Guy de Maupassant
Bel Ami

PARTE PRIMA

II

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II

 

 

            «Il signor Forestier, per favore

            «Al terzo piano, la porta a sinistra

            Il portinaio aveva risposto premurosamente, lasciando trasparire nella voce la considerazione in cui teneva il proprio inquilino. E Georges Duroy prese a salir le scale.

            Era un po' impacciato, intimidito, a disagio. Portava l'abito da società per la prima volta in vita sua, e l'insieme dell'abbigliamento lo preoccupava. Lo sentiva, nel complesso, difettoso, vuoi per gli stivaletti che non erano di copale anche se piuttosto fini, giacché era un civettone in fatto di calzature, vuoi per la camicia da quattro franchi e cinquanta comprata la mattina stessa al Louvre, il cui sparato troppo sottile già cominciava a spaccarsi. Delle altre camicie, quelle di tutti i giorni, presentando ognuna magagne più o meno gravi, non aveva potuto utilizzare neppur la meno sciupata.

            I pantaloni, un po' troppo larghi, modellavano male la gamba, pareva che gli si avvoltolassero intorno al polpaccio, e avevano l'aspetto cincischiato che acquistano sempre i vestiti usati sulle membra che son chiamati a coprire a caso. La marsina, invece, gli andava abbastanza bene, avendone trovata una, suppergiù, della sua misura.

            Saliva lento gli scalini, col batticuore, pieno d'ansia, assillato soprattutto dal timore d'esser ridicolo; e, di colpo, gli si parò davanti un signore elegantissimo, che stava guardandolo: così a faccia a faccia, che Duroy arretrò d'un passo per poi fermarsi stupefatto: era lui in persona, riflesso da un'alta specchiera verticale che apriva sul pianerottolo del primo piano la lunga prospettiva di un corridoio. Sussultò d'improvvisa gioia, trovandosi infinitamente migliore di quanto supponeva.

            Non disponendo a casa che dello specchietto da barba, non aveva avuto modo di contemplarsi intero, e poiché in quello vedeva soltanto, e molto malamente, le varie parti del suo improvvisato abbigliamento, ne esagerava le imperfezioni, sgomentandosi al pensiero d'esser grottesco.

            Ma ecco che scorgendosi all'improvviso nello specchio, non s'era nemmeno riconosciuto; s'era preso per un altro, per un uomo di mondo che fin dalla prima occhiata gli era parso a postissimo, elegantissimo.

            Guardandosi attentamente, riconosceva adesso che, davvero, poteva dirsi soddisfatto dell'insieme.

            Prese allora a studiarsi, come fanno gli attori per imparare la parte. Si sorrise, si porse la mano, fece qualche gesto, espresse qualche sentimento: stupore, piacere, approvazione; e cercò le varie sfumature del sorriso e le occhiate piene d'intenzione che ci vogliono per mostrarsi galanti con le signore, per far loro capire che sono ammirate e desiderate.

            Una porta s'aprì nella scala. Temette d'esser sorpreso e ricominciò a salire svelto svelto, con una gran paura addosso che un qualche invitato del suo amico l'avesse visto mentre stava facendo tutte quelle moine.

            Raggiunto il secondo piano, scorse un altro specchio e rallentò il passo per guardarsi mentre passava. Il suo aspetto gli parve molto distinto. Aveva un bell'incedere. E una smodata fiducia in sé gli colmò l'animo. Sicuro, avrebbe sfondato senz'altro, con quella sua presenza, con la sua smania d'arrivare, la risolutezza di cui si sapeva capace, e il proprio spirito d'indipendenza. Gli era venuta voglia di correre, di saltare facendo l'ultima rampa. Si fermò davanti al terzo specchio, s'arricciò i baffi con gesto a lui abituale, si tolse il cappello per aggiustarsi i capelli, e mormorò a bassa voce, come gli capitava spesso di fare:

            «Però, che invenzione.» Poi, allungata la mano verso il campanello, suonò.

            La porta si aprì quasi subito, e si trovò al cospetto d'un domestico in abito nero, grave, sbarbato, così inappuntabilmente vestito, che di nuovo Duroy si turbò senza riuscire a capire donde gli venisse quel vago patema: da un inconscio confronto, forse, fra il taglio dei loro abiti. Quel lacchè, che calzava scarpe di copale, domandò nel prendere il soprabito che Duroy teneva sul braccio per tema che se ne vedessero le macchie:

            «Chi devo annunziare

            E lanciò il nome oltre una portiera sollevata, in un salotto dove pur era giocoforza entrare.

