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IV
Place de la Trinité era semideserta, sotto la vampa del sol di luglio. Una calura greve opprimeva Parigi, come se dal cielo fosse piombata sulla città un'aria pesante e infocata, un'aria spessa, cocente, che massacrava i polmoni.
Le cascatelle davanti alla chiesa cadevano mollemente. Sembravano stanche di scorrere, fiacche e abbiosciate anche loro, e l'acqua della vasca dove galleggiavano foglie e pezzetti di carta, aveva preso un colore verdastro, s'era fatta densa e glauca.
Un cane, scavalcato il margine di pietra, stava. bagnandosi in quel liquido torbido. Le poche persone sedute sulle panchine del giardinetto che segue la curva del portale, guardavano quella povera bestia con un senso d'invidia.
Du Roy cavò di tasca l'orologio. Erano appena le tre. Era giunto con mezz'ora d'anticipo.
Quell'appuntamento lo metteva di buonumore. «Per lei,» pensava, «le chiese son buone ad ogni uso. La consolano d'aver sposato un ebreo, le donano un atteggiamento di protesta nell'ambiente politico, un'aria ammodo fra la gente perbene, e un rifugio pei suoi convegni galanti. Cosa vuol dire l'abitudine a servirsi della religione come d'un ombrello! L'aria è mite, e ti fa da bastone da passeggio; c'è la canicola, ed è un parasole; diluvia, ed è un parapioggia; non sorti, e lo lasci in anticamera. Ce ne sono a centinaia, di donne così, che del buon Dio non gliene frega un fico, e che tuttavia non permettono che se ne dica male, pronte a fargli reggere, se càpita, la candela. Riterrebbero ignominioso sentirsi invitare in una camera ammobiliata, e poi par loro la cosa più naturale del mondo filare il perfetto amore davanti al tabernacolo.»
Passeggiava adagio intorno alla vasca. Dopo un poco, guardò di nuovo l'ora all'orologio del campanile che, rispetto al suo, andava avanti di due minuti. Faceva le tre e cinque.
Pensò che dentro ci sarebbe stato meglio, ed entrò.
L'aria era fresca come in una cantina. La respirò con voluttà, poi girellò sotto le navate per ispezionare il luogo.
Un altro passo regolare, che ogni tanto s'interrompeva per ricominciar da capo, faceva eco, in fondo al vasto edificio, al rumore dei suoi tacchi che si alzava sonoro sotto l'alta volta. Curioso di conoscere il visitatore, lo cercò. Era un omone calvo, che camminava col naso in aria e il cappello sul deretano.
Qua e là una vecchietta pregava in ginocchio, il volto fra le mani.
Un senso di solitudine, d'abbandono e di riposo s'impossessò di lui. La luce, smorzata dalle vetrate, blandiva gli occhi.
Du Roy trovò che si stava «maledettamente bene», lì dentro.
Tornò vicino alla porta, e guardò di nuovo il suo orologio. Non erano che le tre e un quarto. Sedette al principio della navata centrale, e gli dispiacque di non poter fumare una sigaretta. Si continuava a sentire, in fondo alla chiesa, presso il coro, il passeggio lento del corpacciuto visitatore.
Qualcuno entrò. Georges si voltò di scatto. Era una donna del popolo, con una gonnella di lana, una povera donna che cadde in ginocchio davanti alla prima sedia in cui s'imbatté, e che rimase immobile, le dita intrecciate fra loro, lo sguardo al cielo, l'anima rapita nella preghiera.
Du Roy la osservava con interesse, chiedendosi quale cruccio, quale dolore, quale disperazione potesse straziare quel cuore reietto. Crepava d'angustie, lo si vedeva. Forse aveva un marito che la ammazzava di botte o un figlioletto moribondo.
Mormorò dentro di sé: «Povera gente! Ce n'è però, al mondo, di esseri che soffrono sul serio.» E sentì una grande stizza contro la natura spietata. Poi rifletté che, almeno, quegli straccioni credevano che lassù qualcuno s'occupasse di loro, e che il loro stato civile fosse annotato sui registri del cielo, col relativo bilancio del dare e dell'avere.
