Guy de Maupassant
Bel Ami

PARTE SECONDA

V

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V

 

 

            Eravamo già d'autunno. I Du Roy avevano trascorso tutta l'estate a Parigi, conducendo sulla Vie Française, durante le brevi vacanze dei deputati, un'energica campagna in favore del nuovo gabinetto.

            Sebbene si fosse soltanto al primi d'ottobre, le camere stavano per riaprir le sedute, data la piega minacciosa presa dai fatti al Marocco.

            Nessuno, in fondo, credeva a una spedizione su Tangeri, sebbene il giorno della chiusura del Parlamento un deputato di destra, il conte de Lambert-Sarrazin, in uno spiritoso discorso applaudito anche dal centro, avesse proposto di scommettere - offrendo i propri baffi, come aveva fatto un tempo un famoso vicerè delle Indie, contro i favoriti del presidente del Consiglio - che il nuovo gabinetto non avrebbe potuto fare a meno di imitare il precedente e d'inviare un corpo d'armata a Tangeri, tanto per fare il paio con quello mandato a Tunisi e per amor di simmetria, così come si mettono due vasi su un caminetto.

            Costui aveva aggiunto: «Per la Francia, del resto, la terra africana è appunto un caminetto, onorevoli colleghi, un caminetto che brucia la nostra legna migliore, un caminetto a gran tiraggio che s'accende con bigliettoni di banca. Voi avete voluto togliervi lo sfizio d'ornare artisticamente il lato sinistro con un ninnolo tunisino che vi costa caro, e vedrete che l'onorevole Marrot non mancherà di imitare il suo predecessore ornando il lato destro con un ninnolo marocchino

            Quel discorso, rimasto celebre, era servito a Du Roy come tema per una serie di dieci articoli sulla colonia algerina, la serie rimasta interrotta quando esordì al giornale, sostenendo con fermezza l'idea d'una spedizione militare, quantunque convinto ch'essa non sarebbe avvenuta. Aveva toccato la corda del patriottismo e bombardato la Spagna con tutto l'arsenale dei dispregiativi che si usano contro i popoli i cui interessi contrastano coi nostri.

            La Vie Française aveva assunto considerevole importanza grazie ai suoi legami col Potere. Forniva, ancor prima dei più seri giornali, le notizie politiche, indicava con lievi accenni le intenzioni dei ministri suoi amici; e tutti i quotidiani di Parigi e della provincia attingevano dalle sue pagine le loro informazioni. Era citata, era temuta, e la si cominciava a rispettare. Non era più l'organo sospetto d'un gruppo di politicanti maneggioni, ma l'organo riconosciuto del gabinetto. Laroche-Mathieu era l'anima del giornale e Du Roy il suo portavoce. Zi' Walter, deputato silenzioso e cauto direttore, abile nel non dar nell'occhio, stava occupandosi nell'ombra, dicevano, d'una grossa speculazione a proposito di certe miniere di rame nel Marocco.

            Il salotto di Madeleine era diventato un centro influente, dove ogni settimana si riunivano vari membri del governo. Lo stesso presidente del Consiglio era stato due volte a pranzo da lei; e le mogli degli uomini di Stato, che un tempo esitavano a varcare la sua porta, adesso si vantavano d'essere amiche sue, e l'andavano a trovare molto più spesso di quanto non facesse lei con loro.

            Il ministro degli Esteri la faceva quasi da padrone in casa Du Roy. Vi capitava in qualsiasi momento, recava dispacci, ragguagli, informazioni che dettava sia al marito sia alla moglie, come se fossero suoi segretari. Quando Du Roy, andatosene il ministro, restava solo con Madeleine, sbottava in oscure minacce, in perfide insinuazioni contro il modo di fare di quel mediocre nuovo arrivato.

            Ma lei alzava le spalle sprezzante, ripetendo:

            «E perché non fai altrettanto anche tu? Diventa ministro, e allora potrai alzar la cresta. Sennò, zitto

            Lui s'arricciava i baffi guardandola di tralice: «Mica sanno di che son capace, io,» diceva. «Forse se n'accorgeranno, un giorno

            Madeleine rispondeva con filosofia: «Chi vivrà, vedrà

            La mattina della riapertura delle Camere, la giovane signora, ancora a letto, si mise a far mille raccomandazioni al marito, mentre questi stava vestendosi per andare a pranzo da Laroche-Mathieu, che gli avrebbe dato istruzioni, prima della seduta, circa l'articolo politico dell'indomani nella Vie Française, dato che tale articolo doveva essere una specie di dichiarazione ufficiosa sui reali propositi del governo.

            Diceva Madeleine: «Non dimenticare, soprattutto, di domandargli se il generale Belloncle sarà mandato davvero ad Orano, come corre voce. La cosa sarebbe molto significativa

            Georges, nervoso, rispose: «Ma lo so meglio di te, cosa devo fare. Non mi romper le scatole con le tue tiritere

            Lei proseguì tranquilla: «Mio caro, dimentichi sempre la metà degli incarichi che ti do per il ministro

            Lui brontolò: «Insomma, comincia a scocciarmi, il tuo ministro. È un bischero

            Lei disse calma: «Il mio ministro è anche il tuo. È più utile a te che a me.»

            Lui si volse appena, ridacchiando:

            «Scusami, ma a me mica fa la corte

            «E nemmeno a me fa la corterispose lei pacatamente. «Fa la nostra fortuna, però.»

