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Capitolo XII.
Una inchiesta misteriosa.
Voi combattevate, o Gino, e la fanciulla dei Guerri pregava. Così, sui portali marmorei delle nostre città di Liguria, l'arte medievale ha raffigurato il virtuosissimo barone San Giorgio, che spinge il destriero a galoppo e calpesta il drago arrovesciato, ficcandogli la punta della sua lancia nella gola spalancata, mentre sul ciglio di un sasso una giovine principessa inginocchiata, a mani giunte, implora la vittoria del suo campione dalla clemenza di Dio.
Tra l'antica rappresentazione e il caso presente correvano per altro due differenze. Gino Malatesti non aveva ancora piantata la lancia nella gola del drago, e Fiordispina, anche pregando con tutto il fervore dell'anima sua, non aveva l'aria di guardare ad altro, come la principessa di Cappadocia. Fiordispina teneva gli occhi rivolti a Fiumalbo, a quella lunga fila di monti e colline che separavano il Cimone dalla pianura modenese. Di là aspettava oramai la luce degli occhi suoi, la vita del suo cuore: pregando il cielo, confidava anche nel suo Gino, e discacciava come indegni di lui, del suo carattere, della sua lealtà, i neri presentimenti che venivano ad assalirla.
Intanto a Fiumalbo s'incominciava a discorrere, a far castelli in aria, sulla presenza di quei due impiegati del governo ducale. Si era creduto a tutta prima che fossero due ingegneri, venuti a studiare per la costruzione di un ponte, già tante volte domandato e mai ottenuto, scambio di quello di legno che ogni piena un po' grossa abbatteva, e che i Guerri, buona gente, rifacevano sempre a spese loro. Il sindaco Cervarola, interrogato dagli anziani del paese, non diceva nè di sì nè di no; ma era molto pensieroso, il brav'uomo, più pensieroso del solito, e pareva che gli pesasse la carica. Al signor Aminta, che gli chiedeva anch'egli notizie, il signor sindaco aveva risposto:
- Che ne so io? Vogliono saper tante cose! Ora vi sembra che mirino di qua, ora sembra che guardino di là. Mi è passato per la testa che vogliano fare un censimento nuovo delle famiglie.
- Un censimento! Che diavolo? Ma se è stato fatto da poco!
- Che cosa ho da dirvi io? - Fors'anche un nuovo catasto. Vogliono poi tante cose! Chi è il tale, chi è il tal altro, che mestiere fa, dove abita, dove si può vederlo.... Ieri, per esempio, mi hanno domandato anche di Pellegrino Menghi, che è il vostro servitore, e di Lorenzo Tamaroni, il vostro caposquadra alle Serre.
- Due uomini, - borbottò il Guerri, facendo una spallata, - che non hanno niente a vedere con la giustizia. -
Così erano rimasti, sapendone meno di prima, e sospettando ogni cosa. Ma il giorno seguente nuove voci si sparsero in paese. I due ufficiali del governo andavano di qua e di là, prendendo lingua da tutti i casolari, chiedendo cose di nessun conto; per altro, qualcheduno era anche chiamato alla loro presenza, nelle stanze della casa comunale. Di che si fosse parlato non si poteva sapere, perchè i chiamati all'interrogatorio non volevano appagare la curiosità degli amici, e neanche delle loro famiglie. Avevano paura, e si eran cucita la bocca.
Altro che censimento! altro che catasto! C'era la ragion politica, lì sotto. Del resto, il signor Francesco Guerri conosceva i due personaggi per impiegati di polizia, ed era già troppo non aver capito alle prime che razza di commissione fosse la loro. Perciò il vecchio Guerri chiamò a sè Lorenzo Tamaroni e gli disse:
- Che è stato? Ti hanno interrogato ieri. Su che? -
Erano alla Serra, ma in luogo appartato, e nessuno degli uomini addetti al lavoro poteva udire il discorso. Lorenzo Tamaroni diede tuttavia un'occhiata sospettosa in giro; poi raccontò minutamente ogni cosa.