            Perduta di colpo ogni baldanza, Duroy si sentì paralizzato dal timore, col cuore in gola. Stava per compiere il suo primo passo nell'esistenza tanto attesa, sognata. Tuttavia, varcò la soglia. Una giovane donna, bionda, era in piedi ad aspettarlo, sola, in una grande stanza ben illuminata e piena di piante, come una serra.

            Si fermò di colpo, completamente sconcertato. Chi era quella signora che gli stava sorridendo? Poi si ricordò che Forestier era sposato; e al pensiero che quella bella ed elegante biondina poteva esser la moglie dell'amico, finì col perder del tutto le staffe.

            Barbugliò: «Signora, io sono...»

            «So già,» disse lei porgendogli la mano. «Charles m'ha detto del vostro incontro d'iersera, e son proprio felice che abbia avuto la buona ispirazione di pregarla di cenar con noi, quest'oggi

            Lui arrossì fino agli orecchi non sapendo più che dire; si sentiva esaminato, ispezionato da capo a piedi, soppesato, giudicato.

            Avrebbe voluto scusarsi, trovare un appiglio per giustificare le manchevolezze dell'abito; ma non riuscì a inventar nulla, e non osò toccare quel tasto scabroso.

            Sedette sulla poltrona che lei gli aveva additato, e quando sotto di sé sentì cedere il soffice e morbido velluto, quando si sentì sprofondato, sorretto, abbracciato in quel mobile carezzevole che delicatamente lo sosteneva con la spalliera e coi braccioli imbottiti, ebbe la sensazione d'essere entrato in una vita nuova e piena di malie, d'aver acquistato il diritto a qualcosa di delizioso, d'esser diventato qualcuno, d'esser salvo; e guardò la signora Forestier che non gli aveva levato gli occhi di dosso.

            Costei indossava un abito di casimir d'un celeste pallido che le disegnava a perfezione la linea nervosa della vita e il petto colmo.

            Le braccia nude e l'incarnato del seno sgorgavano da una spuma di merletti bianchi che guarnivano il corpetto e le maniche corte; e i capelli, pettinati alti sul capo, increspandosi un poco sulla nuca, formavano una leggera nube di lanugine bionda sul collo.

            Duroy riprendeva animo sotto lo sguardo di lei che gli ricordava, senza che se ne sapesse spiegare il perché, quello della passeggiatrice incontrata la sera prima alle Folies-Bergère. Aveva occhi grigi, d'un grigio venato d'azzurro che ne rendeva strana l'espressione, naso affilato, labbra carnose, mento un po' paffuto, un volto irregolare e provocante, tutto vaghezza e malizia: uno di quei volti femminili sui quali ogni lineamento rivela una sua grazia particolare, sembra avere un suo significato, così come ogni moto par voler dire, o nascondere, qualcosa.

            Dopo un breve silenzio, gli domandò: «Lei è a Parigi da molto tempo

            Riprendendo a poco a poco la padronanza di sé, rispose:

            «Soltanto da pochi mesi, signora. Ho un impiego nelle ferrovie. Ma Forestier m'ha dato una mezza speranza d'entrare, col suo aiuto, nel giornalismo

            Lei accentuò il sorriso, che si fece ancor più benevolo; e mormorò, abbassando la voce: «So

            Il campanello aveva squillato di nuovo. Il domestico annunziò:

            «La signora de Marelle

            Era una bruna un po' minuta, quel che si dice una brunetta.

            Entrò tutta pepe, disegnata, modellata da capo a piedi, avresti detto, nell'abito scuro semplicissimo.

            Soltanto una rosa rossa, appuntata fra i capelli neri, attirava violenta lo sguardo, pareva dar più spicco alla fisionomia, sottolinearne l'originalità, porvi quel tanto di vivacità un po' brusca che ci voleva.

