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La pianta del cotone apporta così grandi vantaggi economici ed agrarii; lo spaccio della sua lanugine, senza il quale il valore dei prodotti decade, (come già si è provato per i cereali) è così ben assicurato dalle usanze dei tempi e dalla vicinanza de’ paesi di consumo; il nostro clima e così favorevole alla sua produzione, che desso sembra essere uno di quei vegetabili che debba principalmente fissare l’industria dei Siciliani, come ha di recente attirato quella degli agricoltori di Egitto, ove se n’è in poco tempo ingrandita la coltivazione, e la esportazione considerevolmente accresciuta sotto i due aspetti del prodotto lordo e del netto. La coltura di questa pianta è doviziosa ed importante, e singolamente adatta allo stato attuale del nostro paese, nel quale il progressivo e costante ribasso del valore delle granaglie, dopo aver consumato le fortune ed i capitali dei più ricchi agricoltori, comincia a produrre ancora l’abbandono della nostra antica economia campestre. La seminagione infatti de’ cereali, abbastanza minorata nello scorso anno, si è ancor più ristretta nel presente, e tale minorativa si teme che in seguito produrrà cattivissime conseguenze. Frattanto, sia scoraggiamento, sia mancanza di speculazione o di capitali, sia attaccamento alle antiche abitudini, nessuna industria novella si è ancor sostituita da’ Siciliani a quella dei cereali che si abbandona, e dalle terre destinate pria alla coltivazione dei grani, lasciate oggi sode ed incolte, niente altro si ricava che il miserabile prodotto dell’erba spontanea, della quale non si fa altro uso che per ingrassarne animali bovini che si destinano per i mercati. Veder non si può quindi con indifferenza andar seccando la fonte principale della ricchezza di questo paese, la fertilità delle sue terre, e da ciò derivarne non solo la diminuzione dei prodotti, o sia di quella massa di valori a noi necessarii per pagare l’immissione straniera, della quale non possiamo dispensarci, mancando a noi attualmente le manifatture, ma provenirne ancora il difetto di lavoro e d’impiego per la mano d’opera, e quindi col mancamento della sua rendita estendersi la miseria nella classe più utile dello stato, cioè ne’ lavoranti. È perciò che nelle presenti circostanze della Sicilia, in cui la mano d’opera comincia a scarseggiar di lavoro, crediamo del massimo interesse insinuare la coltivazione di quelle piante, il di cui prodotto lordo sia considerabile, perchè se non in tutto in gran parte la differenza tra il prodotto lordo ed il netto rappresenta il lavoro della mano d’opera, o in altri termini la rendita di quest’ultima. Una produzione dunque più ricca nel suo prodotto lordo accresce realmente la massa de’ valori, ed appresta più impiego agli operai, per lo quale si arreca più di commodità alle famiglie dei lavoranti, e più di ricchezza e di mezzi d’accrescerla allo Stato. Sappiamo bene che in agricoltura non si mira, che al prodotto netto, ma noi siamo al presente in circostanze tutte particolari, per le quali possono per il lato economico aver luogo dell’eccezioni. Nella coltura poi del cotone anche il prodotto netto è considerabile, e sembra perciò che questa pianta riunisca al vantaggio di un ricco profitto di capitali quello d’un più esteso impiego della mano d’opera.
Quanto allo spaccio della produzione sembra che questo mancar non possa affatto al nostro paese. I speculatori inglesi e francesi, che fin’oggi nella massima parte se ne son provvisti dall’America, più che a quel continente, ed anche più che al Levante, alla Turchia, ed all’Egitto, porteranno senza dubbio la loro attenzione alla Sicilia, non rinvenendo degli ostacoli, stante la facilità, la speditezza delle comunicazioni, il risparmio sensibile de’ noli e della sicurtà per la più breve navigazione, la buona qualità del genere e la più rapida e pronta circolazione de’ loro capitali, che nel commercio de’ nostri cotoni apprestar può ad essi maggiori vantaggi, e de’ profitti più relativi alle loro speculazioni ed industrie.
Finalmente i diversi lavori ch’esige questo prodotto pria di rendersi atto al commercio, la facilità d’impiegare in essi le famiglie de’ nostri villici, la introduzione che può sperarsi delle filande, con che accrescere la ricchezza generale e dei nuovi mezzi di sussistenza alla mano d’opera, rendono la coltura del cotone della massima importanza, specialmente se si considera che i paesi principali di consumo non possono aspirare alla coltivazione di esso, e quindi non possono dispensarsi di esser tributarii dei paesi meridionali d’Europa. Quindi è di sommo interesse all’agricoltura siciliana conoscere le migliori regole della coltivazione di questo vegetabile, e quanto dai migliori scrittori su questo ramo d’industria è prescritto, onde applicarlo, ove si potrà, alla coltivazione in uso in Sicilia, ed ottenere, collo aiuto di questi utili suggerimenti, raccolte più abbondanti e della miglior qualità.
