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I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
Si comincia sin da questo mese a fendere le terre, se vuol farsi un buon maggese.
Si potano le viti. Più presto tal lavoro le farebbe perire in pochi anni, perchè la pianta, conservando ancora la sua vegetazione, favorita dalla felicità del nostro clima, metterebbe quei getti che dovrebbero spuntare alla fine di febbraio, i quali verrebbero a perire pei geli sopravvegnenti; potando più tardi, quel succo, che dovrebbe servire alla formazione dei nuovi getti e del frutto, scappa in lagrime dalla ferita. Il tempo opportuno per potar la vite si è quando la pianta ha naturalmente deposte le frondi ed acquistato aspetto legnoso, prima di dare indizio della nascente vegetazione.
Si termina in questo mese la raccolta delle ulive.
Si comincia a ripulire dal seccume gli ulivi, e ad ingrassarli negli anni nei quali lo esigono, con efficaci concimi e specialmente col pecorino. Si fa a tale scopo una opportuna buca al pedale senza danneggiare le barbe dell’albero, e vi si versa l’ingrasso ricoprendolo di terra. Regolarmente in ogni anno si zappa profondamente l’oliveto, perchè le acque d’inverno penetrino quanto più si può a saziare le radici della pianta, A seconda della posizione del terreno giova raccogliervi e trattenervi l’acqua per mezzo di una conca o di un ciglione.
L’ortolano pianta i nuovi cardoni e zappa gli adulti.
Si piantano pure le fragole e le carote.
Il fiorista ha poco da praticare in questo mese; starà solamente attento a difendere dal freddo le piante delle regioni calde ed a mantenerle ben nette.
Si guarderà pure d’inaffiare le piante assetate nelle giornate di gran freddo.
Ove si voglia il vantaggio di fiori primaticci, si farà uso delle stufe.
Cominciano in questo mese a figliare le pecore nate l’anno precedente (agniddazzi) ingravidate da settembre in poi, e si scannano gli agnelli che ne nascono (pistulari); ma non converrebbe destinare tali pecore alla generazione prima dell’età di due anni perchè senza di ciò d’ordinario tralignano.
Si prosiegue a far passare le vacche dalle montagne alle marine; è questo il mezzo sicuro di preservarle dai danni che d’ordinario loro arreca la rigidezza dell’inverno.
Si somministra il nutrimento alle api. Esso consiste di miele bollito nel buon vino che si mette in piattelli, i quali si cuoprono di un pezzetto di carta doppia bucherata, in guisa che le api possono succhiare senza invischiarsi. Questo si mette entro le arnie che si chiudono e più non si toccano, evitando di disturbarle per tutto l’inverno; poichè sarebbe pericoloso il distoglierle da quell’assopimento che il freddo induce in questo utilissimo insetto.