            La seguiva una bambina col gonnellino corto. La signora Forestier le mosse incontro di slancio:

            «Buonasera, Clotilde

            «Buonasera, Madeleine

            S'abbracciarono. Poi la piccina porse la fronte con la naturalezza d'un'adulta, dicendo:

            «Buonasera, cugina

            La signora Forestier la baciò. Poi fece le presentazioni:

            «Georges Duroy, un caro compagno d'armi di Charles

            «La signora de Marelle, mia amica e anche un poco mia parente

            Aggiunse: «Vi avverto, niente cerimonie, da noi, tutto alla buona e senza pose. Intesi, vero

            Il nostro giovane s'inchinò.

            Ma la porta s'aprì di nuovo, e un tombolotto, basso e tondo, apparve dando il braccio a una bella donna slanciata, più alta di lui, molto più giovane, di modi distinti e grave nel portamento. Era Walter, deputato, finanziere, quattrinaio e affarista, ebreo e meridionale, direttore della Vie Française, e sua moglie, nata Basile-Ravalau, figlia del banchiere omonimo.

            Poi comparvero, l'un dopo l'altro, Jacques Rival, elegantissimo, e Norbert de Varenne, col collo della manina lustro, incerettato dallo strofinio della zazzera che gli ricadeva sulle spalle cospargendole di bianche squamette di forfora.

            La cravatta, annodata male, non pareva certo incignata per l'occasione. Si fece avanti con la grazia d'un vecchio ganimede e, prendendo la mano della signora Forestier, depose un bacio sul polso. Nell'abbassarsi, la lunga capigliatura si sparse come una cascatella d'acqua sul braccio nudo della giovane donna.

            A sua volta entrò Forestier, scusandosi del ritardo. Era stato trattenuto al giornale dal caso Morel. Morel, deputato radicale, aveva presentato un'interpellanza al governo su una richiesta di credito relativa alla colonizzazione dell'Algeria.

            Il domestico annunziò ad alta voce: «Signora, la tavola è servita

            E si passò nella sala da pranzo.

            Duroy era seduto fra la signora de Marelle e sua figlia. Si sentiva di nuovo impacciato, timoroso di commetter qualche sbaglio nel maneggio convenzionale della forchetta, dei cucchiai o dei bicchieri. Ce n'erano quattro, bicchieri, uno dei quali azzurrino. Cosa mai ci si poteva bere, in quello?

            Nessuno disse una parola finché si fu alla minestra, poi Norbert de Varenne domandò: «Avete letto del processo Gauthier? Che caso curioso

            E si cominciò a discutere su quell'adulterio complicato da ricatto. Mica se ne parlava come si parla, in casa, degli avvenimenti letti sul giornale, ma come si parla d'una malattia fra medici, o d'ortaggi tra fruttivendoli. Nessuno s'indignava, si stupiva dei fatti; se ne indagavano le cause profonde, occulte, con curiosità professionale e assoluta indifferenza per la colpa in sé. Si cercava di spiegar con chiarezza le origini d'ogni atto, di determinare tutti i fenomeni cerebrali da cui era nato il dramma, risultato scientifico d'un particolare stato d'animo. Anche le donne s'appassionarono a tale ricerca, a tale lavorio. E altri recenti avvenimenti vennero esaminati, commentati, considerati da ogni lato, soppesati nel loro valore, con l'occhio pratico e il particolar modo di vedere di chi usa fare smercio di notizie, dei rivenditori di commedia umana a un tanto al rigo, così come fra i bottegai si esaminano, si rivoltolano, si soppesano le robe destinate al pubblico.

            Poi il discorso cadde su un duello, e prese la parola Jacques Rival. La cosa era di sua pertinenza: nessun altro avrebbe potuto trattare l'argomento meglio di lui.

            Duroy non osava metter bocca. Posava ogni tanto gli occhi sulla vicina di tavola, ammaliato dalla rotondità di quel seno. Un brillante a capo d'un filo d'oro le pendeva giù dall'orecchio, come una goccia d'acqua rotolatale sulle carni. Di tratto in tratto, costei interveniva con un'osservazione spiritosa che non mancava di suscitare un sorriso sulle labbra di tutti. Era dotata d'un'arguzia piacevole, garbata, sempre imprevista, l'arguzia d'una birichina smaliziata che non troppo peso alle cose e le giudica con lieve e bonario scetticismo.

            Duroy cercava invano qualche complimento per lei, e, non trovando nulla di carino, volgeva le sue attenzioni alla figlia, le versava da bere, le reggeva i piatti, la serviva. La bimba, più sostenuta della madre, ringraziava posatamente, con brevi cenni del capo: «Lei è molto gentilediceva; e ascoltava i grandi col suo musetto pensoso..

