Niccolò Palmeri
Calendario dello agricoltore siciliano

XXII. sul miglioramento delle lane e delle razze delle pecore di sicilia.

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XXII.
sul miglioramento delle lane e delle razze delle pecore di sicilia.

Il miglioramento delle lane e delle razze di bestie lanose riguardar si deve come oggetto così interessante per la pubblica prosperità e per la floridezza dell’agricoltura, quanto da molti scrittori non solo, ma dagli stessi Inglesi comunemente si pensa, non senza ragione, che il grado di ricchezza e di potenza da essi acquistata ascriver si debba principalmente alle cure ed agli sforzi da essi fatti da tre secoli nel perfezionamento delle loro razze. Si è per questo principio, che molti popoli d’Europa dal passato secolo in poi, più recentemente la Francia, han portato la loro attenzione a questo oggetto importante di pubblica ricchezza, impiegando le loro generose cure nel miglioramento delle bestie lanose. La Sicilia, che per la fertilità del suolo e per altre felici circostanze produr potrebbe delle pregevoli lane e mantenere gran numero di robusti e grassi animali da lana, non possiede frattanto che razze comuni e lane di nessun conto. Quindi è che di grande interesse esser dee per il nostro paese il perfezionamento di questo ramo di pastorizia, sopratutto nell’avvilimento presente dell’agricoltura, perchè o considerar si vuole la necessità di variar quanto è possibile la coltura dei cereali, e di sostituirvi delle produzioni più ricche e più ricercate, ed ecco nelle pregevoli lane un prodotto di ricco valore e di uno spaccio sicuro e vantaggioso su varii mercati d’Europa; d’altra parte l’accrescimento di uno dei più preziosi concimi, sempre importanti, o si riguardino come dei valori, o come oggetto essenziale alla vegetazione ubertosa in agricoltura, il valor crescente delle terre, l’ingrandimento dei capitali produttivi, più mezzi da impiegar la mano d’opera o di assicurarle una rendita, maggiore attività nella speculazione e nel commercio per la moltiplicazione dei mezzi di cambio, lo spirito d’industria promosso, la felicità finalmente d’introdur da noi le fabbriche di lanaggi, sono dei vantaggi importantissimi nella veduta dell’economia pubblica d’un paese, ed essi sarebbero il risultato naturale del perfezionamento delle nostre razze. Se dunque questa industria agraria acquistasse da noi la sua perfezione, e col miglioramento delle nostre lane, che raddoppierebbero 4 o 5 volte il loro attuale valore, si sullo stesso terreno, mercè le cure d’una illuminata agricoltura, il doppio o il triplo delle pecore che al presente vi si nutriscono, e finalmente coll’introduzione di buone razze si aumentasse ancora abbastanza il prodotto della carne di questi animali, noi vedremmo rapidamente crearsi in Sicilia una fonte sicura ed importante di ricchezza agraria, che potrebbe in gran parte assicurarle una prosperità permanente. A tale oggetto ci siamo proposti di esporre in quest’articolo sommariamente i mezzi da riuscire in una tale intrapresa, che promette al nostro paese inestimabili vantaggi.

Benchè l’Inghilterra avesse migliorato le sue razze coll’incrocicchiamento delle sue pecore coi migliori arieti barbareschi, e qualche altro popolo, come gli Olandesi, coll’introduzione degli arieti dell’India, pure il più certo ed efficace metodo di migliorar prontamente le nostre razze riputar si deve l’introduzione delle razze pure di Spagna, così degli arieti come delle pecore merine, secondo l’esperienza degli altri paesi ci ha dimostrato. Frattanto, ancorchè questo metodo sia più sollecito in quanto al miglioramento delle razze, è al tempo stesso il più lento in quanto al numero degli animali, e pensiamo perciò che adottar si debba promiscuamente da noi l’uno e l’altro metodo, ove perfezionar si voglia sollecitamente ed in grande questo ramo d’agricoltura, moltiplicando non solo le pure razze Spagnuole, ma incrocicchiando benanco le più scelte pecore del paese cogli arieti di Spagna, sapendosi che alla quarta generazione col metodo meticcio si ottengono delle pecore perfette. Infatti dacchè la Francia pensò nel 1785 ad introdurre le razze di Spagna nello stabilimento reale di Rambouillet, adottò l’uno e l’altro metodo per il perfezionamento delle razze del paese, ed in 20 anni, mentre non contava che sole 66 mila pecore di pura razza di Spagna, ne contava 3 milioni, ossia 46 volte di più di metticci. Fu così grandemente sentita dai Francesi proprietarii di mandre la utilità del miglioramento delle razze, che gli arieti dello stabilimento di Rambouillet furono sempre venduti a prezzi carissimi, sicchè nel 1809 montarono al prezzo di franchi 605, ossia ad once 48,12 per ogni ariete prezzo medio.