            Lui tacque. Poi, dopo qualche istante: «Se dovessi sceglieredisse, «fra i tuoi adoratori, preferirei ancora quel vecchio barbogio di Vaudrec. Che fine ha fatto? Non lo vedo da una settimana

            Imperturbata, lei replicò: «È malato, anzi m'ha scritto ch'è a letto per via d'un attacco di gotta. Dovresti andare a chiedergli come sta. Lo sai che ti vuol molto bene, e gli faresti piacere

            Georges rispose: «Certo, come no. Ci andrò quest'oggi

            Aveva finito di vestirsi e, col cappello in testa, guardò se tutto fosse a posto. Parendogli di sì, s'avvicinò al letto, e baciò in fronte la moglie: «A stasera, tesoro. Non tornerò prima delle sette, se tutto va bene

            E uscì. Laroche-Mathieu stava aspettandolo, giacché quel giorno aveva fissato il pranzo per le dieci, dato che il Consiglio doveva riunirsi a mezzogiorno, prima della riapertura del Parlamento.

            Come furono a tavola, soli col segretario particolare del ministro, in quanto la signora Laroche-Mathieu non aveva voluto spostare l'ora del pasto, Du Roy parlò del suo articolo, ne tracciò lo schema consultando gli appunti scarabocchiati su dei biglietti da visita, poi, quand'ebbe finito, disse: «Trova che ci sia da modificar qualcosa, caro ministro

            «Poco o nulla; carissimo. Forse lei è un po' troppo esplicito sulla faccenda del Marocco. Parli della spedizione come se dovesse realmente avvenire, ma lasciando chiaramente intendere che non avverrà, e che lei non la ritiene affatto probabile. Faccia in modo che il pubblico possa legger bene fra le righe che non ci cacceremo in quest'avventura

            «Benissimo. Ho compreso, e mi farò certo capire. Mia moglie mi ha pregato di chiederle, al proposito, se il generale Belloncle sarà inviato a Orano. Dopo quel che lei m'ha detto, mi sembra di poter concludere di no.»

            L'uomo di Stato rispose: «Proprio così.»

            Poi parlarono della sessione che s'apriva. Laroche-Mathieu cominciò a perorare, provando l'effetto delle frasi che avrebbe riversato sui colleghi qualche ora dopo. Agitava la mano destra, alzando in aria ora la forchetta, ora il coltello, ora un boccone di pane; e senza guardar nessuno, rivolto all'invisibile Assemblea, espettorava la sua giulebbosa eloquenza di bellimbusto impomatato. Un minuscolo paio di baffetti arricciati gli drizzavano sulle labbra due punte che parevano code di scorpione, e i capelli unti di brillantina, spartiti in mezzo alla fronte, gli si arrotondavano sulle tempie in due bandine da rubacuori di provincia. Piuttosto grassoccio e rotondetto, sebbene ancor giovane, la pancetta gli gonfiava il gilè. Il segretario particolare mangiava e beveva tranquillamente, avvezzo senza dubbio a quelle annaffiate d'eloquenza; ma Du Roy, che si rodeva di gelosia per il successo ottenuto da Laroche, pensava: «Ma vattene, imbecille! Che cretini, questi uomini politici

            E confrontando il proprio valore con tutta la prosopopea parolaia del ministro, diceva tra sé e sé: «Cribbio, se avessi soltanto un centomila franchi per presentar la mia candidatura al mio paesello di Rouen, e infinocchiare con la loro stessa greve malizia i miei bravi normanni, che han fama d'esser tanto furbi ma che sono anche così balordi, che uomo di Stato, sarei, a petto di questi cialtroni sprovveduti

            Laroche-Mathieu parlò fino al caffè, poi, accortosi ch'era tardi, suonò il campanello perché facessero venire il suo coupé; e porgendo la mano al nostro giornalista, disse:

            «Ci siamo capiti bene, mio caro

            «Perfettamente, caro ministro. Può contar su di me.»

            E Du Roy se n'andò passo passo al giornale per cominciar l'articolo, non avendo nulla da fare fino alle quattro. Alle quattro doveva incontrarsi, in Rue de Constantinople, con la signora de Marelle, che continuava a veder regolarmente due volte la settimana, il lunedì e il venerdì.

            Ma entrato in redazione, gli consegnarono un dispaccio chiuso. Era della signora Walter, e diceva: «Devo assolutamente parlarti, oggi stesso. È cosa molto importante, importantissima. Aspettami alle due in Rue de Constantinople. Posso esserti di grande aiuto. Tua amica fino alla morte, Virginie

            Sacramentò: «Perdio, che mignatta

            E preso da una crisi di malumore, risortì subito, troppo innervosito per poter lavorare.

            Erano sei settimane che cercava di romperla con quella, senza riuscire a fiaccarne l'incaponito attaccamento.

            Dopo il suo fallo, costei aveva avuto uno spaventoso accesso di rimorsi, e per tre convegni consecutivi aveva oppresso l'amante con rimproveri e maledizioni. Seccato di quelle scenate, e già sazio di quella donna, matura e melodrammatica, s'era semplicemente allontanato sperando che così l'avventura sarebbe finita. Ma lei invece s'era aggrappata perdutamente a lui, buttandosi a capofitto in quell'amore come ci si butta in un fiume con una pietra al collo. E lui, per debolezza, per compiacenza, per scrupolo s'era lasciato riprendere. E così lei lo aveva imprigionato in una passione sfrenata e massacrante, l'aveva perseguitato con le sue tenerezze.

            Voleva vederlo tutti i giorni, lo chiamava ogni momento con dei telegrammi, per rapidi convegni a un qualsiasi angolo di strada, in un negozio, in un giardino pubblico.

            Gli ripeteva allora, con poche frasi, sempre le stesse, che lo adorava e lo idolatrava, poi lo lasciava giurandogli «che era felicissima d'averlo visto».

