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VIII
Nei restanti mesi di quell'inverno i Du Roy andarono spesso dai Walter. Georges anzi vi pranzava ogni momento, senza Madeleine che diceva d'essere stanca e che preferiva restarsene a casa.
Aveva scelto il venerdì come giorno fisso, e quella sera la Padrona non invitava mai nessun altro; era una sera dedicata tutta a Bel-Ami, soltanto a lui. Dopo cena giocavano a carte, davan da mangiare ai pesciolini cinesi, se ne stavano e si divertivano in casa. Più d'una volta, dietro un uscio, dietro una siepe della serra, in un angolino buio, la signora Walter aveva bruscamente preso fra le braccia il nostro giovanotto e, stringendoselo al seno con tutte le sue forze, gli aveva soffiato in un orecchio: «T'amo!... t'amo!... t'amo da morire!»
Ma lui l'aveva sempre respinta freddamente, rispondendole asciutto:
«Se ricomincia, non verrò più.»
Sulla fine di marzo si sparse ad un tratto la voce del matrimonio delle due sorelle. Rose doveva sposare, stando ai si dice, il conte de Latour-Yvelin, e Suzanne il marchese de Cazolles. Questi due tizi erano diventati intimi nella casa, e come tali godevano di particolari attenzioni e di notevoli prerogative.
Georges e Suzanne vivevano in una specie di fraterna e libera intrinsichezza, chiacchieravano insieme per ore e ore, si burlavano di tutti quanti e pareva che se l'intendessero molto.
Mai, loro due, avevano più parlato d'un possibile matrimonio della fanciulla, o dei pretendenti che si facevano avanti.
Un mattino che il Padrone aveva portato a casa Du Roy per far colazione insieme, la signora Walter, dopo mangiato, fu chiamata per parlare con un fornitore, e Georges disse a Suzanne: «Andiamo a dare un po' di pane ai pesci rossi.»
Presero, di sul tavolo, un pezzo di mollica per uno, e andarono nella serra.
Tutt'intorno alla vasca di marmo venivan lasciati per terra dei cuscini per potersi inginocchiare ed esser più vicini alle creaturine natanti. I due giovani ne occuparono uno per ciascuno, a fianco a fianco, e sporgendosi sull'acqua cominciarono a buttarvi dentro delle pallottoline di mollica ch'essi facevano con le dita. I pesci, appena le videro, accorsero agitando la coda, battendo le pinne, strabuzzando gli occhioni sporgenti, girando su se stessi, immergendosi per acciuffar la tonda preda che andava a fondo, e risalendo subito per chiederne ancora.
Facevano buffe smorfie con la bocca, guizzavano bruschi e veloci, avevano un comportamento strano, da mostriciattoli; e sulla rena d'oro del fondo spiccavano col loro rosso acceso, passando come fiamme nell'acqua trasparente o mostrando, appena si fermavano, il filetto blu che listava le loro scaglie.
Georges e Suzanne vedevano i propri volti a rovescio nell'acqua, e sorridevano a quelle loro immagini.
Tutt'a un tratto, sottovoce, lui disse: «Non è bello agir sott'acqua con me, Suzanne.»
«Come, Bel-Ami, agir sott'acqua?» domandò lei.
«Non ricorda quel che mi promise, proprio qui, la sera del ricevimento?»
«No, io no.»
«Di consultarmi tutte le volte che uno chiede la sua mano?»
«Ebbene?»
«Ebbene, qualcuno gliel'ha chiesta.»
«E chi mai?»
«No. Le giuro.»
«Sì che lo sa. Quel vanitosone del marchese de Cazolles.»
«Intanto, non è un vanitoso.»
«Può darsi. Ma è scemo, rovinato dal giuoco e stremato dai bagordi. Bel partito, per lei, così carina, così fresca e così intelligente.»
Lei domandò sorridendo:
«Che ha contro di lui?»
«Io? Nulla.»
«Ma sì. Lei mi nasconde qualcosa.»
«Ma via. È uno sciocco e un intrigante.»
Lei si voltò un poco, smettendo di guardare nell'acqua:
«Su, che le piglia?»
Lui disse, come se gli avessero strappato un segreto dal profondo del cuore:
«Mi piglia... mi piglia... che son geloso morto di lui.»
Suzanne si stupì, ma non troppo:
«Geloso, lei?»
«Sì, io.»
«To', e perché mai?»
«Perché sono innamorato di lei, e lei lo sa, cattivona!»