- Il signor sindaco mi ha fatto chiamare ieri mattina. - È per ordine del signor commissario, venuto da Modena; - mi ha detto subito, quando mi son presentato da lui. Infatti, poco dopo è capitato il signor commissario col suo aiutante; si son seduti tutt'e due alla tavola del sindaco, e quando siamo rimasti soli noi tre, mi han detto di sedere e di rispondere con sincerità a tutte le domande che mi avrebbero fatto. Uno domandava e l'altro scriveva. - E così? (mi ha detto il primo). Siamo al lavoro delle serre? - Sì, illustrissimo. - E si fatica molto? - Eh, sicuramente, non è un mestiere troppo comodo. - Guadagnerà molto, il vostro principale? - Non saprei. - Come? Non lo sapete? - Signor mio, che vuole? Faccio il boscaiuolo, io; si dà al tronco dell'albero fino a tanto che possa cascare con una spinta; si svetta, si scortica, e poi, giù nel gran solco, fino alla serra. Quando ce ne sono cinquecento ammucchiati, s'incomincia a voltargli l'acqua, che faccia lago, e ci possano galleggiar dentro; poi, quando se ne son fatti entrare tanti che bastino, si apre la cateratta, e via, che pare il diluvio. Ecco quello che faccio io, che facciamo tutti noi, illustrissimo; e quel che succeda del legname, quando lo abbiam perduto di vista, e i guadagni che può procurare al padrone, non è cosa che possiamo sapere noialtri. - A proposito d'acqua, siete andati un giorno a lanciare una barca in un lago? - Nel lago della Ninfa, sì, illustrissimo. - Ed era grossa? - Che! Un guscio di noce. - E perchè l'avete lanciata? - Per obbedire agli ordini dei nostri padroni. - Ma essi, che idea avevano? - Se ho bene inteso, quella di assicurarsi che non ci fosse un vortice nel mezzo del lago. - Benissimo; e si è anche fatto un po' di festa. - Capirà, illustrissimo, quando si è in tanti, e si è fatto un lungo viaggio.... - Festa patriottica, con discorsi ed evviva; si è dato alla barca un bel nome.... - Non so. - Come? Neanche questo sapete? - Signor mio, non lo so; forse dal posto in cui ero, non ho potuto sentirlo. - Ve lo dirò io, il nome d'Italia. Non vi piace forse? - Eh, gli è un nome come un altro. - E non sapete dunque chi abbia dato quel nome? Chi c'era, intorno alla barca? I signori Guerri, non è vero? - Come padroni, ci dovevano essere di sicuro. - E il prevosto Don Toschi? - Anche quello, - E il conte Malatesti? - Non so se si chiami così; ma un giovanotto che chiamavano il signor conte, l'ho veduto benissimo. - È forse lui che ha dato il nome alla barca? - Sarà, ma non posso giurarlo; Le ho già detto che ero distante, e non ho sentito nulla. - Dite piuttosto che siete duro d'orecchio, perchè eravate ben vicino, come caposquadra, al comando della manovra. Basta, andiamo avanti. E il conte Malatesti, come era amico coi vostri padroni? - Non lo so; non me l'han detto. - Voi non sapete mai nulla di nulla. Eppure, sentite, vi converrà parlare; è per utile vostro, se non volete aver guai. -
Qui Lorenzo Tamaroni fece una sosta, per introdurre nel dialogo una sua osservazione.