            Cercando di avvincerlo con puerili moine, infantilismi amorosi ridicoli alla sua età, si rivelava l'opposto di come l'aveva immaginata. Rimasta rigidamente onesta fino a quel momento, vergine di cuore, chiusa a qualsiasi tenero sentimento, ignara d'ogni sensualità, tutt'a un tratto era esplosa in lei, donna saggia coi suoi quieti quarant'anni che somigliavano a un pallido autunno dopo una frigida estate, una specie d'intristita primavera piena di fiorellini stenti e di gemme imbozzacchite: strano sboccio d'un amore da minorenne, d'un amor tardivo, ardente e ingenuo, fatto d'impreveduti slanci, di gridolini sedicenni, di vezzucci imbarazzanti e di graziette già vecchie senza esser mai state giovani. Gli scriveva una decina di lettere al giorno, lettere follemente sciocche, scritte in uno stile bizzarro, poetico e ridicolo, ornato come quello degli indiani e cosparso di nomi d'animali e d'uccelli.

            Come si trovavano soli, la sbaciucchiava con pesanti delicatezze di bambinona invecchiata, con smorfiette delle labbra piuttosto grottesche, con sballonzolii che le facevano traballare il seno troppo abbondante sotto la stoffa del corpetto. Lo nauseava soprattutto quel sentirsi chiamar «topolino mio», «cagnolino mio», «micetto mio», «gioiuzza mia», «mio uccellino azzurro», «tesoruccio», e quel suo darsi a lui, ogni volta, senza rinunziare alla commediola dei pudori infantili, dei gestolini di timore che secondo lei dovevano essere adorabili, delle lasciviette da educanda viziosa.

            Gli domandava: «Di chi è questa bocca

            E se lui non le rispondeva subito «È mia», lei insisteva sino a farlo diventar livido di rabbia.

            Avrebbe dovuto comprendere, gli pareva, che in amore ci vuole una delicatezza, un'accortezza, una prudenza e una misura estreme; che datasi a lui già matura, madre di famiglia, donna di buona condizione sociale, avrebbe dovuto concedersi dignitosamente, con un tal quale contegno pur nell'abbandono, una tal quale serietà, magari con qualche lacrima, ma d'una Didone ormai, non più d'una Giulietta.

            Gli ripeteva senza posa: «Quanto ti voglio bene, bamboccetto mio! Di', me ne vuoi altrettanto, mio bel fantolino

            Non ce la faceva più, lui, a sentirsi dire «bamboccetto» e «fantolino», senza una gran voglia di buttarle in faccia: «nonnetta mia».

            Gli sussurrava: «Sono stata una pazza, a cedere. Ma non me ne pento. È così bello amare

            A Georges tutte queste frasi, in quella bocca, davano ai nervi. Diceva «è così bello amare» proprio col tono di un'ingenua sul palcoscenico.

            Eppoi lo esasperava la goffaggine delle sue carezze. Fattasi d'improvviso sensuale sotto i baci di quel bel ragazzo che le aveva scaldato il sangue con tanto vigore, recava nell'amplesso un fuoco così sprovveduto, e un'applicazione così puntigliosa, da muoverlo al riso e da fargli venire a mente certi bravi vecchietti quando si sforzano d'imparare a leggere.

            Laddove avrebbe dovuto maciullarlo fra le sue braccia, fissandolo con lo sguardo profondo e tremendo che hanno a volte le donne in declino, superbe nei loro ultimi amori; laddove avrebbe dovuto morderlo con bocca muta e fremente e schiacciarlo sotto il peso della carne lenta e calda, stanca ma insaziabile, lei invece si dimenava come una bambinella, e ciancicava per far la vezzosa: «T'amo tanto, pollicino mio! T'amo tanto! Fa' carezzine dolci a mogliettina tua!»

            Gli veniva allora una voglia matta di bestemmiare, di prendere il cappello e d'andarsene sbattendo la porta.

            S'erano visti spesso, nei primi tempi, in Rue de Constantinople, ma Du Roy, che temeva d'incontrarsi con la signora de Marelle, adesso trovava mille pretesti per rifiutare quegli appuntamenti.

            Così era dovuto andare quasi tutti i giorni da lei, ora a pranzo, ora a cena. Virginie gli stringeva la mano sotto il tavolino, gli porgeva la bocca dietro un uscio. Ma lui preferiva divertirsi con Suzanne, che lo esilarava con le sue stramberie. In quel corpicino di pupattola serpeggiava uno spiritello agile e scaltro, inatteso e sornione, sempre pronto alla farsa come una marionetta in una fiera. Costei si beffava di tutto e di tutti, con mordace puntualità. Georges ne eccitava il brio, la incitava all'ironia, e s'intendevano a meraviglia.

            Lo chiamava ogni momento: «Senta, Bel-Ami! Venga qua, Bel-Ami

            Lui lasciava subito la genitrice per correr vicino alla figlia che gli mormorava in un orecchio qualche malignità, e insieme ridevano di tutto cuore.

            Ma era così stufo dell'amore della madre, da provarne ormai un'invincibile ripugnanza; non poteva più né vederla, né sentirla, né pensarla senza che gli entrassero i nervi. E perciò smise di frequentarne la casa, di rispondere alle sue lettere e di cedere ai suoi richiami.

            Lei capì infine di non esser più amata, e soffrì orribilmente. S'incaponì, lo spiò, lo seguì, l'aspettò in una carrozza con le tendine abbassate, all'ingresso del giornale, sul portone di casa, sulla strada dove sperava che passasse.

            Lui aveva una gran voglia di maltrattarla, d'offenderla, di picchiarla, di dirle papale papale: «Basta, ne ho fin qui, m'ha scocciato.» Ma aveva ancora qualche ritegno per via della Vie Française; e cercava, a furia di freddezza, di durezze velate di riguardi, e perfino, a volte, di parole rudi, di farle comprendere ch'era tempo di piantarla.