La fanciulla disse allora, seria:
Lui riprese: «Lo so da me che sono matto. Fossi savio, non avrei certo fatto una confessione simile, io uomo sposato, a una fanciulla come lei. Più che matto, son colpevole, quasi un miserabile. Non c'è nessuna speranza, per me, e questo pensiero mi fa uscir di senno. Quando sento che lei sta per prender marito, mi vengono tali accessi di furore, che ammazzerei qualcuno. Deve perdonarmi, Suzanne.»
Tacque. Tutti i pesci, cui non veniva più gettato pane, se ne stavano immobili, allineati come soldati inglesi, e guardavano i volti chini di quei due tizi che non s'occupavano più di loro.
La fanciulla mormorò, fra triste e gaia: «Peccato che lei abbia già moglie. Che possiamo farci? Nulla. Non c'è via d'uscita.»
Lui si voltò di scatto, e le disse quasi sul viso: «Se fossi libero, mi sposerebbe?»
«Sì, Bel-Ami, la sposerei perché mi piace molto, più d'ogni altro.»
Lui si alzò balbettando: «Grazie... grazie... La supplico, non dica "sì" a nessuno. Aspetti ancora un po'. La supplico! Me lo promette?»
Lei mormorò, un po' turbata e senza capire a cosa lui mirasse: «Glielo prometto.»
Du Roy buttò nell'acqua il grosso pezzo di pane che aveva ancora in mano, e fuggì via, come se avesse perduto la testa, senza salutarla.
Tutti i pesci si gettarono avidamente sulla mollica che galleggiava non essendo stata impastata dalle dita, e la sminuzzarono con le loro bocche voraci. La trascinarono sulla sponda opposta della vasca, e cominciarono ad agitarvisi sotto, formando, ora, un grappolo semovente, una specie di fiore animato e volteggiante, un fiore vivo caduto in acqua col capo all'ingiù.
Suzanne sorpresa, inquieta, si rialzò, e tornò indietro piano piano. Il nostro giornalista se n'era andato.
Georges rincasò molto calmo, e domandò a Madeleine che stava scrivendo alcune lettere: «Vuoi cenare venerdì dai Walter? Io ci vado.»
Lei rimase incerta, poi disse: «No, non mi sento troppo bene. Preferisco restar qui.»
Lui rispose: «Fa' come vuoi. Nessuno ti costringe.»
Poi riprese il cappello e riuscì subito.
Da un pezzo stava spiandola, sorvegliandola e pedinandola, e ne conosceva ogni passo. L'ora da lui attesa era finalmente giunta. Il tono con cui Madeleine gli aveva risposto: «Preferisco restar qui», non gli lasciava più nessun dubbio.
Fu gentile con lei, durante i giorni che seguirono. Apparve perfino gaio, il che non gli accadeva più troppo spesso. Lei gli disse: «To', stai ridiventando carino.»
Giunto il venerdì, si vestì molto presto per sbrigare alcune faccende prima di recarsi, così aveva detto, dal Padrone.
Poi, dato un bacio alla moglie, uscì verso le sei, e andò a prendere una carrozza in Place Notre-Dame-de-Lorette.
Disse al vetturino: «Fermatevi di fronte al numero 17 di Rue Fontaine, e restate lì finché non vi ordinerò di muovervi. Mi porterete poi alla Trattoria del Fagiano, in Rue Lafayette.»
La vettura si mise in moto al trotto lento del cavallo, e Du Roy abbassò le tendine. Come fu davanti ai portone di casa sua, non staccò più gli occhi da quello. Dopo dieci minuti d'attesa vide uscir Madeleine, che si diresse verso i boulevards esterni.
Appena lei fu lontana, s'affacciò al finestrino e ordinò: «Andiamo.»
La carrozza ripartì, e lo depose davanti al Fagiano, ristorante borghese, noto nel quartiere. Georges entrò nella sala comune, mangiò adagio adagio, guardando ogni tanto l'orologio. Alle sette e mezzo, bevuto il caffè, prese due bicchierini di cognac, e fumato lentamente un buon sigaro, uscì, chiamò un'altra carrozza che stava passando, libera, e si fece portare in Rue La Rochefoucauld.
Senza domandare nulla al portinaio, salì al terzo piano del casamento da lui indicato, e alla domestica ch'era venuta ad aprire chiese: «Il signor Guilbert de Lorme è in casa, vero?»
«Sì, signore.»