- Capirà, signor Francesco; non era un bel complimento che mi faceva il signor commissario. Ma io non mi sono perduto d'animo. - Son qui per dire tutto quello che vogliono (risposi) ma a patto che io lo sappia. Ora, dell'amicizia di questo signor conte coi miei padroni io ne ebbi la prima notizia quel giorno. Ho saputo che erano vicini di casa. - E il conte era sempre alle Vaie? - Non lo so. - Badate, Tamaroni, il tacere le circostanze che vi son note, il trincerarvi dentro i vostri eterni «non so» potrebbe costarvi caro. - Oh senta, illustrissimo; costi un po' quel che vuole; non mi si potrà far dire quello che non è alla mia cognizione. Sono da vent'anni al servizio dei signori Guerri, ma non ho altre occasioni di vederli che tra i boschi, dove passo le mie giornate. - Ma là, sul lago della Ninfa, dov'eravate tutti, che discorsi sono stati fatti? Che cosa diceva il signor Francesco Guerri? - Niente, stava a vedere. - E il prete? Non ha simulato di battezzare la barca? - Nossignore, ha dato una benedizione. Anche a me han benedetta la casa, quando i signori Guerri l'han fatta costruire, e non mi sembra che abbia fatto niente di diverso per la barca. - Qui - (soggiunse Lorenzo Tamaroni, ritornando alla forma narrativa) - il signor commissario si è volto all'aiutante, che scriveva sempre come un altro sant'Agostino, e gli ha detto sottovoce, ma in modo che potessi sentirlo ancor io:
- Questo è un merlo del becco giallo! Ora vedremo un po' gli altri. E, voltandosi a me, mi congedò con queste parole:
- Andate, Tamaroni; vi richiameremo, se ci occorrerà di saper altro da voi, di quello che non sapete. - Ed io andai, senza aspettare che me lo dicesse una seconda volta. A dirle il vero, signor padrone, mi pareva mill'anni. -
Il vecchio Guerri stette saldo davanti a tutti quei segni precursori di una grossa burrasca che minacciava di scaricarsi sulle Vaie. Non così saldo si mostrava il povero boscaiuolo, che amava i suoi padroni e aveva ragione di temere per essi.
- Ed ora, signor Francesco, - riprese egli, - che cosa succederà?
- Che vuol che succeda? Nulla.
- Dio voglia! Ma se mi chiamano ancora, come mi hanno minacciato di fare?...
- Se ti chiamano ancora, di' pure liberamente tutto quello che sai. Infine, tu non hai detto niente di meno, e non potevi dire niente di più. Discorsi sovversivi, brindisi, evviva, non se ne sono fatti. Io, poi, non so nemmeno chi abbia dato il nome alla barca. Vorrei essere stato io, per vantarmene. -
Il signor Francesco non diceva tutta la verità, in quel momento. Ricordava benissimo che il nome era stato dato da sua figlia e dal conte Gino; ma, come padre e come ospite, non voleva che il boscaiuolo lo dicesse, in un secondo interrogatorio.
- Del resto, - soggiunse il vecchio Guerri, - se domandano la cosa a me, non ho nessuna difficoltà a caricarmi la coscienza di questo peccato. Che cos'è l'Italia? Un'espressione geografica. Dando questa sua bella definizione, il principe di Metternich ha proferito la parola, e il principe di Metternich è uno dei loro. Dopo un così grande esemplare di ortodossìa politica, perchè non potremmo proferirla noi?
- È giusto; - rispose il boscaiuolo, che non conosceva il signor principe, ma che si sentiva istintivamente raffidato dalla confidenza con cui ne parlava il padrone; - si dice Italia come si direbbe un'altra cosa: Francia, Spagna, America, Portogallo.... ed altri paesi. -
La geografia di Lorenzo Tamaroni non andava niente più in là. Con quei quattro nomi aveva vuotato il sacco della sua erudizione. Ad un esame lo avrebbero bocciato di sicuro; ma il bravo boscaiuolo non era fortunatamente a quell'impegno, e quelle poche cognizioni bastavano alla sua felicità.
Congedato dal padrone, se ne ritornò sul lavoro. Il signor Francesco lo seguì poco dopo, tranquillo in apparenza, e tutto intento alla distribuzione delle acque nella serra. Ma quel giorno, dopo il pranzo, fu una gran conferenza nella casa dei Guerri, avendo il capo della famiglia creduto necessario di consigliarsi coi suoi. Fiordispina fu più addolorata di tutti, e la sua agitazione commosse il vecchio, che si studiò di calmarla, fingendo una sicurezza che non aveva nel cuore.
