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II
I Duroy erano tornati a Parigi da due giorni, e il nostro giornalista aveva ripreso l'usato lavoro in attesa di lasciare gli echi di cronaca per assumere definitivamente le mansioni di Forestier e darsi anima e corpo alla politica.
Felice come una Pasqua, quella sera stava rincasando per la cena nell'appartamento del suo predecessore, e più che mai vivo era in lui il desiderio d'abbracciar presto la moglie, della quale subiva fortemente il fascino fisico e l'inavvertito dominio. Passando davanti a un fioraio, in fondo a Rue Notre-Dame-de-Lorette, pensò di comprare un mazzo di fiori per Madeleine, e prese un grosso fascio di rose appena dischiuse, un cartoccio di profumati boccioli.
Ad ogni piano della sua nuova scala, si guardava compiaciuto in quegli stessi specchi che gli ricordavano di continuo il suo primo ingresso in quella casa.
Avendo dimenticato la chiave, suonò, e venne ad aprirgli il medesimo domestico di prima, tenuto, anche quello, per suggerimento della moglie.
Georges domandò: «La signora è tornata?»
«Sì, signore.»
Ma nell'attraversar la sala da pranzo rimase molto sorpreso scorgendo la tavola apparecchiata per tre e, nel salotto attiguo, dato che la portiera era alzata, Madeleine intenta a disporre in un vaso del caminetto un fascio di rose identico al suo. Rimase contrariato, scontento, come se l'avessero defraudato della sua idea, della sua attenzione e di tutto il piacere che se n'era ripromesso.
Domandò entrando; «Hai invitato qualcuno?»
Senza voltarsi, e continuando a mettere a posto i fiori:
«Sì e no,» rispose lei. «È il mio vecchio amico il conte de Vaudrec, avvezzo a cenar qua ogni lunedì; verrà come ha sempre fatto in passato.»
Georges mormorò: «Ah, benissimo.»
Era rimasto in piedi alle spalle di lei, col mazzo in mano e con una gran voglia di nasconderlo, di buttarlo via. Peraltro disse: «Tieni, t'ho portato delle rose!»
Lei si voltò di scatto, tutta sorridente, gridando:
«oh, che pensiero carino, il tuo.»
E gli tese le braccia e la bocca in uno slancio di gioia così sincero che lui se ne sentì consolato.
Prese i fiori, ne aspirò il profumo e, con la vivacità d'una bambina felice, li pose nel vaso rimasto vuoto di fronte al primo. Poi mormorò, contemplando l'effetto:
«Come son contenta! Ora sì che il mio caminetto è a posto.»
E aggiunse quasi subito, con accento convinto:
«Sai, è simpaticissimo, Vaudrec, diventerete subito amici intimi.»
Una scampanellata annunziò il conte. Entrò tranquillo, molto disinvolto, come se fosse a casa sua. Dopo aver baciato galantemente le dita della giovane signora, si volse verso il marito e gli tese la mano con cordialità, domandando: «Come sta, mio caro Du Roy?»
Non aveva più l'aspetto sostenuto, contegnoso di prima, ma un'aria affabile che lasciava capire come la situazione fosse ormai cambiata. Il nostro giornalista, sorpreso, cercò d'esser gentile per corrispondere a quei primi approcci. Dopo cinque minuti, pareva che si conoscessero e si volessero un bene dell'anima da una decina d'anni.
Madeleine, raggiante in viso, disse: «Vi lascio soli. Devo dare un'occhiata in cucina.»
E scappò via, seguita dallo sguardo dei due uomini.
Quando tornò, lì trovò che stavano parlando di teatro, a proposito d'una nuova commedia, e i loro pensieri collimavano talmente da accender nei loro occhi come la luce di un'improvvisa amicizia, scaturita dalla scoperta della loro assoluta comunanza d'idee.
La cena fu deliziosa, tutta intima e cordiale; e il conte si trattenne fino a molto tardi, tanto si sentiva nel suo in quella casa, fra quella nuova coppia così simpatica.