            Ma lei s'intestardiva, soprattutto nell'escogitare astuzie per attirarlo in Rue de Constantinople, e lui viveva nel terrore che le due donne, un bel giorno, potessero trovarsi a faccia a faccia davanti a quella porta.

            Il suo attaccamento per la signora de Marelle, al contrario, era aumentato durante l'estate. La chiamava il suo «ragazzaccio», e decisamente gli piaceva. I loro caratteri avevano agganci simili; appartenevano, entrambi, all'avventurosa razza dei vagabondi della vita, quei vagabondi in guanti gialli che somigliano tanto, senza che se ne rendano conto, agli zingari delle strade maestre.

            Avevano trascorso una deliziosa estate d'amore, un'estate da goliardi in baldoria, pronti a tagliar la corda per andare a colazione o a cena ad Argenteuil, a Bougival, a Maisons, a Poissy, standosene ore e ore in barca a coglier fiori lungo le prode. Lei adorava il pesce fritto della Senna, le fricassee di coniglio, i piatti marinati, i chioschi di verzura delle osterie e i gridi dei canottieri. A lui piaceva partir con Clotilde, in una bella giornata, sull'imperiale d'una tranvia suburbana, e attraversare, dicendole allegre scemenze, la brutta campagna di Parigi, dove spuntano, come tanti foruncoli, quegli orribili villini borghesi.

            E quando doveva tornare per andare a pranzo dalla signora Walter, odiava più che mai la vecchia amante testarda, fresco del ricordo della giovane che aveva lasciato da poco e che aveva colto il fiore delle sue brame, mietuto i suoi ardori fra l'erba della riva.

            Credeva d'essersi finalmente liberato, o quasi, della Padrona, alla quale aveva espresso in modo chiaro, pressoché brutale, la sua decisione di romper con lei, quando ricevette al giornale il telegramma che lo invitava; per le due, in Rue de Constantinople.

            Se lo rileggeva strada facendo: «Devo assolutamente parlarti, oggi stesso. È cosa molto importante, importantissima. Aspettami alle due in Rue de Constantinople. Posso esserti di grande aiuto. Tua amica fino alla morte, Virginie

            Pensava: «Che vuole ancora da me, questa vecchia arpia? Scommetto che non ha nulla da dirmi. Mi ripeterà che mi adora. Comunque, devo vedere. Parla di cosa molto importante, dice che può essermi di grande aiuto, potrebbe anche esser vero. E Clotilde, che verrà alle quattro? Bisogna che alle tre, al massimo, spedisca la prima. Cribbio, purché non s'incontrino! Che fetentacce, 'ste donne

            Pensò che invero la sua era la sola a non tormentarlo mai. Viveva nel suo cantuccio, e dimostrava d'amarlo molto ma nelle ore dedicate all'amore, giacché lei non ammetteva che si turbasse l'ordine immutabile delle ordinarie occupazioni della vita.

            Camminava, a passi lenti, verso il nido dei suoi appuntamenti, eccitandosi mentalmente contro la Padrona:

            «Eh, che bella accoglienza, le farò, se non avrà nulla da dirmi. Il francese di Cambronne diventerà aulico, a paragone del mio. Intanto, le spiattellerò chiaro e tondo che in casa sua non ci metterò più piede

            Ed entrò per aspettare la signora Walter.

            Arrivò quasi subito, e come lo scorse; fece:

            «Ah, hai ricevuto il mio telegramma? Meno male

            Lui fece la faccia brusca:

            «Cristo, l'ho trovato al giornale, proprio mentre stavo per andare alla Camera. Che vuoi ancora, da me?»

            Lei s'era alzata la veletta per baciarlo, e stava avvicinandosi con l'aria peritosa e sottomessa d'un can bastonato.

            «Quanto sei cattivo con me... Perché mi parli così duramente?... Che ti ho fatto? Tu non immagini quant'io soffra per te!»

            Lui brontolò: «Si ricomincia

            Gli era vicinissima, in piedi, e aspettava un sorriso, un gesto per buttarglisi fra le braccia, Mormorò:

            «Non dovevi prendermi, per poi trattarmi così. Dovevi lasciarmi stare, savia e felice com'ero. Ti ricordi quello che mi dicesti in chiesa, e come mi spingesti di viva forza in questo tuo appartamento? E ora, ecco come mi parli! come mi ricevi! Mio Dio, mio Dio! Quanto male mi fai!»

            Lui batté il piede in terra, e scattò violento:

            «Ah, ma insomma! Ora basta! Non posso vederti un minuto senza sentir questa lagna. Par davvero che t'abbia violata a dodici anni, candida come un angioletto. No, mettiamo bene i puntini sulle i: niente corruzione di minorenne. Ti sei data a me che il dente del giudizio ce l'avevi. Te ne ringrazio, te ne sono infinitamente grato, ma nulla m'obbliga a restarti appiccicato alle gonnelle fino alla morte. Tu hai un marito e io ho una moglie. Non siamo liberi nessun dei due. Ci siamo levati uno sfizio, e buonanotte suonatori, la commedia è finita

            Lei disse: «Come sei brutale! come sei grossolano e volgare! No, non ero più una ragazzina, ma non avevo mai amato, mai peccato...»

            Lui le troncò la parola in bocca: «Lo so, me l'hai già detto e ridetto una ventina di volte. Ma avevi già avuto due figliole... non ti ho certo deflorata...»

            Lei indietreggiò: «Ma Georges, non è degno di te!...»

            E portandosi le mani al petto, cominciò a soffocar dai singhiozzi, che le facevano nodo in gola.