- Non temo per me; - disse la fanciulla. - Son donna, e poco mi posson fare. Temo per te, babbo; temo per voi uomini.
- Eh via, non esageriamo! - raccomandò il signor Francesco. - Ho detta la cosa, perchè era necessario avvertirvi tutti, e intenderci sulle risposte che daremo, se verranno ad interrogarci. Ma andiamo al fondo e guardiamo che c'è. Son venuti in due, come l'altra volta, ma per dare una buona notizia al conte Gino. L'occasione sarebbe stata scelta male, per annunziargli la sua grazia, se avessero avuto dei gravi sospetti. Fanno una piccola inchiesta, per uso, per amore dell'arte; ecco tutto.
- Ma porteranno la loro relazione a Modena; - osservò la fanciulla.
- Che relazione! Un pugno di mosche; - replicò il vecchio Guerri, facendo una spallata.
- Speriamolo; - disse Aminta. - Ma nel dubbio, bisognerà avvertire il conte Gino.
- Sì, bravi! perchè la lettera caschi in mano alla polizia del Duca.
- Possiamo mandarla per mezzo di un uomo sicuro. Pellegrino per esempio. -
La conferenza si fermò a questo punto. Pellegrino, in verità, era stato interrogato anche lui; ma non aveva avuto da dire niente più del Tamaroni. Pensando a tutti quegli interrogatorii, il signor Francesco capì che i suoi servitori e famigli erano tutti fedelissima gente. Da loro, per certo, non era partita l'accusa; probabilmente da qualche invidioso, da qualche nemico celato, come tutti ne hanno, e come potevano averne anche i re della montagna a Fiumalbo. Questa supposizione era avvalorata dal fatto che si accennava a discorsi non fatti, ad evviva non proferiti. L'accusatore non era dunque da cercare tra i presenti alla scena del Lago. Del resto, e si cascava sempre qui, se anche i famigli di casa Guerri si fossero sbilanciati nelle loro risposte al commissario, poco potevano aver detto, perchè poco c'era da dire, e tutto il guaio si restringeva ad un nome, al nome d'Italia, che era stato imposto ad un misero burchiello.
Don Pietro, che aveva sulla coscienza quell'altro peccato della benedizione, capitò quella sera all'ora solita. Non sapeva ancor nulla, lui; nè il commissario lo aveva chiamato al redde rationem.
- Curiosa inchiesta, che non si estende agli accusati! - disse il prete, com'ebbe udito ogni cosa. - Del resto, e quanto a me, so già quel che mi tocca: una chiamata in Curia e una solenne lavata di testa. Ma io potrò rispondere a Monsignore: - Non so ancora che il nome d'Italia sia scomunicato. Mi diano istruzioni, e starò all'obbedienza. -
Tutto ciò andava benissimo, ma non toglieva di mezzo le apprensioni. Ad accrescerle, anzi, venne poco dopo l'annunzio di una visita. Il signor commissario e il suo applicato, domandavano di essere ammessi a riverire i signori Guerri. A riverire, capite? Questo era il linguaggio ufficiale, la veste, la maschera del pensiero; ma bisognava vedere, che cosa ci fosse sotto.
I due visitatori furono ricevuti con calma solenne da tutta la famiglia riunita. Non si era re della montagna per nulla. Ed anche alla calma solenne si accompagnò una squisita cortesia.
- I nostri incarichi sono finiti; - disse il signor commissario, premendo al solito sulle parole; - non abbiamo voluto andarcene, senza una visita di congedo a lor signori.
- Come? - non potè trattenersi dal dire il vecchio Guerri. - Finiti così presto?
- Che vuole? Cose da nulla.... almeno, per quanto risguarda il tempo che si poteva mettere a sbrigarle.
