Egisto Roggero
Le ombre del passato

LA CANZONE DEL GRILLO.

I.

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LA CANZONE DEL GRILLO.


 

 

 

 

I.

 

Come in sogno il solitario viaggiatore, allora smontato alla piccola stazione, rimase fermo davanti alla breve tettoia a guardare il nero convoglio che tutta la notte lo aveva trascinato nella pazza sua corsa sin . Ora esso fremeva sordamente: qualche testa assonnata apparì qua e agli sportelli. Poi il colosso nero e fumoso ansò, si scosse: i ferri e le catene cozzarono violentemente, e si rimise in moto. Sparì subito nel verde della campagna piena di sole.

Quando il treno fu scomparso tra le colline, il solitario viaggiatore udì ancora, soffocato e lontano, un ultimo fischio che gli parve un lamento. E si trovò solo, davanti alla piccola stazione bianca.

Allora si mosse per uscire.

Egli era un giovane sopra i trent'anni: pallido e scarno, dai neri occhi scintillanti, vestito a bruno. La fronte spaziosa rivelava l'abito del pensiero e le rughe minute che gli solcavano la fronte parlavano di lotta lunga e secreta. Ma era lo sguardo che veramente rivelava l'anima di quell'uomo. In quello sguardo era il terrore di un travaglio insistente, il lampo inquieto di un mistero.

Egli teneva in mano una piccola valigia di bulgaro. Si guardò intorno un momento. La piccola stazione bianca in quella primissima ora del mattino appariva del tutto deserta, mentre in alto i primi raggi del sole accendevan l'azzurro. Il viaggiatore attraversò il breve andito che recava dall'altra parte, sulla piazza del villaggetto ignoto e perduto nella campagna. Esso dormiva ancora: anche la piccola piazza era deserta. Solo la croce di ferro lucente della chiesa, librata nell'azzurro, scintillava agli alti raggi del sole. Una volata di rondini empiè per un momento il sereno, sopra la piazzuola, di fruscii d'ali e di garriti squillanti. Dalla campagna, intorno, veniva la brezza alpestre profumata.

Il viaggiatore attraversò la piazzetta e a passo franco e sicuro, come un automa, senza guardarsi intorno, si diresse alla viuzza che davanti a lui si apriva. Essa metteva fine nei campi. Quivi giunto egli sostò un momento. Davanti a lui si alzava la collina e l'alpestre straduzza si inerpicava diritta e scogliosa sino alla vetta, poi scompariva. Egli si guardò un momento intorno. Tutto era quieto e silenzio. Le ultime casuccie grigie del paesello tacevano: il villaggio dormiva sempre. Una piccola fonte gorgogliava sommessa, sotto il lene mareggiar della campagna.

La straduzza, tagliata nella pietra viva, saliva cruda e incresciosa, incassata fra le due alte muraglie di roccia grigia. In alto, sul ciglio, i rovi e i caprifogli pendevano sulla sua testa, aridi e selvaggi.

Il sole, in alto, scintillava ora vivamente; ma giù, nella triste straduzza incassata, erano ancora le fredde ombre della notte recente.

Il piede del viaggiatore scivolava sulla sabbia umidiccia ed egli saliva a fatica. Ma pure taciturno e pensieroso egli proseguiva, proseguiva sempre.

Durò così, la salita uggiosa, nell'ombra fredda, una lunga ora. Poi ad un tratto la viuzza sboccò sopra un rialto ed il viaggiatore uscì in pieno sole.

Si fermò un momento.

Sotto di lui appariva la valle piena di luce. Grandi ombre scendevano qua e , dalle alte colline. In fondo giaceva il povero paesello grigio, quieto e raccolto. Solo la croce lucente della chiesa aveva qualche rapido guizzo nell'aria luminosa. Veniva su, dall'ampia valle, alito intenso, il puro soffio della brezza alpestre profumata.

Il viaggiatore sollevò lo sguardo a davanti. La strada riprendeva il cammino, sulla nuova collina che si ergeva diruta, quasi a picco, sulla sua testa. Sempre più arida, sempre più selvaggia. Nuove roccie crude alzavano qua e i loro aguzzi picchi e la strada vi si cacciava dentro, scavandosi il passo nel macigno bruno, dove non più un arbusto un museo cacciava radice. E scompariva e riappariva nella pietra solcata qua e dalle acque, stritolata, maciullata dalle tempeste e dalle bufere.

Il viaggiatore riprese l'ascesa.

Egli era pallido ma sicuro. Saliva, saliva sempre, lento ma deciso: senz'affrettarsi, ma convinto.

