Guy de Maupassant
Bel Ami

PARTE PRIMA

VIII

«»

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VIII

 

 

            Il duello aveva posto Duroy nel novero dei cronisti dl punta della Vie Française; ma poiché gli costava infinita fatica scovar delle idee, lui s'era specializzato in filippiche sulla decadenza dei costumi, sull'infiacchimento degli animi, sul cedimento del patriottismo e sull'anemia dell'onore in Francia. (La parola «anemia» era una sua trovata, e ne andava fiero.)

            E quando la signora de Marelle, piena di quello spirito beffardo, scettico e sempliciotto che si chiama lo spirito di Parigi, si burlava delle sue tirate sgonfiandole con un epigramma, ribatteva sorridendo: «Bah, varranno a prepararmi una buona reputazione per un domani

            Abitava adesso in Rue de Constantinople, e aveva trasportato la sua valigia, la sua spazzola, il suo rasoio e il suo sapone da barba, esaurendo con questo il suo sgombero. E due o tre volte la settimana, Clotilde si recava da lui prima che si fosse alzato, si spogliava in un attimo e s'infilava nel letto, ancora piena di brividi per il freddo di fuori.

            Duroy, in compenso, pranzava da lei ogni giovedì e faceva la corte al marito parlandogli d'agricoltura, e siccome piacevano anche a lui le cose della campagna, spesso tutti e due s'immedesimavano tanto in quei discorsi, da dimenticar completamente la loro donna che sonnecchiava sul divano.

            Anche Laurine s'addormentava, ora sulle ginocchia del padre, ora su quelle di Bel-Ami.

            Quando il giornalista se n'era andato, il signor de Marelle non mancava mai d'osservare, col tono cattedratico che poneva anche nel dir le cose più insignificanti: «Quel ragazzo è proprio simpatico. Ed è anche molto istruito

            Febbraio volgeva alla fine. Si cominciava a sentire il profumo delle violette, per strada, passando accanto ai carretti delle fioraie.

            Duroy viveva senza una nube nel suo empireo.

            Una notte, rincasando, trovò una lettera infilata sotto la porta. Guardò il timbro e vide «Cannes». La apri, e lesse:

           

            Cannes, Villa Grazia

            «Gentile signore e caro amico, lei mi disse, vero? che potevo contar sul suo aiuto in qualunque occasione. Ebbene, ho una dolorosa preghiera da farle: venga ad aiutarmi, non mi lasci sola negli ultimi istanti di Charles, ormai condannato. Forse non ce la farà nemmeno ad arrivare alla fine di questa settimana, sebbene si alzi ancora. Il medico m'ha avvertita.

            «Io non ho più né la forza né il coraggio d'assistere giorno e notte alla sua agonia. E penso con terrore all'ora estrema che sta avvicinandosi. Soltanto a lei posso chiedere questo favore, giacché mio marito non ha più nessun parente. Lei è il suo vecchio compagno d'armi; ed è stato Charles ad aprirle le porte del giornale. Venga, la supplico. Non saprei a chi altro rivolgermi.

            «Mi creda sua amica devotissima

            Madeleine Forestier

           

            Uno strano sentimento entrò come un soffio d'aria nel cuore di Georges, un senso di liberazione, di spazio che gli si apriva davanti, e mormorò: «Certo che andrà. Povero Charles! Ma che destino, il nostro!»

            Il principale, messo al corrente della lettera, gli concesse il permesso brontolando: «Ma torni presto, lei ci è indispensabile

            Georges Duroy parti per Cannes l'indomani col rapido delle sette, dopo aver avvertito i de Marelle con un telegramma.

            Arrivò il giorno dopo verso le quattro del pomeriggio. Un facchino lo accompagnò fino a Villa Grazia, costruita a mezza costa, nell'abetaia gremita di casette bianche che s'estende dal Cannet al Golfo di Juan.

            La casa era piccola, bassa, di stile italiano, sullo stradale che monta a zigzag fra gli alberi, porgendo ad ogni svolta panorami stupendi.

            Il domestico aprì la porta ed esclamò:

            «Oh, sapesse con quanta impazienza l'attende, la signora

            Duroy domandò: «Come sta il padrone

            «Ah, non bene, signore. Non ne avrà per molto.»

            Il salottino dove il nostro giovanotto entrò era tappezzato di tela di Persia rosa, a disegni turchini. La finestra, ampia ed alta, dava sulla città e sul mare.

            Duroy mormorò: «Capperi che lusso, qui, per una casa di campagna. Ma dove diavolo li prendono tanti quattrini

            Un fruscio di vesti lo fece voltare.

            La signora Forestier gli tese entrambe le mani: «Com'è stato gentile, com'è stato gentile a venire!»

            E improvvisamente gli diede un bacio. Poi rimasero a guardarsi.

            Era un po' pallida, un po' dimagrita, ma ancora fresca, e forse ancor più attraente con quel suo aspetto più fragile.

            «È diventato insopportabile,» gli disse. «Si sente condannato, e mi tiranneggia in modo atroce. Gli ho detto del suo arrivo. Ma la sua valigia dov'è?»

            Duroy rispose: «L'ho lasciata alla stazione, non sapendo quale albergo lei m'avrebbe consigliato per esserle vicino.»

            La signora Forestier esitò, poi disse: «Lei alloggerà qui, nella villa. La sua stanza, del resto, è già pronta. Charles può morire da un momento all'altro, e se succedesse di notte, mi troverei sola. Manderò a prendere i suoi bagagli

            «Come crededisse lui inchinandosi.

            «Adessodisse lei, «saliamo

            La seguì. La signora Forestier aprì una porta al primo piano, e Duroy scorse vicino a una finestra, seduto su una poltrona e avvolto nelle coperte, livido nel riverbero rosso del tramonto, una specie di cadavere che stava fissandolo. Più che riconoscerlo, indovinò ch'era il suo amico.

