Egisto Roggero
Le ombre del passato

MISS ETHEL.

XII.

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XII.

 

Davanti a me era lo scrignetto nero, che serbava il doloroso segreto che aveva resa triste la vita a mister Charnwood e – io lo sentivo – quello di miss Ethel....

E nell'atto di aprirlo, di conoscere, di sapere finalmente, un misterioso senso di trepidazione mi turbò tutto.

La mia mano tremava mentre io cacciavo nella piccolissima toppa d'argento la minuscola chiave che il segretario Thompson mi aveva consegnato insieme con lo scrignetto del suo padrone.

E in breve il coperchio fu libero.

Lo sollevai.

Mi apparvero alcuni pacchetti di lettere: due ritratti, di uomo: una miniatura: di donna, questa – e infine un piccolo taccuino, rilegato in pelle rossa.

Null'altro.

Mi raccolsi e incominciai la mia opera.

Guardai la miniatura: era una bellissima dama bionda: mistress Charnwood, pensai subito.

Aveva una piccola testa eretta e superba; una grande aureola di capelli fulvi, ne' quali s'intravvedevano i chicchi rilucenti d'una corona di perle.

Gli occhi neri avean una fierezza dura e lasciavan pensosi.

La bocca, piccolissima, avea due labbra sottili e vivide, troppo vivide.

Posai la miniatura sul tavolo.

Presi il primo de' due ritratti maschili.

Erano due fotografie.

Osservai quello che io avevo in mano.

Era un bell'uomo dal volto aperto, dagli occhi buoni e ridenti, dalla fisonomia simpatica e soldatesca: lo sguardo lievemente aguzzato, come per una naturale abitudine, mi suggerì subito un'idea: un uomo di mare ed un gentleman.

L'altro era una figura più volgare; non brutta, ma comune. Due grandi baffi nascondevano la bocca: gli occhi non guardavano, come l'altro, in faccia chi osservava l'effigie; tipo di uomo poco simpatico.

Osservai dietro le due fotografie.

Sul primo una data: 16 giugno, e basta; sull'altro niente.

Posai le due fotografie sul tavolo accanto alla miniatura.

E presi il primo pacco delle lettere.

Qui fo notare che questi pacchetti di lettere, – poco voluminosi ciascuno – eran posti ordinati, l'un sopra l'altro; onde pensai (e non m'ingannavo) che fossero posti così per ordine cronologico.

Perciò cominciai a sfogliare il primo.

Erano senza firma, ma il carattere femminile me ne fe' immaginare tosto l'autrice.

Mistress Charnwood, – mormorai.

Queste lettere – una dozzina circa – si rassomigliavan tutte, l'una con l'altra. su per giù le stesse cose: frasi affettuose, parole di amore antico e fidente, qualche lamento per una separazione che s'intuiva dover essere dolorosa assai, e infine una idea fissa e costante: le nostre piccine. Ciascuna lettera finiva con un'invocazione tenera a queste adorate creature, con mille domande intime e affettuose intorno ad esse, con rimpianti, con tenerezze toccanti che rivelavano la madre.

Null'altro mi apprese questo primo pacchetto di lettere, scritte tutte con l'identico caratterino inglese minuto, senza data, che incominciavano invariabilmente My dear e finivano con una M affrettata, sfuggente, nascondentesi quasi, in fondo al foglio di carta.

Passai al secondo pacchetto.

Qui si cominciava a intuire qualcosa di anormale, di agitato, di violento. Queste lettere erano parecchie, scritte sempre dall'istessa mano che aveva tracciato le altre, ma, si scorgeva, più agitata e fremente dalla passione. Il carattere si faceva più inquieto: talvolta affrettato, furente quasi; talvolta volutamente calmo, implorante quasi. Lessi la prima.

In essa ella pregava di perdonarla, di non volerla punire in tal guisa, di non volerla ferire "in quanto aveva di più caro al mondo," che il modo da lui usato per vendicarsi era stato abbominevole e infame; e altri interi periodi sopra questo tenore. Era senza firma alcuna.

La seconda era furente. Imprecava, malediva e quindi imponeva di farle sapere "ove aveva nascoste le sue adorate creature."

Le altre si assomigliavano.

Minaccie, scoppi di disperazione, pentimenti, lagrime, e quindi preghiere, promesse di "essere schiava e dimenticar tutto." In una di queste lettere si faceva il nome di mister Charnwood.

