Tristano Martinelli
L'epistolario di Arlecchino

PREFAZIONE

I

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I

 

Non ci sono oggi più maschere ne' Teatri: sono per tutto.

Arlecchino è il personaggio del nostro tempo? Ha addosso tutti i colori, la maschera sul viso. Non potrebbe, per la mutabilità dei suoi colori, esser un capo partito; un uomo di forti convinzioni politiche; magari un giornalista, il giornalista austero che dice aver sempre avuto una «sola» idea? E tutti già credono che esageri!

Il giornalista X oggi prende una maschera, sotto cui nessuno lo riconosce: la Verità.

I nostri più celebri tenori e attori si mascherano da Gruppo della Modestia.

Chi riconoscerebbe l'uomo politico Y mascherato da Disinteresse, il letterato Z mascherato da Intelligenza? Arlecchino potrebbe darci, nella sua qualità di multicolore, un'idea dell'uomo politico, che si fa un'opinione in rapporto con la sua posizione sociale; ma, da vero eroe, ha per massima: — non temere di mutarla quante volte sarà necessario a migliorare tal posizione.

Potrebbe darci la satira dell'uomo politico che per arrivare più presto al potere, ci arriva — a quattro gambe; di certi capi partito, unità che acquistano valore da molti zeri, che — alla Camera o altrove — si mettono loro accanto.

Vi voglio spiegare l'idea nobilissima, che un mio amico, non arlecchino, aveva della equità politica: per lui era tutta raccolta nella seguente favoletta.

Un contadino riunì tutti i suoi animali, più o meno domestici, e disse loro:

― Cari animali, vi ho riuniti per sapere con qual salsa vi debbo mangiare.

Un pollo:

― Non vogliamo esser mangiati!

Il contadino:

― Scusi, ma questo è un uscire dalla questione!

Gli animali allora parlavano — come adesso: basta andar ad assistere alla discussione di un ordine del giorno, magari in una riunione di notte, per convincersene. Il profeta Balaam non è il solo che sentisse parlare un asino. Domandatene agli stenografi.

dobbiamo poi esser troppo ingiusti in politica. Un rispettato, se non rispettabile, «funzionario» mi diceva:

— Mi s'accusa di esser mutabile, incostante.... Al contrario non ho cambiato idea: voglio e ho sempre voluto restar prefetto!

Certi uomini, non dico arlecchini, politici, io li comprendo: se oggi manifestano un'opinione, domani un'altra, è perchè temono annoiar il pubblico, ripetendo sempre la medesima cosa.

Mi rincresce sovente che Arlecchino non viva più: non abbia assistito a tante nostre belle invenzioni — per esempio a quella dei fiammiferi, sebbene più facile che l'accenderli sia oggi il rimanere accesi dalle vignette sopra le scatole.

Ma io son qui per parlare dell'Arlecchino Tristano Martinelli.

Leggeva, non è molto, nel nostro Archivio di Stato, alcune lettere di comici, cantanti, ballerini, pittori di scene, maestri di musica del secolo XVII. Tutte queste lettere sono indirizzate a Sovrani, e provano come l'occuparsi delle cose dell'arte, che sembra oggi affare di nessun rilievo, piacesse per secoli a chi attendeva a governare il mondo. In tutta l'Europa, sin dal 400, i Sovrani, le dame, i cavalieri si occupano nelle Corti delle rappresentazioni teatrali e arriviamo al nostro secolo, in cui vediamo Napoleone I a Mosca, tra le vicende delle guerre, e le cure della diplomazia, dettar lo Statuto, tuttor vigente, della Comédie-Française. E dire che oggi ci sono.... sto per dire.... Consiglieri Comunali, i quali crederebbero venir meno alla lor dignità, se ponessero un po' d'attenzione a quello che alle Arti si riferisce. Quasi che le Arti non siano state, e non debbano essere primissima cagione di gloria, di ricchezza pel nostro paese!

Fa meraviglia il riscontrare quanta parte di grandezze italiane sia rimasta a noi ignorata fin ad oggi, e come la polvere degli archivi cuopra tuttora, per noi, un inusitato splendore di tradizioni.