Appena se ne fu andato, Madeleine disse al marito:
«Vero ch'è un uomo perfetto? Guadagna da così a così a conoscerlo. È un vero amico, sicuro, devoto, fedele. Eh, senza di lui...»
Non terminò la frase, e Georges rispose:
«Sì, lo trovo molto simpatico. Credo che ci intenderemo benissimo.»
Ma lei riprese subito: «Sai, stasera dobbiamo lavorare, prima di coricarci. Non ho avuto il tempo di dirtelo prima di cena perché è venuto Vaudrec. M'hanno portato delle grosse notizie, questo pomeriggio, notizie dal Marocco. Me le ha fornite l'onorevole Laroche-Mathieu, il futuro ministro. Dobbiamo fare un articolone sensazionale. Ho i dati e le cifre. Dobbiamo metterci al lavoro immediatamente. Tieni, prendi il lume.»
Lo prese e passarono nello studio.
Sulla libreria, dov'erano allineati gli stessi volumi, troneggiavano i tre vasi comprati da Forestier al Golfo di Juan, la vigilia del suo ultimo giorno di vita. Sotto il tavolo, lo scaldapiedi del defunto aspettava d'essere usato da Du Roy che s'impossessò, dopo essersi seduto, della penna d'avorio, un po' rosicata in cima dai denti dell'altro.
Madeleine s'appoggiò al caminetto e, accesa una sigaretta, raccontò le notizie, espose le proprie idee e tracciò il piano dell'articolo che aveva in mente.
Lui la ascoltava attento, scarabocchiando appunti, e quand'ebbe finito sollevò alcune obiezioni, riprese l'argomento, lo sviluppò, e tracciò a sua volta non più il piano d'un articolo, ma il piano d'una campagna contro l'attuale ministero. Quell'attacco non sarebbe stato che il principio. Sua moglie aveva smesso di fumare, sentendo crescere il proprio interesse, vedendo sempre più chiaro e più lontano a mano a mano che seguiva il pensiero di Georges.
«Già... già...» mormorava ogni tanto. «Ottimo... Prefetto... Una cannonata...»
E quando anche lui ebbe finito dì parlare:
Ma a Georges riusciva ogni volta difficile l'avvio, e cercava faticosamente le parole. Allora lei si chinò dolcemente sulla sua spalla, e cominciò a suggerirgli le frasi in un orecchio, a bassissima voce.
Ogni tanto restava incerta, e domandava:
«È così che volevi dire?»
Lui rispondeva: «Perfettamente.»
Madeleine lanciava strali pungenti, strali velenosi tipicamente femminili per ferire il presidente del consiglio, e alternava ai motteggi sul suo volto quelli sulla sua politica, in un modo brillante che muoveva al riso e, nel contempo, colpiva per l'esattezza delle osservazioni.
Du Roy, talvolta, aggiungeva qualche rigo per render più profondo e penetrante l'attacco. Conosceva, inoltre, l'arte dei perfidi sottintesi, appresa nell'aguzzare gli echi di cronaca, e quando un fatto, dato per certo da Madeleine, gli pareva dubbio o compromettente, eccelleva nel lasciarlo indovinare e nell'imporlo alla mente dei lettori con una forza di persuasione che forse esso non avrebbe avuto se l'avesse spiattellato papale papale.
Quando il loro articolo fu finito, Georges lo rilesse a voce alta, declamandolo. Lo giudicarono stupendo di comune accordo e si sorrisero, felici e sorpresi come per una reciproca rivelazione di se stessi. Si guardarono negli occhi, pieni l'un per l'altro d'ammirazione e di tenerezza, e si baciarono con slancio, con un ardore amoroso comunicato dalla mente al corpo.
Du Roy riprese il lume: «E ora, a nanna,» disse con uno sguardo acceso.
Madeleine rispose: «Prima lei, maestro, che m'illumina il cammino.»