            La stanza era piena d'un sentor di febbre, di tisana, d'etere, di catramina, l'indefinibile e pesante tanfo delle stanze dove respira un tisico.

            Forestier abbozzò un gesto lento e stanco con la mano.

            «To', sei qui?» disse. «Sei venuto per vedermi morire? Te ne sono grato

            Duroy simulò un sorriso: «Vederti morire? Non sarebbe uno spettacolo divertente, e avrei certo scelto un'altra occasione per veder Cannes. Sono venuto per salutarti e per riposarmi un poco.»

            L'altro mormorò: «Siediti

            E abbassò il capo come se fosse immerso in desolate meditazioni.

            Aveva il respiro frequente, affannoso, e ogni tanto lasciava udire come un gemito, quasi intendesse far notare agli altri quanto fosse malato.

            Accortasi che il marito se ne sarebbe rimasto zitto, la signora Forestier s'avvicinò alla finestra, e disse a Duroy indicando il panorama con un moto del capo: «Guardi quant'è bello

            Di fronte a loro, il pendio cosparso di ville digradava fino alla città, adagiata sul litorale a mezzaluna con il capo, a destra, verso la gettata a piè della città vecchia dominata dall'antica torre, e i piedi, a sinistra, verso la punta della Croisette, dirimpetto alle isole Lérins. Isole che parevano due macchie verdi sullo specchio d'acqua azzurrissimo, quasi due immense foglie galleggianti, tanto sembravano piatte, viste così dall'alto.

            E laggiù, lontano lontano a chiuder l'orizzonte dall'altra parte del golfo, in alto sulla gettata e sulla torre, una lunga catena di monti azzurrini stagliava su un cielo smagliante una linea bizzarra e bellissima di cime ora tondeggianti, ora uncinate, ora aguzze, che finiva in un gran monte a piramide con la base tuffata nel mare aperto.

            La signora Forestier disse, indicandolo col dito: «È l'Estérel

            Il cielo, dietro le vette cupe, era rosso, d'un rosso color sangue e oro che l'occhio non riusciva a sostenere.

            Duroy, senza volerlo, era soggiogato dalla grandiosità di quel tramonto.

            Mormorò, non trovando altre parole più immaginose per esprimere la propria ammirazione:

            «Oh, è davvero formidabile

            Forestier alzò il capo verso la moglie e disse:

            «Fammi respirare una boccata d'aria

            «Stai attento,» gli rispose, «è tardi, il sole è sotto, prenderai ancora freddo e non ti farà certo bene nelle tue condizioni

            Lui fece con la destra un fiacco gesto d'impazienza che avrebbe voluto essere un pugno, e mormorò con una smorfia di collera, una smorfia da moribondo che metteva in risalto le labbra affilate, le guance smunte e le ossa sporgenti: «Ti dico che soffoco. Che t'importa ch'io muoia un giorno prima o un giorno dopo? Tanto son fottuto...»

            Lei spalancò la finestra.

            La folata d'aria che entrò colse di sorpresa tutti e tre, come una carezza. Era un'arietta molle, tiepida, mite, una brezza primaverile già tutta impregnata degli aromi emanati dagli arbusti e dai fiori dall'inebriante profumo che nascono sulla pendice. Vi sentivi il frizzante delle resine, l'amarognolo degli eucalipti.

            Forestier beveva quell'aria con un ansare precipitoso e febbrile. Affondò le unghie nei braccioli della poltrona, e disse con voce bassa, sibilante, stizzita: «Chiudi quella finestra. Mi sento stringere il cuore. Preferirei morire in una cantina

            Sua moglie chiuse la finestra lentamente, poi restò a fissare un punto lontano, con la fronte appoggiata al vetro.

            Duroy, imbarazzato, avrebbe voluto dir qualcosa all'infermo, rassicurarlo.

            Ma non riusciva a trovar nulla che potesse confortarlo.

            Balbettò: «E così, va sempre eguale, da che sei qua?»

            L'altro alzò le spalle, con sconsolata insofferenza, e rispose: «Lo puoi veder da te.»

            E abbasso' di nuovo il capo.

            Duroy riprese: «Cribbio, si sta veramente bene, qui, rispetto a Parigi. siamo ancora in pieno inverno. Nevica, grandina, piove, e già alle tre è buio e bisogna accendere il lume

            Forestier domandò: «Che c'è di nuovo al giornale

            «Nulla. Per sostituirti hanno preso Lacrin, un giovane che proviene dal Voltaire; ma è ancora immaturo. È ora che tu ritorni

            Il malato balbettò: «Io? Io, adesso, i miei articoli andrò a scriverli sei piedi sottoterra

            L'idea fissa della morte tornava in lui, a proposito e a sproposito, come un avvertimento, faceva di continuo capolino in ogni suo pensiero, in ogni sua parola.

            Vi fu un lungo silenzio; un silenzio penoso e profondo. Il rogo del tramonto andava placandosi lentamente; e i monti si facevan neri sul cielo rosso che s'incupiva. Una colorata penombra, un principio di notte ancor pieno di bagliori come d'un braciere morente entrava nella stanza, sembrava tingere i mobili, le pareti, la tappezzeria, ogni angolo con tonalità d'inchiostro e di porpora. Lo specchio del caminetto rifletteva l'orizzonte, e pareva una placca di sangue.

            La signora Forestier non si era mossa, sempre in piedi, le spalle volte alla camera e la fronte appoggiata al vetro.

            Forestier prese a parlare con voce rotta, affannosa, straziante: «Quanti tramonti potrò ancora vedere?... Otto... dieci... una quindicina o una ventina... forse trenta, ma non di più... Voi avete tempo, voialtri... Per me è finita... E tutto continuerà come prima... dopo di me... come se ci fossi ancora...»

