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PREFAZIONE | «» |
I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
Una Prefazione, l'ho detto altra volta, fa sempre un gran piacere — quando finisce.
Arlecchino domandato come si trovava nel bagno, si vuole rispondesse:
Il lettore interrogato: — com'è la Prefazione di Jarro all'Epistolario d'Arlecchino potrà rispondere:
— La migliore e più nuova di tutte le Prefazioni, poichè non è stata scritta!
Per un lietissimo, fausto avvenimento, (le nozze Bemporad-Padovano) pubblicai il mio studio su l'Arlecchino Martinelli la prima volta coi tipi dell'Arte della Stampa e col titolo L'Epistolario d'Arlecchino. Mancano però tutti i documenti nella prima, splendida edizione che era preceduta dalla seguente lettera.
Caro Amico. — Immagino che dicano molti: nel matrimonio non c'è di bello che il primo giorno — anzi il giorno prima!
E ciò può esser vero — in mille matrimoni. Ma quando un vincolo affettuoso unisce due anime, due intelligenze, due cuori che racchiudono squisitissime doti, nel matrimonio è attuato un ideale di felicità — forse il più bel sogno della vita.
Nel giorno in cui la sua amatissima, vezzosa sorella Ada, fiore di leggiadria e di gentilezza, esempio di bontà e soavità di carattere, di vivo ingegno, si unisce in matrimonio con il signor Armando Padovano, valoroso e brillante ufficiale, io, caro Enrico, ho voluto come suo amico, come suo peculiarissimo estimatore, darle prova di un'amicizia che in me non verrà mai meno. E non ho potuto astenermi — forse sono stato troppo arrogante — dal voler prender parte anch'io, per l'affezione che nutro verso di Lei, alla gioia che oggi consola la sua famiglia.
È ormai vezzo di raccomandar il ricordo di sì fausti e lieti avvenimenti a preziosi documenti inediti dell'antica storia de' nostri padri. Io Le offro, dunque, alcuni di questi documenti che non possono perire, poichè ci ricordano una gloria dell'Arte paesana.
Queste paginette senza pretesa credo saranno citate sempre ne' libri più poderosi, che tratteranno un certo ramo di storia dell'arte. E l'argomento è pieno di gradevole amenità, come si addice all'occasione.
In certi giorni memorabili della vita, fa piacere di vedersi, trovarsi attorno i veri amici. Forse, quando Le presenteranno questo piccolo libro Ella dirà, non senza una certa commozione, poichè io ben la conosco:
— Anche Jarro!... Chi se lo sarebbe aspettato?... S'è invitato da sè alla festa di famiglia... E ben venga!
Nell'offrire l'opuscolo, cui il tipografo cav. Landi ha dato sì nitida veste, degna del suo gusto, a' cari, giovani sposi, Ella dirà loro:
— Ecco gli auguri rispettosi, che vi manda un mio vecchio amico... E sono sinceri: ci potete contare!
Ma gli sposi saranno oggi assorti in ben altro. Non cerca auguri propizi chi è già in possesso della massima felicità, chi si sente tutto esaltato da un dolcissimo fremito di poesia, di amore...
Un solo uomo, un grosso, appassionato commerciante trovò modo di distrarsi il giorno del matrimonio in altre cure. Pensava a' suoi clienti. E scrisse in un cartello su gli sportelli chiusi della bottega:
— Oggi mi sposo, domani apertura!
Di consueto si pubblicano, per nozze, Lettere, Epistolari. Credo si sieno raramente pubblicate lettere più gioconde di queste, di cui alcune scritte da un Arlecchino a Sovrani: altre da Sovrani ad un Arlecchino.
In Lei, caro Enrico, tutti amano e stimano il gentiluomo simpatico, che ha tutte le delicate qualità dell'artista, l'Editore che ha saputo farsi il cooperatore de' letterati più illustri (non parlo per me!) e che ha dato un sì fecondo impulso, con tanta serietà di propositi, alla industria fiorentina.
Vorrei dirle che Ella è per ciò popolare, che tutti rendono omaggio al suo ingegno, alla sua finezza, alla sua operosità: eccetera, eccetera...
