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VIII.
Papà Miguel mi avvertì che il giorno dopo, all'alba, il Saint-Martin avrebbe gettato l'àncora nel porto di New-York.
– Per la prima cosa, – disse egli, – dovrò fare rapporto alla Capitaneria del salvataggio operato....
Allora mi ricordai che, in quel momento, non possedevo più nulla a cominciare dagli abiti. Fortunatamente prima di partire da Genova avevo fatto una forte tratta sopra di me a New-York, e precisamente presso una banca ov'era impiegato un mio antico compagno, il quale mi avrebbe agevolato lo svincolo della somma.
– Non posso recarmi alla Banca in questo arnese, – dissi.
Papà Miguel si offerse di andar lui a procurarmi un abito decente per poter accompagnare anzitutto miss Ethel e la Doroty al palazzo, quindi recarmi alla Banca del mio amico. Il buon Miguel volle ancora che accettassi in imprestito una certa quantità di dollari per le prime spese inevitabili al nostro sbarco.
Accettai commosso e strinsi ripetutamente l'abbronzita e buona mano del generoso marinaio.
Mi riprometteva, in cuor mio, di ricompensarlo generosamente delle cure e cortesie usate a me e alle due mie compagne di sventura durante i due giorni passati a bordo della sua vecchia sì ma valorosa "carcassa" come si compiaceva chiamarla lui.
Miss Ethel era vicino a me, sul ponte buio della nave, e guardava l'acqua nera nella notte.
– Eccomi sola.... nuovamente, – mormorò.
– Perchè dite questo, miss Ethel? Non avete in me un amico devoto? Ne' suoi ultimi terribili momenti, mister Charnwood non vi ha, voi e la sua bambina, almeno sino al vostro arrivo a New-York, affidate a me? E credete che io non saprò condurre a fine la mia missione? E che una volta compitala io non sia più altro che un estraneo per Doroty e.... per voi?
– Grazie, – mormorò miss Ethel.
E nella notte la sua voce tremò lievemente.
– Grazie, ancora, amico mio buono, – disse ella: e questa volta in italiano.
Io compresi il dolce, gentile pensiero e cercai nel buio la sua mano.
La dolcissima mia favella natìa prendeva nella bocca della fanciulla inglese, nella leggera incertezza della pronuncia, un fascino arcano e sottile che mi scese al cuore. Io non la vedeva, nell'ombra profonda che ne circondava, ma sentiva palpitare vicino al mio, il suo animo buono, che la sciagura aveva – e non forse per la prima volta, – così crudamente colpito.
– Doroty dorme ora, – disse ella dolcemente; – l'ho lasciata tranquilla nella sua cuccetta. Povera bambina! Ella ignora la sua grande sventura! Io ho perduto, in mister Charnwood, il protettore, l'amico buono e affettuoso, ma ella, la povera bambina, perde il più tenero dei padri e l'unico sostegno della vita.
– Non lascia dunque, mister Charnwood, alcun parente?
– Nessuno.
– A proposito, – feci allora io; – ricordate quella borsa che l'infelice mister Charnwood mi ha gettato nella barca, in quell'ultimo momento fatale?
– Al contrario, è stata salvata con noi. Che cosa credete, miss Ethel, che possa contenere?
– Non so. Qualcosa di molto importante certamente.
– Del danaro?
– Non credo.
– L'avete aperta?
– Non ancora.
– Volete che l'apriamo insieme, amica mia? – dissi allora io.
– Come vi piace, – fece ella.
– Sarà meglio. Domani mattina, all'alba, la vostra città ci si aprirà dinanzi....
– Sarà un terribile momento per noi! – mormorò come un soffio miss Ethel; – eravamo partiti così lieti....
– Dovete farvi forza, amica mia, – mormorai; – dovete essere coraggiosa: lo siete stata tanto in questi giorni! Ricordatevi che ora siete voi madre a Doroty....
– Ah! sì, povera piccina! ella che è stata sì infelice per la vera sua madre!...
– Ah! amico mio. Anche qui voi ed io non sappiamo nulla. Anche qui vi è mistero, ombra, da per tutto! Nero, oscurità profonda e poi daccapo mistero senza fondo nè fine, come in quest'acqua tenebrosa che ci scorre di sotto e che noi intuiamo, indoviniamo, ma non possiamo vedere!
– Mister Charnwood non era dunque vedovo come mi si disse?