            Rimase muto per qualche istante, poi aggiunse: «Tutto ciò che vedo mi ammonisce che fra qualche giorno non lo vedrò più... È orribile... Non vedrò più nulla... nulla di quanto esiste... le cose più insignificanti che maneggiamo ogni giorno... i bicchieri... i piatti... i letti dove si riposa così bene.... le carrozze. È così bello passeggiare in carrozza, la sera... Come mi piaceva, tutto questo.»

            Batteva le dita con un lieve moto nervoso sui braccioli della poltrona, come se stesse suonando il piano. E i suoi silenzi erano più penosi delle sue parole, lasciando chiaramente intendere lo sgomento dei suoi pensieri.

            Duroy, d'un tratto, si ricordò quanto gli aveva detto Norbert de Varenne, poche settimane prima: «Io, adesso, vedo la morte così vicina, che spesso mi verrebbe voglia d'allungare un braccio per spingerla indietro... La scopro dovunque. Le bestiole schiacciate lungo le rotabili, le foglie che cadono, il pelo bianco scorto nella barba dell'amico, tutto mi strazia il cuore e mi grida in faccia: "Eccola!"»

            Quel giorno non aveva capito, capiva adesso guardando Forestier. E un'angoscia mai provata, un'angoscia atroce s'impossessava di lui, come se la morte, in tutto il suo orrore, se la fosse sentita vicinissima, a portata di mano sulla poltrona dove stava boccheggiando quell'uomo. E gli veniva voglia di alzarsi, d'andarsene, di svignarsela, di tornar subito a Parigi! Oh, se avesse immaginato, non sarebbe venuto di certo.

            Il buio aveva ormai invaso la stanza come un drappo funebre calato in anticipo sul moribondo. Soltanto la finestra era ancora visibile, nel cui riquadro si profilava, immobile, la figurina della giovane signora.

            Irritato, Forestier domandò: «Be', non usa più accendere il lume, stasera? Bel modo di curare un malato

            L'ombra del corpo che si stagliava sui vetri scomparve, e nella casa sonora d'echi s'udì il trillo d'un campanello elettrico.

            Subito entrò un domestico con un lume che posò sul caminetto. La signora Forestier disse al marito: «Vuoi coricarti, o vieni giù a cena

            «Vengo giùdisse lui.

            In attesa del pasto, per un'altr'ora buona, dovettero restarsene inerti, tutti e tre, scambiandosi appena, di quando in quando, una parola, una parola qualsiasi, inutile, banale, quasi ci fosse un qualche pericolo, un oscuro pericolo, nel lasciar durare troppo a lungo quel silenzio, nel lasciar ristagnare l'aria muta della stanza, di quella stanza dove s'aggirava la morte.

            La cena finalmente fu pronta. A Duroy parve lunghissima, interminabile. Nessuno parlava, mangiavano senza far rumore, sbriciolando il pane con la punta delle dita. Il domestico serviva, camminava, andava e veniva senza che se ne udisse il passo, giacché per non urtare Charles con lo struscio delle suole s'era messo in pantofole. Soltanto il secco tic tac d'un orologio di legno turbava la quiete delle mura con ritmo meccanico e regolare.

            Appena finito di mangiare, Duroy, con la scusa ch'era stanco, si ritiro in camera sua, e affacciato alla finestra si mise a contemplare la luna piena che, sospesa in cielo come il globo d'un enorme lume, gettava sui muri bianchi delle ville il suo chiarore arido e velato, e cospargeva il mare di squame di luce, d'una luce mobile e dolce.

            Cercava mentalmente una scusa qualunque per andarsene al più presto, magari ricorrendo a qualche sotterfugio, inventando un telegramma, una chiamata di Walter.

            Ma l'indomani, come si svegliò, capì subito quanto fosse inattuabile ogni suo proposito di fuga. La signora Forestier avrebbe mangiato la foglia, e così, per pusillanimità, lui avrebbe perso tutti i vantaggi venutigli dalla sua devozione. Pensò: «È una bella scocciatura, ma pazienza. La vita non e sempre rose e fiori. Eppoi, mica dovrebbe andar troppo per le lunghe

            Il cielo era azzurro, di quell'azzurro mediterraneo che colma il cuore di gioia; e Duroy scese fino al mare, pensando che per veder Forestier ci sarebbe sempre stato tempo in giornata.

            Quando tornò per la colazione, il domestico gli disse:

            «Il signore ha già cercato di lei due o tre volte. Se vuol salir da lui.»

            Salì. Forestier sembrava addormentato su una poltrona. Sua moglie leggeva, sdraiata sul divano.

            Il malato alzò il capo. Duroy domandò: «Be', come va? Mi sembri in gamba, stamani

            L'altro mormorò: «Sì, va meglio. Ho ripreso un po' di forze. Sbrigati a far colazione con Madeleine, andremo a fare un giro in carrozza

            La giovane signora, come fu sola con Duroy; gli disse:

            «Già, oggi si crede fuori pericolo. È da stamani che fa progetti. Andremo fino al Golfo di Juan a comprar delle ceramiche per il nostro appartamento di Parigi. Vuole uscire a tutti i costi, ma ho una gran paura che gli succeda qualcosa. Non tollererà le scosse della strada

            Giunto il landò, Forestier scese facendo un gradino per volta, sorretto dal domestico. E appena scorse la carrozza, volle che si abbassassero i mantici.

            La moglie s'opponeva: «Ma prenderai freddo, è una pazzia

            «No,» si ostinò lui, «sto meglio. Lo sento bene

            Passaron dapprima per quelle stradine ombrose, tutte fiancheggiate di giardini, che fanno di Cannes una specie di parco all'inglese, poi raggiunsero la rotabile d'Antibes, lungomare.

