Niccolò Palmeri
Somma della storia di Sicilia

SOMMA DELLA STORIA DI SICILIA]

CAPITOLO I. I. Aborigeni. — II. Cretesi. — III. Sicoli. — IV. Fenici, Morgeti, Elimi. — V. Greci. — Fondazione di Nasso, di Siracusa, di Leonzio e Catana; - VI. di Gela, di Acre, di Casmena, di Camerina; d’Agrigento, di Trotilo, Tapso, Megara Iblea e di Selinunte; — VII. di Zancla, Mile, Imera, Callipoli, Eubea.

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SOMMA DELLA STORIA DI SICILIA]

CAPITOLO I.

I. Aborigeni. — II. Cretesi. — III. Sicoli. — IV. Fenici, Morgeti, Elimi. — V. Greci. — Fondazione di Nasso, di Siracusa, di Leonzio e Catana; - VI. di Gela, di Acre, di Casmena, di Camerina; d’Agrigento, di Trotilo, Tapso, Megara Iblea e di Selinunte; — VII. di Zancla, Mile, Imera, Callipoli, Eubea.

I. — Quanto si narra delle cose di Sicilia, prima che i Greci fossero venuti a stabilirvisi, è favola in parte, e in parte oscura tradizione vôta di prova storica. Si parla di Giganti, di Ciclopi, di Lestrigoni, di Lotofagi, che prima de’ Sicani tennero il paese. Ma non si sa se que’ nomi servivano a designare genti di nazione diversa, o le diverse condizioni d’uno stesso popolo.

Poteano i primi Greci, che qui vennero a stanziare, per lo cui mezzo le notizie di quell’età a noi si tramandarono, dare agli Aborigeni il nome di Γιγαντες (figli della terra). Vuolsi che i primi, che trovarono in Egitto l’arte di lavorare il ferro, e di fabbricare con grandi macigni ed informi, nell’andar sotterra per trarne i massi e ’l ferro, portavano una lucerna legata alla fronte; onde nacque la favola d’esservi una straordinaria genìa d’uomini, con un solo occhio circolare, per cui Κυκλοπος furono poi detti: e tal nome poi si diede ai fabbri e muratori delle seguenti età. Però ogni paese aver potea i giganti e i ciclopi suoi. E, perchè prima di ridursi a vita civile, molti doveano vivere predando, ben si addicea a costoro il nome di lestrigoni (Ληστρικον), o sia predoni: e lotofagi potean chiamarsi per lo nutrirsi di frutta salvatiche, e particolarmente di giuggiole, che alla famiglia de’ loti appartengono, e spontanee vengono in gran copia in Sicilia.

miglior fondamento ha l’opinione, che quest’isola, da prima detta Trinacria per la sua forma, pei Sicani ebbe poi nome di Sicania, e finalmente peSicoli Sicilia; conciossiachè è incerto se Sicani e Sicoli siano stati due differenti popoli o la stessa gente originale del paese, cui o per inesattezza dagli storici, o per amor del ritmo dai poeti, si diè diverso nome: e il moderno storico li tiene distinti, per accomodarsi al comune linguaggio, più che alla opinione .

Che che ne sia, le favole stesse, onde quella età è ingombra, e le tradizioni, mancando ogni altra prova, servono a farci trarre alcuna congettura sullo stato, in cui l’isola allora ebbe ad essere. I bovi del Sole pasceano in quelle campagne, ove poi venne a sorgere Milazzo; Dafni inventava la poesia buccolica, mentre le sue vacche andavano a pastura sui Nebrodi; pastore era Polifemo, pastori i figliuoli di lui; Cerere venne ad insegnare ai Sicani il modo di svolgere la terra coll’aratro, per seminare le biade; da Aristeo appresero ad incalmare gli ulivi, a trar l’olio dalle olive, a governar le api, a cavarne il mele; si vanto a Dedalo, re dei Sicani, di sommo architetto e scultore; vuolsi che un Jalo, suo nipote, che non era da meno di lui, visto i denti di un serpente, ne abbia tratta l’invenzione della sega, e che del pari abbia inventato il tornio ed altri strumenti; che lo zio venutone geloso, lo abbia messo a morte, e per tal delitto, tutto re che era, ebbe a fuggire in Creta presso il re Minos; venuto ivi a non molto in odio a costui, per avere sedotta la Pasifae sua donna, tornò in Sicilia e riparò presso il re Cocalo; vi edificò lo stagno onde scorrea il fiume Abados, detto oggi Cantara, l’antro vaporoso, ove sono oggi le stufe di Termini Selinuntina, che Sciacca chiamiamo, e la munitissima rocca di Cocalo sulla vetta del Camico, ove sorge il moderno Girgenti; maraviglie si dicono de’ lavori suoi di scultura, fra’ quali era innanzi ad ogni altro famoso l’ariete d’oro, posto nel tempio di Venere e d’Erice.