La strada s'internò nel masso, quasi scomparve nella roccia, per anditi stretti e bui, che avevano l'umidore delle grotte e la tristezza dei luoghi che il sole non bacia mai; in alto le erte muraglie quasi si toccavano e si riunivano, e la striscia di cielo che tra esse appariva pareva quasi nera, tanto n'era intenso l'azzurro, veduto da quel fondo. Poi, man mano tornava alla luce, il sole guizzava un istante; arbusti verdissimi e freschi apparivan sui cigli, poi riscomparivano tra i massi umidi e vischiosi. Talora, anche una vena d'acqua si apriva sulla parete: era allora uno zampillare di goccie, un pullular di piccoli getti e un verdeggiar di muschi, di felci acquatiche e di capelveneri.

Finalmente la strada si aprì sur una larga radura, sopra un altissimo rialzo. La valle, di sotto, tutta nel sole appariva quasi nivea di luce.

La strada, la terribile strada, tutta bianca anch'essa, svolgeva il suo candido nastro tra i grossi macigni, sotto i quali dirupavano i fianchi delle colline a picco nella valle.

Il viaggiatore si fermò.

Si sedette sopra un sasso, proprio sul ciglio, sopra l'abisso. E ristette.

Egli però non guardava sotto di , nella valle che l'oro caldo del sole aveva colmato, ma teneva fissi gli occhi davanti, sull'alta muraglia del monte, che sorgeva diritta, nerastra e cupa.

Davanti ai suoi occhi sbarrati passò in quel momento, nitido, per la prima volta, in tutta la sua interezza, il dramma – il dramma dal quale egli or ora usciva, il dramma che lo cacciavaviolentemente e per sempre – via dagli uomini. Passò l'atroce visione: ed egli vi fermò, tenacemente ed intera, l'anima sua. Rivisse, con tutto il suo essere, il dramma funesto della sua vita. Il suo cuore cessò per un momento di battere, i suoi occhi si velarono di terrore e di disperazione, tutto il suo volto si coprì di un pallore mortale. Visse così, intensamente, alcuni minuti eterni il dramma passato, da cui usciva sanguinante ancora.

Poi si scosse. Alzò la testa e vivamente aspirò la brezza che veniva su dalla valle. Essa, accarezzando nel suo alato cammino, le rudi roccie e i liberi arbusti, ne portava con il violento aroma selvaggio.

Una lieve fiamma gli accese il volto. Si tolse il cappello e le sue labbra si mossero. Parve mormorar qualcosa: ma non una preghiera, piuttosto un addio.

Quindi raccolse il pensiero.

Sembrò ricordarsi di qualcosa. Alzò il braccio e guardò la piccola, elegantissima valigia di bulgaro che sino allora aveva tenuta serrata nel pugno. La fissò un momento, poi abbandonò il braccio, la scagliò giù, nel dirupo. La piccola valigia rimbalzò sopra un masso, poi andò a sprofondarsi a precipizio nell'oscurità di un burrone.

Si aprì quindi l'abito e ne trasse il portamonete: senza neppur guardarlo lo gittò di sotto. Anch'esso scomparve fra i dirupi. Cercò nelle tasche, e quante carte trovò lacerò e disperse al vento, ai suoi piedi, nell'abisso. Quando parve sicuro di non aver più nulla sulla persona, sembrò sollevato.

Respirò.

Poi salutò con la mano la valle e il paesello che ormai, quasi invisibile macchia grigiastra, appariva di tra la nebbia luminosa nel fondo della vallata.

E riprese il cammino.

 

*

 

La strada ora – più alpestre e solitaria che mai – correva tranquilla e piana sulla alta spianata della collina, ai piedi del gran monte che gradatamente si andava alzando. Ma intorno era ancora una grande aridezza: poche piante gettavan dal magro terreno roccioso; quasi tutte, arbusti angolosi e stentii. Però l'aria, a quell'altezza, era purissima. Venivano a tratti fresche ondate d'aromi alpestri e il cielo in alto era limpidissimo. Il viaggiatore camminava, senza curarsi della strada già fatta, senza sentire la stanchezza; la testa bassa, senza vedere il paesaggio. Egli non pensava che a proseguire: incurante dello spazio, incurante del tempo, del quale egli aveva ormai perduto la nozione, incurante della fatica, che quasi non sentiva più.

Dove andava egli dunque?

Non lo sapeva.

Egli fuggiva. Egli si allontanava dalla vita.

