IntraText Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
L’anno scorso, mentre era di già compita la stampa del Calendario, il signor Giuseppe Palmisano da Termini ci fece giungere questo suo scritto. Non si potè allora far altro, che annunziarlo, e prometterne al pubblico per quest’anno un estratto. Eccoci ad adempire la nostra promessa.
Lo scritto è in forma di lettera, che scrive un nipote ad un zio da Termini, il 1 ottobre 1820. L’autore riflette sul bel principio che sarebbe stato più utile fregiare le nostre pratiche georgiche con delle erudizioni, modificando gli abusi, offerendo a’ sicoli villici dotte teorie dell’utile agraria. Noi andiamo volentieri di accordo seco lui che un lavoro su quel piano sarebbe stato più utile; ma in questo caso avremmo fatto un’opera di agricoltura, e non un Calendario, e noi abbiamo preteso fare un Calendario, non un’opera di agricoltura. Con tale intendimento ci siamo limitati a notare storicamente tutti quei lavori, che per d’ordinario si fanno in ogni mese, senza tener conto delle varietà che nascono dalle particolari e straordinarie circostanze, e senza esaminare se ciò che si fa, sia bene, o mal fatto. L’autore percorre quindi tutto il Calendario (che spesso chiama Giornale) e vien suggerendo tutto ciò, ch’egli crede, che avrebbe dovuto dirsi.
In gennaio ci dice, che devono cominciarsi i maggesi per dar luogo al suolo d’impregnarsi dell’azoto e dell’ossigeno, principii tanto necessarii alla vegetazione del vasto regno de’ vegetabili, il primo che appresta il materiale al glutine delle fibre, ed il secondo agli acidi tutti vegetabili, e del carbonio, materiale molto adattato a compire la parte lignacea delle piante tutte.
Noi preghiamo l’autore a riflettere, che il laboratorio chimico della natura è aperto in tutti i mesi, onde ciò ch’egli dice, non prova che deve cominciarsi a fendere la terra in gennaio, piuttosto che in marzo, o in novembre.
Vorrebbe avvertiti i nostri agricoltori a non travasare, come soglion fare, i vini in gennaio, perchè il vino prima d’esser travasato deve compire l’ultima fermentazione, che è lo sprigionamento della potassa, e del tartaro, i quali principj sono considerati come l’utile cresce della fermentazione; e separando il vino pria del fermento da detti principj, si inabilita a compire la fermentazione, ultima elaborazione per lo sprigionamento del nocivo gas-acido carbonico, il quale lo rende duro, insoffribile, e dannoso all’equilibrio della sanità umana.
Che non debbono travasarsi i vini prima di marzo per non toccare l’utile cresce, e correre rischio che l’azione del calore dell’atmosfera, che fra noi non è certo straordinario, unita a quella dell’utile cresce metta di nuovo in fermento il liquore, e lo mandi sicuramente in malora, è questa una teoria, che ci giunge affatto nuova.
In febbraio l’autore ci suggerisce i precetti sul buon governo degli stalloni, ai quali vuole che si dia ai 15 di gennaio, l’erba sativa, o sia medica, ed un pochettino di pane e vino la mattina prima di cominciare a funzionare da padre.
Dice che sia stata nostra svista il dire, che in marzo si piantano i nuovi vigneti, e noi malgrado la divergenza delle opinioni, abbiamo tanto rispetto per l’autore della lettera, che ce ne appelliamo a lui stesso. Domandi a tutti i vignaiuoli di Sicilia, e specialmente di Termini, in qual mese hanno piantati i loro vigneti, e ne troverà certamente nove in dieci, che gli diranno in marzo, ed il decimo, ch’è stato obbligato da circostanze particolari ad allontanarsi dall’uso generale.
A proposito del parto delle giumente ci compartisce molti lumi di veterinaria, e ci propone di dare al puledro appena nato del latte di vacca con della manna per nettargliene le interiora, e prepararle ad un nuovo sistema di vivere.