Lei sa che questo eccetera è la più grande espressione: è ciò che è stato detto di meglio su tutte le questioni.
Evviva gli sposi! — È il grido del
suo
Le prove d'ingratitudine che ho ricevuto da' miei contemporanei, tra' più insigni, non mi tolgono di pensare che questa lettera possa esser accolta nella collezione delle mie lettere, fedelmente riprodotte (salvo le buste e i francobolli) che si pubblicherà un giorno sotto il titolo di Epistolario d'un uomo celebre: ben inteso quando sarà morto come Arlecchino: e non da secoli come lui, ma da un giorno... Allora, si può affermare con certezza, saranno cessate le persecuzioni e le ingratitudini; poichè, nel nostro paese, basta esser defunti per acquistar tutte le più rare qualità. Su le tombe non si gettano che fiori — di retorica. L'epitaffio è il miglior modo che si sia trovato per goder di una buona reputazione — un po' tardi! Vero è che gli elogi prodigati al defunto non gli si ripeterebbero, s'egli avesse l'imprudenza di uscir dalla tomba.
Che occorre perchè i giornali, tutti concordi, dicano bene di voi?
Una cosa semplice (per gli altri, se non per voi):
— Morire!
I morti son sempre buoni a una cosa: a servirsene per cercar d'ammazzare i vivi.
Quando muore un critico, un romanziere, un poeta, un artista si dice è morto l'unico critico, romanziere, poeta o artista: o, almeno il più grande: gli altri che restano possono andare a riporsi: il giorno della loro morte saranno essi collocati sull'altissimo piedistallo.
Poi avverrà la destatuazione a benefizio di altro defunto.
Fino per far dispetto a certi ricchi, non sapendo in che altro modo combatterli, quando muore uno di loro si scrive:
— È morto l'ultimo dei gentiluomini!
Quest'ultimo dei gentiluomini muore regolarmente una volta il mese, quasi in ogni città d'Europa: il che vuol dire che il posto rimane per poco vacante.
I giorni che seguono la morte sono, per alcuni, a così dire, i migliori della vita — stante l'abbondanza de' complimenti mortuarî. E i letterati, o pseudo letterati, sono affettuosissimi — come becchini. Colui che sino a ieri era un plagiario, un abietto libellista, l'uomo più contennendo, già che oggi è morto, doventa l'«illustre» il caro amico e, anzi, l'«indimenticabile maestro»!
Il defunto era oberato di debiti (contratti prima della morte s'intende) e si legge che finalmente ha reso — l'anima a Dio! Ciò ne prova l'onnipotenza: Dio era il solo che potesse farsi rendere da costui qualche cosa!...
D'un altro si legge che la letteratura ha fatto con la morte di lui una perdita grave: ed è vero — poichè pesava oltre 100 chili: — meno d'un volume di A. o Z. — levatane la carta.
Dalle Lettere di Arlecchino risulta, secondo accenno in appresso, la incorreggibile e fierissima vanità degli artisti; vanità contagiosa a chiunque ha una parte, sia pur lieve, nel piccolo mondo istrionico.
Mi rammento che dovea farsi una pantomima: si cercavano uomini che formassero insieme un elefante.
Si trovarono uomini, che erano stati elefanti in vari teatri, ma tutti volevano le prime parti, cioè far le gambe davanti: credevano abbassarsi nel far le gambe di dietro!
È una parte che vuole studi seri e i movimenti sono difficili. Uno solo lo comprese, accettò e volle far, anzi, la gamba di sinistra e la coda: la gamba di destra la lasciò a un suo scolare.
Chi ama l'Arte non ha ambizioni inconsulte!
Ma è retto dalla vanità il piccolo mondo istrionico: da non confondersi col gran mondo, sebbene in questo gli sia al tutto somigliante.
Un'altra osservazione. Pochi de' nostri antichi celebri attori scrissero; ma con semplicità e acume: diversi in ciò da varî de' nostri celebri attori moderni che dopo aver acquistato fama ripetendo le belle cose scritte da altri, hanno voluto acquistarne un'altra coi loro spropositi.
Nè ciò fu male: così ci hanno divertito in due modi!
Non dico altro: ho detto forse già troppo?...
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