            Quando lui vide spuntar le lacrime, prese il cappello sull'angolo del caminetto e disse: «Ah, ti metti a piangere? E allora, buonasera! Mi hai fatto venire per assistere a questo bello spettacolo

            Lei fece un passo per sbarrargli la strada e, cavato alla svelta un fazzoletto di tasca, s'asciugò brusca gli occhi. Cercò di render più ferma la voce con uno sforzo di volontà, e disse a strattoni, con un penoso belato:

            «No... son venuta per... per darti una notizia... una notizia politica... per offrirti il modo di guadagnar cinquantamila franchi... e anche di più... se vuoi.»

            Raddolcitosi di colpo, lui domandò: «E come? Spiegati

            «Ho afferrato per caso, iersera, certe parole di mio marito e di Laroche. D'altronde, non badavano troppo a esser guardinghi davanti a me. Walter raccomandava al ministro di non metterti a parte del segreto, perché avresti rivelato ogni cosa.»

            Du Roy aveva di nuovo posato il cappello, su una sedia. Aspettò, tutto orecchi.

            «E allora, di che si tratta

            «Stanno per impadronirsi del Marocco

            «Ma va! Se ho pranzato con Laroche, che m'ha dettato quasi per filo e per segno le intenzioni del governo

            «No, tesoro, si san presi giuoco di te, temendo che si venga a conoscenza delle misure già prese

            «Sieditidisse Georges.

            E si sedé anche lui su una poltrona.

            Lei allora trasse a sé un panchetto, e gli si accoccolò fra le ginocchia soggiungendo, tutta smancerosa: «Lo vedi che a te ci penso sempre? Sto sempre attenta attenta a quel che si bisbiglia intorno a me.»

            E adagio adagio prese a spiegargli come si fosse accorta, da un po' di tempo, che si stava tramando qualcosa tenendolo all'oscuro, che si servivano di lui mentre ne temevano la collaborazione.

            Diceva: «Sai, quando si ama, si diventa furbe

            La sera prima, finalmente, aveva capito tutto. Si trattava d'un grosso colpo, d'un grossissimo colpo preparato nell'ombra. E sorrideva, adesso, felice della propria abilità. Si esaltava, parlando da vera moglie d'un affarista, avvezza a veder macchinare le manovre di borsa, i mutamenti delle quotazioni, le crisi provocate dal rialzo e dal ribasso dei titoli con conseguente rovina, in due ore di speculazioni, di migliaia di piccoli borghesi, di piccoli possidenti che hanno investito i loro risparmi su fondi garantiti dal nome di uomini onorati e rispettati, uomini politici o banchieri.

            Lei andava ripetendo: «Eh, è una cosa grossa, quella che hanno fatto, grossissima. È stato Walter a dirigere tutto, e lui se ne intende. Proprio una cosa coi fiocchi

            Tutti questi preamboli gli facevan perdere la pazienza.

            «Su, taglia corto

            «Ecco qua. La spedizione su Tangeri l'avevano decisa fra di loro fin dal giorno in cui Laroche ha assunto il ministero degli Esteri; e, a poco a poco, hanno riscattato tutto il prestito del Marocco, che era caduto a sessantaquattro o sessantacinque franchi. L'hanno riscattato molto abilmente, per mezzo d'agenti ambigui, equivoci, che non suscitavano nessuna diffidenza. Hanno preso per il naso perfino i Rothschild, che si meravigliavano della continua richiesta di redimibile marocchino. Li hanno confusi facendo i nomi degli intermediari, tutta gente tarata, in cattive acque. Ciò ha tranquillizzato la grande banca. E ora stiamo per fare la spedizione, e appena avremo messo piede laggiù, lo Stato francese garantirà il debito pubblico. I nostri cari amici avranno un guadagno di cinquanta o sessanta milioni. Capisci che affare? E capirai anche com'abbiano paura di tutti quanti, paura della minima indiscrezione

            Gli aveva appoggiato il capo sul panciotto, e con le braccia sulle sue gambe, gli si stringeva, gli si appiccicava contro, sentendo bene che adesso lo interessava, pronta a far qualsiasi cosa, a osar tutto per una carezza, per un sorriso.

            Lui domandò: «Sei proprio sicura

            Lei rispose baldanzosa: «Oh, certo!»

            «È davvero un bel colpo,» fece Georges. «Quanto a quel porcaccione di Laroche, saprò pizzicarlo io! Farabutto! Stia attento... stia attento... La sua carcassa di ministro dovrà lasciarmi sotto le unghie

            Poi, dopo un attimo di riflessione, mormorò: «Bisognerebbe, comunque, approfittarne

            «Puoi ancora comprare qualche cartella del prestitodisse lei. «È a settantadue franchi appena.»

            Lui soggiunse: «Già, ma non ho denaro disponibile

            Lei lo guardò con occhi supplichevoli, e disse: «Ci ho pensato, topolino mio, e se tu fossi davvero carino con me, tanto carino, se tu mi volessi un briciolo di bene, mi permetteresti di prestarti qualcosa.»

            Lui rispose bruscamente, quasi duramente: «Questo poi no, perbacco

            Lei mormorò con voce implorante: «Ascolta, puoi fare un'altra cosa, senza bisogno di prender denaro in prestito. Io avevo intenzione di comprare diecimila franchi di quelle cartelle, per crearmi una mia cassetta personale. Bene, comprerò per ventimila franchi. Metà per me, metà per te. Sai bene che non dovrò rimborsar la somma a Walter.

            Perciò, sul momento, non ci sarà da pagar nulla. Se la cosa riuscirà, ci avrai guadagnato settantamila franchi. Se non riuscirà, me ne dovrai diecimila, e me li darai quando ti farà comodo

            Lui ripeté: «No, sono combinazioni che non mi piacciono»

            Lei allora cercò di convincerlo ragionando, gli dimostrò che lui impegnava diecimila franchi sull'unica garanzia della parola, che correva perciò dei rischi, che lei non gli anticipava niente dato che il versamento l'avrebbe eseguito la Banca Walter.