            Forestier illustrava il paesaggio. Indicò la villa del conte di Parigi. Disse il nome di altre. Era, allegro, d'un'allegria voluta, fittizia e stentata di condannato. Alzava l'indice, non avendo la forza di sollevare il braccio.

            «Guarda, ecco l'isola di Santa Margherita e il castello da dove è evaso Bazaine. Quante ce ne hanno date a bere, con quella faccenda

            Poi gli venne a mente quand'erano sotto le armi, e fece il nome d'alcuni ufficiali che ricordaron loro certe storie. Ma a una svolta improvvisa della strada apparve in pieno il Golfo di Juan col paesotto bianco in fondo e la punta d'Antibes all'altro capo. E Forestier, preso da un'improvvisa gioia infantile, balbettò: «La squadra navale, ora vedrai la squadra navale

            Nell'ampia baia, infatti, si scorgeva una mezza dozzina di poderose navi che parevano rupi irte d'alberi. Bizzarre, deformi, enormi, tutte protuberanze, torri; speroni che si immergevano come se volessero abbarbicarsi sott'acqua.

            Non si capiva come potessero spostarsi, muoversi, tanto apparivano pesanti e radicate sul fondo. Una batteria galleggiante, rotonda, alta, a forma d'osservatorio, somigliava a certi fari costruiti sopra uno scoglio.

            Un grosso trealberi stava passando vicino a quegli scafi per prendere il largo, con tutte le sue bianche e festose vele spiegate. Pareva più che mai bello ed elegante, accanto a quei mostri di guerra, mostri d'acciaio, orrendi mostri accovacciati sul mare.

            Forestier si sforzava di riconoscere le navi ad una ad una. Ne diceva il nome: il Colbert, il Suffren, l'Amiral-Duperré, il Redoutable, la Dévastation, per poi correggersi: «No, mi sbaglio, la Dévastation è quell'altra.»

            Giunsero davanti a una specie di grande padiglione dove si leggeva: «Ceramiche artistiche del Golfo di Juan», e la carrozza, dopo aver aggirato un praticello, si fermò davanti alla porta.

            Forestier voleva comprar due vasi da mettere sulla libreria. Poiché non gli era troppo agevole scendere, gli portarono a far vedere tutti i modelli, l'un dopo l'altro. Stette un bel po' a scegliere, consigliandosi con la moglie e con Duroy: «Sai, sono per il mobile in fondo allo studio. Dalla mia poltrona me lo vedo sempre davanti agli occhi. Vorrei una forma antica, una forma greca

            Esaminava i campioni, se ne faceva portar degli altri, tornava ai primi. Alla fine si decise; pagò, e ordinò che fosse fatta subito la spedizione.

            «Sarò a Parigi fra giornidisse.

            Tornarono, ma lungo il golfo li investì una corrente d'aria gelida sbucata a un tratto dalla gola d'un valloncello, e l'infermo prese a tossire.

            per parve una cosa da nulla, una crisi leggera; ma invece quella tossetta crebbe, si trasformò in un accesso ininterrotto, poi in una specie di singulto, di rantolo.

            Forestier soffocava, e ogni volta che tentava di respirare, la tosse, scaturendo dalle profonde cavità del petto, gli squarciava la gola. Nulla valse a calmarla, a sedarla. Dovettero trasportarlo di peso dal landò in camera, e Duroy, che lo reggeva per la gambe, sentiva gli schianti dell'insulto scuotergli i piedi ad ogni contrazione dei polmoni.

            Il calore del letto non placò l'accesso, che si protrasse fino a mezzanotte; poi i narcotici, finalmente, sopirono gli spasmi mortali della tosse. E il malato rimase fino all'alba con gli occhi aperti, seduto sul letto.

            Le prime parole che pronunciò furono per chiedere il barbiere, perché ci teneva a farsi radere ogni mattina. Si alzò apposta, ma dovettero rimetterlo subito a letto, e la respirazione gli si fece così frequente, così faticosa, così dolorosa che la signora Forestier, spaventata, fece svegliare Duroy, coricatosi allora allora, per pregarlo d'andare a chiamare il medico.

            Tornò quasi subito col dottor Gavaut, che prescrisse una pozione e diede qualche consiglio, dicendo però al giornalista che stava riaccompagnandolo per chiedergli il suo parere: «È l'agonia. Non arriverà a domattina. Avverta la povera signora e mandi a chiamare un prete. Io, la mia parte, l'ho fatta. Comunque, resto a vostra completa disposizione

            Duroy fece chiamare la signora Forestier: «È in punto di morte. Il dottore consiglia di chiamare un prete. Che vuol fare?»

            Lei esitò a lungo, poi, con voce lenta, dopo aver vagliato bene ogni cosa, rispose: «Sì, è meglio... tutto considerato... Io vo a preparano, gli dirò che il parroco vuol fargli una visita... Insomma, qualcosa inventerò. Sia così gentile d'andarmene a cercare uno, di preti, e me lo scelga ammodo. Prenda un prete che non faccia troppo lo smorfioso. Che si contenti della confessione e ci risparmi il resto

            Il nostro giovanotto tornò con un vecchio sacerdote compiacente, che si prestava volentieri. Appena questi entrò nella camera dell'agonizzante, la signora Forestier uscì, e andò a sedersi con Duroy nella stanza attigua.

            «È rimasto sconvoltodisse. «Appena gli ho accennato al prete, ha fatto una faccia da metter paura... come... come se avesse subodorato... sentito... Un'ispirazione... capisce... ha compreso ch'era la fine, insomma, e che ormai aveva le ore contate...»

            Era pallidissima. Riprese: «Non dimenticherò mai l'espressione di quel volto. Son certa che in quel momento ha visto in faccia la morte. L'ha vista...»