C’istruisce ugualmente, che il cominciare in marzo a dar lo stallone alle giumente è l’effetto della mancanza dei prati artificiali e delle stalle, giacchè senza dei quali il gran freddo, ed i pochi pascoli ucciderebbero i nati pultri, e bisognano riparare con fare unire gli sposi (poco ci volle a dire: in faciem ecclesiae) nei tempi, che il parto succeda nel clima moderato, ed il suolo naturalmente ricco di erbaggi, onde coll’uso delle artificiali praterie, e delle comode stalle, in tutti i tempi potrebbonsi permettere le unioni degli animali, non temendo le rigidezze dell’inverno, nè la mancanza d’erbaggi della secca està. Se le stalle ed i prati artificiali facessero figliare le giumente due volte all’anno, sarebbero in ciò vantaggiosi, ma non essendo ciò, è meglio che gli accoppiamenti si facessero in quella stagione solamente che la natura pare di avere a ciò prescelta.
Accusa la nostra alienazione di cennare in marzo la castratura degli animali, e nel ricordarcene ci parla della castratura delle pecore, e fa una cerusica descrizione del taglio, e della cucitura da farsi in questa operazione, che tanto interessa l’economia agraria.
In aprile non vuole, che si zappassero i legumi, perchè essendo nella finitura, la terra non vuole essere più spossata, e l’esalazione attacca i fiori e li paralizza.
A proposito dei filugelli dice, che il pubblico avrebbe restato più contento quando l’autore, parlando di tale ramo di commercio, ci avesse illuminato di qualche erudita storietta. Noi pensiamo che nulla interessi agli agricoltori siciliani l’erudita storietta dei bachi, ma l’autore, che non la pensa così, ce la conta fil filo. Approva il nostro avviso che sia malfatto il fare schiudere i semi dei filugelli in seno alle donne, ma la ragione che ne adduce ci tenta quasi a cambiar di opinione. Il sudore, e l’evaporazione del corpo umano, secondo il saggio chimico del celebre signor Thenard, ed altri moderni chimici ne hanno portato i seguenti principj: 1. acqua; 2. acido acetico libero; 3. muriato di soda; 4. poco fosfato di calce, ed ossido di ferro; 5. e certa materia animale quasi come una gelatina. È certo dunque che tali principj sono nocivi alla vita animale (nè certo, nè dunque) e che la natura considerandoli tali, le caccia..... il sudore dunque delle donne attrassa molto lo schiudimento dei filugelli. L’universo cesserebbe di esistere se tutto ciò che si caccia da un essere come nocivo, non servisse alla riproduzione di un altro. Propone poi di far schiudere le uova dei filugelli mettendole al sole per poche ore al giorno involte in un pannolino. Dà de’ precetti per non far mancar loro nutrimento dopo nati. Vuole che si piantino de’ pioppeti lungi le fiumare ed in parti umide, e nella tenera età eseguirne l’innesto a gelso bianco. Se accade, che i filugelli siano schiusi nel momento che i gelsi sono nel nudo loro sonno, e per falta di fronde muojono i nati bigatti, propone di nutrirli con pampini di fico e di rovo e con foglie di cavolo, e conchiude invitandoci a consultare intorno a ciò le opere del celebre Padre Nicola Columella Onorati, come fa ad ogni passo.
Se l’autore in vece di queste si fosse data la pena di percorrere le opere del Conte Dandolo, non avrebbe ciecamente adottati quei precetti jurando in verba magistri. Conoscerebbe allora, che i filugelli si devono schiudere in uno stanzino fornito di una stufa, e di un termometro: che l’unica nutrizione che al baco di seta conviene e serve, checchè abbiano detto su ciò di tempo in tempo taluni, è la foglia del gelso; che la foglia del gelso piantato in luoghi eminenti, ventilati, ed asciutti dà miglior seta di quello piantato in esposizioni umide, di pianura, e in fondi grassi11.
In giugno ci dà dei precetti sul modo di far l’aja, e vuole tra le altre cose che sia lontana dagli orti, dalle vigne, e dai giardini, acciò le sue mondiglie non rechino danno all’aspirazione, e respirazione de’ vegetabili.