E poi in Ispagna, in Germania, in Inghilterra, sopra tutto in Francia, la storia del teatro è tutta piena del nome dei nostri comici; la vita loro v'è stata studiata con amore, se non sempre con la maggior competenza. Ad esempio, si è fatto gran rumore perchè i nostri attori recitarono in italiano, al tempo nostro, innanzi a pubblici forestieri. Ma da secoli i comici italiani aveano questo merito. Posso dire, fra mille cose che già si sanno, come una Compagnia di comici italiani si recasse in Ispagna, nel secolo XVI, e vi recitasse in italiano le commedie dell'Ariosto!

I comici italiani, da cui il Molière e il Regnard impararono, senza de' quali la letteratura francese non avrebbe avuto i suoi due più grandi maestri, hanno lasciato l'impronta del loro ingegno in tutto il teatro moderno, d'ogni nazione. Gli onori ricevuti nel nostro secolo da una Adelaide Ristori, da un Ernesto Rossi, da un Tommaso Salvini, sono un nulla, e può ben dirsi senza esagerazione, rispetto agli onori, che ricevevano nel XVI secolo una Isabella Andreini, e più tardi, un Tristano Martinelli, o un Bertinatti, e tanti altri.

Amici a' Sovrani del loro tempo, godendo la massima familiarità nelle Corti, i comici, i cantanti italiani, citeremo fra questi ultimi Atto Melani, pistoiese, di cui illustreremo, con documenti inediti, la vita, erano trattati con la più peculiare deferenza, si affidavano ad essi le più delicate missioni.

Dalle lettere di Atto Melani, custodite nel nostro Archivio di Stato, si rileva che questo prete, cui fu concesso di cantar ne' teatri, per non breve spazio di tempo, ebbe press'a poco qualità di ambasciatore: il principe Mattias Dei Medici era con lui in corrispondenza diretta e ne riceveva tutti i ragguagli sulla politica, sulla vita civile del tempo, da Parigi; da altre Corti d'Europa.

E, ben inteso, questi comici, come allora si chiamavano e i cantanti e gli attori, superavano molto in coltura gli attori e i cantanti, in generale, del nostro tempo: si sa di alcuni arlecchini, ad esempio, e lo testifica eziandio il Goldoni nelle sue Memorie, che sapevano il latino, e citavano passi di scrittori illustri d'ogni nazione; erano esperti in varie lingue: avevano studii di polso.

Tra questi arlecchini ve ne fu uno memorabile, e anch'esso rimasto nell'oblio più ingiusto: Tristano Martinelli, che ho ricordato più sopra.

Ed ecco io mi occupo di lui, raccogliendo con la più amorevole sollecitudine tutte le Lettere, non pubblicate, tutti i documenti, che si riferiscono a questo attore: celebre ne' suoi tempi; uno de' più antichi fra i predecessori de' sommi e popolari attori italiani.

Io metto mano a ritrarvi la sua originalissima, briosa figura; a rendervene, in tratti più che potrò efficaci, la singolare fisonomia ove il riso e la gravità si compongono insieme: fisonomia di filosofo e d'arlecchino. Le due cose possono star insieme. Anche oggi alcuni filosofi sono spesso arlecchini.

Troppo facilmente, poichè in Italia, tanto s'ignora da molti quanto si presume, certi nostri attori, che vanno per la maggiore, s'immaginano aver essi tutto inventato, tutto rinnovato, recato all'Italia, e alla lingua nostra, propagandola, secondo loro, un favore, non mai per l'innanzi conseguito!

Oh, no: l'opera fu compiuta da secoli: i migliori dei nostri attori, senza parlare de' cerretani e dei cantambanchi, trovarono la via già spianata: essi non fecer nulla di nuovo, di prodigioso, per questo rispetto: rannodarono soltanto una tradizione, interrotta appena, nel lasso di pochi anni, sullo scorcio del secolo scorso.

Nel secolo XVII era di moda, a così dire, per esempio in Francia, l'imparare e il parlare la lingua italiana: ciò anche in virtù de' nostri comici: i letterati più dotti, o arguti, come il Menagio o il Regnard, si tenevano di scrivere in italiano: le scritture italiane erano accette, imitate.

