Egisto Roggero
Le ombre del passato

LA CANZONE DEL GRILLO.

III.

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III.

 

Una valanga: un'orrenda valanga di fuoco, di fiamme, di fumo asfissiante, di polvere turbinosa, di frastuono e di morte, pazzamente lanciata alla distruzione. Il sole dardeggiava quella spaventosa massa trascorrente come una visione di follìa: cavalli sfrenati alla corsa, pioventi sangue dai miserabili fianchi lacerati, uomini trasfigurati dal furore o dalla paura, bronzi rotolanti con fragore d'inferno, che si piegavano, si squassavano, si sfasciavano a scheggie sotto i nembi di fuoco incessante che fulminava come dal cielo. E sul terreno, fatto spaventoso imbratto di sangue e di fango nerastro, si addensava vieppiù un orribile strato di carne lacerata e frantumata: i cadaveri dilaniati degli uomini e dei cavalli fondevano il loro sangue, le loro miserabili viscere fumanti, le membra palpitanti nell'ultima loro orrida agonia. E la valanga continuava sempre più pazza, sempre più disordinata. Passavano forsennate le schiere soldatesche contratte, ansimanti, sformate, sopra i cui volti arsi il terrore della morte e lo spasimo della distruzione si fondeva con una smorfia spaventevole. Passarono ancora cavalli e cannoni e soldati e poi ancora, ancora, e sempre, soldati, cavalli e cannoni. Un mortifero velario di fumo acre e nero e di polvere copriva ormai tutta quella rovina di esseri, e pur la corsa alla morte continuava, ostinata, invincibile.

Ad un tratto il cielo si velò, i raggi del sole scomparvero: grandi e cupe nubi copersero il campo spaventoso. E la bufera del cielo si unì a quella della terra. Una pioggia dirotta si rovesciò sulla massa di forsennati e di morti: il fuoco del cielo, più rapido, più fragoroso e più sinistro parve voler rivaleggiare con quello miserabile e micidiale degli uomini.

E tutto scomparve in un terribile caos di acqua scrosciante, di fuoco e di tenebre.

 

*

 

Già dall'alba era incominciato il terrore. Una turba di pastori e di contadini, laceri, sgomenti, pallidi e disperati era passata fuggendo davanti alle Capanne.

Fuggite, fuggite, salvatevi! – avevano gridato piangendo nella loro corsa disperata, a quelli delle Capanne; – fuggite, fuggite, salvatevi: sono qui, dietro noi, a due passi!

I pastori sgomenti, atterriti, avevano chiesto ragione di quel terrore.

– La guerra! la guerra! – avevano risposto coloro.

Ed erano corsi a rifugiarsi nei boschi.

La guerra!...

I pastori ne sapevano già qualcosa. Se ne da qualche tempo fra quelle vallate e in quei boschi. Si diceva che degli uomini gallonati, molti mesi innanzi, avevan girato a lungo fra quelle capanne cercando uomini giovani da portar via con loro. Promettevano denari e tante cose belle e grandi. Si andava alla guerra!... Si andava a vincere paesi forti, ricchi, pieni d'oro e di donne belle. La ricchezza, la gloria e l'amore, per chi era forte, giovane e senza paura. Quegli uomini parlavano bene, dicevano cose nuove, strane, belle, mai udite. Eran tutti rilucenti nelle vesti, di oro e di argento, e possedevano splendide armi che scintillavano al sole. Ma que' pastori, quei figliuoli del bosco, non si eran lasciati sedurre dalle loro parole, dall'oro che li copriva, dalle loro belle armi scintillanti. E se n'eran quasi tutti fuggiti nel fitto bosco, ne' luoghi più selvaggi e impenetrabili, ove nessuno di quegli uomini gallonati avrebbe osato andare a scovarli.

Ed ora la guerra, dunque, era venuta....

Da molti giorni non si sentiva che un cupo tuoneggiare al di dei monti azzurri; un rumore continuo, cupo, lugubre, pauroso.