Narrasi che Ercole, giunto in quei tempi nello estremo lido d’Italia, coi buoi rubati al re Gerione, non avendo altro argomento di valicare lo stretto, abbrancate le corna d’uno di quei bovi, lo spinse in mare, e ne fu tratto alla opposta riva discorrendo l’isola, giunse sul tenere del moderno Termini; Minerva, che in quei campi stava a diporto, con lieto animo lo accolse, e, per rinfrancarlo, fece scavare alle sue ninfe le sorgenti d’acqua termale, che vi sono tuttora. Cammin facendo lungo il lido, edificò Solunto; recatosi ad Erice, vi fu sfidato a singolar tenzone da quel re, figlio di Venere e Buti, ch’Erice anch’esso avea nome, e avealo dato alla città da lui edificata; posero per premio della pugna, l’uno i buoi, l’altro il regno; Ercole, che fu vincitore, divise agli Ericini le terre; prescrisse loro leggi e riti; e lasciolli in libertà, a patto che ne godessero, finchè alcuno de’ suoi successori non fosse venuto a chiedere la signoria della terra.

Venuto poi l’eroe a Lilibeo, fabbricò indi presso Mozia; in Ortigia, ove poi fu edificata Siracusa, fece sacrifizî in onore di Cerere e Proserpina, e dispose le feste, che indi in poi doveano ivi farsi in ogni anno in onore delle dee; vinti più capi di barbare masnade, si ridusse nei campi Leontini, ove lasciò in dono a coloro, che abitavano, la pelle del suo leone, onde ebbe nome la città ivi edificata; in Agira ebbe onori divini; ed anche ivi introdusse leggi e religione.

Fra tante fole poetiche e malconnesse tradizioni, adombrati si veggono i primi stati della società nascente. I Sicani pastori da prima, vennero poi imparando a coltivare la terra, acquistando le prime arti necessarie al viver civile, finchè lasciato gli antri e le foreste, si unirono in borgate, sotto il reggimento di un capo, che l’età posteriori dissero re; ma que’ re menavano a pascere le mandre e coltivavano la terra a sue mani; e quei regni si offerivano in cambio di un branco di buoi. E perchè l’uomo è naturalmente vago del maraviglioso, i naturali avvenimenti, nel tramandarsi di generazione in generazione, vennero alterandosi, finchè poi dai poeti furon del tutto contraffatti.

I bovi che pascevano nelle fertili pianure di Milazzo, esser doveano pingui più che altrove; quei campi son posti a solatìo; indi la favola dei bovi del Sole. Dafni forse vincea gli altri pastori nel suonare la buccina e lo zufolo; e perciò si è voluto farne l’inventore della poesia bucolica. Era ben naturale che que’ primi popoli ignorantissimi, sopraffatti dall’aspetto di un monte ignivomo, dalle tempeste e dai tuoni che spesso romoreggiano in quell’altezza, e dai terremoti frequenti in quei luoghi, avessero attribuito ciò a cagioni soprannaturali; e di leggieri fu creduta la favola, che i fabbri monocoli avessero nelle viscere di quel monte la fucina, in cui tempravano i fulmini di Giove.

