Egisto Roggero
Le ombre del passato

MISS ETHEL.

XVI.

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XVI.

 

Il segretario Thompson mi attendeva nel suo studio, visibilmente ansioso.

– Ebbene, mister? – esclamò appena mi vide, tenendomi la mano e inchinandosi con quella correttezza britannica ch'egli sapeva non dimenticar mai, anche ne' momenti più gravi e passionali.

– Il destino guida i nostri passi, – esclamai.

E mi feci a narrargli per filo e per segno quanto aveva veduto, saputo e scoperto nella mia gita a T....

Thompson ne fu vivamente commosso.

Mistress Mildred! – esclamò.

E ripetè, in preda alla più viva sorpresa:

Viva? mistress Charnwood viva! e così poco lontana da noi! E noi non ne abbiamo mai saputo nulla! Mister Charnwood è stato tanto forte, fiero e tenace da riuscire a non far mai trapelar nulla! Mai!...

Il buon vecchio appariva tutto agitato.

Povero mister Charnwood, povero padrone! – esclamò ancora.

Mister Charnwood ha dato prova senza dubbio di un'anima forte! – dissi.

– Ah sì, certamente!

Rimanemmo qualche poco in silenzio, ciascuno immerso nelle proprie idee.

Poi io ripresi la parola. Esposi al buon vecchio segretario i vari dubbi che in que' due giornidacchè io aveva scoperta l'esistenza di mistress Mildred – si erano agitati nella mia coscienza. Come doveva io comportarmi? Qual era il mio dovere da compiere? Doveva io rivelare a quella madre infelice che – per quanto a me apparivadoveva aver già scontato abbastanza amaramente le colpe e gli errori passati, e a quella figliuola ignara e dubbiosa del suo passato, della sua origine, l'esistenza reciproca, pianta morta, e perduta? O doveva io rispettare e continuare la fiera volontà e risoluzione di que' due morti che avevan voluto punire così tremendamente la donna colpevole e la figliuola innocente? O non era forse Dio stesso che aveva voluto che quello avvenisse, perchè non impunemente nella vita si calpestano certi doveri intimi e sacri?... Ma perchè allora Dio aveva posto me sulla strada di quelle creature turbate ed inquiete se non forse per farmi strumento di riabilitazione e di perdono?

Io rifletteva. E la mia mente si smarriva. Che cosa doveva io fare?

– Sì, che debbo io dunque fare? – chiesi risolutamente a Thompson.

Egli riflettè alquanto.

– Io direi, – disse egli finalmente, – di cercare di conoscere tutto il bandolo della storia, di saper tutto bene, esattamente, e poi....

– E poi?

– E poi regolarci a seconda delle circostanze e di quanto saremo riusciti a sapere.

E continuò:

Poichè uno strano punto oscuro rimane ancora a noi. Come mai e perchè miss Ethel, la prima delle figliuole di mistress Mildred, si trova nel palazzo Charnwood, erede della metà della sostanza del mister? Perchè l'ha egli raccolta, tenuta sempre come figliuola sua? E dove è andato egli a trovarla?

Thompson si fermò.

– E ancora, – continuò, – e dell'altra bambina della quale mistress vi ha parlato che n'è avvenuto?...

– Certo, – ripresi io, – qui noi abbiamo ancora del mistero, e non poco.... Noi abbiamo ancora molti punti oscuri da mettere alla luce. E come voi ottimamente dite, signor Thompson, noi non possiamo nulla decidere sul da fare se prima non li abbiamo decifrati e rischiarati completamente.

– Non vi pare?

– Certamente.

– E ditemi, signore, – riprese Thompson, – quali dati avete per continuare le vostre ricerche?

A queste parole del vecchio segretario mi ricordai dell'indirizzo datomi da mistress Mildred.

Ricordo, e mi pare di avervene diggià accennato, di avere spedito delle lettere per conto di mister a cotesto recapito, – notò Thompson. – Ditemi, signore, – fece ancora egli, – avete osservato se per caso cotesto recapito si trova anche nel taccuino che avete trovato nello scrignetto di mister Charnwood?

– Non vi ho pensato, – dissi, – ma possiamo sempre vederlo.

E trassi il taccuino che portava sopra di me.

– Eccolo, – gridai accennando al secondo dei tre indirizzi, – è identico.

– L'aveva sospettato, – disse il segretario.