Lui le passò avanti, e la giovane signora lo seguì in camera vellicandolo sul collo con la punta d'un dito, fra il solino e i capelli, per farlo camminar più svelto, dato che lui non resisteva a quella carezza.
L'articolo apparve a firma di Georges Du Roy de Cantel, e fece gran scalpore. Impressionò la Camera. Zi' Walter si congratulò con l'autore e lo nominò redattore politico della Vie Française.
Il giornale cominciò così un'abile e violenta campagna contro il governo in carica. Gli attacchi, sempre accorti e fondati sui fatti, ora ironici, ora seri, a volte scherzosi, a volte virulenti, colpivano con una regolarità e una sicurezza da lasciar tutti a bocca aperta. Gli altri giornali citavano di continuo la Vie Française, ne stralciavano interi brani, e gli uomini al potere cercarono in tutti i modi di saper se proprio non era possibile imbavagliare con una prefettura l'ignoto e accanito nemico.
Du Roy stava diventando celebre nei circoli politici. Si rendeva conto del suo crescente prestigio dall'intensità delle strette di mano e dall'ampiezza delle scappellate. La moglie, da parte sua, lo colmava di meraviglia e d'ammirazione per la sottigliezza dell'ingegno, l'abilità nell'ottenere informazioni e il numero delle conoscenze.
In qualsiasi momento, rincasando, trovava in salotto un senatore, un deputato, un magistrato, un generale, che trattavano Madeleine come una vecchia amica, con posata familiarità. Dove l'aveva conosciuta, tutta quella gente? In società, diceva lei. Ma com'era riuscita a cattivarsene la fiducia e la simpatia? Non riusciva a capirlo.
«Po' di diplomatica, ne uscirebbe fuori!» pensava.
Spesso, all'ora dei pasti, costei tornava a casa in ritardo, affannata, accesa in volto, eccitata, e ancor prima d'essersi tolto il velo diceva: «Mamma mia quante cosine da leccarsi i baffi, oggi. Figurati, il ministro della giustizia ha nominato due magistrati che già fecero parte delle commissioni miste. Gli daremo una di quelle strigliate che se ne ricorderà per un pezzo.»
E giù una scorticata al ministro, giù un'altra l'indomani e una terza il giorno dopo. L'onorevole Laroche-Mathieu, che pranzava in Rue Fontaine ogni martedì, dopo il conte de Vaudrec che inaugurava la settimana, stringeva vigorosamente la mano a moglie e marito con esagerate dimostrazioni di gioia, e non si stancava di ripetere: «Cribbio, che campagna! Se non ce la sfanghiamo stavolta...»
Sperava proprio di sfangarcela, infatti, a beccarsi il portafoglio degli esteri, che gli faceva gola da un bel po'.
Era uno di quegli uomini politici senza un suo volto preciso, senza convinzioni proprie, senza grandi mezzi, senza ardimento e senza una seria preparazione, un avvocatuccio di provincia, un simpatico figurino nella sua cittaduzza, un furbacchiotto che sapeva barcamenarsi fra i partiti estremisti, una specie di gesuita repubblicano e di fungo liberale di dubbia commestibilità, come ne spuntano a bizzeffe sul letamaio popolare del suffragio universale.
Il suo machiavellismo da segretariucolo comunale lo faceva brillare fra i colleghi, fra tutti gli spostati e i falliti da cui si cavano i parlamentari. Era leccato anzichenò, abbastanza corretto, abbastanza alla mano, abbastanza cortese per riuscire. Otteneva successi in società, in quella società mista, torbida e piuttosto grossolana formata dagli alti funzionari del momento.
Sentivi ripeter dovunque: «Laroche diventerà ministro.» E che Laroche sarebbe diventato ministro, era il primo lui ad esserne convinto, più fermamente d'ogni altro.
Era uno dei principali azionisti del giornale di zi' Walter, suo collega e socio in molte iniziative finanziarie.