Una notte si erano veduti de' fuochi scendere giù da que' monti: piccoli fuochi mobili, irrequieti, che avevan durato a muoversi sino all'alba. Un'altra notte poi se n'era veduto uno, immenso, di codesti fuochi: ma immobile, questo, e che saliva al cielo; pareva un paese che andasse in fiamme. E il mattino dopo si era veduto ch'era veramente un paesello, andato in fiamme, tutto intero, forse con tutti i suoi miseri abitatori. Il sole dell'aurora aveva giuocato con i suoi riflessi color di rosa, sulla lunga colonna di fumo nerastro ch'aveva durato tutto il giorno ad offuscare il cielo.... E questi lugubri falò si eran seguiti poi, nelle altre notti. Quasi tutti, i piccoli villaggi, che per tanti anni i pastori avevano veduto dormire quieti, come piccole macchie biancastre sull'azzurro dei monti lontani, avevano avuta la loro fiammata una bella notte, e il mattino dopo, all'alba, si eran visti sempre fumare, alto nel cielo, come una torcia male spenta e puzzolente.

Quella era la guerra.

E doveva essere una guerra lunga e difficile perchè il rimbombo cupo non era più cessato e i falò pareva ardessero sempre, ora, in permanenza; e sempre più vicini. E anche il rimbombo si era fatto sempre più vicino, sempre più vicino, sempre più vicino. Allora erano cominciate a passare le turbe derelitte dei pastori e dei contadini fuggiaschi: miserabili creature in lagrime e scarmigliate, uomini pallidi e tremanti che avevano sul volto l'orrore della morte che avevan veduto avvicinarsi alle porte dei loro tuguri, donne lacere e agonizzanti di terrore, bambini ignari e istupiditi; miserabili creature che si trascinavano dietro una capra, la vaccherella, la povera masserizia sottratta alla distruzione e alla rapina.

E poi era venuta giù, spaventevole e distruggitrice, la valanga.

 

*

 

E la valanga ora passata.

Non si udiva più, ora, da nessuna parte, quell'orribile rombo continuo, assordante, quel sibilo sottile, lacerante, insostenibile, che tutto il giorno, dall'alba, aveva solcato il cielo in tutti i sensi.

La valanga ora passata.

E ove era passata tutto aveva bruciato e incenerito, come un mare di fuoco.

Le Capanne non esistevano più, il bosco più non era che un immenso carnaio, il prato un immenso cimitero abbandonato.

E la notte, tepida e serena, era caduta lentamente sopra quella rovina immensa.

Pietro, in piedi, sul posto ove già erano state le Capanne che lo avevano ospitato, si guardava intorno, solo, nella notte.

Egli solo era vivo: neppure una scintilla del fuoco divoratore che tutto aveva distrutto intorno a lui, lo aveva tòcco!

Egli, solo vivente, forse, in quel momento, in mezzo a tanti morti!...

Intorno a lui mucchi di cenere bianca qua e bruna di sangue, indicavano il luogo ove già eran state le Capanne grandi. Qua e qualche tizzone spento, qualche utensile contorto. Null'altro rimaneva della sua breve vita di pastore, del suo breve sogno di vita pura e primitiva!...

E si mosse.

Ecco , in quel breve pendìo, il luogo ove Silvio era caduto, cercando di difendere Maria, la sua donna, trascinata via dalla valanga delirante. Ed anche lui era scomparso nell'orrenda mischia.

Gli altri.... dove eran dunque gli altri? Scomparsi, tutti, distrutti, annientati: uomini, donne, fanciulli. Il vecchio Giovanni, il forte vecchio, scomparso anche lui. Viva e orrida visione palpitante ancora davanti alla mente atterrita, Pietro vedeva insistente uno dei piccoli ragazzi preso sotto le ruote di un treno di artiglieria, slanciato a corsa vertiginosa, mozza la testa, fatto un informe imbratto sanguinoso dalle zampe dei cavalli e dalle grandi ruote: scomparso, in fine, come tutto il resto, nel vortice di fuoco e fumo ch'era seguìto.

Pietro continuò il cammino.

Il cielo era stellato; e una sottil luce chiara scendeva da quel limpido cielo su quella terra maledetta. E i morti innumerevoli, supini, su quella terra, guardavano le stelle con i loro occhi aperti, senza sguardo.