– Le varie fila del mistero si vanno raccostando, – mormorai.

– È proprio così, signore, – finì il buon Thompson.

Concludendo, – dissi, – per ora non facciamo trapelare nulla a miss Ethel a Doroty. Poi.... Dio ci guiderà.

Dio ci guiderà, – ripetè Thompson.

Oggi le signorine vi attendono a pranzo, – disse ancora il vecchio segretario e tutore.

M'inchinai.

– Se volete raggiungerle, – disse egli ancora, – sono giù nella villa: le incontrerete subito.

Strinsi la mano al buon Thompson e mi diressi verso la villa.

 

*

 

Incontrai subito le signorine. Erano sul viale, sotto le dense fronde degl'immensi ippocastani che impedivano al sole di giungere sino alla minutissima sabbia del viale.

Miss Ethel era pallida e sbattuta ancora pel terribile colpo dal quale appena usciva. Doroty, per la spensieratezza propria della fanciullesca sua età, era più calma e tranquilla: e, sebbene pallida e agitata ancora, cominciava a rimettersi.

Appena mi scorsero affrettarono il passo. Doroty mi corse incontro saltellando e miss Ethel mi porse la mano. Una lieve vampa di roseo s'era accesa sul pallore del suo volto intelligente. La trovai molto seducente nel nero abito di lutto che le modellava squisitamente la snella ed aggraziata personcina.

– Siete stato molti giorni senza farvi vedere, – ella disse, sorridendo mestamente.

A lei nulla era trapelato de' miei passi dei giorni scorsi.

Perdonatemi, miss, – dissi, – sono straniero in questa vostra libera e sì interessantissima per noi terra americana. Cerco e voglio ambientarmi alquanto. Perciò mi muovo, giro, vado intorno, guardo, osservo e sopratutto studio....

Fate bene, signore, – mormorò ella.

M'avvidi che una vaga domanda era sulle sue labbra.... Ma non la formulò.

Forse ella intuiva che qualcosa di grave, di profondo io stava tentando in quei giorni per lei. Forse, con quella raffinatissima e misteriosa intuizione che è propria di certe nature fini e privilegiate, ella intuiva che qualcosa d'impreveduto e decisivo stava per avvenire nella sua vita. Forse voleva chiedermi, s'era vero ciò ch'ella misteriosamente sentiva, ciò che pensava.

Ma non disse nulla.

Forse non osò, forse temette d'ingannarsi o di saper troppo presto. Poichè fra le rare sue qualità aveva anche quella rarissima di sapere aspettare. Una delle sue massime favorite – e io l'aveva sentita più volte dalle sue labbraera questa:

"Il segreto della vita, e forse della felicità, è nel saper aspettare.... Quanti hanno distrutto per sempre la felicità ch'era loro promessa per non aver saputo aspettare!...."

 

*

 

Il pranzo seguì triste e poco animato, com'era naturale dopo la terribile disgrazia ch'era caduta come un fulmine sopra quelle tre anime. Però fu pieno d'una dolce intimità che a me, lontano dalla patria, in un mondo così nuovo per me, riusciva doppiamente cara e soave.

Il signor Thompson, nella sua qualità di tutore delle due fanciulle, fungeva da capo di famiglia. Dopo il pranzo, poi che le fanciulle si furono ritirate nelle loro stanze, il signor Thompson mi condusse ancora un momento nel suo studio.

– È per mostrarvi, – mi disse, – alcune carte che prima di partire mister Charnwood mi aveva affidate. In questi giorni le ho scorse e vi ho trovato l'atto regolare di nascita di miss Ethel e un'altra carta importante che voi ora osserverete.

E mi porse l'incartamento. L'atto di nascita, regolarissimo, dava la fanciulla come riconosciuta legalmente figlia di mister Wilhehn Hyslop e di Mildred.... (seguiva il cognome di famiglia) non uniti legalmente.

L'altro documento era l'atto (rimasto sino a quel momento ignoto allo stesso segretario Thompson) con il quale mister Charnwood adottava legalmente miss Ethel Hyslop, come figliuola.

Povero e buono mister Charnwood! – esclamai commosso.

Domani mi recherò a K..... Speriamo che anche questa gita sia fortunata e decisiva come quella fatta a T.... – conclusi stringendo l'onesta mano del vecchio segretario e congedandomi da lui.

 


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