Du Roy lo appoggiava fiducioso e con vaghe speranzielle per il futuro. D'altronde, in ciò non faceva altro che continuare l'opera intrapresa da Forestier, al quale Laroche-Mathieu aveva promesso la Legion d'Onore per il giorno del suo trionfo. L'onorificenza sarebbe finita sul petto del nuovo marito di Madeleine, ecco tutto. Non c'era nulla di cambiato, insomma.
E che davvero non ci fosse nulla di cambiato, i colleghi di Du Roy l'avvertivano così bene, da aver montato una solfa che a lui cominciava proprio a star sui santissimi.
Lo chiamavan tutti quanti, ormai, Forestier.
Com'arrivava al giornale, c'era sempre qualcuno pronto a fargli: «Di', Forestier.»
Lui faceva finta di non sentire, e si metteva a cercar le sue lettere nel casellario. La voce ripeteva allora con più energia: «Ehi, Forestier.»
E qua e là s'udiva qualche risatina soffocata.
Mentre Du Roy s'avviava verso l'ufficio del direttore, lo stesso tizio che l'aveva chiamato lo fermava: «Scusami, volevo parlar proprio con te. Che stupido, ti confondo sempre col povero Charles. È che i tuoi articoli ricordano maledettamente i suoi. Ci cascano tutti quanti.»
Du Roy cercava di far orecchi da mercante ma ci si rodeva; e una bile sorda insorgeva in lui contro il defunto.
Lo stesso zi' Walter aveva più volte affermato, a quanti si stupivano di fronte a certe palpabili rassomiglianze di stile e d'ispirazione fra gli articoli del nuovo redattore politico e quelli dell'altro: «Sì, c'è qualcosa di Forestier, ma d'un Forestier più sostanzioso, più nervoso, più virile.»
Una volta Du Roy, aperto per caso l'armadio dei bilbocchetti, trovò quelli del suo predecessore con un velo nero intorno al manico, e il suo, lo stesso di cui si serviva quando s'esercitava sotto la guida di Saint-Potin, ornato d'un nastro rosa. Li avevano messi tutti in fila sullo stesso palchetto, in ordine di grossezza, e con un cartellino come nei musei, che diceva: «Antica collezione Forestier & C., Forestier-Duroy, successore, con brevetto S.G.D.Q. Articoli non logorabili, pronti all'uso in qualsiasi circostanza, anche in viaggio.»
Chiuse calmo l'armadio e disse, abbastanza forte per poter essere inteso:
«Imbecilli e invidiosi ce ne son sempre, dappertutto.» Ma si sentiva ferito nel proprio orgoglio, ferito nella vanità, la vanità e l'orgoglio ombrosi dello scrittore, sempre lì con la sua suscettibilità a fior di pelle, sia costui un reporter o un poeta di genio.
La parola Forestier gli straziava gli orecchi; aveva sempre paura di sentirla, e quando la sentiva diventava rosso.
Aveva per lui, quel nome, il suono d'una canzonatura velenosa, più che d'una canzonatura, quasi d'un insulto. Era come se gli gridasse in faccia: «Tutto il tuo lavoro te lo fa tua moglie, come lo faceva prima a quell'altro. Tu non esisteresti senza di lei.».
Era pronto ad ammettere che Forestier non sarebbe esistito senza Madeleine; ma quanto a lui, via!
Tornato a casa, l'ossessione non cessava. Era allora l'intero appartamento a ricordargli il morto, ogni mobile, ogni ninnolo, tutto ciò che toccava.- Nei primi tempi non ci aveva fatto troppo caso. Ma la solfa montata dai colleghi gli aveva aperto nell'animo come una ferita, che adesso un forbicio di cosettine da nulla, cui prima non dava importanza, gli inasprivano ad ogni piè sospinto.
