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III.
Sapevo che durante la giornata nella quale il Delphin era rimasto a dondolarsi nelle chete acque di Barcellona, erano saliti a bordo alcuni nuovi passeggieri. Ero curioso di conoscerli e passeggiando sopra coperta li andavo cercando con gli occhi.
Mi colpì subito un signore d'una certa età, dal tipo perfettamente inglese, dalla barbetta bionda brizzolata e dagli occhiali d'oro. Egli era seduto sopra una seggiolina portatile dinanzi al parapetto e guardava pensosamente il mare. Vicino era una bellissima bambina bionda, sotto gli undici anni. Anche questa come il padre – si capiva subito ch'era la figliuola – contemplava in silenzio il mare glauco e ondoso. A un tratto la bimba si volse e chiamò:
Una signorina alta e snella si avanzava.
Poco mancò non dessi un grido.
Lei!... lei!... la strana figura dell'apparizione! La fantastica figura di quella notte, che ancora non avevo saputo se chiamare sogno o delirio; lei in persona, fatta donna reale, fatta essere vivente!...
Stentai molto a rimettermi dall'improvviso sbalordimento.
Cercai di calmarmi, di ragionare, di riprendere il mio sangue freddo.
Concentrai tutta la mia anima e i miei sentimenti nella vista.
La osservai attentamente.
Era lei.
Così mi era apparsa quella notte, così quella notte i miei occhi l'avevano veduta: così la mia memoria l'aveva indimenticabilmente serbata.
Lo stesso volto, le stesse movenze: l'abito istesso, preciso, identico, in tutti i particolari. Era proprio lei.
La miss intanto conversava tranquillamente con la bella bambina e con il signore inglese.
Mentre io l'osservava, malgrado il mio turbamento e i secreti sentimenti che mi agitavano, io ne ammiravo la snella ed elegante persona, il bel volto bianco e severo, i capelli nerissimi, la squisita e semplicissima acconciatura, la distinzione somma d'ogni suo atto e movenza.
Senz'accorgermene m'appressai alquanto ai tre, per meglio osservarli.
Ella portò sopra di me i suoi occhi e dovette accorgersi della intensa attenzione con la quale io tenevo fisso su di lei il mio sguardo.
Una lieve vampa di rossore passò sopra il suo volto.
Però non parve offesa della mia curiosità. Anzi volgendosi novamente verso di me mi parve scorgere un gentile raggio di benevolenza nel suo sguardo.
Intanto il signore s'era levato.
La miss e la bimba si avviarono ed egli le seguì.
Corsi subito al registro di bordo dei passeggieri e cercai il nome dei nuovi venuti.
Lessi: "Mister Charnwood di New York, con figlia Miss Doroty e demoiselle di compagnia Miss Ethel H."
Erano essi.
Durante il pranzo, sebbene cercassi frenarmi per non attirare l'attenzione e gl'inevitabili commenti degli altri miei compagni di viaggio, non potei staccare gli occhi da lei.
Era veramente una somiglianza, una coincidenza fantastica!...
Dal comandante von Moser poco potei sapere sopra i tre personaggi.
Lui era un ricco proprietario di New-York, vedovo da poco tempo, con quella sola bambina: la miss era, come diceva il registro, la damigella di compagnia della signorina Charnwood.
Egli non sapeva altro...
*
La mia mente cercava un nesso tra le due apparizioni – la prima, quella del sogno – e questa seconda, reale e vivente.
Andai a cercare il fatale biglietto che aveva conservato gelosamente e che aveva recato con me. Lo rilessi:
"To die, to sleep.... Laggiù nel tenebroso Oceano, è nel sogno, il gelo della morte.... La fatalità, la speranza! Sweet moments...."
Avevo bene essere un positivista, non credere ai fantasmi, ai misteri dell'al di là: la mia ragione cozzava contro la evidenza dei fatti.
Quale misterioso destino mi aveva dunque condotto su quella nave?
Quale misterioso destino aveva dunque fatto salire questa miss Ethel a Barcellona proprio su quella nave ove già mi trovava io?
Quale fatalità ci spingeva l'uno contro l'altro?
Cosa voleva la sorte – o qualche altra potenza misteriosa che io non conosceva – da noi?