In luglio vorrebbe che si fosse proposto d’incidere oltre al frassino, lo stinco, ed il giunepro.
In agosto approva il nostro consiglio di adottare la macchina di Christian, ed al tempo stesso ne disapprova l’uso, a causa del dispendio. Ed in vece di essa propone di scavare una fossa, intonacarla di creta, mettervi dentro il lino sciolto, e versarvi su dell’acqua bollente, entro alla quale si sia sciolto del sale di potassa e della calce viva. Si cuopra, si lasci stare per quattro giorni, e poi si trasporti all’acqua corrente, ove si lasci per ventiquattro ore. E tutto ciò è meno dispendioso e di più facile esecuzione della macchina di Christian.
In settembre nel pulire i maggesi vuole che si ammonticchino, e si brucino tutte le cespuglie, e ciò sarà di agevolazione alla semina ed alle piantoline stesse, che agitate dal vento non hanno la vessazione di essere contuse dai spessi colpi delle rotolanti frasche.
Si duole che non si dieno de’ precetti sulla maniera di concimare i campi, e supplisce egli facendoci sapere che l’agricoltore deve conoscere il calibro del suolo, e secondo il bisogno adattarne le concimazioni. Distingue i terreni in caldi e freddi, ed in caldi e freddi i concimi, per usarli ne’ rispettivi contrarj. Ed annovera tra i concimi freddi la cenere, la fuligine, ed altre sostanze animali e vegetabili ben mature e putrefatte.
In ottobre dice così: L’agrario siculo, oltre i lumi che ha ricevuti dei precetti, e regole del Conte Dandolo presentati dal nostro oratore (meno male che avesse detto aratore) pur non di meno è anzioso l’agricoltore siciliano di maggiori dilucidazioni. Il Lavoisier, il Chaptal, il Bernard, l’Onorati, il Bidet, il Picci, il Klaproth, il Wolff, il Boccini, il Thenard, il Fabroni, il Seguin, l’Ab. Rozier, ed altri ci hanno arricchito delle non poche cognizioni su tale proposito. Poi mette fuori l’analisi chimica dell’uva, e ne conchiude, sull’autorità di non pochi scribenti chimici, che basta alla riuscita del vino che si regoli lo zucchero che si contiene nel mosto. E qui narra la storia del gleuco-enometro. Dice, che mentre il signor Giambattista Gagliardo da Milano recava a Napoli un gleucometro, ossia misura zucchero (non misura mosto) questo sgraziatamente si ruppe. Fu rifabbricato in Napoli dal signor Saverio Bianchi costruttore di strumenti meteorologici. (Tutte cose buone a sapersi da un agricoltore). E finalmente dal celebre Padre Nicola Columella Onorati lo strumento fu anche adattato a misurare il grado della fermentazione del vino. E perciò come prese per se il soprannome di Columella, aggiunse l’Eno a quello dello strumento, che quindi fu chiamato gleuco-enometro. Ed il nostro autore col suo gleuco-enometro alla mano, ed il celebre Padre Nicola Columella Onorati a lato
Ed è sicuro di fare buon vino col solo levare, o mettere zucchero, secondochè addita l’infallibile strumento; purchè tal vino non si travasi poi prima di Marzo. E conchiude, spero che lo agricoltore siciliano accetterà di buon animo questa breve lezione, a rendere più utile la coltura de’ vigneti. E noi speriamo, per lo bene dell’agricoltore siciliano, che non vi sia alcuno fra noi che voglia mandare in malora i prodotti del suo vigneto, fidandosi al gleucoenometro, e travasando in marzo.