E Du Roy, mosso dal silenzio della chiesa alle solenni meditazioni, stigmatizzò il creato con questa peregrina pensata, detta a fior di labbra: «Quant'è idiota, tutto questo!»
Sussultò al fruscio d'un abito. Era lei.
Si alzò, le mosse incontro, di scatto. Lei non gli porse la mano e mormorò a bassa voce: «Dispongo soltanto d'un attimo. Devo tornar subito a casa, si inginocchi vicino a me, che non ci notino.»
E s'avviò sotto la grande navata cercando un posto adatto e sicuro, da donna ch'è pratica della casa. Aveva il volto nascosto da un fitto velo, e camminava con passo ovattato, che s'udiva appena.
Giunta presso il coro, si voltò e biascicò, col tono misterioso che si usa in chiesa: «Sarà meglio nelle navate laterali. Qui siamo troppo in vista.»
Salutò il Tabernacolo dell'altar maggiore con un profondo inchino rafforzato da una lieve genuflessione, voltò a destra, tornò verso l'ingresso, infine si decise e, preso un inginocchiatoio, s'inginocchiò.
Georges occupò l'inginocchiatoio accanto, e appena furono fermi, in atteggiamento di preghiera: «Grazie,» disse lui. «Grazie, io l'adoro. Vorrei dirglielo in ogni momento, raccontarle come ho cominciato ad amarla, come rimasi preso la prima volta che la vidi...Mi permetterà, un giorno, di vuotare il mio cuore e di dichiararle tutto?»
Lei lo ascoltava, atteggiata a profonda meditazione e come se non udisse nulla. Rispose di fra le dita: «Sono pazza a lasciarla parlare così, pazza ad esser venuta, pazza a far quel che sto facendo, a lasciarle credere che questa... questa... questa avventura possa avere un seguito Dimentichi, è necessario, e non me ne riparli più.»
Poi rimase in attesa. Lui cercava una risposta, qualche frase decisiva, appassionata, ma non potendo aggiungere l'atto alla parola, si sentiva paralizzato.
Soggiunse: «Non m'aspetto nulla... non spero nulla. L'amo. Qualunque cosa lei voglia fare, glielo ripeterò così spesso, con tanta forza e calore, che dovrà pur finir col comprenderlo. Voglio che il mio amore la penetri tutta, voglio istillarglielo nell'animo, parola per parola, ora per ora, giorno per giorno, finché non ne resterà imbevuta come d'un elisir versato a goccia a goccia; voglio che la addolcisca, la intenerisca e la costringa a rispondermi, più in là: "Anch'io l'amo."»
Sentiva la spalla di lei tremar contro la sua, e il petto palpitarle. E la udì balbettare, in fretta in fretta: «Anch'io l'amo.»
Ebbe un sussulto, come se lo avessero violentemente percosso in testa, e sospirò: «Oh, benedetto Iddio!»
Lei riprese, con l'affanno: «Forse non dovevo dirglielo, no... Mi sento colpevole e spregevole... Io... con due figliole... Ma non posso... non posso... Non avrei mai creduto... non avrei mai pensato... È più forte... più forte di me. Mi creda... mi creda... io non ho mai amato che... che lei... glielo giuro. E l'amo da un anno, in segreto, nel segreto del mio cuore. Oh, ho sofferto, sa, e lottato, ma non ne posso più... l'amo...»
Piangeva con le dita intrecciate sul viso e fremeva in tutto il corpo, scossa dalla violenza del suo sentimento.
Georges mormorò: «Mi dia la sua mano, ch'io gliela tocchi, gliela stringa...»
Lei tolse lentamente una mano dal volto, e lui vide la guancia tutta bagnata, e una goccia d'acqua pronta a caderle di fra le ciglia.
Aveva preso quella mano e la stringeva: «Oh, come mi piacerebbe bere le sue lacrime.»
Lei mormorò con voce rotta, quasi con un gemito: «Non abusi di me... sono una donna perduta.»