- Ci duole, - disse il signor Francesco, - ci duole che se ne vadano senza accettar nulla da noi. Se avessimo saputo che la loro partenza era così imminente....
- Oh, grazie! - interruppe il commissario. - Non ci è neanche permesso di dare incomodo alle persone in mezzo a cui ci chiamano i nostri doveri d'ufficio. Il nostro ministero è delicatissimo, e ciò in compenso dell'essere qualche volta odioso.
- Che dice Ella mai?
- Oh, non dubiti, perchè la cosa è proprio così come ho l'onore di dirle; - rispose con un sospiro il commissario. - Siamo servitori fedeli, con l'obbligo di essere accorti, di vigilare, di sospettare, sì, anche di sospettare. Infine, - soggiunse egli, con un altro sospiro, ma che pareva di sollievo, - su noi riposa lo Stato, da noi dipende la sua tranquillità, la sua sicurezza interna, che è principio e fondamento della sicurezza esterna. Ci sono tante piccole cose, germi inavvertiti di malcontenti, che bisogna osservare! Dal trascurarli derivano i guai maggiori all'ordine stabilito. Principiis obsta, lo ha detto anche il poeta, sero medicina paratur. -
Nessuno osò più interrompere il signor commissario, che era montato sul pulpito e voleva far la sua predica, anche col testo latino, come avrebbe fatto Don Pietro.
- Una cosa è da raccomandare, anche a questi paesi più lontani dalla vigilanza e dall'azione del governo centrale; - proseguì il commissario. - Fiducia in lui, che è provvido, paterno, bene intenzionato. Abbiamo in esso il tipo, il modello, l'esemplare dei governi possibili. Pure, non mancano quelli a cui sembra di star male, e che si voltano di qua o di là, sperando meglio. Se si domandasse loro: «che cosa?» si troverebbero bene impacciati a rispondere. Le novità allettano gli spiriti deboli, ecco il guaio. Ma tante novità sognate, si vedrebbe che cosa sono, allo stringer dei conti: miseria e rovina per tutti, salvo per coloro che hanno interesse a pescare nel torbido. Qui, infine, si è felici, relativamente, lo capisco, come si può esser felici sulla terra. E infatti noi ci occupiamo della terra; è istituto del reverendo di parlarci del cielo. -
Don Pietro, così personalmente indicato, reputò necessario di far riverenza al predicatore. Questi frattanto proseguiva:
- La terra dà quel che può, e, aiutando l'avvedutezza dei proprietarii, dà tutto ciò che basta ai loro desiderii. Non è gravata da altre tasse fuor quello che servono a mantenere un'autorità, distributrice di sicurezza, di benefizii morali e materiali a tutto lo Stato. Non coscrizioni che defraudino i campi delle valide braccia e le famiglie dei loro sostegni. Non cure del domani, che se ne prende il carico momentoso un principe umano e prudente, vero padre dei sudditi. Sotto l'egida sua, sotto l'imperio delle provvide leggi, il piccolo commercio respira, le piccole industrie fioriscono, e fanno le fortune anche grosse. Questa verità palmare dovrebbero intenderla primi fra tutti i grandi proprietarii, scambio di sognar novità, di favorire idee sovversive. Perchè, poi, che cosa succede? Il padre è amoroso, è buono; ma viene il giorno che non vuol parerlo tre volte. Ammonisce con gli esempi; ma se gli esempi non servono, mette mano ai castighi. Non le pare?
- Fa il dover suo; - rispose il signor Francesco, a cui era rivolta la domanda.