A proposito del mugner delle vacche e delle pecore comincia a dare la storia del latte. Parla della virtù medica del latte della somara e delle donne. Narra, secondo l’autorità di Marco Polo, che i Tartari nel XII secolo facevano col latte delle cavalle un liquore che chiamano ariks, ed una bevanda acidula, che chiamano kamiss, e che i Calmucchi ne estraggono l’alcool. Passa poi a parlare dell’uso del latte nella pittura, e porta la ricetta come servirsene. Finalmente si fa a parlare della manifattura del butiro, e del cacio; ma immediatamente scappa con una disgressione sul veleno che contrae il latte posto in vasi di rame, e ci avverte a consultare intorno a ciò le opere di Tommaso Hayes, di G. Baker, del dottor Percival, del dottor Falconer, del dottor Ignazio Vari. Tornando finalmente al butiro conchiude: ma siccome è opera tutta dell’ossigeno la solidità del butiro, conviene alla perfezione dell’opera lasciare libero l’ingresso delle colonne dell’aria per percuotere quelle parti oliose, e renderle ossigenate. E questa è la ragione che in medicina vien dichiarato il butiro amico della respirazione, e pettorale. Non v’ha chi ignori che l’ossigeno rende acido qualunque corpo con cui si combina, e fa rancide le sostanze oleose. Ogni idiota capisce che le parti grasse del latte, costrette dall’agitazione e dall’urto d’un corpo duro, contro cui vanno a percuotere, a segregarsi dalle particelle sierose che hanno tratto seco nel venire a galla, e tratte dalla reciproca affinità, aderiscon tra esse in proporzione che si sprigionano da quel fluido, che le teneva divise; onde la solidità del butiro è tutta e sola opera dell’agitazione. E guai se vi entrasse l’ossigeno.
In novembre dice, che gli usi di questo mese per la Sicilia sembrano analoghi quasi alle teorie agrarie, onde donano poca materia agli scribenti modificatori. Pare dunque che questa partita debba passare di accordo. Ma immediatamente soggiunge: Pratica barbara chiama il Giornale l’uso di fare le conche nel pedale delle viti..... Le poche riflessioni dell’autore le fanno condannare un geopico sistema che ha tutta la ragionevolezza in questo ramo di fisolofia naturale..... Le conche, appo lui, devon farsi per quattro ragioni: 1. Per sbarbicare le tenere barbette superficiali (ch’è appunto ciò che non deve farsi, perchè la natura le ha destinate ad assorbire le rugiade, le piogge leggiere, e tutte quelle sostanze che l’atmosfera depone sulla superficie della terra, e che non possono penetrare sino alle profonde radici) ed obbligare la base della vite ad una maggiore profondità. Ciò che ripugna alla fisiologia di tutti gli esseri organizzati. Non allungar le gambe a colui cui si tagliano le braccia. 2. Per trattenere una quantità d’acqua, e satollare la pianta. La vigna ama piuttosto l’aridità, che l’eccesso dell’umido, ed altronde se la vigna è zappata bene, la stessa copia d’acqua sarebbe assorbita dal suolo senza restare a marcire attorno al pedale. 3. Per mettere porzione del pedale al contatto della luce e del calorico, pria d’incominciare il rigore dell’inverno. Le radici delle piante son fatte dalla natura per essere al contatto della terra, non della luce, e del calorico, che sicuramente non abbonda da novembre a marzo. 4. Finalmente per arricchire la pianta d’idrogeno e d’ossigeno, il primo combinato coll’acido sebacico forma l’olio, e coll’azoto costituisce l’alcali volatile, e l’ossigeno la base acidificabile de’ vegetabili. L’acqua caduta colla pioggia, e conservata nelle conche co’ raggi del sole, soffre una decomposizione (e senza conche non può farsi?) l’idrogeno viene assorbito dal suolo, e che per via delle tenere barbette della vite s’insinua nella pianta, e l’ossigeno, porzione viene assorbito ancora dalla terra, e la maggior parte per mezzo del calorico si rende aeriforme e volatilizzante. Ossigeno ed idrogeno ognuno sa che vuol dire acqua, onde questa non è che una ripetizione, e tutto quel guazzabuglio di parole non accresce nulla all’argomento. Onde noi ci confermiamo sempre in quel sentimento, adottato, non per le poche riflessioni, ma per lunga e seria riflessione.