A Du Roy venne da ridere. Com'avrebbe potuto abusar di lei, in quel luogo? Posò sul proprio cuore la mano che stringeva ancora, e disse: «Sente come batte?»
Era rimasto a corto, infatti, di frasi appassionate.
Ma, dopo qualche istante, s'avvicinò il passo regolare del visitatore che, fatto il giro degli altari, ripercorreva, per la seconda volta almeno, la navata destra. Quando la signora Walter lo sentì vicino al pilastro che la nascondeva, svincolò la mano dalla stretta di Georges e, di nuovo, si coprì la faccia. Rimasero entrambi immobili, inginocchiati come se stessero rivolgendo insieme ardenti suppliche al cielo. Il corpacciuto signore passò loro vicino guardandoli con indifferenza, e s'allontanò verso il fondo della chiesa, sempre col cappello sul deretano.
Ma Du Roy, che mirava ad ottenere un appuntamento fuori della Trinità, mormorò: «Dove potrò vederla, domani?»
Lei non rispose. Pareva un corpo inanimato, la statua stessa della Preghiera.
«Vuole,» rispose lui, «che ci vediamo domani al parco Monceau?»
Lei volse il volto di nuovo scoperto, un volto livido, contratto da una sofferenza atroce e, con voce scossa dai singulti, disse: «Mi lasci,.. mi lasci, adesso... se ne vada... se ne vada... per cinque minuti soltanto; soffro troppo, vicino a lei... Voglio pregare... non posso... se ne vada... mi lasci pregare... sola... cinque minuti... non posso... mi lasci implorare Dio, che mi perdoni... che mi salvi... Mi lasci... per cinque minuti...» Aveva un viso talmente sconvolto, un'espressione così addolorata che lui si alzò senza dire una parola; poi, dopo un attimo d'esitazione, domandò: «Posso tornare fra qualche istante?»
Lei fece un cenno del capo, come per dire: «Sì, fra qualche istante.» E lui s'avviò verso il coro.
La signora Walter cercò allora di pregare. Invocò Dio con un sovrumano sforzo di volontà e, vibrando in tutto il corpo, smarrita nel profondo dell'animo: «Pietà!» gridò rivolta al cielo.
Chiudeva gli occhi, con rabbia, per non veder più colui che s'era allontanato un momento prima. Lo scacciava dai propri pensieri, si dibatteva contro di lui, ma invece della celeste visione bramata dal suo cuore angosciato, continuava a vedere i baffi arricciati del nostro giovanotto.
Da un anno lottava così, mane e sera, contro quella crescente ossessione, contro quell'immagine che, entrata nei suoi sogni, nella sua carne, le turbava le notti. Si sentiva presa come un animale in una rete, legata, gettata fra le braccia di quel maschio, al quale era bastato per vincerla, per conquistarla, il biondo dei suoi baffi e l'azzurro degli occhi.
E adesso, in quella chiesa, così vicina a Dio, si sentiva più debole, più abbandonata, ancor più smarrita che a casa. Non riusciva più a pregare, la sua mente non si staccava da lui. Soffriva già della sua lontananza. Eppure lottava da disperata, cercava di difendersi, gridava aiuto con tutta la forza della sua anima. Avrebbe preferito morire, piuttosto di cadere così, lei che non aveva mai commesso un fallo. Cercava d'abbandonarsi tutta alle sue suppliche, e intanto continuava ad ascoltare il passo di Georges che s'affievoliva lontano, sotto le volte.
Capì che per lei era finita, ch'era inutile lottare. Ma non voleva arrendersi, e fu presa da una di quelle crisi di nervi che, col cuore in gola, fanno stramazzare a terra le donne, a contorcersi e ad urlare. Tremava tutta, sentiva che fra poco sarebbe caduta al suolo, che si sarebbe rotolata fra le sedie lanciando acute strida.
Qualcuno s'avvicinò a passo svelto. Lei volse il capo. Era un prete. Allora si alzò, gli corse incontro tendendo le mani giunte, e balbettò: «Oh, mi salvi! mi salvi!»
Quello si fermò sorpreso: «Ha bisogno di qualcosa, signora?»