Una forza misteriosa lo guidava, senza ch'egli se ne dovesse dar pena, al luogo ignoto stabilito dal suo destino. Ed egli obbediva, senza saperlo, alla forza misteriosa che lo conduceva.

Intanto il corso del sole doveva essere già molto innanzi nel suo cammino: i raggi, sebben mitigati dall'altitudine alpestre, saettavano sulla fronte del solitario camminatore. Ma come egli appariva insensibile alla fatica della strada, così non faceva veruna attenzione al sudore che gli scendeva abbondante dal volto.

Però il cielo, fino allora sereno e limpidissimo, si andava lentamente velando di nebbia: sottile in alto e diffusa, ma all'orizzonte vieppiù grigia e densa.

E la strada s'era mutata in sentiero, mentre gli arbusti avevan ceduto il posto ad alberelli più alti, dapprima esili e radi, poi, man mano che il camminatore avanzava, sempre più fitti e ramosi.

A un tratto, incerto e velato, venne, forse dalla valle che s'era lasciata alle spalle, di fra le rame della boscaglia che vieppiù si affittiva, il suono lontano di una campana che invitava all'Angelus. Il viaggiatore si fermò un momento ad ascoltare la lontana voce di Dio, veniente dal mondo dal quale si allontanava: poi scrollò le spalle e riprese il cammino.

Il cielo si oscurò tutto: un rombo lontano annunciò la tempesta.

Il viaggiatore non se ne dette pensiero.

Una sottil acqueruggiola cominciò a cadere dal cielo. Egli parve sentirne refrigerio: si scoprì la testa per sentirne la fresca carezza sulla fronte ardente. L'olezzo della boscaglia che il fresco bacio delle stille dissetava, gli venne alle nari lieve e refrigerante.

E il sole ormai doveva essere presso la fine del suo corso. Apparì un momento acceso e sanguinoso fra le nubi dell'orizzonte. Il suo guizzo spruzzò di sangue le rame degli arbusti e fe' scintillare la sabbia umida. Pioveva sempre. Poi il sole si velò, e le ombre della sera scesero rapide dal cielo color del piombo.

Il bosco s'era fatto più fitto. Ma il viaggiatore ormai scorgeva a stento quanto lo circondava. Le ombre invadevano tutto.

Nella notte ormai oscura, mentre la pioggia cadeva sulla sua testa, fredda e uguale, egli continuò il suo cammino, per molto tempo ancora, forse per molte ore.

Finalmente si arrestò.

Davanti a lui, lontano lontano, incerto, velato, aveva scorto un lume.

Si diresse a quella volta, nel buio, senza discernere più nulla intorno a , guidato da quel barlume che ora scompariva per riapparire tra le fronde stillanti, come un faro.

Finalmente vi fu da presso. Era una grande capanna di legno e di paglia. La porta ne era chiusa, ma da un finestrino, ad altezza d'uomo, usciva il chiarore ch'era giunto lontano, sino all'occhio del camminatore e che gli era stato faro nella notte.

Egli si fece sino a quel finestrino e guardò.

 

*

 

Tre uomini, due donne e parecchi fanciulli, sedevano intorno ad un rozzo tavolo. Cenavano. Avevano davanti grandi scodelle di latte ove immergevano del pane nero. Dall'alto sopra il desco, pendeva una lucerna. Al fioco chiarore di quel lume il viaggiatore non potè scorgere il volto di coloro. Gli parve però intravedere fra essi un vecchissimo, dalla lunga barba candida, dal capo coperto di canizie.

Uno dei fanciulli dormiva, il capo abbandonato sulla tavola.

Intorno – sempre al fioco lume della lucerna – il viaggiatore scorse delle pelli, de' bastoni e dei sacchi.

Dovevano essere pastori.

Si tolse di e si accostò alla porta.

Bussò.

Subito fu aperto.

Egli entrò nella capanna.

Un grosso mastino, dal fitto pelo fulvo, gli si fece incontro ringhiando. Allora uno degli uomini – un giovane – gli dètte la voce, vigorosamente, e il cane si acquietò.

Coloro, intanto, sospeso il cibo, guardavano in silenzio il nuovo venuto, maravigliati e perplessi.

Pure essi erano abituati a vedere talvolta de' pellegrini che a piedi traversavano la montagna e spesso avevano già, nella notte, dato loro ricovero.

Il vecchio dalla lunga barba bianca e dal capo canuto domandò:

– Che volete?

Il viaggiatore mostrò i suoi abiti pieni di fango e pregni di acqua. Anche i suoi capelli stillavano.

Il vecchio disse:

Fatevi pure avanti e abbiatevi il benvenuto, chiunque voi siate!