– Dunque le lettere non furon dirette a lui, – notai.

Passai all'altro pacchetto.

Erano quattro solo lettere, sempre della stessa mano, e firmate questa volta: Mildred.

Mistress Charnwod, – ripetei.

Erano dirette al marito.

"Poichè voi così avete voluto, io mi rassegno al vostro volere e a quello di Dio che, voi lo sapete, ha voluto punirmi tanto crudelmente...."

E in un'altra:

"Giorno e notte io piango e penso al mio castigo.... Nella desolazione grande nella quale io vivo, io non faccio che sognare quelle due povere anime lontane, sperdute, e finite solo Dio sa come...."

E in un'altra ancora:

"Ma il cuore mi dice ch'esse sono vive ancora, le due mie angiolette.... Egli ha voluto morire inesorabile, ma Dio legge nel cuore di una madre sebbene colpevole...."

In una di quelle lettere presi nota di questa frase:

"E insegnate a Doroty a non disprezzare sua madre...."

Rimaneva ancora un pacchetto. Vidi subito che queste erano di mano diversa.

Lessi la prima per intero.

Era firmata: Wilhelm.

"Non avrei mai creduto che la vostra doppiezza e la vostra perfidia giungessero a tal segno...." cominciava.

E proseguiva:

"Avrei dovuto saperlo perchè certe leggi normali non si calpestano invano.... Chi inganna è punito fatalmente con l'essere ingannato. Doveva saperlo e doveva aspettarmelo."

Concludeva così:

"Voi siete morta por me. Ho due angeli sui quali verserò tutto il mio affetto. Essi mi compenseranno di quanto voi mi avete fatto soffrire."

La seconda lettera, della stessa mano e con l'istesso carattere, diceva poche parole:

"Le mie creature non vi dovranno assomigliare.... Voi conoscete la legge fatale che pesa sopra queste giovani anime. Per le mie creature essa non deve compiersi. Ecco perchè ho fatto quanto sapete."

Seguiva questo bigliettino:

"Mai. Qualcuno veglia sopra di loro e continuerà il mio volere quando io non sarò più. Lasciatemi in pace: sto molto male, conosco il mio stato, non mi fo illusioni. Lasciatemi morire in pace."

Seguitai a leggere le lettere, ordinate l'una dopo l'altra con cura.

Una era appassionata, tutta fremente di frasi di amore e di promesse. Terminava con la solita M.

Veniva un cartoncino da visita a cui era stato raschiato il nome e sul quale affrettatamente e a matita erano state tracciate le seguenti parole: "Debbo vedervi, ad ogni costo. Domani sera. Cercate di accostarvi."

Poi una lettera scritta grossolanamente:

"Il signor capitano è partito ieri mattina; vi consiglio di rivolgervi alla sorella che abita a...." e seguiva un indirizzo a Londra.

Null'altro.

Apersi il taccuino rosso.

Pochi fogli. Alcune date scritte in matita, poi tre indirizzi – ben chiari, questi, e distinti. Sotto era la firma di mister Charnwood.

E non v'era altro.

 

*

 

Rimasi perplesso e sconcertato.

Io non capiva nulla.

Aveva in mano delle fila, delle semplici fila sparse della grande matassa da dipanare, ma il garbuglio del mistero rimaneva più oscuro e intricato che mai.

Evidentemente quelle erano delle prove, delle testimonianze, dirò così, del dramma che aveva funestata la vita di mister Charnwood e che il povero signore aveva raccolte e conservate.

Ma per me non aprivano nessun spiraglio nel gran buio del mistero sul quale il destino aveva voluto, per i suoi fini imperscrutabili, farmi penetrare.

Mentre io ristava così perplesso e pensieroso, un barlume di luce attraversò la mia mente. Mi si presentò netta alla memoria una frase del testamento del povero mister Charnwood lettoci dal suo notaio:

"Prego quindi il mio devoto Thompson.... di fornirgli tutte le spiegazioni che desidera e di aiutarlo nelle ricerche che vorrà fare in proposito."

– Egli certamente sa tutto, – mormorai.

E conclusi fra me:

– A lui debbo rivolgermi per sapere. E dopo compirò ciò che il destino ha stabilito venga compiuto da me.

 


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