«Ho bisogno che lei mi salvi. Abbia pietà di me! Se non mi porge il suo aiuto, sarò perduta.»
La guardò, domandandosi se per caso non fosse matta. E ripeté: «Le occorre qualcosa?»
Era un giovane alto, grassoccio, con le gote piene e cascanti, ombreggiate di nero dalla barba rasata con cura, un bel curatone di città, di un quartiere opulento, abituato alle ricche penitenti.
«Voglio che mi confessi,» disse lei. «Mi consigli, mi conforti, mi dica cosa devo fare.»
Rispose: «Confesso ogni sabato dalle tre alle sei.»
Stringendolo per un braccio, lei ripeté più volte: «No! no! no! subito! subito! È necessario! Lui è qui! In questa chiesa! Mi aspetta!»
Il prete domandò: «Chi è che l'aspetta?»
«Un uomo... che mi perderà... mi prenderà... se lei non mi salva... Non posso più fuggire... Sono troppo debole... troppo debole... così debole... così debole!...»
S'accascio in ginocchio davanti al sacerdote, singhiozzando: «Oh, padre, abbia pietà di me! Mi salvi, in nome di Dio, mi salvi!»
Lo tratteneva per la tonaca nera perché non le sfuggisse; e quello, preoccupato, guardava da tutte le parti, se per caso qualche occhio malevolo o bigotto non si fosse accorto di quella donna cadutagli ai piedi.
Avendo ormai capito che non poteva liberarsene: «Si alzi,» disse. «Nemmeno a farlo apposta, ho con me la chiave del confessionale.»
E frugatosi in tasca ne cavò un anello pieno di chiavi, ne scelse una e si diresse, a passo svelto, verso uno dei casotti di legno, specie di bussoli per la spazzatura dell'anima, dove i fedeli vuotano i loro peccati.
Entrò dalla porticina di mezzo che richiuse alle sue spalle, e la signora Walter, gettatasi nell'angusto scomparto accanto, mormorò con fervore, con un appassionato empito di speranza: «Mi benedica, padre, giacché ho peccato.»
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Du Roy, compiuto il giro del coro, prese la navata a sinistra. Ne aveva fatta metà, quando s'imbatté nell'omaccione calvo, che passeggiava ancora col suo passo pacato e si chiese: «Ma che diavolo ci fa, qui dentro, quel tizio?»
Anche il visitatore aveva rallentato, guardando Georges con evidente voglia d'attaccar discorso. Quando gli fu più vicino lo salutò; e molto cortesemente disse: «Mi scusi, signore, se la disturbo, ma saprebbe dirmi quand'è stata costruita questa chiesa?»
Du Roy rispose: «Non lo so proprio, mi creda; penso che sia d'un venti, venticinque anni fa. È la prima volta che ci metto piede.»
«Anch'io. Non l'avevo mai vista»
Allora il nostro giornalista, punto da un certo interesse, aggiunse:
«Mi sembra che stia visitandola con molta attenzione. La studia in ogni particolare.»
L'altro fece; rassegnato: «Non la sto mica visitando, aspetto mia moglie che m'ha dato appuntamento qui e che è molto in ritardo.»
Poi tacque, e dopo qualche istante soggiunse: «Fa un caldo, fuori.»
Do Roy lo stava osservando. Gli pareva piuttosto buffo, e d'un tratto gli trovò una somiglianza con Forestier.
«Lei è della provincia?» disse.
«Sì, sono di Rennes. E lei perché è entrato in questa chiesa? Per curiosità?»
«No, sto aspettando una donna, io.»
E dopo averlo salutato, il nostro giornalista s'allontanò col sorriso sulle labbra.
Avvicinatosi alla porta maggiore, rivide la povera popolana ancora inginocchiata e in preghiera. «Cribbio, è ostinata nell'invocare!», pensò. Non lo commuoveva più, non la compiangeva più.
Passò oltre e, adagio adagio, prese a risalire la navata destra per incontrarsi di nuovo con la signora Walter.