Nell’introdurre in Sicilia le merine di Spagna bisogna usar delle diligenze, che l’esperienza degli altri paesi ci ha ammaestrato esser necessarie per formare delle mandre perfette.

Si sa comunemente che non tutti i merini spagnuoli sono egualmente pregevoli, sia per la finezza della lana, sia per la carne, e che n’esistono due grandi varietà, la prima detta dei merini viaggiatori, l’altra dei stantii o sedentarii, la lana migliore trovasi tra i primi, ed a quella varietà appartengono le merine che danno le tanto rinomate lane leonesi e segoviane.

Vi sono similmente tra le razze leonesi alcune cavagne (mandre particolari), la di cui bellezza e perfezione supera le altre; tra queste meritano tutta l’attenzione la cavagna Pauler del Principe della Pace, quelle dette Negrete, Escurial, Montario, ecc., razze che si appellano di primo pelo. Tra i merini viaggiatori adunque, e tra le cavagne di primo pelo bisogna far una scelta, ove introdur si vogliano in questo paese le più pregevoli razze di Spagna.

Finalmente si è riconosciuto che sia più utile moltiplicare le pecore di una sola cavagna di primo pelo piuttosto che confondere quelle scelte tra molte cavagne, giacchè i consumatori e fabbricanti fanno gran differenza tra il prezzo delle lane prodotte da un miscuglio di diverse cavagne, o da una stessa cavagna di quelle di primo pelo. Tostochè in fatti il re d’Inghilterra ottenne dalla Spagna un piccolo branco di pecore della cavagna Negrete, si disfece di tutte le pecore merine raccolte tra le varie cavagne, e si applicò solamente alla propagazione di quella, curando mantener la razza in tutta la sua purità.

Più tardi (nel 1809) ottenne ancora un piccol numero di pecore della cavagna Paular, la prima che si conosca per la finezza e bellezza della lana, ed ora si attende a propagarla isolatamente in tutta la sua purità. Perchè dunque s’introducano in Sicilia le migliori razze di Spagna, bisognerà sceglierle tra i migliori animali delle più pregiate cavagne, specialmente di quelle di primo pelo senza confonderle tra di loro.

Ma la sola introduzione delle merine Spagnuole per migliorare le indigene non condurrebbe allo scopo propostoci, ove non si adoprassero tutte le debite cure e diligenze per mantenerne pura la razza; e perciò bisogna primieramente destinare alla generazione le pecore le più belle, e molto più i migliori e più benfatti arieti. La pratica e l’esperienza, assai più che i precetti, insegneranno a conoscere le qualità che debbono accompagnare gl’individui co’ quali si vuol moltiplicar la specie; in generale però si reputa un bell’ariete di pura razza spagnuola quello che ha l’occhio vivace, svelti i movimenti, il camminare sciolto ed in cadenza, la testa larga e piatta, la fronte spaziosa, corte le orecchie, le corna grandi ed a spira, la collottola larga e grossa, spalle rotonde, schiena cilindrica, larga e tondeggiante, groppa e membra grosse, e finalmente tosone fino, corto, fitto, abbondante, di un color grigiastro o nerastro all’esterno, ma bianco, fino e riccio scoperto colla mano. Si crede similmente una pecora atta a dare un eccellente agnello quella che ha il corpo grande, groppa rotonda, voluminose mammelle, lunghi capezzoli, gambe sottili, grossa coda, e fina lana.

Tante minute diligenze, trattandosi di propagazione di razze, di cui vuol conservarsi la purità, sembrar non debbono superflue, dipendendo da esse, assai più che non si crede, il perfezionamento e la conservazione delle medesime. Un’altra diligenza necessaria si è quella di non destinare alla generazione gli arieti e le pecore prima dell’età di anni due, non essendo ancora in quel tempo, sì gli uni che le altre, vigorosi e robusti abbastanza per ben generare.

Finalmente niente conduce tanto alla perfetta conservazione delle buone razze quanto la cura e l’attenzione nel mantenimento delle mandre, sia riparandole dalle inclemenze delle stagioni, sia provvedendole di sani e copiosi foraggi. Ora i pascoli naturali possibil non è che apprestino quelle tali qualità di piante pratensi che si desiderano, produrne possono comunemente tanta copia da mantener gran numero di animali. Senza dunque i prati artificiali, coi quali si ha il vantaggio di coltivare quelle piante che son più gradite e meglio nutriscono gli animali, e di averne inoltre tanta copia da mantener sopra una stessa estensione di terreno un numero assai maggiore di quelli che alimentar potrebbe un prato spontaneo, non potrà prosperare da noi questo ramo di pastorizia.