Perchè io, inconsciamente, sentivo che qualcosa ormai legava me a quella creatura, da me non mai veduta che una sola volta in sogno.
Io ormai sentivo che quella creatura doveva entrare nella mia vita, avervi una parte importante, fatale forse, grandissima certamente.
Perchè dunque? Tutta la notte la mia mente eccitata e febbrile si agitava in questi pensieri.
Finchè stanco, sfinito, febbricitante decisi di abbandonarmi al destino.
E un sonno posante e profondo venne alfine a cadere sulle mie stanche palpebre.
*
Il domani mattina all'alba mi trovavo sul ponte.
Era un'alba chiara: il mare pareva di latte. Il cielo cosparso come di una vaga lanuggine di nebbia sottile e diffusa pareva un campo sterminato sepolto sotto una nevicata di seta.
Il Delphin fendeva l'onda candida lasciando dietro di sè un lungo solco niveo e scintillante.
Piccole perle fulgenti di candore rimbalzavano sino a me e ricadevano nella conca bianchissima, con una lieve iridiscenza al sole velato.
Miss Ethel era venuta sul ponte.
Aveva in mano un libro: osservò un poco il mare – e mi accorsi, per la prima volta, che aveva nello sguardo una leggera miopia – poi si guardò intorno, alfine andò a sedersi sopra una grossa corona di corda vicino ad uno dei grandi alberi. E aperse il libro.
Io me le accostai.
La salutai e in inglese le chiesi che libro leggesse.
Ella me lo porse: erano versi francesi del Rodembach.
Non pareva per nulla imbarazzata.
Era un poco più colorita nel volto: ma sicura e tranquilla.
Nessuna agitazione era in lei.
Mi guardava benevolmente e, come io scorsi sul margine del libro alcune parole scritte a mano, sorrise.
– È una mia brutta abitudine sporcare così i libri, – disse.
E sorrise ancora.
Io mi ero fermato ad una pagina del libro impallidendo.
Vi erano scritti a mano e a penna, alcuni versi tedeschi per intero. Quelli di Heine che incominciano:
Liebliches Geläute....
Le dissi:
– Mi lasciate per poche ore questo libro?
Ella mi guardò sorpresa, poi rispose:
– Come vi piace.
Corsi nella mia cabina. Cavai il fatale biglietto: lo confrontai con le parole manoscritte sul libro.
*
Per parecchi giorni non potei rivedere miss Ethel che in compagnia con mister Charnwood e con la bimba.
Avevo stretta relazione con mister Charnwood. Era un uomo simpatico e cordiale: un poco triste. Mi pareva oppresso da un secreto affanno. Forse il dolore della perdita della moglie che, io pensavo, doveva piangere ancora.
Trattava miss Ethel come un'altra sua figlia: ed era pieno per lei di riguardi e di cure.
Potei finalmente ritrovarmi da solo con lei.
Era di sera, verso il tramonto. Il Delphin correva in un mare di fiamme. Il cielo ardeva e il mare pareva di lava. Il bastimento si apriva un solco incandescente ove la spuma pareva rame liquido e gli spruzzi scintille.
Il volto di miss Ethel era tutto porpureo. I suoi occhi neri, in quel fuoco, scintillavano.
– Sentite, – le dissi, – io vi debbo rivelare un segreto....
Ella mi guardò: ma non mi parve tanto stupita come ragionevolmente doveva esserlo.
– Noi ci siamo veduti, qui, ora, sopra questo bastimento, in pieno oceano, non è vero?
– Sì, – fece lei.
– Ebbene, no, non è vero, v'ingannate.... io vi conosceva diggià, io vi ho altra volta veduta.
Ella sorrise.
– Difatti.... – mormorò.
– Difatti?... continuate, – feci io, ansioso.
– Difatti, – continuò lei, – la prima impressione che provai io, vedendovi per la prima volta, ne' giorni passati, fu quella di avervi conosciuto o almeno già riveduto....
– Ah sì?
– Sicuro. Ma dove? ma quando? ecco la domanda che mi son più volte fatta in questi giorni.
– Ebbene?
– Ebbene, non ho saputo rispondervi. Io non ricordo.
– Pensate bene: cercate di ricordare.
– Non posso: non ricordo più.
– Pensate bene, frugate nella vostra memoria.