Non poteva prendere un aggeggio qualsiasi senza vedervi sopra la mano di Charles. Guardava e maneggiava soltanto cose che già erano servite a lui, cose che aveva comprato, amato e posseduto lui. E Georges cominciava a irritarsi perfino al pensiero delle vecchie relazioni tra il suo amico e la moglie.
Spesso questa ribellione del suo cuore lo stupiva, e si domandava: «Che cavolo mi succede? Non son geloso degli amici di Madeleine, non mi adombro per quello che fa, esce e torna quando vuole, e al ricordo di quel bestione di Charles vo sulle furie!»
Aggiungeva mentalmente: «In fondo, era soltanto un cretino; è questo, forse ad offendermi. Mi secca che Madeleine abbia potuto sposare uno stupido simile.»
E senza posa si chiedeva: «Ma com'ha fatto, una donna come lei, ad attaccarsi, sia pure per un minuto, a quell'animale?»
E il suo rancore s'ingigantiva di giorno in giorno per via di mille particolari insignificanti che lo pungevano come colpi di spillo, e per il continuo riferimento all'altro che sentiva in ogni parola di Madeleine, del domestico o della cameriera.
Una sera, a tavola, Du Roy, cui piacevano le robe dolci, domandò: «Perché non c'è qualche pasticcino? Non ne fai mai servire.»
La giovane signora rispose divertita: «Già, non ci penso. E che Charles li aveva in uggia e...»
Lui le troncò la parola in bocca, con uno scatto d'impazienza che non seppe dominare in tempo:
«Ah, insomma! Questo Charles comincia proprio a scocciarmi. È sempre fra i piedi. Charles qui, Charles là. E a Charles piaceva questo, e a Charles piaceva quest'altro.
Giacché Charles è crepato, lo si lasci riposare in pace.» Madeleine guardò il marito piena di meraviglia, non riuscendo a capire un'acca di quell'improvvisa sfuriata. Ma poi, fine com'era, qualcosa intuì di ciò che stava avvenendo in lui, qualcosa della gelosia postuma che, in ogni istante, veniva fomentata da tutto ciò che gli ricordava l'altro.
Tale gelosia le parve un tantino puerile, forse, ma se ne sentì lusingata, e non rispose nulla.
Lui non si perdonò di non aver saputo celare la propria irritazione.
Dopo cena, mentr'erano intenti a scrivere un articolo per l'indomani, si trovò alle prese con lo scaldapiedi. Non riusciva a rivoltarlo, Gli diede una pedata, e domandò ridendo: «Ma Charles aveva sempre freddo alle fette?»
Rise anche lei, e rispose: «Eh, viveva con l'incubo dei raffreddori. I suoi polmoni non erano d'acciaio.»
Du Roy riprese, crudele: «E ce n'ha dato la prova, del resto.»
Poi aggiunse, galante: «Per mia fortuna.»
Ma nell'infilarsi a letto, sempre ossessionato dalla stessa idea fissa, domandò ancora: «Di', Charles non usava mica dei berretti di cotone, per ripararsi gli orecchi dagli spifferi d'aria?»
Lei stette allo scherzo, e rispose: «No, portava un madras annodato sulla fronte.»
Georges si strinse nelle spalle e disse, con superiorità:
«Che bischero!»
Da allora Charles divenne per lui oggetto di continua conversazione. Ne parlava a proposito e a sproposito, limitandosi a definirlo, con infinita commiserazione, «il povero Charles».
E quando tornava dal giornale, dove s'era sentito chiamar due o tre volte Forestier, si vendicava perseguitando in fondo alla tomba il defunto, con frizzi astiosi. Ne ricordava i difetti, le ridicolaggini, le piccinerie, ne faceva, compiaciuto, l'elenco, li sviluppava e li ingigantiva, quasi avesse voluto combattere, nel cuore della moglie, il prestigio d'un temuto rivale.
Badava a ripetere: «Di', Made, ricordi quando quel fesso di Forestier pretendeva di dimostrarci che gli uomini grassi son più virili dei magri?»