Come sia lontana dal vero l'idea che oggi il volgare si fa del personaggio d'Arlecchino, a non parlar d'altro, esce fuori da queste parole del Riccoboni nella sua Histoire du Théâtre Italien:

«Lorsqu'il a été manié par des acteurs de quelque génie, il a fait les delices des plus grands Rois et des gens du meilleur goût.... Un caractère admirable et qui peut divertir les princesses, les dames de condition et les filles les plus simples et de la meilleure éducation....»

E si noti qual sforzo d'ingegno doveano far tali attori, per piacere aux plus grands Rois e agli uomini di gusto più affinato, poichè, mentre oggi gli attori hanno la forza, che loro il ripetere i concetti di poeti, come lo Shakespeare, o di scrittori abilissimi, essi non aveano nulla fuor che quello che era porto, nel recitare improvviso, dalla fertile immaginazione.

Tristano Martinelli nacque in Mantova l'anno 1556: nel 1588 rappresentava già nel Teatro di Corte, a Madrid, il personaggio d'Arlecchino.

Il fratello Drusiano ne scriveva alla madre, in data 18 agosto 1588:

 

Staremo tutto quest'anno in Spagna.

 

E Tristano stesso aveva scritto l'indirizzo della lettera così:

 

A mia madre Lucia Martinelli, madre d'Arlecchino sul Borgo della Predella e preso (sic) San Rocco In Mantova.

 

Il lettore osservi quelle parole: madre di Arlecchino: un titolo di gloria! E dice d'Arlecchino, non d'un Arlecchino, poichè appunto, col nome generico, fu sempre appellato il Martinelli, o che egli fosse il primo Arlecchino, per ordine di tempo, o, tra i primissimi, quello che giunse a maggiore eccellenza.

Dalle sue Lettere, e ne daremo saggio, e da quelle di altri a lui, da varii documenti, si raccoglie come questo attore avventurato fosse nelle più intime relazioni col Granduca di Toscana, col Duca e col Cardinale di Mantova, con i principi e le principesse di Savoia, col Re e con la Regina Maria de' Medici di Francia!... E non basta, egli s'era ingraziositi per modo tali personaggi che vediamo, allorchè una sua governante si conduce male, e fa disordini in casa, nell'assenza di lui, s'occupan di porre assetto in tal affare i principi stessi: e si danno briga fin di costringere i suoi debitori a pagargli, loro malgrado, certi crediti.

E siccome i pregii, i difetti appaiono antichi in certe razze: così troviamo quell'istrione, al pari di altri moderni, tronfio di , burbanzoso, quasi ridicolo, per una sicumèra boriosa, allorchè è arrivato all'agiatezza: avido di primeggiare su tutti i compagni d'Arte: avido di denaro.

Dopo tre secoli, vediamo inuzzolire per la stessa cantaride istrionica, invanire per lo stesso farnetico, più d'uno!

Antico è il dissenso fra gli attori: antichi fra esseri, tanto commovibili, i puntigli sorti dalle convenienze di palcoscenico, che già ispiravanofelicemente a burlarsene, nel modo più leggiadro, il padre della Commedia italiana.

Come oggi, anche allora — vedete che nulla cambia nel mondo e si parla tanto di progresso! — gli attori andavan di frequente da una Compagnia all'altra: non trovavano mai, capocomici, che ne apprezzassero tutto il genio, camerati, che s'inchinassero abbastanza!

Da Cremona, il 4 decembre 1595, il Martinelli scrive a un familiare del Duca di Mantova:

 

Quello che V. S. si à da operare per me si è che dica a Sua Altezza S.a se si vole servire di me questo carnevale, de la mia parte in comedia, chel mi comandi che ad ogni minimo suo cenno io sarò prontissimo a venirlo a servire: et se mi son partito dalla Compagnia di Pedrolino, io ne ò auto mille occasioni, benchè (?) vogliono essere patroni et non compagni, et io non essendo uso a servire, mi pareva che mi facessero torto: et per questo e per altre cose, io mi son partito, ma non sono anco stato il primo, che tre o quattro altri si son partiti inanzi di me per tante insolencie che costoro usano a' suoi compagni.... V. S. mi dia avisi qui in Cremona, nella Compagnia della signora Diana, comica, et può indirizare le lettere a messer Giambatista Lazarone, comico, che lui me le farà avere, et la prego, dentro o fora darmi aviso a ciò sapia quello che ò da fare.

 

Come si vede, le Lettere sono bizzarre, fra altro, anche pel dettato!

 



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