            La cena era da leccarsi i baffi, e tutti andavano in visibilio. Walter s'abbuffava come un lupo, quasi non diceva una parola, considerando con occhiate oblique, di sotto le lenti, le pietanze che gli venivano porte. Norbert de Varenne gli teneva bordone senza curarsi delle gocce d'intingolo che gli cascavano ogni tanto sullo sparato della camicia.

            Forestier, sorridente e composto, sorvegliava la tavolata, scambiando occhiate d'intesa con la moglie, come fra compari durante un'impresa ardua e che tuttavia va a meraviglia.

            I volti si congestionavano, le voci si facevano più alte. Di continuo il domestico sussurrava all'orecchio dei convitati:

            «Corton... Château-Laroze

            Duroy aveva trovato il corton di suo gusto e si lasciava riempire ogni volta il bicchiere. Un'allegria deliziosa lo pervadeva; una gaiezza calda, che gli saliva su dal ventre fino alla testa, gli scorreva nelle membra, lo penetrava tutto. Si sentiva permeato da un benessere pieno, da una felicità fisica e morale, del corpo come dell'anima. E gli veniva una gran voglia di parlare, di farsi notare, d'essere ascoltato, apprezzato come quegli altri signori dei quali si centellinava ogni minima frase.

            Il chiacchierio che procedeva ininterrotto, agganciando le idee l'una all'altra, saltando di palo in frasca per una parola qualsiasi, per un nonnulla, dopo aver compiuto un giro d'orizzonte su tutti i fatti del giorno, e dopo aver sfiorato, di sfuggita, mille problemi, tornò sull'importante interpellanza di Morel circa la colonizzazione dell'Algeria.

            Walter, fra una portata e l'altra, scettico e volgaruccio com'era, ne sfoderò qualcuna delle sue. Forestier parlò del suo articolo per l'indomani. Jacques Rival rivendicò un governo militare con concessioni di terre a tutti gli ufficiali dopo trent'anni di servizio coloniale.

            «Creereste in tal mododiceva, «una società forte, una società che per lunga esperienza ha imparato a conoscere e ad amare il paese, ne sa la lingua ed è consapevole di tutti i gravi problemi locali che son lo scoglio ineluttabile di quanti arrivano freschi freschi

            Norbert de Varenne lo interruppe:

            «Già... conoscerebbero tutto, tranne l'agricoltura. Parlerebbero l'arabo, ma ignorerebbero come si trapiantano le barbabietole e come si semina il grano. Magari sarebbero anche forti nella scherma, ma debolissimi in fatto di concimi. Bisognerebbe piuttosto aprir con larghezza, a tutti quanti, quelle nuove contrade. Le persone intelligenti vi farebbero strada, gli altri soccomberebbero. È la legge sociale

            Seguì un breve silenzio. Le labbra erano atteggiate al sorriso.

            Georges Duroy aprì la bocca e disse, sorpreso dal suono della propria voce, come se l'udisse per la prima volta: «Quel che manca laggiù, più che altro, son dei buoni terreni. I fondi veramente fertili son cari come in Francia, e vengono comprati dai ricconi di Parigi a titolo d'investimento. I coloni autentici, i poveracci, quelli che emigrano per trovare un tozzo di pane, vengono respinti nel deserto, dove non nasce nulla per mancanza d'acqua

            Lo guardavan tutti quanti. Sentì un rossore salirgli alle guance. Walter gli domandò: «Lei conosce l'Algeria

            Rispose: «Sì, ci sono stato ventotto mesi, fermandomi a lungo in ciascuna delle tre province

            Poi, d'improvviso, lasciando perdere il caso Morel, Norbert de Varenne gli chiese una precisazione su una certa usanza appresa da un ufficiale. Si riferiva allo Mzab, la strana repubblichetta araba sorta nel cuore del Sahara, nella zona più arida di quelle terre bruciate.

            Duroy era stato due volte nello Mzab, e accennò ai costumi di quel singolare paese, dove ogni goccia d'acqua vale tant'oro, dove ogni abitante è tenuto a tutti i servizi pubblici, dove la probità commerciale è tanto più rigorosa che non tra i popoli civili.