Guardò da lontano il posto dove l'aveva lasciata, stupito di non scorgervela. Pensò d'aver sbagliato pilastro, e li passò in rassegna tutti, fino all'ultimo; poi tornò indietro. Se n'era andata, dunque! Era sorpreso e furibondo. Pensò che forse lo stava cercando, e rifece il giro della chiesa. Non avendola trovata, tornò a sedersi sulla sedia già occupata da lei, sperando che lo avrebbe raggiunto lì. E aspettò.
Un lieve pispigliar di voci attirò presto la sua attenzione. Non aveva visto nessuno, in quell'angolo della chiesa. Da dove veniva, dunque, quel parlottio? Si alzò per vedere, e scorse, nella cappella vicina, gli uscioli d'un confessionale. Un lembo di veste usciva da uno di questi, toccando il pavimento. Si avvicinò per osservare la donna. La riconobbe. Stava confessandosi!...
Gli venne una voglia matta di prenderla per le spalle e di strapparla da quello scatolone. Poi pensò: «Bah, oggi è la volta del prete, domani sarà la mia.» E si sedette tranquillo, di fronte agli sportelli della penitenza, aspettando la sua ora e ridacchiando, adesso, della propria avventura.
Aspettò a lungo. Infine la signora Walter si alzò, si voltò, lo vide e gli si avvicinò. Aveva un volto freddo e severo.
«Signor Du Roy,» disse, «la prego di non accompagnarmi, di non seguirmi, di non presentarsi più da solo a casa mia. Non la riceverei. Addio.»
E se n'andò, dignitosamente.
Lui lasciò che s'allontanasse, giacché per principio non voleva mai forzar le cose. Poi, appena il prete, un po' turbato, uscì dal suo nicchio, gli mosse risoluto incontro e, guardandolo fisso, gli bofonchiò in faccia:
«Ringrazi la veste che porta se non le mollo un bel paio di ceffoni sul grugno!»
Poi girò sui tacchi e uscì di chiesa fischiettando.
In piedi sotto il portale, l'omaccione, col cappello in testa e le mani dietro la schiena, stanco d'aspettare, scrutava con lo sguardo l'ampia piazza e tutte le vie che vi sboccavano.
Quando Du Roy gli fu vicino, si salutarono.
Il nostro giornalista, trovandosi libero, andò alla Vie Française. Appena entrato, vide dalla faccia indaffarata dei fattorini che stava accadendo qualcosa d'anormale, e entrò bruscamente nell'ufficio del direttore.
Zi' Walter, in piedi, nervoso, stava dettando un articolo a pezzi e a bocconi, e fra un da capo e l'altro impartiva ordini ai reporters che lo circondavano, faceva raccomandazioni a Boisrenard e apriva lettere.
Quando Du Roy entrò, il principale lanciò un grido di gioia: «Ah, che fortuna, ecco Bel-Ami!»
Si morse le labbra, un po' confuso e si scusò: «Mi perdoni se l'ho chiamato così, sono molto scosso da quanto sta accadendo. Eppoi, da mane a sera, non fo che sentir questo nome in bocca di mia moglie e delle mie figliole, e ho finito col prendere il vizio anch'io. Non me ne vorrà, vero?»
Georges rise: «Ma si figuri. Non c'è nulla che mi dispiaccia, in questo nomignolo.»
Zi' Walter riprese: «Benissimo, allora lei sarà anche per me Bel-Ami, come per tutti gli altri. Dunque, ci sono fatti grossi. Il governo è caduto con trecentodieci voti contro centodue. Dobbiamo rimandare ancora una volta le nostre ferie, rimandarle alle calende greche; e già siamo al ventotto luglio. La Spagna è offesa per il Marocco, e questo ha provocato la caduta di Durand de l'Aine e dei suoi accoliti. Siamo in un ginepraio, fino al collo. Marrot ha avuto l'incarico di formare il nuovo gabinetto. Ha messo il generale Boutin d'Acre alla Difesa e il nostro amico Laroche-Mathieu agli Esteri. Il portafoglio degli Interni se lo tiene lui insieme con la presidenza del Consiglio. Diventeremo un foglio ufficioso. Sto scrivendo l'articolo di fondo, una semplice dichiarazione di princìpi, tracciando ai ministri il programma da seguire.»