In dicembre, a proposito della potatura delle vigne, esclama: quante differenti pute si operano in questo Regno! E quanti sistemi differenti! Poi si fa ad esporre queste differenti pute, ed in sostanza non ne espone che due. Ognuno si avrebbe aspettato che avesse detto qualche cosa su di un soggetto, sul quale vi è tanto da dire fra noi, ma egli ci lascia al bujo, contento forse del precetto generale che ha dato in gennaio di potar la pianta a tralci corti per andar di accordo col proverbio, fammi povera che io ti farò ricco. Ci avverte però a medicare i tagli della vite coll’impiastro di S. Fiacre, perchè ciò impedisce che lo stimolo dell’ossigeno non facci male al midollo della vite, e che l’equilibrio della vegetazione regoli la vivezza della lucrosa pianta.
Ci dice poi: in questo mese si deve curare la rogna agli oliveti detta in Sicilia la chiasima. E perchè in questo, e non in qualunque altro mese? Ed un agricoltore, nato in paese in cui disgraziatamente la chiasima ha fatto tanto male la confonde con la rogna? Per ispiegare poi la malattia ci fa sapere che il celebre padre Onorati decompose per mezzo degli acidi forti, i tumori della rogna, e da un rigoroso analisi chimico non ne ricavò, che acetito di calce ed acetito di potassa. Secondo la chimica moderna l’acetito di calce, che sfiora l’aria libera, risulta dalle terre calcaree, quello di potassa si trova ne’ letamai, ne’ terricci, e specialmente ne’ fondi limacciosi. Ora gli ulivi vegetando in detto suolo, ed assorbendo i principj suddetti soffriranno immancabilmente la rogna, che per mezzo de’ tubercoli si fa vedere. Tutto ciò è chiaro come la luce del sole. L’autore però avrebbe dovuto favorirci, oltre del rigoroso analisi chimico, un rigoroso esame di fatto, per provare che gli ulivi che crescono in terre calcaree, ne’ letamai, e nei fondi limacciosi sono sempre attaccati dalla rogna, e ne sono sempre esenti quel che nascono altrove. Senza di che il rigoroso analisi chimico del celebre padre Onorati non conchiude nulla.
Terminati i mesi mette anche ad esame i precetti del Conte Dandolo sulle vigne e sui vini. Quali lezioni sono ottime per la piantagione, e coltura dei vigneti, ma per ciò che riguarda la manifattura del vino possono indurre in errore, perchè non parlano del gleuco-enometro, che è il solo infallibile regolatore.
Riferisce quindi la lettera sulla ruggine, e facendone poi comento, disapprova come noi la spiegazione del fenomeno fatto dai signori Bank e Davy; ma trova anche falsa la teoria di Balsamo, da noi adottata, che il male sia prodotto dall’eccesso di umidità cagionato dalle pioggie soprabbondanti in primavera. Balsamo, ei dice, si allontanò dal vero: mentre vi sono cognizioni più chiare e convincenti.
I fisiologici di accordo dimostrano che le piante tutte, attraendo il succo nutritivo colle foglie e colle radici, portano quest’umore dall’alto al basso, e dalla base all’altura. C’insegna poi che la natura, per prevenire qualunque sconcerto, fa che gli umori scendono di notte, e saliscono di giorno. Questa organizzazione ci fa chiaramente credere, che la natura ha prevenuto l’interni sconcerti.
Le continue pioggie danneggiano le piante solamente perchè allungano i principj costituenti alla nutrizione, e non è possibile di credere, che le abbondanti acque s’insinuano nelle boccuccie delle tenere barbette delle radici, e che internamente colle loro correnti disorganizzano tutti i vasellini delle ancor tenere piante, finchè tutti i vegetabili ricevono tanto fluido, quanto è la capacità de’ vasi bibenti.
Le risiere ci donano bastante dimostrazione de’ fatti; loro (cioè le risaje) non solo sono visitate dalle spesse acque, ma riposano ne’ laghi, eppure le loro piante sono vegete e floride, e l’interni organi sono ben regolari, e nel perfetto sistema; onde è chiaro che la origine della ruggine, creduta dallo stravaso delle acque insinuate alle piante, non è vera, e che altra causa porta tale micidiale morbo.
