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I.
Dov'è il piccolo villaggio? In quale piega del terreno nasconde egli le sue case bianche? Si raggruppano esse intorno alla chiesa, nel fondo di qualche cavità? O se ne vanno allegramente in fila lungo la strada maestra? O s'arrampicano sur un poggio come capre volubili mostrando e nascondendo a mezzo, nella verzura, i loro tetti rossi?
Ha un nome dolce all'orecchio il piccolo villaggio? È un nome tenero, facile a labbra latine, o qualche nome tedesco, duro, ispido di consonanti, rauco come il gracchiare del corvo?
E si raccoglie, si vendemmia nel piccolo villaggio? È paese da biade o da vigneti? Che fanno gli abitanti a quest'ora nelle terre, al sole cocente? Quando ritornano la sera lungo i sentieri si fermano per abbracciare collo sguardo gli abbandonati raccolti, ringraziando il cielo dell'anno fortunato?
II.
Io preferisco immaginarmelo sopra un colle. Esso è là, sì discreto fra gli alberi che da lungi se lo prenderebbe per un mucchio di roccie rovinate e coperte di musco. Ma il fumo esce dai rami. In un sentiero che scende il fianco del poggio alcuni fanciulli spingono un carretto. Allora, dalla pianura, lo si guarda con desiderio e si passa, portando con sè il ricordo di quel nido intravveduto.
No, io credo ch'esso sia piuttosto in un angolo della pianura, sulle rive d'un ruscello. È sì piccolo che una fila di pioppi lo nasconde agli occhi di tutti. Le sue capanne, simili a caste bagnanti, spariscono nelle vincaie della riva. Un tratto di terreno verde gli serve di tappeto, una siepe viva lo chiude da ogni parte, come un ampio giardino. Si passa accanto a lui senza vederlo. Le voci delle lavandaie risuonano simili al canto di capinere. E neppure un filo di fumo; egli dorme nella sua pace in fondo della sua alcova verde.
Nessuno di noi lo conosce. La città vicina sa appena ch'egli esiste, egli è sì umile che neppure un geografo si è occupato di lui. È nessuno. Non si sveglia alcun ricordo pronunziando il suo nome. Nella folla delle città dai nomi rimbombanti, egli è uno sconosciuto, senza storia, senza glorie, senza vergogne, che si mette modestamente da parte.
Ed è senza dubbio per questo che il piccolo villaggio sorride sì dolcemente. I suoi contadini lavorano solitari: i marmocchi s'avvoltolano sull'argine; le donne filano all'ombra degli alberi. Esso, tutto felice della sua oscurità, si riempie dell'allegria del cielo. È sì lontano dal fango e dal frastuono delle grandi città! Il suo raggio di sole gli basta, la sua gioia è fatta del suo silenzio, della sua umiltà, di quella fila di pioppi che lo nascondono al mondo intiero.
III.
E domani forse il mondo intiero saprà che il piccolo villaggio esiste.
Ah, misericordia! il fiume sarà rosso, i cannoni avranno distrutto la fila dei pioppi, le capanne rovinate mostreranno la muta disperazione delle famiglie; il piccolo villaggio sarà celebre.
Non più canti di lavandaie, non più marmocchi che s'avvoltolano sull'argine, non più raccolti, non più silenzio, non più umiltà felice. Ma un nuovo nome nella storia, vittoria o disfatta, una nuova pagina sanguinosa, un nuovo angolo di paese ingrassato dal sangue dei nostri figli.
Esso ride, sonnecchia, ignora che darà il suo nome ad una strage, e domani esso singhiozzerà e risuonerà nell'Europa con rantoli d'agonia. Poi resterà sulla terra come una macchia di sangue.
Egli sì gaio, sì tenero, sarà circondato da un cerchio d'ombra sinistra, vedrà lividi visitatori passare davanti le sue rovine, come si passa davanti le tavole di pietra della Morgue. Egli sarà maledetto.
Ch'egli sia Austerlitz o Magenta, noi lo sentiremo risuonare nei nostri cuori con uno strepito di tromba. E se fosse Waterloo, s'accompagnerà lugubremente colle nostre memorie, come il suono d'un tamburo velato di panno nero alla testa dei funerali d'una nazione.
Come rimpiangerà allora le sue rive solitarie, i suoi contadini ignoranti, il suo angolo perduto, sì lontano dagli uomini, conosciuto soltanto dalle rondinelle, che vi ritornavano ogni primavera! Macchiato, vergognoso, col suo cielo coperto da una nidiata di corvi e le sue terre grasse, che puzzano di morto, egli vivrà eternamente nei secoli, come un luogo sinistro dove due nazioni si saranno sgozzate.
Il nido d'amore, il nido di pace, il piccolo villaggio, non sarà più che un cimitero, una fossa comune, dove le madri in pianto non potranno andare a deporre una corona.
IV.
La Francia ha seminato il mondo de' suoi cimiteri. Noi potremmo inginocchiarci e pregare ai quattro angoli dell'Europa. I nostri campi di riposo non si chiamano solamente il Père-Lachaise, Montmartre, Montparnasse, si chiamano anche col nome di tutte le nostre vittorie e di tutte le nostre disfatte. Non vi è sotto il cielo, un angolo di terra dove non sia coricato un francese assassinato, dalla China al Messico, dalle nevi della Russia alle sabbie dell'Egitto.
Cimiteri silenziosi e deserti che dormono d'un sonno profondo, nella pace immensa della campagna. La maggior parte, quasi tutti, s'aprono a' piedi di qualche villaggio desolato, le cui mura crollanti sono ancora piene di spavento. Waterloo non era che una fattoria, Magenta contava appena una cinquantina di case. Un vento furioso ha soffiato su questi infinitamente piccoli, e le loro sillabe, innocenti alla vigilia, hanno preso un tale odore di sangue e di polvere, che l'umanità fremerà per sempre, sentendole sulle sue labbra.
Guardavo, pensoso, una carta del teatro della guerra. Seguivo le rive del Reno, interrogavo le pianure e le montagne. Il piccolo villaggio era esso a sinistra o a destra del fiume? Conveniva cercarlo nei dintorni delle piazze forti, o più lontano in qualche ampia solitudine?
E cercavo allora, chiudendo gli occhi, d'immaginarmi quella pace, quella cortina di pioppi tirata davanti le case bianche, quel tratto di prateria sfiorato dalla rondinella nel suo rapido volo, quelle canzoni delle lavandaie, quella terra vergine che la guerra sta per violare e le trombe della quale soffieranno brutalmente la contaminazione ai quattro lati dell'orizzonte.
Dov'è dunque il piccolo villaggio?