Infine volle saper sul defunto un fottio di particolari intimi e segreti che la giovane signora, a disagio, rifiutava di dire, anche se lui insisteva, cocciuto.
«Su, via, raccontami. Doveva esser buffissimo, in quei momenti lì.»
Lei mormorava, a fior di labbra: «Andiamo, lasciami in pace; insomma.»
Ma lui riattaccava: «No, dimmi, vero ch'era un bel minchione, a letto, quell'animale?»
E finiva sempre col concludere: «Che bestia, era!»
Una sera, sulla fine di giugno, mentre fumava una sigaretta alla finestra, il gran caldo gli fece venir voglia d'una passeggiata.
Domandò: «Mia piccola Made, vuoi venire fino al Bois?»
«Sì, con piacere.»
Presero una carrozza aperta, raggiunsero gli Champs-Élysées, poi l'Avenue du Bois-de-Boulogne. Era una notte senza vento, una di quelle notti bollenti in cui l'aria surriscaldata di Parigi entra nei polmoni come l'alito d'un forno. Un esercito di carrozze portava a spasso sotto gli alberi una folla d'innamorati. Procedevano, quelle carrozze, l'una dietro l'altra, senza interruzione.
Georges e Madeleine si divertivano a guardar tutte quelle coppie abbracciate che passavano in botticella, lei vestita di chiaro, lui di scuro. Era un immenso fiume d'amanti che scorreva verso il Bois, sotto il cielo stellato e ardente. Non si sentiva un rumore, tranne il sordo rotolio delle ruote sul viale. Passavano, passavano, le due creature di ciascuna carrozza, sdraiate sui cuscini, mute, strette l'una contro l'altra, naufragate in un allucinante desiderio, frementi nell'attesa del prossimo amplesso. La calda oscurità sembrava gremita di baci. Un senso di fluttuante tenerezza, di diffuso amore ferino appesantiva l'atmosfera, la rendeva ancor più afosa. Tutti quegli esseri accoppiati, ubriacati dallo stesso pensiero, dallo stesso ardore, trasmettevano all'intorno la loro febbre. Tutte quelle carrozze cariche d'amore, che parevano avvolte in una nuvola di carezze, lasciavano sul loro passaggio come una folata di sensualità, sottile e conturbante.
Georges e Madeleine si sentirono contagiati anche loro dalla tenerezza. Si presero dolcemente la mano, Senza dirsi una parola, un poco oppressi dall'aria pesante e dalla commozione che li aveva colti.
Giunti alla curva che segue le fortificazioni, si baciarono, e lei balbettò un po' confusa: «Ecco che rifacciamo i ragazzi, come quando s'andava a Rouen.»
Il gran fiume delle vetture s'era biforcato al limitare dei boschi cedui. Sulla Strada dei Laghi, imboccata dai giovani, le carrozze si diradavano un poco, ma il buio fitto degli alberi, l'aria vivificata dal fogliame e dall'umidore dei ruscelli che s'udivano scorrere tra le fronde, la. frescura che pareva provenire dalla vastità della notte imbrillantata di stelle, diffondevano intorno ai baci delle coppie scorrenti un incanto più penetrante e un'ombra più misteriosa.
Georges mormorò: «Oh, mia piccola Made.»
Lei gli disse: «Te la ricordi la foresta del tuo paese? Aveva un aspetto così sinistro. Mi pareva piena d'animali spaventosi, e che non dovesse finir mai. Qui, invece, è tanto bello. Si sentono mille carezze nel vento, e sì sa che finito il bosco c'è Sévres.»
Lui rispose: «Oh, nella foresta del mio paese non c'era altro che cervi, volpi, caprioli, cinghiali; e, qua e là, la casa d'una guardia forestale.»
La parola «forestale», uscitagli spontanea di bocca, gli ricordò immediatamente il cognome del morto, e lo colpì come se qualcuno glielo avesse gridato dal folto d'un macchieto. E d'un colpo tacque, ripreso dalla sua strana e insistente inquietudine, dall'invincibile gelosia che lo irritava, lo rodeva, gli amareggiava da qualche tempo la vita.