Potè in quell’età o sorger nell’isola, o venire da oltramare alcun uomo di gran cuore, che represse la licenza di coloro, che menavano vita salvaggia e vivean di ruba; li ridusse in società; introdusse fra loro le civili consuetudini, i riti religiosi, l’uso dei bagni: ed Ercole fu detto, perchè tal nome allora si dava a que’ venturieri, che si segnalavano o per istraordinaria forza, o per ardite imprese; se ne fece un semideo, ed a buon dritto; chè nessuno meritò meglio degli uomini, di colui che li ridusse socievoli. Da ciò non lieve argomento può trarsi di credere antichissima l’origine di quelle città, nelle cui monete improntata si vede l’effigie d’Ercole. E se gli storici fissano la edificazione d’alcune di esse in epoca posteriore, ciò fu, perchè i greci scrittori contano gli anni di esse dallo stabilimento delle greche colonie; ma non è improbabile, che que’ luoghi fossero stati anche prima abitati (e di alcuni si sa); senza di che non sarebbe stato agevole il tramandarsi la memoria del soggiorno d’Ercole e delle sue gesta (5).

E forse in quell’età le prime meschine casipole edificate da Dedalo furon tenute portenti d’architettura. E ben possiamo argomentarlo dalla reggia di Cocalo costruita sulla vetta del Camico, di cui si mena tanto rumore. Fu quest’edifizio tagliato nel vivo sasso. Col volgere de’ secoli è divenuto un vasto sotterraneo, per esservi stata edificata sopra la moderna città di Girgenti. Vi si osserva un grandissimo numero di stanze di forma regolare, d’irregolarissima disposizione: da ognuna di esse si entra in molte altre; ma non vi si scorge alcun vestigio, onde possa argomentarsi d’essere state imposte in quegli usci; non altronde che da forami delle volte avean luce; acclive n’è il suolo; insomma sembrano più atte al ricetto delle bestie, che degli uomini; per altro sono ammirevoli che per essere tutte tagliate nel masso: ma quel masso è un tufo calcareo conchigliare; onde non ebbe a durarsi gran fatica a tagliarlo. In ogni modo quell’opera mostra che la Sicilia non era più terra inospita quando altri popoli, allettati dalla fertilità del suolo, dalla dolcezza del clima e dalla sua posizione nel centro del mediterraneo, ch’era in quell’età il solo mare conosciuto, vennero a stabilirvisi.

II. — I Cretesi furono i primi. Minos re loro venne con armata mano in Sicilia, per trar vendetta, com’e’ dicea, di Dedalo. Cocalo, cui si diresse, temendo, e forse a ragione, non altro fosse l’oggetto di tanto armamento, inàbile a difendersi colla forza, ricorse al tradimento. Invitò il re cretese alla sua reggia; e poi lo fece alle sue figlie mettere a morte in un bagno caldo, e di nascosto fece incendiare le navi di lui. I Cretesi che lo avevano seguito, non potendo più rimpatriare, e forse creduta incolpabile la morte del re loro, dato a lui onorevole sepoltura, in Sicilia si fermarono. Alcuni edificarono una città in quel promontorio non guari discosto da Girgenti, che capo bianco oggi si dice; alla quale, ad onore del morto re, diedero il nome di Minoa. Altri, inoltratisi entro terra, vennero presso la fonte Engio, onde trae origine l’Imera meridionale; e un’altra città fabbricarono ivi, la quale dalla fonte fu detta Engio, nel sito chiamato oggi Gangi-vccchio.

III. — I Sicoli, secondo l’opinione di alcuni, di origine pelasgica, si crede che, da un secolo prima della guerra di Troja, sien venuti in gran numero in Sicilia, e vi abbiano edificato Zancla, Centuripe, Agira, Assoro, Enna, Meneno, Motuca, Capizzi, Bidi e forse Catana. E da essi fabbricate si vogliono del pari Trinacria, città venuta in appresso potentissima, spianata dai Siracusani, della quale, dal nome in fuori, nulla è a noi giunto; Erbesso; Erbita; la quale, o nel sito di Nicosia, o presso Aidone stette; e le Ible, ch’ebbero nome da Iblone re sicolo, delle quali il numero ed il sito sono incerti; solo può congetturarsi che una delle città di tal nome sia stata sopra i monti Iblei, ove ora è Melilli, che dal mele vuolsi, che tragga il nome; perocchè que’ monti erano anticamente famosi, e ancora lo sono, pel timo, che in gran copia spontaneo vi nasce, e per lo squisito mele, che se ne trae; tanto che ape iblea gli antichi diceano l’uomo donato di dolce facondia.