Il vecchio sorrise e soggiunse: «Il programma che contano di seguire, s'intende. Ma mi ci vorrebbe qualcosa d'interessante sulla questione marocchina, uno scritto d'attualità, una cronaca che faccia colpo, qualcosa di sensazionale, non so nemmeno io che. Me lo procuri lei.»
Du Roy rifletté un attimo, poi rispose: «Ho quello che fa al caso suo. Le darò uno studio della situazione politica di tutte le nostre colonie africane, con la Tunisia a sinistra, l'Algeria al centro, il Marocco a destra. Ci sarà anche la storia delle razze che popolano quel vasto territorio, e il racconto d'una puntata alla frontiera marocchina, fino alla grande oasi di Figuig dove non è ancor penetrato nessun europeo e che è la causa dell'attuale conflitto. Le serve?»
Zi' Walter esclamò: «Magnifico! E il titolo?»
«Stupendo.»
E Du Roy andò a frugare nella collezione della Vie Française per cercarvi il suo primo articolo, i Ricordi d'un cacciatore d'Africa, che ribattezzato, rimpolpettato e adattato era proprio, da un capo all'altro, quello che ci voleva, giacché parlava giustappunto di politica coloniale, della popolazione algerina e d'una passeggiata nella provincia di Orano.
In tre quarti d'ora, l'articolo fu rifatto, rattoppato, messo a punto dandogli un qualche sapore d'attualità e non dimenticandovi le lodi al nuovo gabinetto.
Il direttore, come l'ebbe letto, esclamò: «Perfetto... perfetto... perfetto. Lei è un uomo d'oro. Complimenti.»
E Du Roy tornò a casa per cenare, felice della sua giornata nonostante lo scacco alla Trinità, sentendo d'aver ormai partita vinta.
Sua moglie lo aspettava eccitata. Esclamò, appena lo vide: «Lo sai che Laroche è ministro degli Esteri?»
«Sì, ho finito proprio ora di scrivere, al proposito, un articolo sull'Algeria.»
«Un articolo?»
«Lo conosci già, il primo che scrivemmo insieme: i Ricordi d'un cacciatore d'Africa, rivisto e corretto per la circostanza»
Lei sorrise: «Ah, già! Va a pennello!»
Poi, dopo un attimo di riflessione, disse: «Stavo penando a quel seguito che dovevi fare allora e che... lasciasti a mezza strada. Potremmo scriverlo insieme adesso. Sforneremo così una serie d'articoli molto ad hoc.»
Lui rispose, sedendosi davanti alla minestra: «D'accordo. Nulla potrà più impedircelo, ora che quel becco di Forestier è morto e sepolto.»
Lei replicò vivacemente, asciutta e offesa:
«Le tue spiritosaggini son del tutto fuori luogo, ti prego di piantarla una buona volta. Son durate fin troppo.»
Stava per ribattere ironico, quando gli portarono un telegramma con questa sola frase, senza firma: «Avevo perduto la testa. Mi perdoni e venga domani, alle quattro, al parco Monceau.»
Capì a volo, e col cuore traboccante di gioia disse alla moglie, infilandosi in tasca il foglietto turchino:
«Non lo farò più, tesoro. È da idioti. Lo ammetto.»
E attaccò a mangiar la minestra.
Pur continuando a cenare, si ripeteva mentalmente quelle poche parole: «Avevo perduto la testa, mi perdoni e venga domani, alle quattro, al parco Monceau.» Stava cedendo, dunque. Tutto ciò voleva dire: «M'arrendo, sono sua, dove e quando vorrà lei.»
Si mise a ridere. Madeleine domandò:
«Che c'è?»
«Oh, nulla d'importante. Mi viene a mente un prete che ho incontrato questo pomeriggio con una faccia così buffa.»
L'indomani Du Roy arrivò puntualissimo all'appuntamento. Su tutte le panchine del parco erano seduti degli sfaccendati, sfiniti dal caldo, e alcune balie indolenti che parevano trasognate mentre i piccini si rotolavano sulla rena dei viali.