            Udivano il prete che stava parlando a voce piuttosto alta, essendo un po' sordo, e che diceva:

            «Ma no, ma no, lei non è mica così grave. È ammalato, ma non in pericolo. Prova ne sia che son venuto qui come amico, come vicino.»

            Non distinsero la risposta di Forestier. Il vecchio sacerdote proseguì: «No, non san venuto per farle far la comunione. Di questo riparleremo quando starà bene. Ma se vuole approfittare della mia visita per confessarsi, io non chiedo di meglio. Sono un pastore, io, e colgo tutte le occasioni per ricondurre le mie pecorelle all'ovile

            Seguì un silenzio. Forse stava parlando Forestier, con la sua voce ansante e afona.

            Poi, d'improvviso, con tutt'altro tono, il tono dell'officiante all'altare, il sacerdote disse:

            «La misericordia di Dio è infinita, reciti il Confiteor, figliolo mio. Forse l'ha dimenticato. L'aiuterò io. Ripeta con me: Confiteor Deo omnipotenti... Beatae Mariae semper Virgini...»

            Ogni tanto si fermava perché il moribondo non restasse indietro. Poi gli disse: «Adesso si confessi...»

            La giovane signora e Duroy rimasero immobili, colti da uno strano turbamento, imbambolati in un'ansiosa attesa.

            L'infermo aveva mormorato qualcosa. Il prete ripeté:

            «Ha ceduto a lusinghe riprovevoli... di che natura, figliolo mio?»

            La giovane signora si alzò, e si limitò a dire: «Scendiamo un poco in giardino. Non è bello ascoltare i suoi segreti

            E andarono a sedersi su una panchina, davanti alla porta, sotto un rosaio fiorito e vicini a un cespo di garofani che spandeva nell'aria pura un profumo acuto e molle.

            Dopo qualche attimo di silenzio, Duroy domandò:

            «Tarderà molto a tornare a Parigi

            «Oh no,» rispose lei, «verrò giù appena sarà finito tutto.»

            «Fra una diecina di giorni

            «Sì, al massimo

            Lui riprese:

            «Charles non ha nessun parente

            «Nessuno, tranne qualche cugino. Suo padre e sua madre son morti ch'era ancor giovanissimo

            Guardavan tutti e due una farfalla che suggeva la propria vita dai garofani, andando dall'uno all'altro con un rapido batter d'ali che continuavano a palpitare lente anche quando s'era posata sul fiore. E rimasero a lungo silenziosi.

            Il domestico venne ad avvertirli che «il reverendo»aveva finito, ed essi risalirono insieme.

            Forestier sembrava ancor più magro del giorno prima. Il prete gli teneva una mano: «Arrivederci, figliolo, tornerò domattina

            E se n'andò.

            Appena fu uscito, il moribondo, che ansimava, cercò di sollevar le mani verso la moglie, e barbugliò:

            «Salvami... salvami... cara... non voglio morire... non voglio morire... Oh, salvami... Ditemi che devo fare, chiamate il dottore... Prenderò tutto quel che vorrà... Non voglio... Non voglio.»

            Piangeva. Grosse lacrime gli solcavano le guance smunte; e la bocca affilata gli si piegava agli angoli come quella dei bambini crucciati.

            Abbandonate le mani sul letto, cominciò a muoverle come per cercar qualcosa sulle lenzuola, un moto continuo, lento, monotono.

            La moglie, ché s'era messa a piangere anche lei, balbettò:

            «Ma no, non è nulla. È una crisi passeggera, domani starai meglio. Ti sei strapazzato con quella passeggiata di ieri

            Il respiro di Forestier era più rapido di quello d'un cane dopo una rincorsa, così frequente da non poterlo misurare, e così debole da udirlo appena.

            Continuava a ripetere: «Non voglio morire!... Oh, mio Dio... mio Dio... mio Dio... Che sarà di me? Non vedrò più nulla.. più nulla... mai più... Oh, mio Dio

            Guardava davanti a sé qualcosa d'invisibile agli altri, qualcosa d'orrendo, e i suoi occhi sbarrati rispecchiavano il terrore. Le mani continuavano lo stesso moto raccapricciante e insostenibile.

            D'un tratto fu scosso un brivido improvviso che lo si vide corrergli per tutto il corpo, e balbettò: «Il cimitero... io... Dio mio!...»

            E non parlò più. Se ne stava immobile, stravolto, ansante.

            Il tempo passava. Suonò mezzogiorno all'orologio d'un convento vicino. Duroy uscì di camera per andare a mangiare un boccone. Tornò un'ora dopo. La signora Forestier non volle prender nulla. Il malato non s'era mosso. Continuava a raspar con le dita ossute sul lenzuolo, come per tirarselo sul volto.

            La giovane signora era seduta su una poltrona, ai piedi del letto. Duroy ne occupò un'altra accanto a lei, e attesero in silenzio.

            Era venuta un'infermiera, mandata dal medico. Stava sonnecchiando vicino alla finestra.

            Anche Duroy cominciava ad appisolarsi, quand'ebbe l'impressione che qualcosa stesse accadendo. Aprì gli occhi appena in tempo per veder Forestier chiudere i suoi come due lumi che si spengono. Un lieve rantolo scosse la gola del moribondo, e due fili di sangue apparvero ai lati della bocca, poi gli colaron giù sulla camicia. Le sue mani interruppero il loro terrificante passeggio. Non respirava più.

            La moglie comprese, e gettando un grido, cadde in ginocchio singhiozzando sul lenzuolo. Georges, sorpreso e sgomento, si fece macchinalmente il segno della croce. L'infermiera, svegliatasi, s'avvicinò al letto e disse: «È andato

            E Duroy, che aveva riacquistato il proprio sangue freddo, mormorò con un sospiro di liberazione: «È durata meno di quanto credessi

            Passato il primo istante di smarrimento, e versate le prime lacrime, s'occuparono di tutte le faccende, di tutte le pratiche che impone la morte d'una persona. Duroy corse di qua e di fino a buio.