- Ho piacere che in questo Ella sia del nostro avviso. Lo sia in tutto, e sarà grande vantaggio per tutti. Umili servitori dello Stato, e ignari delle conseguenze che può portare l'opera nostra, non possiamo rassicurare, nè promettere; c'è una gerarchia, e noi siamo ai più bassi gradini. Solamente ci è dato di esprimere un modesto desiderio. Ella, signor Guerri, per consenso di tutti, è il primo proprietario e per conseguenza l'uomo più autorevole di questa regione, i cui semplici costumi ritraggono della antica convivenza patriarcale. Il suo ufficio potrebbe dunque esser quello di un Mentore, cioè di una guida amorevole, di un esempio sicuro per queste buone popolazioni, che il governo tien d'occhio, come ogni altra parte dello Stato. Ma l'ora è tarda; - conchiuse il commissario, parendogli di aver detto quanto bastava, e dando perciò la sbirciata d'uso al suo orologio; - noi dobbiamo levar l'incomodo a questa bella riunione, dolenti di avere interrotte le sue occupazioni.
- Una partita di briscola chiacchierina; - disse il signor Francesco, sorridendo; - e non ancora incominciata, com'Ella ha potuto vedere. I nostri ossequii, signor commissario, ed anche i nostri augurii migliori per il suo prospero viaggio. -
Il signor commissario se ne andò, seguito dal suo taciturno e malinconico aiutante. Povero signor commissario! Aveva egli predicato invano, che lo accomiatavano con una burletta? Tale non era la sua opinione, e la burletta gli pareva assai povera, certamente poco spontanea, non accompagnata da nessuna allegrezza di spirito.
- Ad ogni modo, - pensò egli, scendendo le scale, - te la daremo noi, la briscola chiacchierina. La tua gente ha chiacchierato poco, ma gli altri, che non dipendono da te, hanno detto quanto basta, per far onore alla mia commissione. Nei nostri quaderni c'è tanto da darvi noia per un pezzo. -
Ai soliloqui del commissario e alle sue legittime speranze di gratificazione, se non forse di un aumento di grado, rispondeva il colloquio dei rimasti.
- Ahi, ahi! - disse primo Don Pietro. - La lezione è stata dura.
- Infine, - rispose Aminta, poichè il vecchio Guerri taceva, - se ne vanno senza chiederci nulla.
- E questo è il male, figliuol mio; - replicò il vecchio prete. - La predica del commissario mi dice che non se ne vanno con le pive nel sacco. Questi signori hanno raccolto quanto bastava. Non volevano andarsene senza far l'atto di presentarsi. Certamente, potevano supporre che fosse giunta a voi altri qualche notizia dei loro interrogatorii, e in questa supposizione molto ragionevole non hanno potuto dispensarvi da qualche allusione. Mi par chiaro.
- È chiarissimo; - aggiunse il vecchio Guerri. - Ma che farebbe Lei, Don Pietro?
- Cercherei di avvertir subito subito il conte Gino di ciò che si prepara. È una burrasca che potrebbe dar noia anche a lui. -
Pellegrino Menghi, famiglio di casa Guerri, partì quella medesima notte da Fiumalbo, conducendo a Modena un carico di legname. Erano bei tronchi d'acero, debitamente stagionati, che andavano ad uno stipettaio modenese, la cui commissione era stata ricordata in buon punto. Ora il bravo Pellegrino conduceva un carro; ma portava una lettera, nella gran buca della sua giacca di fustagno, ed anche un libricciuolo, per il conte Gino Malatesti. Quella lettera, scritta da Aminta Guerri, diceva poco o nulla; accompagnava un libro che il conte Gino aveva dimenticato alle Vaie, nell'ultima notte che era dormito lassù, e prendeva occasione da quell'invio per mandare all'amico, all'ospite gradito e caro, i saluti suoi e quelli di tutta la famiglia.
Il libro, che Gino Malatesti non aveva punto dimenticato, era stato scelto tra i più innocenti della libreria delle Vaie. Figuratevi che era il Novellino, in una piccola e modesta edizione di Parma. Non dava molto impaccio al portatore, e non c'era caso che gli si vedesse far grinze di fuori, al petto della giacca. Comunque, se avessero frugato Pellegrino alla porta, perchè tutto poteva darsi e bisognava prevedere ogni cosa, l'invio di quel libro innocente giustificava la innocentissima lettera. Pellegrino Menghi, arrivato alla presenza del conte, avrebbe detto l'essenziale a voce. Sapeva pure tutto ciò che importava di far conoscere al conte, poichè era un giovanotto intelligente, ed anche a lui era toccata la noia di un interrogatorio intorno alla famosa gita del lago.
