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Varii metodi si tengono e si propongono per moltiplicare gli alberi e gli arbusti. Se ne trapiantano i rami, i polloni, gli uovoli, le radici. In alcune parti si margottano, introducendo un ramuscello dell’albero nel fondo d’un vase, che poi s’empie di terra: entro di esso il ramuscello mette radici, che per lo doppio nutrimento, presto vengono vigorose. Dopo alcun tempo, si recide quel ramo dall’albero, si trae dal vaso, e si trapianta.
Buoni del pari son tali metodi, ove si vogliano alberi in poco tempo; ma tutti sono difettosi del pari ove si vogliono alberi grandi, forti, longevi e fruttiferi, perchè allora si verifica una generazione forzata, e non naturale. L’esperienza ha mostrato che gli alberi venuti da seme sono sempre più rigogliosi, reggono meglio alle ingiurie della stagione, vanno meno soggetti a malattie, si fanno più grandi, e fruttificano meglio.
Tali vantaggi prevalgono certo all’apparente risparmio di tempo e di spesa, che s’otterrebbe dal moltiplicare gli alberi in altra guisa. E dico apparente, perchè spesso accade di perder tempo e più spesa; particolarmente ove vogliasi fare una gran piantagione. È difficile aver tutti insieme un gran numero di polloni, uovoli, margotte, ec., se si trovano a qualche distanza, molto ne costerà il trasporto, ed anche di più la piantagione, perchè assai gente deve impiegarsi ond’essa si eseguisca nel minor tempo possibile. Si aggiunga a ciò che con tali metodi molte delle nuove piante andrebbero a perire, e l’agricoltore sarebbe obbligato a fare in ogni anno una nuova piantagione. Onde al trar de’ conti gli alberi suoi gli costerebbero di più, fruttificherebbero più tardi, riuscirebbero meno buoni.
E certo se tutte le altre cagioni mancassero, per cui tanto scarseggiano d’alberi le campagne di Sicilia, basterebbe il non essere fra noi in uso i semenzai per rendere pressochè impossibili l’estese piantagioni. E come mai un proprietario potrebbe vestire di bosco un monte, cingere di siepe viva un vasto podere, piantare un grande uliveto, e destinare ad altra maniera d’alberi un gran tenimento, con piantoni accattati di qua e di là?
Ma, se dispendiosa e difficile è ogni altra maniera di moltiplicare gli alberi, poco cura e meno spesa vuolsi per fare un buon semenzajo. Basta destinare a ciò poche canne quadrate di terreno, il quale, lungi di dover essere di straordinaria feracità, deve anzi scegliersi un po’ inferiore a quello in cui gli alberi son destinati a stare. Per la pianissima ragione, che i nuovi piantoni, venuti rigogliosi nel suolo in cui son nati, se passano adulti in terreno più sterile, molti ne perirebbero, e quelli che resterebbero in vita avrebbero un lentissimo incremento. Ovechè, trovando al posticcio un suolo più ricco, verrebbero presto alberi grandi e vigorosi.
Indi appare come vadano errati coloro, i quali prescrivono di spargere a piene mani i migliori concimi nel suolo da destinarsi a semenzaio, di situarlo in sito riparato dai venti, di coprir con istuoje le nuove piantarelle, d’innaffiarlo con pioggia artificiale, ed altrettali cose, ridicole, o ineseguibili, le quali, oltre di essere contrarie alla ragione, lo sono anche di più all’economia; imperocchè, se uno semina mille ulive, ed una metà non vengano, avrà perdute cinquecento ulive, senza più: ma, se trapianta al posticcio mille ulivelli, bucati col berretto e il gabbano perchè non s’infreddino, più d’una metà al certo periranno, e l’agricoltore avrà perduta tutta la spesa fatta sin allora.