In capo a un minuto domandò: «Ci sei mai venuta così di sera, qui, con Charles?»
Lei rispose: «Ma certo, spesso.»
D'improvviso, allora, gli venne voglia di tornare a casa, un desiderio pieno di nervosismo che gli opprimeva il cuore. L'immagine di Forestier gli era ormai penetrata nello spirito, lo possedeva, lo soffocava. Non riusciva più a pensare ad altro, a parlare d'altro.
Domandò, con una punta di cattiveria:
«Che cosa, caro?»
«L'hai mai fatto becco, il povero Charles?»
Lei mormorò sdegnata: «Stai diventando veramente sciocco, con questo tuo ritornello.»
Ma lui non abbandonava la sua idea fissa.
«Su, mia piccola Made, sii sincera, confessalo. L'hai fatto becco, di'? Confessalo, che l'hai fatto becco.»
Lei taceva, urtata come tutte le donne da quella parola. Lui riprese, ostinato: «Cribbio, se qualcuno aveva la sagoma del cornuto, era proprio lui, perbacco! Ecco cosa mi piacerebbe sapere, se Forestier era veramente becco. Dio, che faccia da minchione!»
Sentì che lei, dentro di sé, sorrideva, forse a un qualche ricordo, e tornò a insistere: «Su, dimmelo. Che c'è di male? Non sarebbe anzi divertente che tu me lo dicessi, che tu lo confessassi proprio a me, che l'hai ingannato?»
Sì, ardeva di speranza e di desiderio che Charles, l'odiato Charles, il morto aborrito, il morto esecrato, fosse stato coperto di quella vergogna e di quel ridicolo. E tuttavia... tuttavia un altro sentimento diverso, più confuso, pungolava la sua voglia di sapere.
Continuava a ripetere: «Made, mia piccola Made, ti prego, dimmelo. Se lo sarebbe proprio meritato. Avresti avuto torto marcio a non fargli portar le corna. Su, Made, confessalo.»
Lei doveva trovar divertente, adesso, quell'insistenza, dato che rideva con risatine brevi, a scatti.
Georges aveva avvicinato le labbra all'orecchio della moglie: «Su... via... confessalo.»
Lei si scostò di scatto e disse, brusca: «Ma sei scemo? Non son domande da fare, queste.»
Aveva detto ciò con voce strana, tanfo strana che il marito sentì un brivido di gelo corrergli nelle vene, e se ne rimase lì interdetto, sgomento, quasi senza fiato, come sotto l'influsso d'una violenta scossa morale.
La carrozza seguiva adesso la sponda del lago, dove pareva che il cielo avesse sgranato tutte le sue stelle. Due cigni fantomatici nuotavano lenti lenti, appena visibili nel buio.
Georges gridò al vetturino: «Torniamo indietro.»
E la vettura prese la via del ritorno, incrociando le altre, che andavano al passo, coi loro grossi fanali che brillavano come tanti occhi nella notte del Bois.
In che curioso modo, lei, gli aveva parlato! Du Roy si domandava: «È stata una confessione?» E la quasi certezza che Madeleine avesse ingannato il primo marito, ora lo faceva impazzir di rabbia. Gli veniva voglia di picchiarla, di strangolarla, di strapparle i capelli.
Oh, come l'avrebbe abbracciata, stretta, adorata, se gli avesse risposto: «Ma caro, avessi voluto tradirlo, lo avrei fatto con te!»
Se ne stava lì inerte, le braccia conserte, gli occhi al cielo, l'animo troppo agitato per poter riflettere ancora. Non sentiva altro che un grande astio fermentargli dentro, e ingigantirsi quella collera che cova in cuore ogni maschio davanti ai capricci del desiderio femminino. Provava per la prima volta la confusa angoscia dello sposo che sospetta! Era geloso, insomma, geloso per il morto, geloso per conto di Forestier! geloso in uno strano e lancinante modo, in cui entrava d'un tratto un odio contro Madeleine. Se aveva tradito l'altro, lui quale fiducia poteva riporre in lei?