            Gli ricordò inoltre ch'era stato lui a condurre, nella Vie Française, l'intera campagna politica che aveva reso possibile l'affare, e che sarebbe stato un ingenuo a non approfittarne.

            Poiché Georges esitava ancora, aggiunse: «Se ci pensi bene, in realtà è Walter ad anticiparti diecimila franchi. E che sono, diecimila franchi, a confronto di ciò che hai fatto per lui?»

            «E va bene, accetto,» le rispose. «Faccio a mezzo con te. Se perderemo, ti rimborserò diecimila franchi

            Tutta contenta, lei si rialzò, gli prese il volto fra le mani, e cominciò a baciarlo ingorda.

            Lui per lasciò fare, poi, mentre quella, imbaldanzita, stava soffocandolo e divorandolo con le sue effusioni, pensò che fra poco sarebbe giunta l'altra, e che se lui avesse ceduto avrebbe perso tempo e, per giunta, avrebbe sperperato fra le braccia della tardona un ardore che era meglio conservare per la giovane.

            Allora la respinse adagio adagio, dicendole: «Su, fa' la brava

            Lei lo guardò con occhi desolati: «Oh, Georges, non posso più nemmeno baciarti

            Lui rispose: «No, oggi no. Ho un po' di mal di capo, e ne risentirei

            Lei allora, docile, gli si sedette di nuovo fra le ginocchia, e gli domandò: «Vuoi venire a cena da me, domani? Mi faresti tanto contenta

            Lui esitò, ma non ardì rifiutare: «Sì, certo.»

            «Grazie, tesoro

            Stava strusciandogli adagio adagio una guancia sul petto, con compassata svenevolezza, e uno dei suoi lunghi capelli neri le rimase impigliato nel panciotto.

            Lei se n'accorse, e un'idea balzana le attraversò la mente, una di quelle ubbie che spesso formano tutto il bagaglio della logica femminile. Cominciò ad avvolger pian piano quel capello intorno a un bottone. Poi ne attaccò un altro al bottone successivo, e un altro ancora a quello di sotto. Ne annodò uno ad ogni bottone.

            Lui li avrebbe strappati tutti quando, fra Poco, si sarebbe alzato. Le avrebbe fatto male. Che gioia! E si sarebbe portato via qualcosa di lei, senza accorgersene, si sarebbe portato via una piccola ciocca della sua capigliatura, quella ciocca che non le aveva mai chiesto. Era un laccio col quale lo legava a sé, un laccio segreto, invisibile! un talismano che gli lasciava addosso. Senza volerlo, avrebbe pensato a lei, l'avrebbe sognata, l'avrebbe amata un poco di più, l'indomani.

            Georges disse ad un tratto: «Bisognerà che ti lasci, alla Camera m'aspettano per la fine della seduta. Oggi non posso mancare

            Lei sospirò: «Oh, di già?»

            Poi, rassegnata, disse: «Va', tesoro, ma domani vieni a cena da me.»

            E, bruscamente, si staccò da lui.

            Sentì in testa una fitta breve e acuta, come se l'avessero punta con tanti aghi. Le batteva il cuore. Era contenta d'aver sofferto un poco per lui.

            «Addio,» gli fece.

            Georges la prese fra le braccia con un sorriso di compatimento, e le baciò gli occhi freddamente.

            Senonchè lei, resa folle dal contatto, mormorò ancora una volta: «Di già?»

            E con occhi supplichevoli indicava la porta aperta della camera.

            Lui s'allontanò, e disse frettoloso: «Devo scappare, altrimenti arriverò in ritardo

            Lei allora gli porse le labbra, che Georges sfiorò appena soggiungendo, dopo averle dato l'ombrellino che dimenticava: «Su, su, sbrighiamoci, son le tre passate

            Lei lo precedette ripetendo: «Domani alle sette

            Lui rispose: «Domani alle sette

            Si separarono. Lei voltò a destra, lui a sinistra.

            Du Roy raggiunse il boulevard esterno. Poi, passo passo, ridiscese il Boulevard Malesherbes. Nella vetrina d'una pasticceria scorse dei marrons glacés in una coppa di cristallo, e pensò: «Voglio prenderne mezzo chilo per ClotildeComprò un sacchetto di quei frutti canditi, di cui andava matta. Alle quattro era tornato, e aspettò la giovane amante.

            Costei giunse un poco in ritardo perché era arrivato il marito, per i suoi otto giorni. Gli domandò: «Puoi venire a cena domani? Sarà felice di vederti

            «No, ceno dal Padrone. Dobbiamo occuparci d'un mucchio di faccende politiche e finanziarie

            S'era tolta il cappellino. Stava ora togliendosi il corpetto che la stringeva troppo.

            Le indicò il sacchettino sul caminetto: «T'ho portato dei marrons glacés

            Clotilde batté le mani: «Uh, che bellezza! quanto sei caro

            Li prese, ne assaggiò uno, e dichiarò: «Squisiti. Mi sa che non ne lascerò nemmeno uno.»

            Poi aggiunse, guardando Georges con spensierata sensualità: «A quanto pare coltivi tutti i miei vizi

            Mangiava lentamente i marroni e dava di continuo un'occhiata in fondo al sacchetto per veder se ce n'erano ancora.

            Disse: «Su, siediti nella poltrona, io m'accoccolerò fra le tue ginocchia per sgranocchiarmi i miei bonbons. Ci starò come una papessa

            Lui sorrise, si sedette, e l'accolse fra le cosce aperte come, poco fa, la signora Walter.