– Che volete che vi dica, amico mio? – mormorò miss Ethel con un sospiro, – sono parecchi anni che il buon mister Charnwood mi prese con sè: io ero una bambina! Ed ero stata sino allora in un collegio, laggiù, in Inghilterra. Io non ho conosciuto nè padre nè madre. Avevo dunque sedici anni quando entrai in casa Charnwood. Il buon mister disse: "Eccovi un'amichetta, miss Ethel: la mia Doroty. Siate buone amiche, vogliatevi bene, divertitevi scambievolmente; dovrete, almeno lo spero, passare molti anni insieme." Null'altro. In casa Charnwood fui sempre trattata come una seconda figlia e la piccola Doroty mi ha considerato sempre come una sorella più grande.
– Quando entrai io in casa Charnwood ella non vi era più. Morta? Non lo seppi mai bene precisamente. Dapprima lo credetti anch'io, ma un giorno le parole di alcuni servi da me sorprese mi fecero balenare il sospetto che non fosse morta. Ma dove si trovava? e perchè? questo mai riuscii a sapere nè a indovinare.
– E mister Charnwood mai nominava mistress?
– Mai. Anzi metteva ogni cura nell'allontanare ogni parola, ogni idea, che potesse portare il pensiero sopra mistress. Un mistero anche qui, come vedete e come vi ho detto!
– E Doroty?
– Ella chiedeva della sua mamma ne' primi tempi. Le dissero ch'era in cielo. Ella non deve neppur ricordarla d'aspetto, perchè era tanto piccina quando le fu tolta, da chi, in qual modo, e perchè, m'è ignoto, come sapete.
– Tutto ciò è molto strano, – mormorai.
– Oh! sì, veramente, e anche triste assai, – ripetè miss Ethel.
– È vero.
E rimanemmo in silenzio, pensosi, dubbiosi degli eventi che il destino e l'avvenire ci serbava.
– Dite, amico mio, – disse ella ancora, ad un tratto, – e il biglietto?
– Il vostro? – mormorai.
– Il.... mio, – disse ella con un brivido.
Stemmo un poco in silenzio colpiti ambedue dalla mia domanda e dalla sua risposta.
– Ebbene? – fece ella.
– Perduto, in fondo all'oceano, con il Delphin e con quanto io possedeva in quel terribile giorno.
– Una parte della misteriosa promessa s'è finora compiuta.... – mormorò ella dolcemente.
– Lasciamo fare il destino, – dissi io gravemente, convinto.
*
Più tardi, sotto coperta, esaminammo la borsa affidatami nel fatale momento del naufragio da mister Charnwood.
Era solidamente legata e impermeabile.
Aperta n'estraemmo una larga busta con l'intestazione del Delphin.
Sopra appariva scritto di mano di mister Charnwood a caratteri affrettati e irregolari:
"Da consegnare a J. Thompson: ultime mie volontà."
Seguiva la firma di mister Charnwood.
– Thompson è il vecchio segretario fidato di mister Charnwood.
– Precisamente, nel palazzo in città. Mister Charnwood l'onorava di tutta la sua più completa fiducia.
– Ma allora questo è il suo testamento! – esclamai.
Miss Ethel mi guardò sorpresa.
– Deve essere così, – mormorò.
– Ora mi spiego, – dissi allora io, – e ricostruisco la scena. Ricordo che durante l'uragano, mentre noi eravamo sul ponte; stretti gli uni agli altri, flagellati dalle onde che minacciavano portarci via, ad un certo punto voltandomi non iscorsi più presso di noi mister Charnwood. Mi chiesi, con terrore, se per caso, perdute le forze, non fosse caduto in mare. Ma lo vidi ricomparire dopo qualche minuto, tenendo con la bocca, perchè con le mani doveva aggrapparsi qua e là per non essere trascinato dalla furia della tormenta, qualcosa di scuro: questa borsa. Egli deve essere corso giù nella cabina del capitano e ha tracciato brevemente, qua dentro, il suo testamento, se pure non ve n'ha collocato uno già da lui preparato prudentemente mettendosi in viaggio, o durante il viaggio stesso.
– Allora, – conclusi io, – sia eseguita a puntino la volontà del povero e infelice vostro protettore, miss Ethel. Domani, quando vi avrò condotte al palazzo Charnwood, io consegnerò a questo signor Thompson la busta che racchiude le ultime volontà del vostro buon secondo padre.