Passarono i quattro giorni che Pellegrino doveva star lontano dalle Vaie, tra andata e ritorno. Ma il messaggero non comparve. Ne passò un altro, che fu il quinto, e i signori Guerri, non vedendo comparir Pellegrino, incominciarono a stare in pena, temendo che gli fosse accaduto qualche guaio. I timori si tramutavano quasi in certezza verso la fine del sesto giorno, quando il signor Aminta, che era andato in traccia del suo famiglio di là da Fiumalbo, riconobbe da lunge il carro vuoto che ritornava, e Pellegrino che gli veniva a passo lento daccosto.
- Ebbene? - gli domandò, muovendogli incontro.
- Per forza! - rispose Pellegrino. - E col dispiacere di aver fatto un viaggio inutile.
- Come? Non hai veduto il signor Gino.
- Non l'ho veduto.
- Ed eri andato a bella posta!
- Che vuole? - ripigliò Pellegrino. - Appena giunto, e scaricato il legname, sono andato a cercare il palazzo Malatesti. Ho chiesto del signor conte Gino, e il portiere mi ha risposto brevemente: non c'è. - Mi rincresce, perchè dovevo consegnargli un involto. - Datelo a me, gli sarà ricapitato. - Non potevo ricusare, e cavai l'involto di tasca. - C'è un libro e una lettera; - dissi allora, consegnando l'involto a quell'uomo; - avvertite anche il signor conte che se ha comandi da darmi per i miei padroni, io sono per tutto questo giorno alla Rosa, fuori porta di San Francesco. -
- Bravissimo! - disse Aminta. - E allora come va che non hai veduto il conte?
- Ecco qua. Avevo appena finito, che il portiere mi rispose: - Sarà impossibile che vi mandi a dire qualche cosa, perchè non è in città. - Diamine! - esclamai. - Dov'è andato? - A Bologna, e non ritornerà che domani a sera, o doman l'altro. - Ringraziai, allora, e me ne tornai alla locanda, pensando che cosa avrei dovuto fare. Se ritorno alle Vaie, dissi fra me, il signor Aminta mi sgriderà, e giustamente, poichè m'aveva mandato perchè vedessi il signor conte. Così aspettai un altro giorno, sempre fermo alla locanda. Il giorno seguente non osai muovermi neanche; soltanto verso sera m'incamminai verso il palazzo Malatesti e giunto là mi presentai nuovamente al portiere. - Non ho potuto partire, in questi due giorni, - gli dissi, - e son venuto ancora a vedere se il signor conte Gino ha comandi da darmi. - Il conte Gino non è ancora ritornato. - C'è speranza che ritorni domattina? - Nè domattina, nè per parecchi giorni ancora; ha scritto che le sue faccende lo tratterranno dell'altro, forse una settimana, a Bologna. -
- Che faccende! - esclamò il signor Aminta.
- Non me ne ha detto nulla; - rispose Pellegrino, che aveva presa l'esclamazione per una domanda. - Ella capirà, signor Aminta, che io non me la sentivo di restare una settimana a Modena, lasciando Lei e il signor Francesco nell'incertezza. Perciò mi son risoluto di ritornare. Ma se vuole che io rifaccia la strada....
- No, non occorre, per ora. Al poi, penseremo più tardi. -
Quella sera in casa Guerri si seppe che il viaggio di Pellegrino era stato inutile, come l'espediente del libro e della lettera ond'era accompagnato. La cosa dispiacque molto anche a Don Pietro, che aveva avuta l'idea di quel viaggio. Non si parlò di briscola chiacchierina, ve lo assicuro; da parecchie sere non si pensava più a quei piccoli svaghi.