Fu fatto passare in salotto, dove aspettò qualche poco. Poi entrò un uomo alto, decorato, dall'aspetto marziale e coi capelli grigi, sebbene ancora giovane.
Du Roy lo salutò, e gli disse: «Come prevedevo, signor commissario, mia moglie sta pranzando col suo amante nell'appartamento ammobiliato che hanno preso in affitto in Rue des Martyrs.»
Il funzionario s'inchinò: «Sono a sua disposizione, signore.»
Georges riprese: «Lei ha facoltà d'azione fino alle nove, vero? Oltre quest'ora non può più entrare in un domicilio privato per constatare un adulterio.»
«Già, signore; fino alle sette d'inverno, fino alle nove a cominciare dal 31 marzo. Oggi è il cinque aprile, perciò ho facoltà fino alle nove.»
«Ebbene, signor commissario, io ho una carrozza che m'aspetta giù, possiamo prender gli agenti che l'accompagneranno, poi aspetteremo un poco davanti al portone. Più tardi arriviamo, più probabilità abbiamo di sorprenderli in flagrante.»
«Come vuole, signore.»
Il commissario uscì, poi tornò, indossando un soprabito che nascondeva la sciarpa tricolore. Si scostò per cedere il passo a Du Roy. Ma il nostro giornalista, tutto preso nei suoi pensieri, non voleva essere il primo, e ripeté più volte:
Il funzionario disse: «No, tocca a lei, signore. Io sono in casa mia.»
L'altro, allora, varcò la soglia, inchinandosi.
Andarono prima al commissariato a prendere i tre agenti in borghese che stavano aspettandoli, dato che Georges aveva avvertito che avrebbero compiuto la sorpresa in serata. Uno dei questurini montò a cassetta, accanto al vetturino. Gli altri due entrarono nel legno, che raggiunse Rue des Martyrs.
Du Roy disse: «Ho la pianta dell'appartamento. È al secondo piano. Troveremo prima un piccolo vestibolo, poi la sala da pranzo e la camera da letto. Le tre stanze sono interdipendenti. Non c'è nessuna uscita che possa facilitare la fuga. Poco lontano c'è un fabbro. Si tenga pronto per mettersi a sua disposizione.»
Quando furono davanti alla casa indicata, erano appena le otto e un quarto, e aspettarono in silenzio per più di venti minuti. Ma quando Georges vide che stavano per suonare i tre quarti, disse: «Andiamo.»
Salirono le scale senza preoccuparsi del portinaio, che d'altronde non s'era accorto di loro. Uno degli agenti rimase per la strada a sorvegliare l'uscita.
I quattro uomini si fermarono al secondo piano, e Du Roy accostò l'orecchio alla porta, poi guardò attraverso il buco della serratura. Non sentì e non vide nulla. Suonò.
Il commissario disse agli agenti: «Voi restate qui, pronti ad ogni chiamata.»
Aspettarono. Dopo due o tre minuti Georges tirò di nuovo il pomo del campanello, più volte di seguito. Percepirono un rumorio in fondo all'appartamento; poi un passo felpato s'avvicinò. Qualcuno veniva a origliare. Il nostro giornalista bussò allora energicamente, con la nocca dell'indice, sul legno d'uno dei pannelli.
Una voce, una voce femminile, sforzandosi di rendersi irriconoscibile, domandò: «Chi è?»
Il pubblico ufficiale rispose: «Aprite, in nome della legge.»
«Sono il commissario di pubblica sicurezza. Apra, o faccio forzare la porta.»
La voce riprese: «Cosa volete?»
E Du Roy disse: «Sono io. È inutile che cercate di farcela.»
Il passo leggero, un rumore di piedi scalzi, s'allontanò, poi tornò in capo a qualche secondo.
Georges disse: «Se vi rifiutate d'aprire, sfonderemo la porta.»
Tenne stretta la maniglia d'ottone, e adagio adagio si mise a spingere con una spalla.
Poiché nessuno rispondeva più, diede a un tratto un violento urtone, così energico che la vecchia serratura di quella casa ammobiliata cedette. Le viti schizzarono fuori dal legno, e per poco Georges non cadde addosso a Madeleine che stava in piedi nell'anticamera, in camicia e sottoveste, tutta spettinata, a gambe nude, con una candela in mano.
«È lei,» esclamò Georges. «Li abbiamo presi.»
E si precipitò nell'appartamento.
Il commissario, toltosi il cappello, lo seguì. E la giovane signora, sgomenta, tenne loro dietro, facendo lume.