            Parlò con una certa facondia un po' smargiassa, eccitato dal vino e dal desiderio di piacere; raccontò aneddoti di vita militare, tratti caratteristici di vita araba, avventure di guerra. Trovò perfino qualche parola colorita per descrivere quelle contrade gialle e nude, desolate a perdita d'occhio sotto la vampa vorace del sole.

            Le donne gli tenevan tutte gli occhi addosso. La signora Walter mormorò con la sua voce posata: «Lei, coi suoi ricordi, potrebbe mettere insieme una bella serie d'articoli.» Allora Walter squadrò il nostro giovanotto con un'occhiata di sulle lenti, come usava fare quando voleva esaminar bene un volto. Di sotto le lenti, invece, sbirciava le portate.

            Forestier colse la palla al balzo: «Caro direttore, proprio questo pomeriggio le ho parlato di Georges Duroy, pregandola di assumerlo come mio aiuto nel servizio informazioni politiche. Dacché Marambot ci ha lasciato, non ho più nessuno da mandare a prendere informazioni urgenti e confidenziali, e il giornale ne soffre

            Zi' Walter si fece serio e si alzò fin sulla fronte gli occhiali, per guardar bene in faccia Duroy. Poi disse: «Ma certo, Duroy ha un suo talento originale. Se vorrà venire a parlar con me, domani alle tre, sistemeremo la cosa.»

            Poi, dopo una pausa, e rivolgendosi direttamente al nostro giovanotto, aggiunse: «Però, ci dovrà far subito una serie d'articoli di fantasia su quelle terre. Parli dei suoi ricordi personali, ficcandoci in mezzo, come ha fatto poco fa, il problema della colonizzazione. È un argomento d'attualità, di scottante attualità, e son certo che piacerà molto ai nostri lettori. Ma faccia presto! Mi occorre il primo pezzo per domani o posdomani, mentre si sta discutendo alla Camera, per agganciare il pubblico

            La signora Walter, con la contegnosa grazia che poneva in ogni suo atto e che conferiva un tono di degnazione alle sue parole, notò: «Lei ha già un bellissimo titolo: "Ricordi d'un cacciatore d'Africa"; vero, signor Norbert

            Il vecchio poeta, giunto tardi alla notorietà, detestava e paventava qualsiasi nuovo venuto. Rispose asciutto:

            «Certo, ottimo addirittura, purché il seguito, poi, si mantenga intonato, giacché il difficile sta proprio qui: conservare il tono giusto, quel che in musica si dice la giusta intonazione

            La signora Forestier avvolgeva Duroy d'un sorridente sguardo protettore, uno sguardo da intenditrice che pareva dire: «Sì, farai strada, tu.» La de Marelle s'era voltata spesso verso di lui, e il brillante le tremolava di continuo all'orecchio, come se la delicata goccia d'acqua fosse per staccarsi e cadere.

            La bambina se ne rimaneva immobile e seria, col capo chino sul piatto.

            Intanto il domestico stava facendo il giro della tavola, mescendo nei bicchieri cilestrini vino di Johannisberg; e Forestier brindò rivolto a Walter: «Alla Vie Française, alla sua lunga prosperità

            Tutti s'inchinarono al Padrone, che sorrideva, e Duroy, in cimberli per il trionfo, tracannò d'un fiato il bicchiere. Avrebbe vuotato allo stesso modo un barile intero, n'era certo; avrebbe divorato un bue, strangolato un leone. Si sentiva nelle membra un vigore sovrumano, nell'animo una risolutezza a prova di bomba e una sconfinata speranza. Si trovava nel suo, adesso, fra quella gente; vi si era inserito, vi aveva conquistato un posto. Il suo sguardo si posava sui volti con una sicurezza nuova, e per la prima volta osò rivolger la parola alla sua vicina di tavola:

            «Non ho mai visto signora, un paio d'orecchini più belli dei suoi.»

            Lei si voltò sorridendo: «Già, è stata un'idea mia lasciar ciondolare così dei brillanti, appesi semplicemente a un filo. Sembrano due gocce di rugiada, vero

            Lui mormorò, confuso dalla propria audacia e col tremore di dire una sciocchezza:

            «Sono stupendi... ma non è anche merito dell'orecchio

            Lei lo ringraziò con uno sguardo, uno di quei luminosi sguardi femminili che ti vanno diritti diritti al cuore.