Errati del pari vanno coloro che propongono di segregare il seme dalla polpa delle frutta, e lavarlo prima di seminarlo. La natura non fa cosa alcuna inutile; quella polpa coll’infracidarsi accelera la germinazione della nuova pianta, e le somministra il nutrimento più acconcio nella sua infanzia. Gli ortolani infatti non lavan mai i semi delle zucche e dei cocomeri. Che, se conviene separare dal frutto i semi degli agrumi, delle mele, delle pere, ec., ciò è per la ragione che, contenendo ogni frutto molti semi, essi nascendo uniti farebbero un cespo, e le radici verrebbero così tenacemente annodate, che soffrirebbero molto nello staccar l’una dall’altra le pianticelle, e trapiantarle separatamente. Tutte le frutta nocciolute però non hanno mestieri di spolpare per germinare.
Tutte le cure dell’agricoltore per avere un buon semenzaio si riducono a divellere bene la terra, piantarvi i semi in file regolari alla distanza di un palmo l’uno dell’altro, e lasciare tramezzo dei viottoli per potervi entrar l’uomo a sarchiare, e ripulire la terra, operazione che deve spesso ripetersi.
Dopo uno o due anni, secondo che le nuove piante avranno consistenza e vigore, si tolgano con molta cura dal semenzaio, e si trapiantino distanti un quattro palmi l’una dall’altra, in un campo preparato al modo stesso, che dicesi piantonaio, ove l’anno appresso s’innestino, ed al secondo anno si pongano a conveniente distanza nel luogo ove devono stare, che dicesi posticcio, il quale è ben che si prepari nel miglior modo possibile, onde gli alberi vengano presto al loro pieno incremento.
È però da avvertire gli agricoltori che tali operazioni non sono necessarie per gli alberi da bosco, come la quercia, l’abete, il pino ec.; i quali amano meglio nascere ove devono stare, e fanno loro anzi bene che no, le erbe spontanee che lor crescono intorno, e le riparano nella prima età, purchè non siano cespi ed arbusti assai alti per aduggiarli.
Non accade ripetere ciò che sopra si è detto, che il procurarsi gli alberi in tal guisa è nel fatto un risparmiar tempo e spesa, giova però far considerare agli agricoltori siciliani che gli alberi più che si trapiantano ed innestano, migliori in tutto divengono. Laonde un albero venuto da seme, innestato, e replicatamente trapiantato, darà certo migliori e più copiose frutta di quello venuto da un pollone o da un ramo ficcato in terra senza più. In Toscana infatti ed in Francia, ove si producono le più belle frutta di Europa, i giardinieri, non contenti di tutte le operazioni fin qui esposte, innestano replicatamente in loro stessi gli alberi da frutto.
Noi ci vantiamo d’ avere in Sicilia vasti uliveti, estesi mandorleti, pometi, ed assai alberi da frutto d’ogni maniera: ma non consideriamo che i turbini schiantano spesso gli alberi più annosi; che ad ogni soffio di vento le frutta vanno giù: che gli alberi nostri vanno soggetti a mille malori; che spesso senza veruna causa apparente essi danno poco o nessun frutto, e questo è quasi sempre magagnato; e finalmente che noi non abbiamo, nè la quantità, nè la qualità delle frutta che s’hanno altrove. Onde ciò? dalla poco cura nel propagare gli alberi. Se questi fossero venuti da seme, se nella loro infanzia fossero stati trapiantati, avrebbero radici così forti da reggere all’impeto dei venti, le frutta, attaccate ad un picciuolo più sano, non cadrebbero di leggieri; gli organi interni più vigorosi non andrebbero soggetti ad alterazioni; la corteccia più liscia, più tenace, senza screpoli non darebbe presa agl’insetti; e i replicati innesti renderebbero le frutta nostre assai migliori di quel che non sono. Ma quanto è di buono ne’ campi nostri è tutta opera della natura, che ci fu prodiga de’ doni suoi, la nostra industria non v’entra per nulla.