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II
Il Martinelli entrava fra i comici a servizio del Granduca di Toscana.
Queste due lettere al granduca Ferdinando meritano di essere studiate.
Fermiamoci prima sull'indirizzo.
Al mio car.mo Tutore, M. Ferdinando Medici, cittadino principalissimo della Toscana et patrono di Scarperia.
Alla Camera segreta di S. A. S.
Ed eccovi quest'altro indirizzo dell'Arlecchino al Granduca.
Al suo come fratello minore, M. Ferdinando Medici, ma non di quelli che toccano il polso.
In una di tali lettere l'Arlecchino principia con l'accennare a denari, che ha ritirato, in buon punto, da' grifagni artigli di certi mercanti:
Di Milano, alli XI di marzo mandai a V. A. S. una mia con la polizza del S.r Alessandro Beccaria, suo agente, della ricevuta delli settecento fratelli carnali, che ho ricevuto per gratia di quello che fa la coda a i gamberi, e della magnificenza vostra, che mi diede così buon consiglio di levarli da le mani de gli ingordissimi Mercanti, perchè stavano in pericolo di pericolare d'un fallibile et infallibile fallimento, et farmi restare da Nespola, o da Sorbola con il c... sulla paglia.
S'entra, come si sente alla prima, nel ribobolo arlecchinesco, ma il bello viene ora: ecco in qual tuono, tal era l'amicizia, la grazia goduta, il comico poteva parlare al Sovrano. Ed è questo uno dei tratti di storia rimasti più oscuri, e che vorrebbero esser oggi molto studiati. Così noi potremmo ricomporre, per intero, figure di cui oggi si vedono appena, e solo da alcuni eruditi, gl'incerti contorni:
Orsù — scrive Arlecchino al Granduca — per venire a proposito del nostro incominciato ragionamento, io la suplico, prego, consiglio, et comando espressissimamente che, subito veduta la presente, la non manchi di fare quanto gli ordino e comando in questa et in altra mia, che sarà di subito dare ordine al Monte della Pietà di Firenze che mi dipinghino su quel libro creditore delli suddeti settecenti ducatoni.
Sono quelli che sopra ha chiamato i settecento fratelli carnali. Era un deposito di denari da lui guadagnati in Ispagna.
A beneplacito — prosegue la spiritosa lettera — del molto illustre signor Arlecchino de civitate Mantoanarium Comicorum Vestrorum servitororum, tanto del capitale quanto degli uttili, et che subito comincino a lavorare a ciò si guadagnino il vito et che non stiano in otio....
Prega poi il Granduca di mandargli la polizza a Milano:
perchè nell'andare che io farò in Francia passarò per Milano et me li farò dare.... Ella sappia, adunque, conservarsi l'amicitia mia, si com'io so' risoluto di preservarmi la sua in secula et infinita seculorum.
La lettera è in data del 20 marzo 1597, e, per lo stesso tempo in cui fu scritta è uno de' documenti di prosa; fra i più curiosi, mi sembra, che abbia la nostra letteratura.
L'altra lettera a Ferdinando è in data del 28 luglio 1597; comincia:
Perchè siate sicuro che vi voglio bene et che ve amo non tanto per li meriti vostri quant'è per l'util mio
Aff.mo Amicho et quasi fratello Tristano Martinelli, deto Arlechino
e in calce:
Per Ferdinando.
Documento d'una rara singolarità è per noi il decreto con cui il Duca di Mantova dichiarava Tristano Martinelli, arlecchino, Superiore «a tutti i comici mercenari» ai
Zaratani, bagatteglieri, posteggiatori ecc. che mettono banco per vendere ogli, saponetti, historie et cose simili: lo eleggiamo Superiore ad essi in questo nostro stato e nell'altro ancora del Monferrato, sì che alcuno di loro, o solo, o accompagnato, sia di che paese essere si voglia, no habbia ardire di recitare commedie, o cantare in banco; far bagattelle, posteggiare in terra, o metter banco senza licenza di detto Martinelli, in scritto, nè d'indi partirsi, senza la medesima licenza, sotto pena d'essere tutti spogliati di ciò che havranno così comune, come proprio, da essere diviso in tre parti.
E una parte al Fisco, l'altra al Magistrato,
et la terza parte ad esso Superiore.
Qual attore ha mai sognato di avere cotali e cotanti privilegii? E non è nulla.