Una brezza leggera s'era levata nella notte e recava con uno strano lugubre aroma: l'odor fresco del bosco unito alle mortifere emanazioni di quelle migliaia di cadaveri irrigiditi e sformati. Il prato, sconfinato, era tutto nero di morti. Si vedevano i volti esangui biancheggiar nelle ombre. Intorno era una quiete immensa. Qualche nero uccellaccio, dal quieto volo silenzioso, si alzava qua e , dal carnaio, e qua e vi si abbassava sopra. Pietro camminava in mezzo ai cadaveri, badando a fatica di non mettere i piedi sopra le loro membra irrigidite dalla notte e dal gran gelo della fine. Qua e i corpi erano strutti e avvinghiati: l'ultimo amplesso disperato della morte o l'ultima convulsione del furore che aveva spinto quelle, ora miserabili carcasse, l'una contro l'altra a sbranarsi, sopra quella vergine terra e su quelle erbe innocenti.

Pietro ad un tratto fu colpito da sordi lamenti. Erano i mal morti che al suo passaggio avevano un barlume di vita – l'ultimo forse – e singhiozzavano un rauco grido di dolore o d'aiuto. Egli si chinò sopra alcuni di essi. Non avevan più nulla d'umano. Erano orrendi nel sangue nerastro e nella polvere che ne lordava i corpi sformati. Pietro proseguì il suo cammino nel prato che tante volte aveva veduto baciato dal sole e pieno di fiori, sotto la brezza pura. I morti si facevano sempre più fitti. I lamenti uscivano qua e , dai mucchi e attraversavano più rauchi e più lugubri il silenzio della notte, comunicandole un lungo fremito doloroso.

Pietro si trovò davanti ad una batteria distrutta. La lotta in quel punto doveva essere stata orribilmente accanita: i carri, gli affusti rovesciati eran circondati da corpi lacerati e infranti: pezzi di membra spezzate si vedevano qua e , sulla terra nera. Il sangue era sgorgato in tanta abbondanza che le erbe ne eran tutte raggrumate. I suoi piedi scivolavano su quel tappeto viscido che esalava un lezzo di morte. E i cannoni, morti anch'essi ormai, allungavano su quel carnaio le loro nere gole affumicate, dalle quali usciva il tanfo acre della polvere bruciata....

Pietro si fermò un momento.

Gli era parso veder muovere qualcosa lontano, fra que' mucchi di cadaveri. Guardò.

Qualcosa si avvicinava a lui.

Saltando sopra i morti e i miserabili avanzi della battaglia un cane veniva verso di lui, Pietro lo riconobbe.

Era il vecchio cane delle Capanne grandi. Egli era dunque sfuggito alla strage ed errando fra il carnaio aveva ravvisato il compagno de' suoi padroni ed era venuto a lui.

Il cane era inquieto: tremava, si lamentava....

Pietro comprese. Il cane aveva qualcosa da mostrargli: voleva che Pietro lo seguisse.

Egli si alzò. Il cane dette un balzo di allegrezza e si pose a correre spedito e sicuro. E Pietro lo seguì.

Furono in breve al limitare del grande prato; al principio del bosco. Anche dentro la strage era stata orribile: fra l'inviluppo delle rame si erano battuti alle armi bianche.

Fra gli arbusti spinosi masse nere giacevano alla rinfusa: il sangue scorreva per i sentieruoli del bosco e s'era fermato in piccole pozze nerastre.

Il cane correva sempre spedito innanzi saltando fossi e cadaveri.

A un tratto all'imbocco d'una breve valletta scoperta, circondata da fronde e da spini, si fermò e volse la testa a Pietro. Poi entrò.

Pietro lo seguì.

Al lene chiarore delle stelle egli scorse subito a terra, stesa supina, una massa bianca, immota. Si chinò sopra quel corpo e riconobbe il cadavere del vecchio Giovanni.

Egli era morto , nell'ultima difesa delle donne, della sua famiglia, dei suoi figli, delle sue pecore.... Una larga ferita gli si apriva in mezzo al petto. Il suo volto era bianco come la neve e sereno.