Attraversarono la sala da pranzo dove la tavola, non ancora sparecchiata, mostrava gli avanzi del pasto: bottiglie di champagne vuote, una terrina aperta di fegato d'oca, la carcassa d'un pollo e dei pezzi di pane sbocconcellati. Sulla credenza c'erano due piatti pieni di gusci d'ostrica, messi uno sull'altro.
La camera era tutta sottosopra, come se vi si fosse svolta una colluttazione. Un vestito da donna incappucciava una sedia, un paio di mutande maschili era a cavallo del bracciolo d'una poltrona. Quattro scarpe, due grosse e due piccole, erano strasciconi a piè del letto, piegate sul fianco.
Era una camera triste come tutte le camere ammobiliate, arredata con cattivo gusto, dove aleggiava il tanfo scostante e squallido delle stanze d'albergo, tanfo emanato dalle tende, dai materassi, dalle pareti, dalle sedie, tanfo di tutte le persone che si erano coricate o che avevano vissuto, per un giorno o per sei mesi, in quel pubblico alloggio, lasciandovi un poco del loro afrore, di quell'afrore umano che, sommandosi con quello d'ogni altro predecessore, forma a lungo andare un lezzo confuso, dolciastro e insopportabile, eguale in tutti i luoghi del genere.
Un vassoio di paste, una bottiglia di chartreuse e due bicchierini ammezzati ingombravano il caminetto. La pendola di bronzo aveva il quadrante nascosto da un gran cappello maschile.
Il commissario si voltò di scatto, e guardando Madeleine negli occhi: «È lei,» disse, «la signora Claire-Madeleine Du Roy, legittima sposa del signor Prosper-Georges Du Roy, giornalista, qui presente?»
Lei articolò, con voce strozzata:
«Sì, signore.»
«Che sta facendo, qua?»
Lei non rispose.
Il funzionario ripeté: «Che sta facendo qua? La trovo fuori di casa, discinta in un appartamentino ammobiliato. Che c'è venuta a fare?»
Attese qualche istante. Poi, siccome lei continuava a tacere, disse: «Visto che non vuol confessare, signora, sono costretto a far le constatazioni di legge.»
Si vedeva, nel letto, la forma d'un uomo nascosto sotto le lenzuola.
Il commissario s'avvicino e chiamò: «Signore!»
L'uomo coricato non si mosse. Sembrava voltar le spalle, con la testa infilata sotto il guanciale.
Il pubblico ufficiale toccò quella che pareva essere una scapola, e ripeté: «Signore, non mi costringa, la prego, ad agire.»
Ma il corpo nascosto rimase immobile come quello d'un morto.
Du Roy, avvicinatosi anche lui spazientito, afferrò la coperta, la tirò, e strappando via il cuscino scoprì il volto livido di Laroche-Mathieu. Si abbassò su di lui e; frenando a stento la voglia di prenderlo per il collo e strozzarlo, gli disse a denti stretti: «Abbia almeno il coraggio delle sue turpi azioni.»
Il funzionario domandò ancora: «Chi è, lei?»
Poiché l'amante, smarrito, non rispondeva, soggiunse: «Sono il commissario di pubblica sicurezza, e le ingiungo di dirmi il suo nome!»
Georges, in preda a una collera bestiale che lo faceva tremar tutto, urlò: «Ma risponda, vigliacco, o glielo dirò io, il suo nome.»
L'uomo coricato disse allora: «Signor commissario, non può permettere a quel tizio d'insultarmi. Devo trattar con lui o con lei? È a lui o a lei che devo rispondere?»
Pareva che non avesse più saliva in bocca.
Il pubblico ufficiale rispose: «A me, signore, soltanto a me. Le ho domandato chi è.»
L'altro tacque. Teneva il lenzuolo stretto sul petto e strabuzzava un paio d'occhi spaventatissimi. I baffetti all'insù sembravano neri come il carbone sulla sua faccia sbiancata.
Il commissario ripeté: «Non vuol rispondere? Allora sarò costretto ad arrestarla. Comunque, si alzi. La interrogherò quando sarà vestito.»
Il corpo s'agitò nel letto, e la testa mormorò: «Ma non posso, davanti a voi.»
Il funzionario domandò: «Perché non può?»
L'altro balbettò: «Perché... perché... sono completamente nudo.»
