia?

   Sai già il nibbio, e l'avoltoio;

   E 'l falcon rapace e croio?



150          Morgan 14 66; Jonstono.



151          Arist. IX, c. 3: «Torpedo piscis, quam appetit, afficit ea ipsa, quam in suo corpore continet facultate torpendi, atque ita retardata animantia prae stupore capit, iisque vescitur».



152          Appiano, ed il P. Giannattasio nella sua Alieutica, lib. 5.



153          Degl'insetti:

    Quanto mai l'estive sere

   Non angosciano le zenzale?

   S'una passa il zanzaniere,

   E ronzando batte l'ale,

   Basta a farti in mezzo all'ire

   Bestemmiar piú d'un Visire.

    Le cicale, che di state

   Al Sol cantan con gran lena,

   Non assordan le brigate?

   Ma alfin scoppian per la schiena.

   Deh cosí crepasser anco

   Quanti v'ha ciarlon, pel fianco!



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