– Non posso, non posso: non mi è possibile ricordare.
– Vi aiuterò io, – feci, – in sogno forse?
Ella sorrise.
– In sogno?... – mormorò stupita.
Ella sorrise ancora.
– Oh no, in sogno no, di questo ne sono ben certa.
E siccome l'idea le doveva tornare alquanto buffa sorrise nuovamente.
– Ebbene, – feci allora concitato, – è proprio in sogno che io vi ho conosciuta!...
Ella fissò di nuovo stupita e dubbiosa su di me il suo sguardo limpido.
E le narrai minutamente la mia strana visione di quella notte.
Miss Ethel mi ascoltò seria e pensosa.
Quando le accennai il biglietto e le dissi che lo avevo e che glielo avrei mostrato parve alquanto turbata.
Lo aveva indosso. Lo cavai dal portafogli e glielo mostrai. Ella era pallidissima.
– L'altro giorno, ricordate? – continuai, – vi chiesi il vostro libro dei versi per confrontare questi caratteri con quelli da voi apposti in margine a quelle pagine.
– Sì, – mormorava lei, pensosa, – il carattere è il mio....
Poi alzandomi i begli occhi sgomenti in volto mormorò:
– Che ne pensate, voi?...
Non risposi subito.
– Forse... – mormorai.
– Forse?
– Forse, – conclusi, – un misterioso legame riunisce il vostro destino al mio.
Ella non rispose.
Taceva, pensosa. Teneva il volto reclinato e rinchiuso fra le palme delle mani.
Il sole all'orizzonte era scomparso. Il mare s'era fatto più tetro. Grandi fascie sanguigne venivano a lambire i fianchi del Delphin.
– Io penso.... – mormorò ad un tratto lei, sempre in quel suo atto di abbandono e di raccoglimento.
– Continuate, – feci io.
– Penso che qualcosa di triste e di fatale pesa sulla mia vita! – esclamò ella con un sospiro. – Ah, voi non sapete!... Un mistero terribile che io ignoro ma che sento, che intuisco, è intorno a me, nella mia anima, in tutta me, nella intera mia vita. Io non so nulla, eppure lo sento!...
Miss Ethel disse questo profondamente.
Poi si alzò.
– È tanto che sono qua. Bisogna che vada. Ne riparleremo.
*
E la rividi.
– Quanto ieri m'avete detto, – fece ella, –mi ha turbato e mi turba profondamente. Non so che pensare. Certo che c'è nella nostra vita qualche cosa d'impalpabile che sfugge a noi stessi.
– Comincio a pensarlo anch'io.
– E una cosa, vedete, mi sconcerta, mi turba più d'ogni altra. Quella cioè di sentire che voi non mi siete ignoto. Ve l'ho detto. Io vi ho conosciuto. Ma mi è stato impossibile, assolutamente impossibile, per quanto io me ne sia sforzata, di ricordare quando e dove io vi abbia riveduto o conosciuto.
– Sono le ombre del pensiero, – mormorai.
– E dello spirito, – finì ella, pensosa.
Ella era pallida, in quel momento, e sbattuta. Ma questo turbamento invece di togliere grazia e interessamento al suo bel viso serio e pensoso l'accresceva. Ella guardava smarrita il mare sconfinato ch'era intorno a lei: com'esso vasto, infinito, impenetrabile era il mistero che ne circondava.
– Ho pensato una cosa, – disse ella, finalmente.
– Parlarne a mister Charnwood.
– Credete?
– Sì. Egli è il mio protettore. È per me un secondo padre. Gli debbo tanto! Tutto forse, – soggiunse più sottovoce, con un sospiro; e continuò: – Ed è tanto buono! Io credo bene parlarne a lui. E parlarne voi.
– Come volete.
– Ah sì! egli sa tutto, di me. Forse vi dirà. Poichè io non so nulla, di me, capite?
– Ah, voi non sapete! La vita è stata molto triste per me. Io non conosco nè padre nè madre.
– Tacete, miss Ethel, io vi prego di non addolorarvi ora inutilmente. Voi siete commossa. Parlerò io, e subito, a mister Charnwood. Sentiremo che cosa pensa egli dello strano mistero che ci turba.
E mi stese la mano che io serrai fortemente nella mia.