Oltre a questo, altre città vennero in appresso edificando i Sicoli entro terra, a misura che i sopravvegnenti coloni venivano intorno intorno occupando le marittime contrade, onde li cacciavano.

IV. — Palermo, Solunto e Mozia, venuta in appresso in gran nome, voglionsi edificate, o popolate dai Fenici, tratti dal commercio in Sicilia. Discordi sono le opinioni intorno al sito dell’ultima, la quale già da lung’ora più non è: ma è probabile, che sia stata nell’isoletta chiamata del Burrone, poco di lungi da Lilibeo.

I Morgeti, mossi dal basso Lazio, vennero a fondare una città sul tenere del moderno Lentini che chiamarono Morganzio, posta, come taluno pensa, nel sito che conserva nel nome di Murgo un che della primitiva appellazione (6).

Gli Elimi, che alcuni credono di origine trojana, guidati da Elimo ed Ecisto, che Virgilio chiama Aceste, occuparono il contado del moderno Trapani, e si vuole che vi avessero edificato Elima, Entella ed Egesta. La prima (se pure è vero che fu) potè essere sul monte poco discosto dal seno egestano, detto oggi Alimita o Palimita, sulla cui vetta scorgonsi i ruderi d’una demolita città. Giacque Entella sulle sponde del Crimiso, che chiamiamo Belice destro; ed Egesta presso la sommità del monte Barbara tra Alcamo e Calatafimi. Poco di lungi si vede quasi integro uno de’ tempii di quella famosa città.

Altri Frigi del seguito di Enea, stanchi di seguire l’eroe vagabondo, si fermarono in Sicilia, e nella spiaggia settentrionale edificarono Alonzio, sulle cui rovine venne poi a sorgere San-fratello.

V.Fiorivano già da gran tempo tali città, quando l’ateniese Teocle fu spinto da una tempesta sul lido orientale di Sicilia, tra Catania e Messina. Deserto era il paese. I Sicoli, che lo aveano abitato, per cansarsi dalle correrie degli Etruschi e dei Tirreni, s’erano ritratti più entro terra. Invaghito l’ateniese dell’amenità del luogo, tornato in Grecia, raccolse una mano di Calcidesi e Megaresi, e venne a fondare in quel sito la città di Nasso, nel 2o anno della 5a Olimpiade, 759 a. C. (7).

L’anno appresso, molti Corinti ed altri Dorici, capitanati da Archia da Corinto vennero ad occupare la piccola isola Ortigia. Vana fu la resistenza dei Sicoli che vi stanziavano. Parte di essi camparono, parte vi restarono prigionieri dei nuovi coloni, i quali ivi fondarono la famosa Siracusa (An. 3o, Olimp. 5a, 758 a. C.).

Settanni dopo la fondazione di Nasso, i Greci, che aveano edificata quella città, vennero a cacciare i Sicoli da Leonzio e Catana; vi si stabilirono; ed indi in poi gran nome e potenza le due città vennero acquistando (An. 1, Olimp. 7, 752 a. C.).

VI. — Quarantacinque anni dopo lo stabilimento dei Greci in Siracusa, alcuni Rodioti e Cretesi, sotto la scorta di Antifemo da Rodi ed Entimo da Creta, vennero ad edificare Gela, sulla sponda orientale di un fiume, che Gela allora dicevasi, ed ora di Terranova (An. 1, Olimp. 17, 712 a. C.).

Siracusa in questo era cresciuta a segno da potere spedir colonie a popolare altri luoghi. Acre fu una di queste edificata nel sito ove ora è Palazzolo, settanni dopo Siracusa (An. 688 a. C.). Vent’anni dopo Acre fu poi da’ Siracusani stessi edificata Casmena. Comiso e Scicli disputavano sul vanto di essere sorti sulle rovine di essa (An. 668 a. C.).