La pianta del cotone ha in botanica il nome di gossypium, e se ne conoscono diverse specie e varietà portate dal Lamante a sole 8, e fino a 29 dal sig. Kohr. Alcune di esse sono da quest’ultimo indicate come assai utili ai coltivatori, e sarebbe da desiderarsi che presto si metta in attività il nostro pubblico campo agrario, per provarsi col fatto quali di tali specie o varietà di cotone prosperano nel nostro clima ed interessar possono la nostra agricoltura.
La specie detta gossypium arboreum, la di cui coltivazione è propagatissima nell’Indie, e che ha la durata di più anni, merita tutta l’attenzione de’ nostri agricoltori, perchè alla eccellente qualità del suo prodotto si vuole che accoppii ancora il vantaggio di una fruttificazione abbondante e di un notabilissimo risparmio di spesa. Benchè ci manchino dei bene istituiti calcoli di paragone che ci convincano di tali vantaggi, pure sembra incontrastabile un sensibile risparmio di spese di coltura in questa specie di cotone. Sappiamo che questo prospera nel nostro clima, e ciò non solo per la perfetta vegetazione di quelle piante che esistono nel nostro giardino botanico, ma benanche per i saggi che se ne son fatti in Terranova, ove si tenta d’introdurne e propagarne la coltivazione. Desideriamo che possano questi saggi avere il più felice risultamento, e che si riesca a naturalizzar a noi questo alberetto, com’è riuscito in Sardegna per opera del sig. Cossù.
La specie però più comunemente conosciuta e coltivata con successo, così in Sicilia come in Turchia e nell’Egitto, è quella appellata gossypium erbaceum L. Essa ama terreni sciolti e di buon fondo, ed in generale prospera nelle così dette mezze terre, ossia in quelle che tengono il mezzo tra i terreni argillosi e tra i sabbiosi e calcarei, e che hanno un discreto grado di aderenza e tenacità. In quelli assai fertili e grassi cresce rigogliosa, ma è di tarda maturità, e dà più legno che frutto. Nei terreni poi troppo sabbiosi, o troppo tenaci, come gli argillosi, ha una vegetazione poco felice e dà una meschina fruttificazione.
L’esposizione che più conviene a questa pianta è la meridionale, ben riparata dal nord; esser non dee però nè troppo bassa, nè esposta a copiose guazze nell’autunno. Non germoglia bene ne’ siti umidi, come ne’ freddi o troppo elevati. La vicinanza del mare è assai favorevole al suo crescimento, perchè i venti che regnano sulle coste, pregni di particelle saline, aiutano grandemente la sua vegetazione.
Il terreno ove dee coltivarsi il cotone uopo è che sia con somma diligenza preparato, e ben rivolto e stritolato da profonde arature, o da lavori eseguiti anche con la vanga, perchè la radice principale della pianta possa liberamente sprofondare, e quelle laterali si dilatino facilmente e senza ostacoli. Nelle piantagioni di cotone fatte sopra terreni sodi ed ingombri d’erbe e di cespugli fa di mestieri stritolare e rivoltare più spesso la terra, finchè ne sia perfettamente ripulita. In quelli però già dissodati, non sono ordinariamente necessarie più di tre arature, che bisogna eseguire una sul cader di autunno, e le altre in primavera, facendo che l’ultima preceda immediatamente la seminagione. Taluni coltivatori, come i Chinesi, usano d’erpicare la terra dopo ogni lavoro coll’aratro, e ciò riesce molto utile.
In generale il terreno che si destina al cotone bisogna che sia ben stritolato e friabile, ed è per questa ragione da una parte, e per l’imperfezione dei nostri aratri dall’altra, che in Sicilia bisogna lavorare sei o sette volte il terreno pria di seminarvi il cotone, ed essendo questa una spesa considerabile, ciascuno sente la necessità di migliorare i nostri aratri, con fornirli almeno di largo vomere, e di un orecchio, onde render tra noi più economica la dispendiosa coltura di questo vegetabile.
Una discreta concimazione è necessaria in tutti i terreni, ma lo è sopratutto in quelli non molto fertili, e bisognerà praticarla in autunno dopo il primo lavoro, onde possa bene impregnarsi la terra dei principii fertilizzanti dei quali son ricchi gl’ingrassi. In un’economia ben intesa si proporzionano ed appropriano persino le varie sorti di letami alla diversa natura del terreno, ma in generale un ingrasso leggiero, polverizzato e facile a spargersi è preferibile a quello che stato fosse soggetto ad una fermentazione troppo grande.
Non minore attenzione bisogna impiegare nella scelta della semente che si destina alla riproduzione; essa dee scegliersi dai semi perfettamente maturi ed atti a germogliare, qualità che ordinariamente si ritrovano riunite nei semi duri, grossi, pesanti e di un sol colore, e provenienti dalla precedente raccolta, mentre il cotone perde presto la sua virtù germinativa.
