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I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
Oltre le malattie comuni a tutte le piante non è piccolo il numero di quelle che particolarmente attaccano l’ulivo. Questo albero prezioso, di cui gli antichi conobbero ed esaltarono i pregi fino a spacciarlo di origine divina, ed a farne l’emblema del più caro dei beni sociali, la pace, e che i moderni considerano a ragione come una delle più feconde sorgenti di ricchezze presso le felici nazioni dove il clima ne permette e favorisce la coltura, si spoglia di tutte le sue doti e non offre più che la triste imagine della morte, se la industria non viene in di lui soccorso all’infierire che fanno sovra esso sovente le meteore, gli insetti2, o alcuna di quelle sconosciute atmosferiche costituzioni onde i mali epidemici e contagiosi travagliano gli esseri organizzati.
Ma più che da tutte vien deformato ed isterilito l’ulivo da quella malattia epidemica, e forse contagiosa, che da ben trent’anni comparve in alcune delle nostre contrade3, che il volgo a Termini intende sotto il nome di chiasima. Egli è in questo paese che mi è per la prima volta avvenuto di osservarne i caratteri e d’informarmi delle circostanze che l’hanno per avventura prodotta o contribuito alla sua durata. Io consegnerò in questo luogo le osservazioni che vi ho fatte e le notizie che vi ho prese relative a tale argomento.
Un ulivo può godere della più bella vegetazione, e venire solamente affetto dalla chiasima in qualche suo punto. Ma non è raro il vederne di quelli che ne siano in tutte le parti attaccati. S’incontrano dei campi liberi dell’intutto di questo morbo micidiale. Altri dove esso non si scopre che sopra uno o pochi ulivi. Di quelli ove il numero dei sani uguaglia presso a poco gli infermi, e finalmente uliveti che ne sono dell’intutto smantellati e distrutti.
Io l’ho osservato in tutte le esposizioni e sopra tutti i suoli. Posso bensì assicurare di averlo veduto più esteso nei poderi poco o nulla coltivati, ed in quelle contrade dove, trascurati gli ulivi per causa della chiasima4, han forse avuto in questo abbandono una ragione di più per continuare a soffrirla.
La chiasima si annunzia in un albero di ulivo alla più gran distanza, presentando uno o più degli esterni ramuscelli a foglie ingiallite e secche quasi dell’intutto. Quindi si possono osservare in tutto l’albero dei rami più o meno grandi, coloriti di un rosso carico in varii punti. Spezzato uno di questi rami, dove il rosso è più oscuro, e destramente scorticandolo con un coltelletto ben tagliante, vi si scuopre la corteccia inumidita e quasi polverizzata, ed una traccia di essa lungo il ramo stesso, per la quale si può andare a ritrovare un piccolo insetto dell’ordine degli apteri, e di cui ecco la descrizione.
Lunghezza di tre o quattro linee. Colore bianco diafano. Corpo diviso in tre parti, cioè capo globoso, alquanto schiacciato nella parte dinanti, e fornito di due grandi e di due piccole appendici mobili. Bocca rossastra all’estremità del capo. Parte media, o ventre, con sei piedi articolati. Estremità del corpo rotondata, che si allontana dal bianco, e si presenta più o meno nericcia nei varii individui.
In alcuni rami, e sopra punti secchi ed infraciditi, si osservano gli uovi biancastri del detto insetto, che tendono al giallo quando son vicini a schiudersi.
Questo insetto, che le più volte si osserva nei piccoli ramuscelli, s’incontra ben anco nel tronco e nelle radici. Nell’uliveto di Vinci mi è accaduto di vederne tutta ripiena una gran radice di oleastro.
Il volgo gli attribuisce la causa del male, ma non lascia però di aver conservato la tradizione e la credenza che una estraordinaria siccità ne favorisca lo sviluppo. E quindi essendosi da molti ricorso all’inaffiamento a porvi rimedio, ed alcun bene sperimentatone, in quello ne hanno vantato e cercata la guarigione. E certo negli anni e nei suoli troppo secchi esso non è senza utilità. Altri ha creduto di ritrovare nel concime la cura del morbo. Nè manca chi la riponga nel taglio degli alberi più generale e più spesso. Le quali opinioni e proposte, tutto che non generalmente da riceversi e da adottarsi, provano quanto la coltura più spessa ed attenta che di ordinario non si suole, può minorare la forza dei mali delle piante, quella forse accrescendo del principio vitale che li combatte.
Ma la sola coltura non basterà per mio avviso ad estirpare ogni semenza di questa malattia, se delle precauzioni non si prendono e non si adoprano dei mezzi a quello scopo più da vicino diretti. Fra i quali mezzi e le quali precauzioni non sono a mio credere da trascurare le seguenti:
1. Si attenda continuamente dall’agricoltore a ripulire i suoi ulivi dai ramuscelli attaccati dalla chiasima, e li trasporti quanto più lungi egli potrà, o li bruci sul campo stesso, ad oggetto di prevenire la comunicazione del male per contatto dell’insetto o trasvolamento degli uovi da un albero all’altro.
2. Lo stesso egli faccia di quei rami nei quali per avventura incontri gli uovi degli insetti.
3. Ad opporre un ostacolo e prevenire l’azione dello scirocco, trascuri il taglio di quel lato dell’oliveto a quel vento micidiale sottoposto, acciò il rimanente del podere ne senta meno l’influsso.
4. Finalmente si scelgano i soggetti da innestare, e gli innesti da contrade non tocche.
Unendo a cotali precauzioni la diligente cultura, le irrigazioni, i lavori, le appropriate concimazioni, e gli industriosi tagli, di cui sopra si è detto, chi non vede la quasi certezza di liberar presto e dell’intutto un campo di ulivi dal male di cui si tratta? Fuor delle quali precauzioni sarebbe così strano di sperar che la chiasima sparisca dalle nostre contrade, quanto per avventura il pretendere che un paese infetto di peste se ne vegga libero senza le solite sanitarie misure. È da sperare che i nostri agricoltori conoscano presto o tardi l’importanza degli anzidetti consigli, e non trascurino ormai più un ramo così interessante della nostra campestre economia.