Il vecchio patriarca aveva finito la sua lunga giornata di vita e ritornava alla sua terra. Quella terra che aveva servito fedelmente, per tanti anni, umile e semplice e devoto, vero figliuolo della Natura, come lei forte, buono e semplice.

Quando Pietro si alzò per uscire dalla valletta il cane non si mosse: egli rimase accoccolato ai piedi del suo padrone.

 

*

 

Mentre stava per uscire dal bosco un'altra visione lo colpì.

In un piccolo spiazzo scoperto, il vecchio Arcangelo, la testa spaccata, copriva la terra sanguinosa con la sua grande spettrale persona.

– Anche lui, finito così, come tutti gli altri, nella grande rovina, – mormorò Pietro guardandolo. Il vecchio Arcangelo aveva, lui, pagato il suo delitto.

Ed era venuta – almeno – per lui la fine!

Egli solo dunque era sopravvissuto, unico testimone di tanta morte!...

Riprese il triste cammino nell'immenso campo dei morti.

Quasi nel mezzo di esso si fermò: si sedette sopra una larga pietra chiazzata di sangue.

Intorno a lui i cadaveri si accumulavano e giacevano alla rinfusa. A Pietro parve scorgere come, in quel punto, apparissero tutti di giovani, in gran parte imberbi, quasi. doveva esser venuta a morire una squadra di volontari.

Supino, con le braccia aperte, il volto fin quasi presso i suoi piedi, Pietro distinse, vicinissimo, un giovane soldato morto. Era giovanissimo, un fanciullo quasi. Il volto candido, calmo, senza una contrazione una macchia di sangue, spiccava nitido sulla terra nerastra.

E Pietro guardandolo vide passarsi davanti, rapida come una visione, la storia di quel giovanetto soldato morto.

Studente, forse: giovane, ardente, poeta! Una sera, al solito ritrovo de' suoi coetanei, come lui ardenti e poeti, una voce ha gridato viva alla guerra. La guerra!... la febbre, la conquista, la vittoria, la gloria!... Un cumulo di cose belle, grandi, giovani e ardenti. Il sangue dei giovanetti poeti ha colorito le loro guancie imberbi e con un solo grido, quella sera, hanno inneggiato alla guerra, alla divina, luminosa Guerra, alla conquista, alla vittoria, alla gloria!... E hanno urlato tutti di partire per la guerra.

E il giovanetto poeta è partito, fors'anche è fuggito: da qualcuno forse che ha tentato trattenerlo: una vecchia madre che non sa che piangere e che non conosce la Gloria.... Eccolo soldato, il giovanetto poeta! Gli han posto in mano un fucile, in fretta e furia; in un immenso cortile di caserma ingombro di carri, di armi, d'ambulanze, di soldati in partenza, gli hanno insegnato come adoperare a dovere quell'arma. Un ultimo grido di viva – a tutto: alla giovinezza, alla guerra, alla vittoria! – e il nuovo soldato giovanetto è partito. Cacciato da una caserma ad un'altra, dopo un seguito di marce notturne per lunghe strade bianche e polverose o lungo desolate campagne, per vigneti devastati e frutteti infranti, egli, stanco, ansante, morente di disagio, di sonno, di misterioso orgasmo, è giunto finalmente al grande campo della Gloria, come ha sempre detto – il campo della Morte, come intensamente sente ora. Un generale, forse un Principe, parla ancora a lui, e agli altri cento, che son con lui, della Bandiera, dell'onore, della vittoria e della gloria. Ma egli ascolta trasognato, tramortito, come in febbre, quelle parole che un giorno l'hanno fatto sobbalzare di ardore e di sdegno. Il giovanetto soldato poeta si guarda intorno. Che bel cielo sereno! Come sono verdi gli alberi, come è profumata la brezza che vien dalla valle! Che triste luogo per uccidere ed essere ucciso!... Ma non c'è tempo da meditare: un rombo lontano e continuo annuncia che altrove si muore. Non c'è tempo da perdere. La morte si avvicina. Bisogna uccidere od essere uccisi. A un tratto un movimento rapido di cavalli, di ufficiali, di comandi si fa davanti alla squadra. Un fremito passa fra le fila mute. La squadra si muove: si va alla guerra. Quasi correndo si discende la collina. I giovani volontari si guardano furtivamente in faccia. Tutti sono pallidi, contraffatti, ansanti. Uno piange convulsamente, silenziosamente, forse senza neppur saperlo. Il grido potente continua: avanti! avanti! Il rombo è vicinissimo. Passano sulla testa dei sibili acuti che lacerano gli orecchi. La squadra si ferma. Davanti è una densa cortina di fumo che impedisce di vedere. Il cielo azzurro, il verde, la valle, tutto è sparito. Rossi lampi solcano la densa cortina nerastra, che dissecca la gola e accieca gli occhi. Ad un tratto uno cade nella squadra: poi un altro, un altro, un altro ancora. La voce grida: "fuoco!" e urla: "e avanti, avanti sempre!..." Il giovanetto poeta che ormai ha veduto morire i due suoi compagni vicini e sa come si muore, rabbrividisce, poi punta il fucile, davanti a , senza nulla vedere e fa fuoco. Egli è calmo ora: non è in collera, non ha furore; anzi come una sottile gioia lo ha invaso, un desiderio acuto: morire, morire, morir presto anche lui! Uscire da quel fumo, da quel fulminar continuo di lampi rossi, da quel rombo infernale che non posa mai.