Poi, a poco a poco, una certa calma subentrò nel suo spirito, e irrigidendosi contro la propria sofferenza, pensò:
«Le donne son tutte prostitute, bisogna servirsene senza concedergli nulla di noi.»
L'amarezza che aveva in cuore gli si traduceva sulle labbra in parole di disprezzo e di disgusto. Ma non le lasciò sgorgar fuori, ripetendosi: «Il mondo è dei forti. Devo esser forte. Devo esser superiore, in tutto.»
Il legno andava più spedito. Ripassò dalle fortificazioni. Du Roy guardava davanti a sé, sull'orizzonte, un chiarore rossastro, simile al bagliore d'una smisurata fucina; e sentiva un bombito confuso, immenso, continuo, formato d'innumerevoli e differenti suoni, un rumorio sordo, vicino, lontano, un vago e immane palpito di vita, l'ansito di Parigi, simile, in quella notte estiva, a un colosso stremato dalla stanchezza.
Georges pensava: «Sarei un bello scemo a farmi della bile. Ciascuno per sé, e Dio per tutti. La vittoria arride agli audaci. Tutto, al mondo, è egoismo. Egoismo per egoismo, meglio quello volto all'ambizione e al successo che quello volto alle donne e all'amore.»
L'Arco di Trionfo dell'Étoile se ne stava lì ritto, all'ingresso della città, sulle sue due gambe mostruose, specie di gigante informe che pareva pronto a mettersi in cammino sull'ampio viale che gli si apriva davanti.
Georges e Madeleine si ritrovarono nella fila di vetture che riportavano a casa, verso il sospirato letto, l'intramontabile coppia dell'uomo e della donna, silenziosi e abbracciati. E intorno a loro pareva che scorresse l'umanità intera, ebbra di gioia, di piacere; di felicità.
La giovane signora, che aveva intuito qualcosa di ciò che stava accadendo nel marito, gli domandò con la sua solita dolcezza: «A che pensi, caro? Non spiccichi una parola da mezz'ora.»
Lui rispose, con un sorriso sarcastico: «Penso a tutti questi imbecilli che si stanno baciando, come se davvero, nella vita, non ci fossero cose più importanti da fare.»
Lei mormorò: «Però, fa piacere... ogni tanto.»
«Piacere... piacere... Quando non si ha nulla di meglio!»
Togliendo all'esistenza il velo della poesia, il pensiero di Georges continuava a sfociare in una sorta di rabbiosa cattiveria: «Sarei un bell'idiota ad aver ancora degli scrupoli, a privarmi di qualcosa, a turbarmi, a tormentarmi, a rodermi come sto facendo da qualche tempo.»
La figura di Forestier gli attraversò la mente senza provocare in lui nessuna irritazione. Gli sembrò d'essersi riconciliato, che fossero tornati amici. Gli veniva voglia di gridargli: «Ciao, vecchio.»
Madeleine, imbarazzata da quel silenzio, chiese: «Se andassimo a prendere un gelato da Tortoni, prima di tornare a casa?»
La guardò con la coda dell'occhio. Il profilo fino e biondo di lei gli apparve nel chiarore vivo delle fiammelle a gas che annunziavano un café-chantant.
Pensò: «È bella. Eh, meglio così. A buon cane, buona lepre, cara mia. Ma farà caldo al polo nord se mi ribeccheranno a tormentarmi per te.» Poi rispose: «Ma certo, tesoro.»
E perché lei non s'accorgesse di nulla, le diede un bacio. La giovane signora ebbe l'impressione che le labbra del marito fossero di ghiaccio.
Lui però sorrideva col suo consueto sorriso quando le porse la mano per aiutarla a scendere davanti agli scalini del caffè.