Du Roy si mise a sghignazzare, e raccattando di terra una camicia, la gettò sul letto gridando: «Su, perbacco... Si alzi... Se s'è spogliato davanti a mia moglie, può pur vestirsi davanti a me.»
Poi gli voltò le spalle e tornò vicino al caminetto. Madeleine aveva ritrovato il proprio sangue freddo, e vedendosi ormai perduta, era pronta a osare il tutto per tutto. Un'audacia smargiassa le faceva brillare gli occhi, e arrotolato un pezzetto di carta accese, come per un ricevimento, le dieci candele dei brutti candelabri posati ai lati del caminetto. Poi s'appoggiò al marmo, e avvicinato al fuoco morente uno dei suoi piedi scalzi, sollevando così sul didietro la sottoveste malamente fermata alle anche, prese una sigaretta in un pacchetto rosa, l'accese e si mise a fumare.
Il commissario le era tornato vicino, aspettando che il suo complice si fosse alzato.
Lei gli domandò insolente: «Le capita spesso di far questo bel mestiere, signore?»
Costui le rispose, serio: «Il meno che mi è possibile, signora.»
Lei gli rise in faccia: «Me ne rallegro, non son robe pulite.»
Ostentava di non guardare, di non vedere suo marito. Intanto il tizio del letto si stava vestendo. S'era infilati i pantaloni, le scarpe, e s'avvicinò mentre si metteva il panciotto.
L'ufficiale di pubblica sicurezza si voltò verso di lui:
«E ora, signore, vuol dirmi chi è?»
L'altro non rispose.
Il commissario disse: «Lei mi costringe ad arrestarla.»
L'uomo allora esclamò, scattando:
«Non mi tocchi. Godo dell'immunità parlamentare!»
Du Roy gli si scagliò contro, quasi volesse scaraventarlo a terra, e gli grugni in faccia: «È colto in flagrante... in flagrante. Posso anche farlo arrestare, se voglio. Posso eccome.»
Poi, con voce vibrata, disse: «Questo bel tomo si chiama Laroche-Mathieu, è il nostro ministro degli esteri.»
Il commissario di pubblica sicurezza arretrò d'un passo, sbalordito, e balbettò: «In nome della verità, signore, vuol dirmi infine chi è?»
L'uomo si decise, ed esclamò con forza: «Una volta tanto, quel miserabile non ha mentito. Mi chiamo proprio Laroche-Mathieu, sono il ministro.»
Poi, puntando l'indice sul petto di Georges, dove si scorgeva come un puntolino di fuoco, aggiunse; «E questo mascalzone porta sulla marsina la croce di cavaliere che gli ho regalato io.»
Du Roy si fece livido. Con gesto brusco si strappò dall'occhiello il nastrino, e buttatolo nel caminetto esclamò: «Ecco in che conto si tiene una decorazione, quando proviene da un porco come lei.»
Erano a faccia a faccia, si mostravano i denti, esasperati, tenevano i pugni stretti, uno magro e coi baffi al vento, l'altro grasso e coi mustacchi all'insù.
Il commissario s'interpose prontamente, e separatili con le mani, disse: «Signori, voi dimenticate chi siete, mancate di dignità.»
I due tacquero, e si voltarono le spalle. Madeleine, senza scomporsi, continuava a fumare col suo sorriso sulle labbra.
L'ufficiale di pubblica sicurezza riprese: «Signor ministro, l'ho sorpreso solo con la signora Du Roy, qui presente e pressoché nuda, lei ancora a letto. I vostri vestiti, sparsi alla rinfusa in tutte le stanze, costituiscono la prova del flagrante reato d'adulterio. Non può negare l'evidenza. Che ha da rispondermi?»
Laroche-Mathieu mormorò: «Non ho nulla da dire. Faccia il suo dovere.»
Il commissario si rivolse a Madeleine: «Confessa, lei, che il signore è il suo amante?»
Rispose cinicamente: «Non lo nego, è il mio amante!»
«Basta così.»
Il commissario prese qualche appunto sullo stato e la disposizione dell'appartamento, e quand'ebbe finito di scrivere, il ministro, che ormai vestito aspettava col paltò sul braccio e il cappello in mano, domandò:
«Ha ancora bisogno di me, signore? Che devo fare? Posso ritirarmi?»
Du Roy si voltò verso di lui, e con un sorriso insolente gli disse:
«Perché se ne vuole andare? Noi abbiamo finito. Può tornarsene a letto; vi lasceremo soli.»