Vogliamo — aggiunge il Decreto — che egli possa conseguire.... dalli Comici, che reciteranno comedie una mezza parte come si usa fra loro, o mezzo ducatone, come a lui piacerà per ogni comedia, che reciteranno, eccettuata la compagnia dei Comici, che ci serve di presente et ci servirà nell'avvenire, la quale non vogliamo che sia tenuta ad altro che a tenerlo in Compagnia, dandogli la sua parte intera. Dalli bagattallieri quello che converrà con essi, dalli zaratani, posteggiatori che vendono in terra ecc. soldi 6 per cadauno di loro e per ogni giorno che eserciteranno l'arte sua. In oltre concediamo ad esso Martinelli ch'egli possa riscuotere da tutti che faranno festini in questa nostra città, dalle feste di Natale per fino al primo giorno di quaresima, mezo scudo da 6 lire, da ogni capo di detti festini, con questo però ch'egli habbia d'andare sopravedendo tutti i festini et procurare con ogni diligenza che non segui scandali, nè disordine alcuno.
Ecco la vera importanza data a un commediante: importanza che oggi alcuni arlecchini si arrogano con sì scarso effetto!
Il modo ond'il celebre attore firma le sue lettere: Tristano Martinelli, detto Arlecchino: non Martinelli l'Arlecchino: indurrebbe a credere ch'egli fosse il primo attore cui era stato dato tal nome.
La sua fama volava per l'Europa, e alla Corte di Francia si parlava spesso di questo italiano facondo, pieno di lazzi: di questo artista incomparabile. Perfino Enrico IV s'invaghì di udirlo. E il piacevolissimo comico ricevette l'invito, con lettera reale del 21 dicembre 1599 di recarsi alla Corte di Francia con la Compagnia.
Essendo venuta la famma vostra fino a me, et della buona Compagnia de' Commedianti, che voi avete in Italia, io ho desiderato di farvi passare li monti....
scriveva il gran Re, e concludeva:
non vi rincrescerà del tempo ch'averete impiegato in questo mio servigio.
E terminava:
Pregando Dio, Arlechino, che vi abia in sua santa guardia.
Lo stesso Tallemant di Réaux, nelle sue Historiettes, ha conservato un aneddoto fra Enrico IV e l'attore italiano.
Andato Arlecchino a salutare il Re, colse il momento in cui questi si era alzato dal suo seggio, e accomodatovisi egli, si volse al Re, come se il Re fosse Arlecchino, dicendogli: — Ebbene, Arlecchino, io sono contento che siate venuto con la vostra Compagnia per darmi allegrezza; prometto di proteggervi e assegnarvi tanto e tanto di pensione...
Il Re non disdisse, ma gli gridò, di lì a un poco, sentendosi troppo pungere: — Olà, è già troppo che fai la parte mia: lascia che ormai io la riprenda!
Tristano Martinelli lasciava vivo desiderio di sè a Parigi: e non andò guari che al Re e alla Regina prese desiderio di riudirlo.
La Regina ne conferì con la sorella Eleonora, mentr'essa le faceva visita a Fontainebleau. Ma, dubitando ch'ella avesse posto la raccomandazione in non cale, scrisse direttamente al Duca.
Ecco una lettera della Regina:
Mio fratello,
Allorchè mia sorella, la duchessa di Mantova, partì di qui, io la pregai d'intercedere da mia parte presso di voi, affine c'inviaste una Compagnia di buoni commedianti.... Ho voluto scrivervi la presente per pregarvi di farci questo favore, affinchè con la vostra autorità noi possiamo aver qui la migliore Compagnia che sarà possibile, della quale io desidererei che facesse parte Arlecchino, sebbene io sappia ch'ei non vuol far più questo mestiere, se non alla vostra presenza, e per vostro servizio. Ma egli e coloro che verranno, saranno bene sodisfatti.... È questa una cosa che il Re, mio signore, ed io desideriamo con passione.
Neppur Ernesto Rossi, nelle sue Memorie, in cui splendono tanto la verità e la modestia, nel loro massimo candore, ha potuto pubblicare simili lettere. Certamente gli è mancato l'autografo, anzi che il desiderio di pubblicarle. Ma un giorno l'illustre artista pubblicherà se non quelle degli altri, tutte le sue lettere e cartoline postali.
La regina, che scriveva in tal modo al duca era Maria de' Medici: ma dal 1606, data della lettera sopra citata, Arlecchino non potè recarsi in Francia sino al 1613. Da questo indugio un lunghissimo carteggio: lettere di duchi, di cardinali, di sovrani, non escluso Arlecchino, su lo stesso soggetto; e abbiamo fin lettere della regina Maria indirizzate al comico.
Niccolò Barbieri, comico, nel suo raro libro Supplica, ecc. (Venezia, 1634), scrive:
Molti principi e principesse, re e reine, imperatori e imperatrici, hanno tenuto a battesimo i figliuoli de' comici de' nostri tempi e gli honorarono di chiamarli compare e comare.
Appena sa di dover avere un figliuolo, Arlecchino domanda che sia tenuto a battesimo da qualcuno della famiglia ducale. Ed è scelta appunto... Margherita di Savoja! nipote del Re di Spagna, moglie al principe Francesco, figlio primogenito del duca di Mantova.