Non appena però si sente parlar in Sicilia di prati artificiali, sia a secco, sia ad irrigazione, che vi si mostra una decisa ripugnanza; effetto d’inveterata abitudine, o di mal fondato pregiudizio. Si mette innanzi pria di tutto la considerabile spesa necessaria per i prati, la quale non vien compensata, a quel che si dice, dal profitto che se ne ricava. Certo che se si trattasse di sostener la spesa de’ prati per il mantenimento delle attuali razze, onde ricavar della lana in così poca quantità per ogni animale, e di un valormeschino come quella che al presente se ne ottiene in Sicilia, forse la ripugnanza che vi mostrano i proprietarii di mandre in questo paese potrebbe in parte esser ragionevole. Ma quando si tratta di produrre delle lane di un valore 5, 6 volte maggiore dell’attuale(21); di ricavarne da ogni animale una quantità tripla di quella che tra noi si ricava(22), e ciò oltre il valore della carne accresciuto in quantità ed in qualità(23); quando con la coltura artificiale dei foraggi si può mantener francamente tra il doppio ed il triplo di animali, che coll’erbe spontanee, sopra una stessa estensione di terra, ciò che in altri termini importa triplicare la rendita di una mandra sul piede di sopra(24), nessuno potrà metter più in dubbio la utilità, dirò anzi, la necessità de’ prati artificiali in una ben intesa economia campestre. La spesa per altro per quest’oggetto, nelle ben tenute fattorie, ove si suppone dover esservi de’ buoi da lavoro addetti a varii lavori d’agricoltura, ed inoltre le braccia necessarie, esser non dee così rilevante, come si declama, e come in effetto sarebbe in un economia tenuta senza la debita industria, e senza li corrispondenti capitali. Finalmente colla pratica de’ prati artificiali, ove le circostanze il permettessero, ossia ove potrà aversi il commodo dell’irrigazione, con opportuno uso delle macchine idrauliche, che a spese delle più ricche comuni dovrebbero introdursi, si potran fornire gli animali di foraggi freschi e salubri negli ardori della state. Ove poi le località nol permettessero, troviamo assai utile il suggerimento di qualche Siciliano, che ha proposto doversi per uso delle mandre intraprendere delle vaste ed estese piantagioni di fichi d’india, cactus opuntia, pianta che come si sa alligna bene tra noi nelle terre pressochè inutili, e che ne’ mesi caldi apprestar può agli animali un foraggio fresco e gradito.

Sembra che riparar gli animali, dal rigore della fredda stagione sia un oggetto che meriti bene le cure dell’agricoltore, onde mantenere le mandre nel necessario ben’essere. Si è però sempre disputato se sia più vantaggioso alle pecore il ripararle in spaziose e ben costrutte stalle nell’inverno, che lasciarle esposte all’aria. Vi ha chi crede esser più gl’inconvenienti che l’utilità delle stalle, esponendo queste l’animale a delle malattie di più sorti, e si citò l’esempio delle merine di Spagna che conservano bene la qualità delle loro lane ed il loro ordinario vigore, e che frattanto non sono mai ricoverate in ovili, fuorchè nell’epoca della tosatura, e che sempre rimangono all’aria libera. Noi crediamo che, specialmente nell’interno della nostra isola, sia utilissimo nell’inverno ricoverarle in opportuni edifizii, siano anche delle tettoje di tegole sostenute da pilastri, e murate da un sol lato, da noi dette pinnati, anche per il risparmio della spesa, perchè in generale questi animali soffrono moltissimo esposti all’aria libera in inverno, essendo più degli altri animali soggetti alle infreddature; e perchè dai disagi che soffrono nei rigidi inverni spesso ne proviene il loro dimagrimento, e quindi una deteriorazione nelle loro lane. L’esempio per altro della Spagna niente ci è contrario, mentre colà le pecore non svernano nelle montagne ove solo passano la calda stagione, ma sibbene nelle pianure, ove un clima temperato non le assoggetta alle conseguenze che i rigori dell’inverno producono in altri paesi.

Da quel che precede quindi ricavar si potrà da ciascuno di quanta importanza sia il miglioramento delle nostre razze di bestie lanose, e che questa non ancora scavata miniera portar può nel nostro paese una considerabile ricchezza ed una proprietà permanente.

G. L.

 





21   Le lane de’ merini valgono in commercio per lo meno sei volte più della lana di Sicilia.



22   In Sicilia le pecore non rendono che un rotolo ad un rotolo ed un quarto di lana. Le merine del podere di Rambouillet in Francia, ed in Inghilterra comunemente le pecore rendono qualche cosa più di rotoli 3 di lana per testa, e gli arieti fino 5 rotoli.



23   Le pecore merine portano ordinariamente il peso di rot. 20 a 21, mentre le siciliane non pesano che rot. 15 a 16 circa per una, peso medio.



24   Cioè triplicare il prodotto di una mandra altronde 15 a 18 volte maggiore dell’ordinario, per la quantità tripla di lana resa dalle pecore di un valore sei volte maggiore della lana nostrale, e ciò a parte del valore della carne e degl’ingrassi. Quale immensa ricchezza per la Sicilia, dal miglioramento delle lane e dall’uso dei prati!



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