            Voltandosi, Duroy incontrò di nuovo gli occhi della signora Forestier, ancora pieni di simpatia per lui, ma con in più, gli parve, una maggior vivacità, una certa malizia, un incoraggiamento.

            Gli uomini, adesso, parlavano tutti insieme, con gesti e scoppi di voci; si discuteva sul grande progetto della ferrovia metropolitana. L'argomento s'esaurì soltanto con l'ultima portata, avendo ciascuno un'infinità di cose da dire sulla lentezza delle comunicazioni a Parigi, sulla scomodità dei tram, sugli inconvenienti degli omnibus e sulla malcreanza dei vetturini.

            Poi lasciarono la sala da pranzo per andare a prendere il caffè. Duroy, scherzosamente, porse il braccio alla bambina, che lo ringraziò seria seria e si sollevò sulla punta dei piedi per poter posargli la mano sul gomito.

            Entrando in salotto, ebbe di nuovo la sensazione di penetrare in una serra. Imponenti palme aprivano le loro eleganti foglie nei quattro cantoni della stanza, correvano dritte fino al soffitto, poi ricadevan giù, slargandosi come zampilli.

            Ai lati del caminetto, due fichi della gomma, dai fusti cilindrici come colonne, disponevano in vari ordini sovrapposti le lunghe foglie d'un verde cupo, e sul pianoforte due frutici sconosciuti, come due palloni fitti di fiori, uno tutto rosa e l'altro tutto bianco, sembravano piante finte, inverosimili, troppo belle per essere vere.

            L'aria era fresca e impregnata d'un profumo vago, soave, indefinibile, al quale era impossibile dare un nome preciso.

            Il nostro giovanotto, ormai più padrone di sé, osservò attento l'ambiente. Non era grande; nulla dava nell'occhio, tranne quegli arbusti; nessun colore troppo vivo colpiva; ma ci si sentiva a proprio agio, dentro, ci si sentiva in pace, riposati; era un ambiente che avvolgeva con dolcezza il corpo, in modo piacevole, come una carezza che sfiorasse le membra.

            Le pareti erano tappezzate di stoffa antica d'un viola sfatto, con tanti fiorellini di seta gialla, piccoli come mosche.

            Portiere di panno grigiazzurro, il panno dei soldati, con qualche garofano ricamato di seta rossa, ricadevan giù sugli usci; e tutti i mobili su cui sedersi, d'ogni forma e dimensione, sparpagliati a caso, sedie a sdraio, poltrone enormi o minuscole poltroncine, poufs e sgabelli, erano rivestiti di seta Luigi XVI o di un bel velluto di Utrecht, con disegni color granato su fondo crema.

            «Prende un caffè, signor Duroy

            E la signora Forestier gli porse una tazzina colma, con quel sorriso amichevole che non abbandonava mai le sue labbra.

            «Sì, signora, grazie

            Prese la chicchera, e mentre pieno d'angoscia stava chino per afferrare con le mollette d'argento una zolletta dalla zuccheriera recatagli dalla bambina, la giovane signora gli disse sottovoce:

            «Su, faccia un po' di corte alla signora Walter

            Poi s'allontanò, senza lasciargli il tempo di risponderle una sola parola.

            Duroy bevve il caffè che temeva di rovesciar sul tappeto, poi, liberatosi di quella preoccupazione, cercò un pretesto per avvicinar la moglie del suo nuovo direttore e attaccar discorso.

            Accortosi che costei aveva ancora in mano la tazzina vuota e che, non avendo un tavolino a portata di mano, non sapeva dove posarla, si precipitò.

            «Permette, signora

            «Oh, grazie

            Portò via la tazzina e tornò: «Sapesse, signora, quanti bei momenti ho passato con la Vie Française, laggiù nel deserto. È proprio l'unico giornale che si possa leggere fuori di Francia, perché più letterario, più spiritoso e meno monotono d'ogni altro. Ci si trova di tutto, dentro

            Lei sorrise con garbato distacco, e rispose, grave:

            «Mio marito ha dovuto penar molto per creare un giornale così, capace di rispondere alle nuove esigenze

            E presero a conversare. Duroy aveva la parola facile ma banale, possedeva un certo fascino nella voce, molta grazia nello sguardo e un'irresistibile forza di seduzione nei baffi. Un bel paio di baffi scarruffati sul labbro superiore, crespi, arricciolati, d'un biondo quasi lionato che andava impallidendo verso le punte all'insù.