            Lei doveva alzare il capo per parlargli, e gli diceva, con la bocca piena:

            «Sai, tesoro, che ti ho sognato? Ho sognato che facevamo un lungo viaggio tutti e due insieme, su un cammello. Aveva due gobbe, io ero a cavallo d'una gobba, tu di quell'altra, e stavamo attraversando il deserto. Avevamo portato in un foglio dei panini imbottiti e un po' di vino in una bottiglia, e facevamo merenda sulle nostre due gobbe. Ma io ero arrabbiata perché non potevamo fare altro, eravamo troppo distanti, e volevo scendere

            «E anch'io voglio scendererispose lui.

            Rideva, si divertiva a quella storiella, la spronava a dire altre sciocchezze, a chiacchierare, a raccontare altre fanciullaggini, tutte le dolci scemenze degli innamorati. Tutte queste puerilità che trovava graziosissime in bocca della signora de Marelle, lo avrebbero esasperato in quella della signora Walter.

            Anche Clotilde lo chiamava «tesoro mio», «cocco mio», «topolino mio». E gli sembravano parole soavi e carezzevoli. Mentre dette poco fa da quell'altra lo avevano irritato e stomacato. Proprio vero che le parole d'amore, che son sempre le medesime, prendono il gusto delle labbra che le pronunciano.

            Ma fra quelle scempiaggini che lo divertivano tanto, non dimenticava i settantamila franchi che avrebbe guadagnato, e all'improvviso interruppe il cicaleccio dell'amica, battendole due colpetti in testa col dito: «Ascolta, micia. Devo darti un incarico per tuo marito. Digli da parte mia di comprare, domani, diecimila franchi di cartelle del prestito marocchino, che è a settantadue; e gli garantisco che in meno di tre mesi guadagnerà dai sessanta agli ottantamila franchi. Raccomandagli il più assoluto silenzio. Digli, sempre da parte mia, che la spedizione su Tangeri è stata decisa, e che lo Stato francese garantirà il debito del Marocco. Ma non ti tradire con nessun altro. È un segreto di Stato, quello che ti confido

            Lei lo ascoltava seria. Mormorò: «Grazie, avvertirò mio marito stasera. Puoi fidarti di lui: non parlerà con nessuno. È un uomo incapace di tradire. Non c'è nessun pericolo

            Aveva mangiato tutti i marroni. Schiacciò fra le mani il sacchetto e lo buttò nel fuoco del camino. Poi disse: «Su, andiamo a letto

            E senza alzarsi cominciò a sbottonare il panciotto di Georges.

            D'un tratto si fermò, tirando con due dita un lungo capello impigliato in un occhiello, e si mise a ridere: «To', ti sei portato con te un capello di Madeleine. Che maritino fedele

            Poi, rifattasi seria, esaminò a lungo, sulla mano, il filo quasi invisibile che aveva trovato, e mormorò: «Ma non è di Madeleine, è bruno

            Lui sorrise: «Dev'essere della cameriera

            Ma lei ora ispezionava il panciotto con l'attenzione d'un poliziotto, e prese un secondo capello attorcigliato intorno a un bottone; poi ne scorse un terzo; e impallidendo, colta da un lieve tremito, esclamò: «Sei andato a letto con una donna che ti ha attaccato i suoi capelli a tutti i bottoni, eh?»

            Lui, sorpreso, balbettò: «Ma no. Sei matta

            Subito si ricordò, capì, si turbò un attimo, poi negò ridacchiando, non dispiacendogli, in fondo, che lei immaginasse qualcosa dei suoi successi con le donne.

            Clotilde continuava a cercare e a trovar capelli che sfilava svelta e gettava sul tappeto.

            Col suo scaltro istinto di donna aveva indovinato tutto, e balbettava furibonda, stizzita e per scoppiare in lacrime: «È una che t'ama, questa... Ha voluto che tu portassi via qualcosa di lei... Traditore che non sei altro...»

            Poi lanciò un grido, un grido stridulo di gioia nervosa: «Uh... uh... È una vecchia... Ecco un capello bianco..: Ah, ti metti con le vecchie, adesso... Di', ti pagano, per caso... Ti pagano?... Ah, con le vecchie, ti sei ridotto ad andare... Allora non hai più bisogno di me... Tienti quell'altra...»

            Si alzò, corse a prendere il corpetto buttato su una sedia e se lo rimise in fretta.

            Lui cercava di trattenerla, rosso di vergogna, e balbettava: «Ma no... Clo... Non far la stupida... Che ne so, io... Ascolta... resta... su... resta...»

            Lei andava ripetendo:

            «Tienti la tua vecchia... tientela... mettiteli in cornice, i suoi capelli... i suoi capelli bianchi... Ne hai già da fare un bel quadretto...»

            Con gesti bruschi e rapidi s'era rivestita, mettendosi il cappellino e il velo. Lui cercò d'afferrarla, lei allora gli mollò in faccia un solenne ceffone. E mentre Georges se ne stava stordito, aprì la porta e fuggì via.

            Rimasto solo, gli prese una rabbia furiosa contro quella vecchia della malora di mamma Walter. Eh, se l'avrebbe mandata a farsi friggere, quella , e senza tanti complimenti!

            Si umettò la guancia arrossata. Poi uscì anche lui, meditando la sua vendetta. Questa volta non gliel'avrebbe perdonata. Eh, no!

            Raggiunse il boulevard e, bighellonando, si fermò davanti a una gioielleria per guardare un cronometro che desiderava da tanto, e che costava mille e ottocento franchi.

            Pensò d'un tratto, sobbalzando di gioia: «Se guadagnerò i miei settantamila franchi, potrò concedermelo.» E si mise a fantasticare su tutte le cose che avrebbe fatto con quei settantamila franchi.