La semente indigena spesso traligna, ed il prodotto quindi riesce scarso e d’inferiore qualità; l’uso delle sementi straniere è ben da commendarsi, e noi siamo concordi col sig. De-Welz nel pensare che tra le sementi estere meritar debbano la preferenza le belle qualità della Luigiana, che sono delle migliori che si conoscono. In ogni caso però le qualità primarie di Biancavilla dovrebbero rendersi più comuni ed anche quelle di Malta, e si sa che in Terranova il cotone ricavato da seme maltese è riuscito più abbondante e di miglior qualità.
La quantità della semente necessaria per ogni salma legale di terreno è di quint. 8 circa, che pria d’affidarsi alla terra bisogna tener in molle per alcune ore, altrimenti nasce con difficoltà, e corresi il rischio di riseminarla. A tal effetto si ripone la semente in un tino pieno d’acqua, agitandosi bene pria di cavarnela per la seminagione. Gioverà poi sempre adacquare la terra ove non sia stata precedentemente a sufficienza bagnata da una pioggia, ciò che non è raro in Sicilia all’epoca della seminagione.
Il tempo di tale seminatura non può precisamente determinarsi, convenendo ritardarla o accelerarla secondo la temperatura della stagione; non ostante non dee mai praticarsi pria della fine di marzo e dopo il finir d’aprile, specialmente nei siti meridionali e più caldi dell’isola.
Vi ha diversi metodi di seminare il cotone; spesso questo lavoro si esegue a solchi, talvolta a buchi, e da taluni a piena mano, alla maniera del frumento. Sembra che la seminagione a solchi meriti la preferenza, perchè il cotone seminato in tal guisa può più agevolmente venire ad una vegetazione perfetta. Il cotone seminato si ricopre con leggiero erpice, o meglio con dei fasci di spine legati ad una corda.
L’irrigazione non è assolutamente necessaria; pure coltivandosi in campi irrigabili dà un migliore e più abbondante prodotto. Cresciute le piante si sarchiano, si ripuliscono con ogni diligenza dalle mal’erbe, e si rincalzano. Tali sarchiature si ripetono assai spesso, finchè le tenere piantarelle sieno pervenute all’altezza di circa due palmi, e per non danneggiare la pianta sarà ben fatto eseguirle colle dita, o con una specie di piccola falcetta, come si pratica dagli Spagnuoli. Dovranno pure le nuove piante diradarsi. conservando a quelle che lasciansi a vegetare, la distanza tra loro di due palmi in ogni senso. Anche nascendo dei cesti, o figliolini al pedale dovranno recidersi.
Le mal’erbe debbono assolutamente gettarsi fuori del campo, perchè non servano allo sviluppo degli insetti appiattati sopra i mucchi di esse.
Quando la fioritura comincia cessano le sarchiature, e sarà il tempo di cimar la pianta, perchè diventi più robusta e matura, ed ingrossi tutte le sue coccole: dovrà indi sfrondarsi, affinchè all’azione dei raggi solari pervenga il suo frutto ad una perfetta maturità.
Allorchè il cotone sarà maturato, spaccansi naturalmente le coccole, ma la raccolta non dovrà farsi se non quando la capsola sarà interamente aperta, e sempre dopo rasciutta la rugiada; se ne avrà così il miglior cotone. Nel raccoglierlo dovrà farsi in modo che cadano a terra le foglioline del calice frapposte fra il guscio e lo stelo, perchè rompendosi lordano facilmente la lanugine, con discapito della sua qualità. La miglior maniera poi di eseguire questa raccolta si è quella di lasciare la capsola attaccata all’albero, e di levare, con le prime tre dita, i fiocchi che spuntano dalle valvole, avendo cura di scuoterli pria di riporli nel sacco, se vi si scoprono dell’insetti. Se il cotone si levasse con tutta la mano, si coglierebbero anche le capsole e se ne insudicerebbe la qualità. La raccolta poi andrà facendosi, come si van successivamente maturando le coccole; delle quali, se alcune non pervengano a maturità, si raccolgono anch’esse ed all’azione di un calore artificiale si aprono; ma se ne ottiene un cotone di poco buona qualità.
Raccolto il cotone se ne separa primieramente il seme dalla lanugine, ciò che in Sicilia si fa con metodi imperfetti e dispendiosi; e sarebbe a desiderarsi per questo lavoro l’introduzione tra noi di quei molini semplici tanto comuni in Oriente, o la macchina del Danieli encomiata dal conte Re ne’ suoi elementi di agricoltura, o meglio la macchina di recente invenzione negli Stati Uniti di America, e della quale fa cenno il cav. Compagnoni (nella sua Storia d’America) la quale può esser mossa dall’acqua, ed in difetto da un cavallo, e che là non costa se non circa once 25, macchina con la quale può con piccola spesa separarsi dal seme più di quintali due di cotone al giorno.
Per la sua seconda pulitura dovrebbe farsi uso del pettine di Lasteyzie, col quale non solo si economizza la spesa, ma si ottiene il prodotto della miglior qualità.