            Aveva una gran fame, quando tornò. Anche la signora Forestier prese qualcosa, poi si sistemarono entrambi nella camera del morto, per vegliarlo.

            Due candele ardevano sul comodino accanto a un piatto con un po' d'acqua benedetta in cui era immerso un ramoscello di mimosa, non essendo stato possibile trovare il ramo d'olivo che ci sarebbe voluto.

            Georges e la giovane signora erano soli, accanto a lui che non era più. Se ne stavano zitti, pensierosi, e lo guardavano.

            Georges, turbato dalla penombra, vicino al cadavere, lo fissava insistentemente. Attratto, affascinato da quel viso scarno, reso ancor più incavato dalla luce tremolante, non riusciva a distoglier gli occhi e la mente. Eccolo , il suo amico, Charles Forestier, che ancora ieri gli parlava! Che strana e spaventosa cosa la fine totale d'un essere umano. Oh, come se le ricordava bene, adesso, le parole di Norbert de Varenne, ossessionato dalla paura della morte: «Nessuno ritorna, mai.» Sarebbero nati milioni e miliardi d'uomini, pressoché simili, con due occhi, un naso, una bocca, un cranio, delle idee in quel cranio, ma mai sarebbe tornato quello che ora giaceva in quel letto.

            Per alcuni anni aveva vissuto, mangiato, riso, amato, sperato come ogni altro. Ed era finita, per lui, finita per sempre. Una vita! qualche giorno, e poi più nulla! Si nasce, si cresce, si è felici, si aspetta, poi si muore. Addio! uomo o donna, tu non tornerai più sulla terra! Eppure, ciascun di noi porta in sé una nostalgia febbrile e inattuabile d'eternità, ciascun di noi è una specie d'universo nell'universo, e ciascun di noi s'annienta ben presto e completamente in un immondezzaio di germi nuovi. Le piante, gli animali, gli uomini, le stelle, i mondi, tutto si anima e poi muore per trasformarsi. E mai una sola cosa creata che torni, insetto, uomo o pianeta!

            Un terror confuso, immenso, opprimente gravava sull'animo di Duroy, il terrore del nulla sconfinato, ineluttabile, che distrugge all'infinito ogni esistenza, sempre così breve e meschina. Georges già piegava la fronte sotto la minaccia. Pensava alle mosche che vivono poche ore, agli animali che vivono qualche giorno, agli uomini che vivono qualche anno, alle altre terre dell'universo che vivono qualche secolo. Qual differenza fra gli uni e gli altri? Qualche aurora di più, tutto qua.

            Volse altrove lo sguardo per non vedere il cadavere.

            Anche la signora Forestier, a capo chino, sembrava immersa in dolorose riflessioni. I suoi capelli biondi erano così belli, sul volto triste, che una sensazione dolce come la carezza d'una speranza sfiorò il cuore del nostro giovanotto. Perché desolarsi quando aveva ancora tanti anni davanti a sé?

            Si mise a contemplarla. Lei non lo vedeva, perduta nei suoi pensieri. Georges si diceva: «Eppure c'è una cosa bella, nella vita: l'amore! Tener fra le braccia la donna amata! È il non plus ultra della felicità umana

            Com'era stato fortunato, quel morto, ad imbattersi in una compagna così intelligente e bella. Come s'erano conosciuti? Come mai aveva acconsentito, lei, a sposare quel giovane mediocre e povero? Com'era riuscita a farlo diventar qualcuno?

            Pensò a tutti i misteri celati in ogni vita. Ricordò quel che si mormorava del conte de Vaudrec che, dicevano, le aveva dato una dote e un marito.

            Che avrebbe fatto costei, adesso? Chi avrebbe sposato? Un deputato, come pensava la signora de Marelle, o qualche bel pezzo di ragazzo con un avvenire, un Forestier superiore? Aveva dei progetti, dei piani, delle idee precise? Quanto gli sarebbe piaciuto saperlo! Ma perché si preoccupava di quel che lei avrebbe fatto? Stava chiedendoselo, e s'accorse che la sua inquietudine proveniva da uno di quei pensieri non formulati e confusi, segreti, che nascondiamo a noi stessi e che scopriamo soltanto quando frughiamo in fondo al nostro animo.

            Già, perché non tentava lui stesso di conquistarla? Come si sentirebbe forte, con lei, e temibile! Come potrebbe andar lontano, alla svelta e sicuramente!

            E perché avrebbe dovuto far fiasco? Sentiva che le piaceva, che costei nutriva per lui, più che una semplice simpatia, l'affetto che nasce fra due temperamenti affini e che sta fra la reciproca attrazione e una specie di tacita complicità. Lo sapeva intelligente, risoluto, tenace; poteva aver fiducia in lui.

            Non l'aveva forse chiamato in quella circostanza così grave? E perché aveva chiamato proprio lui? Perché non vedere in ciò una sorta di scelta, una sorta di confessione, una sorta d'indicazione precisa? Se aveva pensato a lui proprio mentre stava per restar vedova, voleva dire, chissà, che già aveva in mente il suo nuovo compagno, il suo nuovo alleato!

            E fu preso dalla voglia impaziente di sapere, di interrogarla, di conoscerne le intenzioni. Sarebbe dovuto ripartire fra due giorni, non potendo restar solo con una donna giovane in quella casa. Perciò bisognava affrettarsi, bisognava, prima di tornare a Parigi, carpirne abilmente, delicatamente i progetti, e fare in modo che non ci ripensasse, che non cedesse, magari, alle sollecitazioni d'un altro, che non s'impegnasse definitivamente.