            Tanto per cominciare, sarebbe stato eletto deputato. Poi avrebbe comprato il cronometro, quindi avrebbe giocato in borsa, e infine... infine...

            Non aveva voglia d'andare al giornale; preferiva, prima di rivedere Walter e di scriver l'articolo, parlare con Madeleine. E s'avviò verso casa.

            Giunto in Rue Drouot si fermò di colpo; s'era dimenticato d'informarsi sulla salute del conte de Vaudrec, che abitava nella Chaussée-d'Antin. Tornò indietro, sempre bighellonando e pensando a mille cosucce in una sorta di beata fantasticaggine: cose dolci, belle, alla fortuna ormai prossima e anche a quel mascalzone di Laroche, a quella vecchia bisbetica della Padrona. D'altronde, la collera di Clotilde non lo preoccupava affatto, ben sapendo che costei lo avrebbe perdonato presto.

            Al portiere della casa dove abitava il conte de Vaudrec domandò:

            «Come sta il signor de Vaudrec? M'hanno detto che in questi ultimi giorni s'è sentito male

            L'uomo rispose: «Il signor conte è gravissimo. Forse non arriverà a domattina. La gotta ha raggiunto il cuore

            Du Roy rimase talmente sbigottito da non saper più che fare. Vaudrec moribondo! Idee confuse gli affollavano la mente, idee sconcertanti, idee che non osava confessare a se stesso.

            Senza capir ciò che stava dicendo, balbettò: «Grazie... ripasserò

            Poi saltò in una carrozza e si fece portare a casa.

            Sua moglie era già tornata. Entrò in camera trafelato, e le annunziò a bruciapelo:

            «Ma lo sai che Vaudrec è moribondo

            Lei era seduta e stava leggendo una lettera. Alzò gli occhi, e per tre volte di seguito ripeté: «Eh? Che dici? ma che dici?... che dici?...»

            «Dico che Vaudrec sta morendo, un attacco di gotta gli ha colpito il cuore

            Poi aggiunse:

            «Cosa pensi di fare?»

            Lei s'era alzata in piedi, livida, le guance percorse da un tremito nervoso, poi scoppiò in un pianto dirotto, coprendosi il volto con le mani. Rimase ritta, scossa dai singhiozzi, oppressa dal dolore.

            Ma dominò subito la sua angoscia e, asciugatisi gli occhi, disse: «Vado... vado io... non pensare a me... non so a che ora tornerò... non mi aspettare...»

            Lui rispose: «Va bene, vai

            Si strinsero la mano, e lei uscì così in fretta da dimenticar perfino i guanti.

            Georges, dopo aver cenato solo, si mise a scriver l'articolo. Lo scrisse proprio secondo le intenzioni del ministro, lasciando capire ai lettori che la spedizione nel Marocco non ci sarebbe stata. Poi lo portò al giornale, parlò per qualche istante col Padrone, e se ne tornò fumando, col cuore più leggero, senza saper perché.

            Sua moglie era ancora fuori. Si coricò e s'addormentò. Madeleine rincasò verso mezzanotte. Georges, svegliato all'improvviso, si sedette sul letto.

            Domandò: «Be'?»

            Non l'aveva mai vista così pallida e scossa.

            «È morto

            «Ah! E... non ti ha detto nulla?»

            «Nulla. Quando sono arrivata aveva già perduto la conoscenza

            Georges era soprappensiero, pieno di domande che non osava fare.

            «Vieni a lettodisse.

            Lei si spogliò svelta, poi s'infilò sotto le lenzuola, accanto a lui.

            Georges riprese: «C'era nessun parente, al suo letto di morte

            «Soltanto un nipote

            «Ah! E lo vedeva spesso, questo nipote

            «Mai. L'ultimo loro incontro avvenne dieci anni fa.»

            «Ne aveva molti, di parenti

            «No... ch'io sappia

            «Allora... è quel nipote, l'erede

            «Non lo so   

            «Era molto ricco, Vaudrec

            «Sì, ricchissimo

            «Sai, pressappoco, quanto aveva?»

            «No, esattamente no. Credo un milione o due.»

            Lui non disse più nulla. Lei spense la candela. E rimasero adagiati l'uno a fianco dell'altro, al buio, silenziosi, svegli e pensierosi.

            Georges non aveva più voglia di dormire. Gli sembravano magrolini, adesso, i settantamila franchi promessi dalla signora Walter. D'un tratto gli parve che Madeleine singhiozzasse. Per accertarsene domandò:

            «Dormi

            «No.»

            La sua voce era molle di pianto, e tremolante. Lui soggiunse:

            «Oggi pomeriggio mi son scordato di dirti che il nostro ministro ci ha fottuti

            «E come?»

            Le raccontò per filo e per segno, in ogni particolare, quanto avevano combinato insieme Laroche e Walter.

            Quand'ebbe finito, lei gli domandò:

            «Come l'hai saputo

            Lui rispose:

            «Permetti che non te lo dica? Tu hai le tue fonti d'informazione che io non cerco di scoprire. Io ho le mie, che desidero tener per me. Ti garantisco, comunque, l'esattezza delle notizie

            Lei allora mormorò:

            «Sì, è probabile che sia così... Sospettavo anch'io che stessero tramando qualcosa alle nostre spalle

            Georges, che non riusciva a prender sonno, s'era avvicinato alla moglie, e dolcemente le baciò un orecchio. Lei lo respinse con energia: «Ti prego, neh? lasciami in pace. Ho altro per il capo che spassarmela

            Lui si voltò verso il muro, rassegnato, e chiusi gli occhi finì con l'addormentarsi.

 


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