E posato un dito sul braccio dell'ufficiale di pubblica sicurezza, soggiunse: «Andiamocene, signor commissario, noi non abbiamo più nulla da fare, qui.»
Un po' sorpreso, il funzionario lo seguì. Sulla soglia della camera, Georges si fermò per cedergli il passo. L'altro rifiutò cerimonioso.
Du Roy insisté: «Prima lei, signore.»
Il commissario rispose: «Prima lei.»
Allora il nostro giornalista s'inchinò, e con ironica cortesia tornò a dire: «Spetta a lei, signor commissario di pubblica sicurezza. Qui son quasi a casa mia.»
Poi chiuse la porta piano piano, con finta discrezione. Un'ora dopo, Georges Du Roy entrava nella redazione della Vie Française.
C'era già Walter, che continuava a dirigere e a sorvegliare con sollecitudine il suo giornale, la cui diffusione era diventata enorme, favorendo al massimo le crescenti operazioni della sua banca.
Il direttore alzò il capo e domandò: «To', lei qui? Ha un'aria strana! Perché non è venuto a cena da me? Di dove viene?»
Il nostro giovanotto, sicuro dell'effetto, dichiarò, calcando bene ogni parola:
«Vengo dall'aver silurato il ministro degli Esteri.»
L'altro la prese per una spiritosaggine.
«Dall'aver silurato... Ma che dice?»
«Sto per far cambiare il ministero. Tutto qui! È ora di cacciar fuori quella carogna!»
Il vecchio, trasecolato, pensò che il suo cronista fosse brillo.
Mormorò: «Ma via, lei dà i numeri.»
«Nemmen per idea. Ho sorpreso un momento fa Laroche-Mathieu in flagrante adulterio con mia moglie. Il commissario di pubblica sicurezza ha potuto constatare il fatto. Il ministro è fottuto.»
Walter, sbalordito, si alzò gli occhiali sulla fronte e domandò: «Non vuol mica prendermi per il bavero, vero?»
«Dio me ne guardi. Anzi, scriverò un trafiletto sul fatterello.»
«Ma insomma, dove vuole arrivare?»
«Voglio dar lo sgambetto a quel mascalzone, a quel miserabile, a quel pericolo pubblico.»
Georges posò il cappello su una poltrona, poi aggiunse: «Guai a chi mi metterà bastoni fra le ruote. Non gliela perdonerei mai.»
Il direttore stentava ancora a capire. Mormorò: «Ma... e sua moglie?»
«Presenterò domattina la mia richiesta di divorzio. La rispedirò, costei, al fu Forestier.»
«Vuol divorziare?»
«Perdiana, se lo voglio. Sapevo d'esser caduto nel ridicolo. Ma dovevo far il finto tonto per poterli sorprendere. Ora è fatta. Ho il coltello dalla parte del manico.»
Walter non riusciva a riaversi, e guardava Du Roy con due occhi spaventati, pensando: «Cavolo, è un accidente d'uomo che bisogna trattar coi guanti.»
Georges riprese: «Eccomi libero... Un po' di soldi ce li ho. Mi presenterò alle elezioni d'ottobre, al mio paese dove son molto conosciuto. Non potevo né affermarmi né farmi rispettare con una donna a quel modo, di dubbia onestà agli occhi di tutti. M'aveva accalappiato come un allocco, m'aveva abbindolato e intrappolato. Ma appena ho capito a che giuoco stava giocando, le ho tenuto gli occhi addosso, a quella mascalzona.»
Si mise a ridere, e aggiunse: «Bel becco, quel povero Forestier... Becco senza saperlo, fiducioso e tranquillo com'era. Eccomi liberato dalla tigna che m'aveva lasciato. Non ho più le mani legate. Ora andrò lontano.»
Si mise a cavalcioni d'una sedia, e ripeté, come in sogno: «Lontano, andrò.»
Zi' Walter continuava a fissarlo, con gli occhiali ancora sulla fronte, e intanto pensava: «Altroché se andrà lontano, il volpone!»
Georges si alzò: «Vado a scrivere il trafiletto,» disse. «Devo farlo con discrezione. Ma ohei, sarà una bomba, per il ministro. Ormai è un uomo naufragato. Nessuno potrà rimetterlo a galla. La Vie Française non ha più interesse a trattarlo con riguardo.»
Il vecchio rimase per qualche istante perplesso, poi s'adattò alle circostanze: «Faccia pure,» disse. «Peggio per chi si ficca in gineprai simili.»