E continuò:

– La capanna del vecchio Giovanni e dei suoi figli non rifiuta mai ospitalità e ricovero ai pellegrini di passaggio. Voi mi sembrate tale, almeno. Del resto, vi ripeto, chiunque voi siate, abbiatevi il benvenuto.

Il viaggiatore rispose:

Grazie.

Il vecchio continuò ancora, mentre gli altri tutti tacevano, attenti alle sue parole:

– Voi siete bagnato da capo a piedi. Vi daremo del fuoco. Voi dovete aver fame. Vi offriremo del nostro latte. Voi sarete stanco: troverete della paglia asciutta.

Il viaggiatore ripetè:

Grazie.

E fattosi avanti tese la mano al vecchio Giovanni.

Sedetevi qua, in mezzo alla nostra famiglia, – disse il vecchio.

I giovani si alzarono e fecero posto al nuovo venuto.

Una delle donne, la più giovane, gli portò davanti un'ampia scodella colma di latte.

– Venite da lontano? – chiese ancora il vecchio.

– Oh sì, da molto.

– E andate lontano?

Il viaggiatore rispose:

– Non so.

Il vecchio e gli altri parvero maravigliati della strana risposta. Ma il vecchio non insistè altro.

Sembrate molto stanco, – fece uno dei giovani.

Le donne avevano acceso un bel fuoco, che vivamente scoppiettava.

– Venite in questo cantuccio, – disse allora uno dei giovani alzandosi, – toglietevi da dosso questi abiti inzuppati, le donne li asciugheranno. L'ospite seguì in silenzio il giovane.

Si tolse gli abiti e il pastore gli presentò – per coprirsi – un paio de' rozzi gambali di pelle da essi usati ed una pelliccia di pecora per riparare e riscaldarsi il dorso.

L'ospite, appena liberato da' suoi abiti molli e aderenti alla persona come una seconda maligna pelle, parve sollevato.

E ritornò alla tavola, davanti alla sua scodella.

Siccome appariva tanto taciturno e triste, nessuno osò disturbarlo con parole o altro.

Riprenderete domani i vostri abiti, quando saranno bene asciutti. Per la notte questi vi ripareranno meglio, – disse il vecchio pastore.

L'ospite assentì.

– Venite a dormire, se v'aggrada, – gli disse uno de' giovani che aveva accesa nel frattempo un'altra lucerna.

L'ospite, dopo aver brevemente salutato gli altri, lo seguì.

Il giovane lo condusse in un luogo riposto nella grande capanna, ove si stendeva soffice dell'aromaticissimo fieno fresco. Il luogo comunicava da un lato con il chiuso delle pecore, delle quali si udiva il caratteristico tepore.

– È un letto da pastori, – notò il giovane, – ma vi si dorme bene.

E lo lasciò.

 

*

 

L'ospite si abbandonò sul soffice letto naturale e, per la prima volta, da tanto tempo ormai, sentì un dolce sollievo al triste suo corpo addolorato.

Ma il sonno non venne subito.

Ma se il corpo era sveglio, la mente però posava, blanda e quasi serena, finalmente. Veniva l'odore delle pecore dal chiuso vicino e un lene frascheggiare di fronde, dal bosco. Era una strana, misteriosa e infinita pace in quel povero angolo di capanna, al buio, sopra quel povero letto innocente ed odoroso di erbe morte, piene ancora del tepore e dell'olezzo del prato.

A un tratto un lieve chiarore apparì alla porta.

Era il vecchio Giovanni che veniva a vedere se l'ospite fosse contento del suo letto, se dormiva, se desiderava qualcosa.

Sentite, – disse l'ospite, – vorrei chiedervi una grazia.

Il vecchio lo fissò in silenzio.

Dite pure.

– Vorrei.... per sempre fermarmi qua con voi.

Il vecchio parve riflettere. Poi disse:

Va bene. Resterete.

E aggiunse:

– Mi direte, poi.

Rimase ancora pensoso, alquanto, poi disse ancora:

– Quale è dunque il vostro nome?

L'ospite tacque alquanto, poi rispose:

Chiamatemi Pietro.

Il vecchio lo salutò.

Dio protegga il vostro sonno, Pietro.

E chinandosi su di lui, con voce paterna, aggiunse:

Domani, mi direte tutto.

E se ne andò.

 

*

 

E tornò il buio consolatore intorno all'affranto, al quale un pensiero di speranza e di riposo aveva alfine illuminato, per un momento, il tenebrore dell'anima.

 


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