            Il silenzio, nella stanza, era profondo; si sentiva soltanto, sul caminetto, il tic tac metallico e regolare della pendola.

            Duroy mormorò:

            «Dev'esser molto stanca

            «Più che stancarispose, «mi sento molto abbattuta...»

            Le loro voci li sorpresero; suonavano strane, in quel lugubre ambiente. Entrambi posaron subito gli occhi sul volto del defunto, quasi s'aspettassero di vederlo muoversi, di sentirlo parlare, così come aveva fatto fino a poche ore prima.

            Duroy riprese:

            «Eh, è un bel colpo, per lei. Dovrà mutar vita, radicalmente. Un vero sconquasso. Per il suo cuore e per la sua intera esistenza

            Lei trasse un lungo sospiro, senza rispondere.

            Lui soggiunse:

            «È triste, per una donna giovane, trovarsi tutt'a un tratto così sola

            Poi tacque. Lei non disse nulla. Georges balbettò: «Comunque, sa il nostro patto. Può disporre di me come meglio crede. Sono a sua completa disposizione

            Lei gli tese la mano avvolgendolo in uno di quegli sguardi, mesti e dolci, che scombussolano fin nel midollo delle ossa.

            «Grazie, lei è generoso, ammirevole. Se ne avessi il coraggio, e se potessi far qualcosa in suo favore, anch'io le direi: "Conti su di me."»

            Duroy aveva preso la mano che gli era stata porta, e la teneva stretta con una gran voglia di baciarla. Infine, si risolse, e avvicinatala lentamente alla bocca, indugiò a lungo con le labbra sulla pelle fina, calda, febbricitante e profumata.

            Poi, quando gli parve che tale effusione d'affettuosa amicizia stesse prolungandosi un po' troppo, seppe lasciare a tempo quell'esile manina, che mollemente ricadde sulle ginocchia della giovane signora. Costei disse pensierosa:

            «Sì, mi troverò molto sola, ma cercherò di farmi animo.»Lui non sapeva in che modo lasciarle intendere che sarebbe stato felice, arcifelice d'averla a sua volta per moglie. Certo, non era quello né il momento né il luogo per dirglielo, davanti a quel morto; ma poteva tuttavia, così gli sembrava, trovare una di quelle frasi ambigue, adeguate alla circostanza e circonvolute, che coi loro reconditi sensi, e le calcolate reticenze, riescono ad esprimere tutto quanto ci sta a cuore.

            Ma lo metteva a disagio il cadavere, quel corpo rigido steso davanti a loro, e che lui sentiva posto fra di loro. Già da un poco, poi, gli pareva di percepire nell'aria chiusa della stanza un sentore equivoco, un alito mefitico proveniente da quella carne già in decomposizione, la prima esalazione di carogna che i poveri morti, adagiati nel loro letto, esalano sui parenti che li vegliano, lezzo orrendo che colmerà presto il vuoto della bara.

            Duroy chiese:

            «Si potrebbe aprire un po' la finestra? Ho l'impressione che l'aria sia viziata

            «Oh sì,» rispose lei. «Me n'ero accorta anch'io.»

            Duroy andò ad aprir la finestra. L'effluvio fresco e profumato della notte entrò nella stanza, facendo vacillar le fiammelle delle due candele accese accanto al letto. Come la sera prima, la luna effondeva il suo chiarore pieno e tranquillo sui muri bianchi delle ville e sul lucido specchio del mare. Duroy, respirando a pieni polmoni, si sentì pervaso da un'improvvisa speranza, da un fremito di prossima felicità che sembrava avergli messo le ali.

            Si voltò e disse: «Venga a prendere un po' di fresco, è una notte incantevole

            S'avvicinò calma e s'affacciò anche lei, vicino a lui.

            Duroy mormorò allora, a bassa voce: «Mi stia bene a sentire, e cerchi di capir quel che vorrei dirle. Soprattutto non s'offenda se le parlo di queste cose in un momento simile, ma domani dovrò lasciarla, e quando lei sarà tornata a Parigi, forse sarà troppo tardi. Ecco... Io non sono che un povero diavolo squattrinato e che deve ancora farsi, lei lo sa, una posizione. Ma ho buona volontà, una certa intelligenza, almeno credo, e sono sulla buona strada. Con un uomo già arrivato, si sa dove si casca; ma con uno che comincia, si ignora dove questi andrà a finire. Tanto peggio. O tanto meglio, chissà. Insomma, una volta le dissi, a casa sua, che il mio più bel sogno sarebbe quello di sposare una donna come lei. Le ripeto oggi quel mio desiderio. Non mi risponda nulla. Mi lasci continuare. Non le sto facendo una richiesta. Il luogo e il momento la renderebbero odiosa. Voglio soltanto che lei non ignori che potrebbe farmi felice con una parola, che lei può far di me un amico fraterno come anche un marito, a suo piacimento; che il mio cuore e la mia persona sono a sua disposizione. Non voglio una risposta adesso; anzi, voglio che qui non se ne parli più. Quando ci rivedremo a Parigi, allora cercherà di farmi comprendere la sua decisione. Fino a quel momento, acqua in bocca, intesi

            Aveva fatto tutto questo discorso senza guardarla, come gettando le sue parole nel buio della notte, davanti a sé.

            E lei pareva che non avesse udito nulla, rimasta immobile a guardar come lui nel vuoto, a fissar vagamente il pallido paesaggio sotto il plenilunio.

            Rimasero a lungo a fianco a fianco, gomito contro gomito, silenziosi e pensierosi.

            «Fa piuttosto freddomormorò infine lei. E, voltatasi, tornò presso il letto, seguita da lui.

