Niccolò Palmeri
Somma della storia di Sicilia

PREFAZIONE

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PREFAZIONE

Aveva io, già tempo, impreso a scrivere un compendio della storia di Sicilia, per uso del Collegio di studî di Termini-imerese. Malgrado l’alacrità, colla quale il desiderio d’essere in alcun modo utile alla terra natale mi avea fatto accingere al lavoro, conobbi tosto i triboli, fra’ quali mi toccava a camminare. Non era lieve il cernere quali cose eran da omettere, quali da scartare, senzachè assai pensieri mi s’affacciavano alla mente, ai quali un compendio non poteva dar luogo. Tali difficoltà s’accrebbero a più doppî, come entrai nella descrizione degli avvenimenti della moderna storia; cioè dalla conquista dei Normanni in poi. Le nostre leggi, la religione, il dritto pubblico civile ed ecclesiastico, i magistrati, la condizione de’ cittadini, la lingua stessa, sono fortemente connessi a’ fatti di quell’età. E però assai minore è in questo periodo il numero delle cose, che lo storico potrebbe passar sotto silenzio; più gravi e in maggior copia le considerazioni, che egli non potrebbe senza grave colpa preterire.

Fortunatamente altri lavori di simil fatta messi in luce, vennero a spastojarmi. D’allora in poi continuai a scrivere la storia, con quell’estensione e in quella forma, che a me parve convenevole, sino all’abdicazione del re Carlo III in favore di Ferdinando III, suo figliuolo.

Nel rivedere poi e ricopiare tutto il lavoro ebbi a rifare la storia antica, che si contiene nel primo volume; acciò tutta l’opera venisse stesa sullo stesso piano e regolata sugli stessi principî, de’ quali è mio dovere rendere al pubblico ragione.

La storia s’annovera tra le scienze; ma tale non può dirsi, finchè è ristretta negli angusti confini della nuda narrazione degli avvenimenti. Come il pittore gli uomini, lo storico deve ritrarre i popoli. La più rigida esattezza è ad entrambi richiesta. La più lieve alterazione è grave colpa in entrambi. Se non che quello figura l’uomo in una sola attitudine, l’altro deve mostrare i diversi aspetti, che il tempo e ’l variar di fortuna hanno dato alle nazioni. colla semplice esposizione dei fatti potrebbe egli venirne a capo. È per lui mestieri venire a mano a mano rilevando, con sobrio e sagace discernimento, dai fatti stessi, che narra, quali sieno state le forme politiche, con cui i popoli si sono retti; quali le loro civili consuetudini; la religione; il numero degli abitanti: le sorgenti della pubblica e privata ricchezza; le lettere; le scienze; le arti; e tutto ciò che costituisce l’essere delle civili società. deve mai perder di vista tali gravissimi argomenti; acciò vengano per se stesse a mostrarsi le cause dell’incremento e della decadenza del paese, di cui scrive. Allora la storia è scienza, e forse la più utile di tutte.

Colui, che tali oggetti trascuri, può recar diletto, non istruzione al lettore. Il narrar le cose colla lingua d’un solo secolo; le pompose orazioni, il profluvio de’ diverbî ne’ consigli de’ principi, nei congressi de’ capitani, nelle adunanze de’ cittadini; lo studio d’imitare l’unico, ma sublime difetto di Tito Livio, possono dar nome, se si vuole, di ornato scrittore, di valente e grave storico non mai. Anzi a me pare che tali fiori rettorici, e mi direi meglio poetici, mal s’addicano alla dignità della storia, la cui bellezza, come quella di pudica matrona, quanto è schiva del vestire sciamannato, tanto mal comporta quegli ornati, che diano sospetto nell’una di poco studio di verità, nell’altra di poco rispetto alla modestia.

Interrogato, mentre scriveva la presente opera, da un amico: quale scrittore avessi preso ad imitare: nissuno francamente risposi. I grandi scrittori non sono imitabili, perchè il cuore e la mente non si danno in presto. E gli imitatori, servum pecus, sono per necessità stentatí, oscuri, stucchevoli. La maestosa semplicità di Cornelio Nepote non è mai stata da alcuno imitata. alcuno ha potuto, come David Hume, accoppiare filosofia tanto profonda a tanto scorrevole naturalezza di dire.

Il solo studio, che io ho posto nello scrivere quest’opera, è stato di dare a’ miei pensieri quella maggior chiarezza, che per me s’è potuta. È al lettore il giudicare se io abbia dato nel segno e fedelmente seguito i principî di sopra esposti. Ma dubito forte non sia per appormisi il non avere anche seguito il precetto del Venosino:

            Sumite materiam vestris, qui scribitis, aequam
            Viribus.



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