Trovò la signora Walter fra gli antichi ruderi dove sgorga una fonte. Girava intorno all'esiguo perimetro delle colonnine, visibilmente preoccupata e angustiata.
La salutò, e lei disse subito:
«Quanta gente, in questo giardino.»
«Davvero. Vogliamo andare da qualche altra parte?»
«E dove?»
«In un posto qualsiasi, in una carrozza, per esempio. Abbasserà la tendina, e sarà al riparo da ogni sguardo.»
«Sì, preferisco. Qui muoio di paura.»
«Bene, fra cinque minuti mi raggiungerà al cancello che dà sul boulevard esterno. Arriverò là in vettura.»
Quando furono di nuovo insieme, lei coprì il vetro del finestrino, e domandò: «Dov'ha detto di portarci, al cocchiere?»
Georges rispose: «Non si preoccupi, sa dove andare.»
Gli aveva dato l'indirizzo dell'appartamento di Rue de Constantinople.
Lei soggiunse: «Non può immaginare quanto soffra per causa sua, quanto mi sia tormentata, torturata. Ieri, in chiesa, sono stata dura, ma volevo fuggire a qualunque costo. Mi fa tanta paura trovarmi sola con lei. Mi ha perdonata?»
Lui le strinse le mani: «Ma sì, ma sì. L'amo talmente, che non so cosa non le perdonerei.»
Lei lo guardava supplichevole: «Mi ascolti, deve promettermi di rispettarmi... di non... di non... altrimenti non ci vedremo più.»
Lui, lì per lì, non rispose nulla. Sorrideva sotto i baffi, con quel suo sorriso fino che turbava tanto le donne. Finì col mormorare:
«Sono il suo schiavo.»
Allora lei prese a raccontargli di come si fosse accorta d'amarlo appena venne a sapere del suo prossimo matrimonio con Madeleine Forestier. Si perse in particolari, minuti particolari sulle date, sui fatti più intimi.
D'un tratto tacque. La carrozza s'era fermata. Du Roy aveva aperto lo sportello.
Lui rispose: «Scenda ed entri in questo palazzo. Qui saremo più tranquilli.»
«Ma dove siamo?»
«A casa mia. Nel mio appartamento di scapolo, che ho ripreso... per qualche giorno... per avere un angolino dove incontrarci.»
Lei s'aggrappò all'imbottiture della carrozza, sgomentata dall'idea di quel convegno a due, e balbettò: «No, no, non voglio! Non voglio!»
Lui disse risoluto: «Le giuro che la rispetterò. Venga. Ci stanno a guardare, la gente si ferma intorno a noi. Presto... presto... scenda.»
Ripeté: «Le giuro di rispettarla.»
Sulla soglia della sua bottega, un vinaio stava osservandoli incuriosito. Terrorizzata, lei entrò di furia nel portone.
Stava per infilar le scale, ma lui la prese per un braccio:
«È qui, a terreno.»
E la spinse nel suo appartamentino.
Richiusa la porta, subito la afferrò come una preda. Lei si dibatteva, lottava, barbugliava: «Oh, Dio mio... Dio mio...» Lui le baciava con foga il collo, gli occhi, le labbra, senza che lei potesse schivare quelle focose tenerezze; e pur continuando a respingerlo e a scansarne la bocca, gli restituiva, a suo malgrado, i baci.
D'un tratto smise di dibattersi e, vinta, rassegnata, si lasciò spogliare da lui, che abile e svelto le tolse ad uno ad uno gli indumenti, con dita delicate di cameriera.
Lei gli aveva strappato di mano il busto per nascondervi il volto, e se ne stava lì ritta, bianca bianca, in mezzo alle sue vesti cadutele ai piedi.
Le lasciò gli stivaletti, e la portò in braccio a letto. Allora lei, con voce incrinata dall'emozione: «Le giuro... le giuro... che non ho mai avuto un amante,» gli sussurrò in un orecchio, così come una fanciulla avrebbe detto: «Le giuro che sono vergine.»
E lui pensò: «Chissà quanto me n'importa, cristo!»