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XII.
– Febo non istà bene, – ripetè la contessa.
E fissava ansiosa e turbata il dottore.
Questi non rispose – forse seguendo un suo vecchio interno pensiero. Poi scrollò la testa.
Perchè dire dunque, dire tutto, quel che sapeva e quel che pensava?... Inutile, era inutile!
– Febo soffre, è agitato, non so cosa abbia, – riprese donna Laura accorata, e aggiunse sotto voce:
Il dottor Laurenti sollevò il capo:
– Di che dunque?
– Non so, è come un'ombra grigia, che mi vedo d'intorno.... Un triste destino, voi lo sapete, amico, è disceso sopra la nostra casa....
E continuò:
– Mi sento triste, affranta, non so; qualcosa mi pesa intorno.... Rosa Santa mi fa paura! Sentite anzi, mio vecchio amico; non osavo dirvelo ma da qualche giorno sento in me lo smarrimento, la paura, il turbamento misterioso e fatale che provai tanti anni fa, quando era piccina.... un giorno terribile, quando qui a Rosa Santa, su nel grande salone, la zia....
– Tacete, – comandò il vecchio dottore amico, – non vi agitate inutilmente.... Febo ha bisogno di moto, di vita aperta, di correre e di saltare.... Voi lo sapete, poichè anche voi lo dite, Febo è troppo poco ragazzo per l'età sua: studia troppo, pensa troppo, sta troppo tempo chiuso nel suo studiolo. Licenziate subito il suo maestro e chiudete a chiave il suo studiolo. Sequestrategli tutti i libri. E mandatelo fuori pel bosco. Fate venire dei ragazzi della sua età ma non (soggiunse sorridente ma profondo) de' suoi.... piccoli pari. Voglio dire, mettetegli attorno dei ragazzetti contadinelli, forti, sani, rozzi, sudici anche ma riboccanti di salute.... e lasciateli insieme, scorazzare, giuocare, ma liberi, liberi, in piena natura che dopo voi, contessa, è la seconda loro madre....
– Forse avete ragione, dottore. Febo è troppo uomo, a quattordici anni, è troppo Rosa Santa.... è vero. Eppure ciò forma l'orgoglio di suo padre!...
– Libertà, aria libera, e una mezza dozzina di compagni, indiavolati e scatenati!... – concluse il dottor Laurenti. – Ecco la medicina per il vostro Febo, donna Laura!
*
Ma fu nella notte di quell'istesso giorno che la madre ebbe la conferma delle alterate facoltà del figliuolo.
Febo dormiva in una cameretta poco lontana da quella della contessa. Durante la notte, insonne per donna Laura, parve alla madre sentire de' gemiti venire dal figliuolo.
Si levò, s'avvolse in un accappatoio, e in punta di piedi, senza fare rumore, si avviò nella camera di Febo.
Egli era a sedere sul letto, convulso, terreo, gli occhi vitrei, le braccia tese: un copioso sudore gli scendeva dalle tempia sulle gote scarne.
Rauche voci uscivan dalla bocca del fanciullo. La madre gli si gettò sopra, chiamandolo a nome, accarezzandolo, cercando calmarlo.
Ella comprese tosto che il povero figliuolo era preda di un sogno, di un incubo pauroso.
Egli con le braccia rigide e tese pareva voler scacciare da sè qualcosa di spaventoso e gli occhi dilatati fissavan la madre senza vederla.
Finalmente, sotto la stretta affannata della madre, si riscosse, si guardò intorno.
Allora si strinse tutto al collo della madre e ruppe in un dirotto pianto nervoso.