Tutto ciò non solo ci convince dell’error nostro, ma ci fa conoscere che sia un pregiudizio del volgo il credere che l’uomo non possa vivere nell’acqua. La natura gli ha dato degli organi per ricever fluidi da sù e da giù, ed i pesci e le rane stanno bene in molle. Dunque non vi è ragione perchè il nostro autore non possa starvi anche lui.
Levata di mezzo la nostra, mette fuori la sua teoria.
I fisici presso il Rozier, nel Giornale del 1771, hanno cavato dalla ruggiada varj acidi come il nitroso e il muriatico.
Cotali due acidi sono due veleni potentissimi, e particolarmente l’acido muriatico è il gran divoratore de’ marmi, che adornano i bei giardini, ed i palagi vicino al mare.
In conferma di tutto ciò che si ha detto conviene ricordarci che questo lacrimevole flagello si sviluppa primieramente ne’ campi più vicini al mare, e soprabbondando queste meteore pigliano le alture, e vanno a colpire le cereali dei monti.
Non vi è dubbio dunque che tali micidiali principii sono la vera ed unica cagione della ruggine.
Questa rugiada cagionata dall’esalazione del mare, mossa da un piccolo vento, prendendo terra, attacca di fronte tutte le praterie, colpisce le piante tutte. La mancanza del vento conserva questo liquido sino al giorno, i raggi solari fanno succedere una piccola fermentazione, e ne separa i corpi. Lo idrogeno e l’ossigeno si assorbiscono, e si volatizzano, e restano i principj muriatici e nitrosi come più pesanti, che diseccati sullo stelo e sulle foglie delle tenere piante granifere rodono e deguastano tutti gli organi vegetabili. Ecco dunque la vera causa della ruggine.
Il nostro autore non cura mai di esaminare se il fatto sia o no di accordo. Colla sua chimica il mare non cessa mai di esalare. Non mancano quasi mai questi venti che spingono a terra l’esalazione del mare. Il sole non si nasconde mai, dunque lungo le spiagge del mare dovrebbe necessariamente esservi sempre ruggine: e nell’interno de’ paesi, e specialmente ne’ continenti, non dovrebbero mai le campagne esser desolati da questo flagello.
Alla fine della lettera l’autore ci favorisce un Calendario del fiorista.
Lo scrittore abbonda di dottrina e di erudizione, e ne abbonda a segno che sembra vero ciò che l’autore dice nel principio della lettera, che scrive a solo riguardo di dar prova del suo studio. Ma noi avremmo amato meglio che in vece di metter fuori chimica, fisica, medicina, storia, botanica, veterinaria ec. ci avesse arricchito di maggiori idee di fatto, e si fosse mostrato più informato, se non delle straniere, almeno delle nostre pratiche agrarie. Ci rincresce poi di osservare che questo scritto, per molti riguardi pregevole, viene barbaramente sfigurato da uno stile abjetto, da una gran quantità di errori di lingua, di grammatica e d’ortografia, e quel ch’è peggio da una falsa locuzione, che spesso rende impossibile il cogliere il senso dell’autore.
In qualunque modo però il signor Palmisano è degno di lode, per aver concepita la filantropica idea di migliorare la patria agricoltura, ed istruire i suoi concittadini, ed in ciò gli è dovuto un tributo di riconoscenza da qualunque Siciliano. Noi in particolare ci sconfessiamo a lui tenutissimi, malgrado che le nostre idee non fossero sempre uniformi alle sue.
S’egli ci ha avvertito de’ nostri errori, è giusto di essergliene grati. La sua critica, lungi di offenderci, ci desta il desiderio che tutti gli agricoltori Siciliani facessero lo stesso. Noi vi anderemmo certamente a male, ma la verità ne risulterebbe, le utili cognizioni si diffonderebbero fra i coltivatori, e null’altro che ciò ci siamo prefissi nell’intraprendere quest’annuo lavoro.