Colonia siracusana fu anche Camarina, edificata 135 anni dopo Siracusa (An. 623 a. C.), nella spiaggia meridionale ad oriente di Gela. Un fiume vi mettea foce; e nella foce le acque, che rimpozzavano, faceano un grande stagno che Camerina si diceva, nel cui centro fu la città fabbricata. E perchè i Greci usavano di dare alle città il nome de’ fiumi presso i quali le edificavano, Camerina la nuova città ebbe nome. Era essa inespugnabile per le acque che la cingeano, ma quelle acque ne rendeano l’aria malsana; però i cittadini vollero una volta deviare il fiume e diseccare lo stagno. Chiestone il parere dell’oracolo, rispose: Non muover Camarina; è meglio intatta. I Camarinesi, dimentichi che lo stagno Camerina chiamavasi, e dallo stagno la città avea avuto il nome, malgrado il detto dell’oracolo, lo diseccarono; ma non guari andò che ebbero a pentirsene. Sorta guerra coSiracusani, costoro, rimosso l’ostacolo delle acque, di leggieri espugnarono la città. Indi è nato l’adagio Camerinam ne moveas, per distorre alcuno dal far cosa, che può tornare in suo danno. Di tale illustre città null’altro oggi resta, che una torre, fabbricata nel XV secolo da Bernardo Caprera, conte di Modica, coi ruderi di essa, che Torre di Cammarano si chiama.

Non meno di Siracusa rapidamente crebbe Gela, intantochè, cent’anni dopo la sua fondazione (an. 1, Olimp. 27, 627 a. C.), Aristonoo e Pistillo ne trassero una colonia, che venne a popolare Agrigento; città, che per quanto appare, già da gran tempo era stata edificata presso il fiume Agraga, che oggi dicesi Drago, da cui traeva il nome. D’allora in poi quella città crebbe a segno, e venne in tanto splendore, che per magnificenza, popolazione, ricchezza, armi, e scienze, da Siracusa in fuori, fu la prima in Sicilia.

Poco dopo lo stabilimento delle greche colonie in Leonzio e Calano, un Lampide da Megara venne co’ suoi compagni in quelle parti. Edificarono da prima il castello Trotilo presso il fiume Pantagra, che Bruca oggi si chiama: non guari dopo si ridussero in Leonzio. Separatisi poi, qual ne sia stata la cagione, dai Leontini, vennero indi presso ad edificare Tapso, nella piccola penisola, che oggi dicesi Magnisi. Morto poi Lampide, unironsi ad Iblone re dei Sicoli, ed abitarono Megara-iblea. È incerto se tale città sia stata allora dalle fondamenta eretta, e dal re e da’ coloni abbia avuto il nome; o sia quella stessa che chiamavasi Ibla-gaeleota, posta nel sito di Melilli. Certo è che, cent’anni appresso, alcuni di quei cittadini passaron dall’altro lato dell’isola, e presso il fiume Mazzara edificarono Selinunte, l’anno 2o del 32a Olimpiade (651 a. C.).

VII. — Messina a buon dritto può contare per antichità fra le primaje città siciliane. L’amenità di quel sito; un vasto e sicurissimo porto; l’esser questo il primo punto che si offre a chi muove dal continente; fanno con fondamento supporre, essere stato questo un luogo, sin dai remotissimi tempi abitato. Lasciando da parte la favola, che quel promontorio sia stato formato dalla falce ivi caduta a Saturno; è assai probabile che la figura arcuata del Chersoneso, che forma quel porto, quasi come falce, che i Greci diceano Ζανκλον, abbia dato alla città il nome di Zancla. I Sicoli già da secoli vi stanziavano: quando poi vennero a stabilirvisi i Messeni, fu per essi la città detta Messena.