Ecco. Un lieve urto al petto. E la nebbia sparisce, la terra manca sotto i piedi. L'ultima violenta sensazione dolorosa di un piede brutale che urta in mezzo al petto, sulla ferita, poi sulla testa.... Poi più nulla. Tutto è finito. La morte del poeta soldato sul campo di battaglia!

Pietro si chinò sopra il morto. Il suo volto di cera non aveva una contrazione, i suoi occhi aperti, senza sguardo, fissavano il cielo.

Forse, molto lontano, in una viuzza, in una cameretta triste, una donna dai capelli bianchi piangeva e malediva la guerra. Una povera donna che non conosceva la Gloria, piangeva un caro sogno di speranza e di amore distrutto per sempre.

Così – anche – intorno a Pietro tutto ora finiva!

Il piccolo raggio di Bene ch'egli aveva creduto alle sue mani concesso da Dio, s'era annientato nel buio della morte e della distruzione.

Tutto era scomparso, distrutto, finito: la sola sua colpa ora rimaneva ed eterna.

Poichè il male non si distrugge, esso rimane nei secoli; il male è immortale. E poichè ogni speranza finiva, una freddissima angoscia scese al cuore di colui che, nella nuova sua vita, aveva voluto essere chiamato Pietro. Ed alzò il volto verso le fredde stelle scintillanti nel cielo nero.

Ma una lieve musica, uscente fioca e incerta dalla campagna immensa, intorno a lui, lo colpì. Era la canzone dei grilli, dei pochi poveri grilli che la fiumana di sangue dalla terra bevuta aveva lasciati ancora in vita. Egli ricordò un'altra volta la stessa canzone, nel prato sconfinato e pieno di erbe e di fiori, che la luce del tramonto velava di ombre rosee, mentre la brezza della sera portava lo scampanìo lontano delle chiesette perdute sul monte.

Come allora egli porse orecchio alla canzone dei grilli. Uno specialmente, più vicino a lui, che dal suo cespuglio ora non più fiorito ma intriso di sangue, chissà quante primavere di sole aveva veduto, cantava più forte ma più accorato.

E anche ora – come allora – la canzone del vecchio grillo diceva:

– La Natura è pura ed innocente – sempre ed ovunque – è l'anima degli uomini che è impura. Grava sulla loro anima trista un vecchio e misterioso Peccato che è sfuggito alla Grazia. Pende sul capo degli uomini una condanna che si perde nei secoli. Poichè la Natura è pura ed innocente, perchè come Dio l'ha creata è rimasta fedele. –

Così cantava il vecchio grillo, dal suo cespuglio non più fiorito ma intriso di sangue.

E Pietro ricordò le oscure parole che lo colpirono un giorno, fanciullo, leggendo la Sacra Scrittura, e che lo fecero piangere.

 

 

FINE.




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