            Parlarono di Parigi, dei dintorni, delle rive della Senna, delle stazioni climatiche, degli svaghi che offre l'estate, di tutte le solite cose delle quali si può discorrere all'infinito senza affaticare il cervello.

            Poi, dato che stava avvicinandosi Norbert de Varenne, con un bicchierino di liquore in mano, Duroy s'allontanò per discrezione.

            La signora de Marelle, che fino a quel momento s'era intrattenuta con la signora Forestier, lo chiamò: «E così,» gli disse di punto in bianco, «ci diamo al giornalismo, eh?»

            Duroy parlò allora dei suoi progetti, in termini alquanto vaghi, poi ripeté con lei i discorsi tenuti un momento prima con la signora Walter; ma questa volta facendo miglior figura, giacché possedeva meglio l'argomento, e poteva ripeter come farina del suo sacco tutto quanto aveva or ora udito. E quasi a dare un senso più profondo alle proprie parole, non staccava un attimo gli occhi da quelli della sua vicina.

            Toccò poi a lei raccontargli qualche fatterello, col fatuo brio della donna che sa d'essere spiritosa e che ad ogni occasione vuol apparire originale; e posatagli confidenzialmente una mano sul braccio, abbassando la voce, prese a parlargli di piccolezze qualsiasi che, dette così, acquistavano il sapore di gelose confidenze.

            Nel sentirsi sfiorato da quella giovane signora che gli prestava qualche attenzione, lui andava esaltandosi dentro di sé. Avrebbe voluto su due piedi votarsi interamente a lei, difenderla, mostrarle il proprio valore, e i suoi stessi indugi nel risponderle mostravano l'assillo dei suoi pensieri.

            D'un tratto, senza alcun motivo, la signora de Marelle chiamò: «Laurine!» e la bambina accorse.

            «Siediti qua, piccina mia, piglierai freddo accanto alla finestra

            E a Duroy venne una voglia matta di dare un bacio alla ragazzina, come se qualcosa di quel bacio si fosse potuto riversar sulla madre.

            Con tono fra paterno e galante, le domandò: «Permette che le dia un bacio, signorina

            La bimba alzò gli occhi su di lui, piena di meraviglia. La signora de Marelle disse ridendo: «Rispondigli così: "Per questa volta glielo permetto, ma non ci prenda l'abitudine."»

            Sedutosi, Duroy si mise sulle ginocchia Laurine e le sfiorò con le labbra i capelli fini e ondulati.

            La madre rimase stupita: «To', non è nemmeno scappata; c'è da restar di sasso. Di solito si fa baciare soltanto dalle donne. Lei e irresistibile, signor Duroy

            Lui arrossì, senza rispondere, facendo ballare pian pianino la piccola sulle ginocchia.

            La signora Forestier s'avvicinò, e con un gridolino di sorpresa: «Ma guardadisse, «Laurine addomesticata! Ma è un miracolo

            Stava avvicinandosi anche Jacques Rival, col sigaro in bocca, e Duroy si alzò per andarsene, timoroso di rovinare, con qualche parola fuori posto, l'opera di conquista intrapresa.

            Salutò, prese e strinse delicatamente la manina delle signore, e scosse con forza la mano degli uomini. Notò che quella di Jacques Rival era asciutta e calda, e rispondeva cordialmente alla stretta; quella di Norbert de Varenne umidiccia e fredda, e scivolava di fra le dita; quella di zi' Walter fredda e molle, senza energia, senza espressione; quella di Forestier, grassa e tiepida. L'amico gli disse sottovoce: «Domani alle tre, non ti dimenticare

            «Oh no, non aver paura

            Quando fu per le scale, gli venne voglia di scender di corsa, tant'era incontenibile la sua gioia, e si buttò facendo gli scalini a due a due; ma scorto a bruciapelo, nella specchiera del secondo piano, un signore che di gran fretta gli veniva incontro a balzelloni, si fermò di botto, vergognoso come se l'avessero colto in fallo.

            Poi si rimirò a lungo, meravigliato d'esser davvero un così bel giovanotto; si fece un gran sorriso di compiacimento, e infine, accomiatandosi dalla propria immagine, salutò profondamente, cerimoniosamente, come si saluta un personaggio importante.

 


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