Una mano di Zanclei fondarono Mile, che oggi chiamiamo Milazzo. E non guari dopo, Euclide, Simo e Socone da Zancla, con alcuni di quegli Zanclei, che aveano popolata Mile, vennero a fondare un’altra colonia in Imera. Si unirono a costoro gran numero di Calcidesi e molti Siracusani cacciati dalla città loro, i quali Miletidi erano detti. Indi avvenne che il dialetto imerese sentiva il dorico e il calcidico: ma calcidiche furono le leggi , con cui gl’Imeresi si governarono. Fu edificata la città sulla sponda occidentale del fiume Imera, dal quale ebbe il nome, in una vasta pianura, sopra il poggio, alle cui radici è il moderno casamento di Buonfornello. Sito in ogni età tanto ameno, che gli antichi credeano d’esservi stata Minerva a diporto.

Colonia di Nasso fu Callipoli, città già da lunga ora caduta. Incerto n’è il sito. Il Cluverio e l’abate Amico la credono ovora è Mascali. E dai Leontini fu edificata Eubea, forse in quel sito, ove venne poi a sorgere Licodia.

A queste prime colonie assai altre tennero dietro, nate per lo più dalle prime, a misura che gli abitanti di esse si moltiplicavano; della maggior parte delle quali, per essersi perduti gli scritti degli storici siciliani di quell’età, e per le ree vicende, dalle quali la Sicilia nei tempi d’appresso fu travagliata, solo incerta fama a noi resta. Ciò non però di manco il moltiplicarsi degli uomini con rapidità tale, che in pochi anni ogni città potea mandar colonie a fondarne delle altre, ci avverte ad esser cauti nel rigettarsi indistintamente come favolose ed esagerate le narrazioni degli storici intorno alla popolazione cui giunsero le città siciliane, nei tempi che a questi immediatamente seguirono.

Comechè tanti stranieri fossero venuti allora a stabilirsi in Sicilia, non conservarono eglino veruna dipendenza dalla patria, da cui s’erano staccati. I Greci, che più di tutti si moltiplicarono, e più di tutti inciviliti vi vennero, presto comunicarono agli altri le arti, le scienze, la lingua loro; per lo che gli abitatori tutti dell’isola, qual che fosse stata la rispettiva nazione, Sicelioti indistintamente si chiamarono.

Le principali città erano come capitali di piccoli stati, ognuno de’ quali avea territorio, leggi, consuetudini, magistrati, monete, guerre e trattati particolari. Si reggeano in generale a popolo. Nelle circostanze poi di grave momento davasi straordinaria autorità ad un solo, col titolo di re o di tiranno, il quale tramandavala a’ suoi successori. Ma la tirannide era anche talvolta, o con astuzia o con forza aperta, usurpata.

Non però è da credere che venivano in questi casi affatto spente le forme del governo popolare.

Il vedere in ogni città una fazione, che palesamente avversava il tiranno; il linguaggio ardito dei filosofi; e soprattutto lo studio de’ tiranni di suscitare interne discordie fra’ cittadini, e d’imprender sempre guerre straniere, per accrescere il numero de’ loro satelliti armati, per distogliere il popolo dal pensiere della domestica servitù, ed abbacinarlo collo splendore di gloriose azioni, mostrano che restavano lo spirito e i modi republicani. Senzachè la storia, anche sotto i più crudeli tiranni, accenna adunanze di cittadini per discutere i pubblici affari.





5 Tali città sono Agira, Camerina, Cefalù, Erice, Gela, Eraclea, Imera, Leonzio, Messena, Panormo, Egesta, Selinunte, Solunto, Siracusa, Termini-imerese.



6 Amico, Lexicon Topographicum. — V. Murgantium.



7 Tav. Cron. di Barthèlemy. (*)

* Secondo i Marmi di Paros l’arrivo delle colonie greche in Sicilia accadde l’anno 759 av. Cristo. Secondo Eusebio, Nasso fu fondata l’anno 736 e Siracusa l’anno 733, prima dell’era volgare. Ma siccome è certo, che Siracusa venne eretta un solo anno dopo Nasso, perciò i cronologi corressero la seconda data di Eusebio, collocando la fondazione di Siracusa all’anno 735. Il signor Brunet de Presle (Recherches sur les Établissements des Grecs en Sicile, Sec. Part. § V e VI. Paris 1845) prova doversi piuttosto correggere la prima data di Eusebio, stabilendo la fondazione di Nasso al 734, e quella di Siracusa al 733 (Nota dell’Editore).



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