            Nell'avvicinarsi, Duroy sentì che il corpo di Forestier cominciava davvero a mandar cattivo odore; e scostò la poltrona, giacché non avrebbe sopportato a lungo quel sentor di putredine. Disse: «Bisognerà metterlo nella cassa, appena è giorno

            «Sì, certo,» rispose lei. «Il falegname sarà qui verso le otto.»

            E avendo sentito Duroy sospirare: «Povero figliolo», anche lei trasse un lungo, accorato sospiro di rassegnazione.

            Adesso lo guardavano meno spesso, già assuefatti all'idea della sua morte, già accettando col pensiero quella scomparsa contro la quale, pur poco prima, si ribellavano offesi nel profondo, creature mortali anche loro.

            Non parlavano più, continuavano a vegliare per convenienza, senza dormire. Ma verso mezzanotte, per primo; Duroy si assopì. Svegliatosi, e accortosi che la signora Forestier stava sonnecchiando anche lei, prese una posizione più comoda e brontolò, chiudendo di nuovo gli occhi: «Cribbio, però si sta meglio fra le proprie lenzuola

            A un rumore improvviso diede uno scossone. Era entrata l'infermiera. Era già giorno. La giovane signora, sulla poltrona di fronte alla sua, sembrava non meno sorpresa. Era un poco pallida, ma sempre bella, fresca, avvenente, nonostante la nottata trascorsa senza coricarsi.

            Data un'occhiata al cadavere, Duroy sussultò esclamando: «Uh, la barba

            In poche ore, infatti, la barba aveva raggiunto, su quella carne in via di decomposizione, la lunghezza ch'essa può raggiungere soltanto dopo qualche giorno sul volto d'una persona viva. E rimasero sbigottiti, al cospetto di quella persistente forma di vita sul morto, come davanti a un raccapricciante prodigio, a una soprannaturale minaccia di resurrezione, a uno di quei fatti anormali, spaventosi, che sconvolgono e confondon la mente.

            Andaron tutti e due a riposare fino alle undici. Poi misero Charles nella bara, e si sentirono subito alleggeriti, rasserenati.

            Si sedettero l'un di fronte all'altro per la colazione, e furono presi da un rinato desiderio di parlar di cose consolanti e più allegre, di ritornare alla vita, avendo ormai saldato i conti con la morte.

            Dalla finestra spalancata entrava il mite tepore della primavera, recando l'alito profumato del cespo di garofani fiorito davanti alla porta.

            La signora Forestier propose a Duroy di fare un giretto in giardino, e presero a camminar pian piano intorno al praticello, aspirando voluttuosamente l'aria temperata, odorosa d'abeti e di eucalipti.

            D'un tratto lei prese a parlargli, senza voltarsi a guardarlo, così come aveva fatto lui, su in camera, durante la notte.

            «Mi ascolti, mio carodisse pronunciando lentamente le parole, a bassa voce, seria. «Ho già riflettuto.... molto... sulla sua proposta, e non voglio lasciarla partire senza averle risposto almeno una parola. Non le dirò, d'altronde, né un sì né un no. Aspetteremo, vedremo, ci conosceremo meglio. Rifletta, e molto, anche lei. Non obbedisca a un troppo facile entusiasmo. Se le parlo di questo adesso, ancor prima che il povero Charles sia disceso nella tomba, lo fo perché è necessario che lei, dopo quanto m'ha detto, sappia bene chi sono io, e non accarezzi più a lungo l'idea che m'ha espresso se... se non si sente capace di capirmi e di sopportarmi. Mi comprenda bene. Il matrimonio, per me, non è una catena, ma un'associazione. Io intendo esser libera, pienamente libera delle mie azioni, delle mie iniziative, di uscir quando voglio, sempre. Non sopportereicontrolligelosiediscussioni sulla mia condotta. Mi impegnerei, questo è ovvio, a non comprometter mai il buon nome dell'uomo da me sposato, a non renderlo mai odioso o ridicolo. Ma quest'uomo dovrebbe a sua volta impegnarsi a vedere in me una sua eguale, un'alleata, e non già un'inferiore o una sposa obbediente e sottomessa. Le mie idee, lo so, non son quelle accettate da tutti, ma non potrei cambiarle. Ecco. E aggiungerò anch'io: non mi risponda nulla, sarebbe inutile e intempestivo. Ci rivedremo e, forse, ne riparleremo più in . Ora, vada a far due passi. Io torno da lui. A stasera

            Duroy le baciò a lungo la mano e se n'andò senza dire una parola.

            La sera si rividero soltanto a tavola. Poi salirono nelle loro camere, rotti com'erano dalla stanchezza.

            Charles Forestier fu sepolto l'indomani, senza nessuna pompa, nel cimitero di Cannes. E Georges Duroy decise di prendere il rapido per Parigi dell'una e mezzo.

            La signora Forestier l'aveva accompagnato alla stazione. Passeggiarono tranquilli sul marciapiede, aspettando l'ora della partenza, e parlarono del più e del meno.

            Il treno arrivò, corto corto, un vero rapido di soli cinque vagoni.

            Il nostro giornalista si scelse un posto, poi ridiscese per parlare ancora un poco con lei, preso da una subitanea malinconia, da una pena, da una nostalgia violenta come se dovesse lasciarla per sempre.

            Un ferroviere gridava: «È in partenza il rapido per Marsiglia, Lione, Parigi. Signori, in carrozza

            Duroy salì, poi s'affacciò al finestrino per dirle ancora qualche parola. La locomotiva fischiò, e il convoglio si mise lentamente in moto.

            Il nostro giovanotto, sporgendosi, guardava la giovane signora che, immobile sul marciapiede, lo seguiva con lo sguardo. E d'un tratto, un attimo prima di perderla di vista, si posò entrambe le mani sulla bocca e le lanciò un bacio.

            Lei glielo restituì con un gesto più discreto, appena appena abbozzato.

 


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