Egisto Roggero
Le ombre del passato

MISS ETHEL.

XVII.

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XVII.

 

– Ecco K.... – mi disse uno dei viaggiatori seduto vicino a me, ad una fermata del treno.

S'era corso sino allora sui tetti dell'immensa città, poi fra una selva sterminata di fumaiuoli giganteschi; eravamo passati attraverso, sopra e sotto, ad un'infinità di sobborghi. Poi eravamo entrati per un momento in una larga ed aperta campagna, brulla e grigia, punteggiata all'orizzonte da fumaiuoli neri e da antenne: il rude paesaggio nord-americano.

E giunti sopra un villaggio nero e brutto, il treno s'era fermato un momento: il solo tempo di scendere. Appena uscito dalla piccola stazione, mi trovai in paese.

Alte case antiche e grigie, trasudanti umidità, dalle cupe finestre inferriate: sotto i miei occhi il lastrico rotto e umido, scivolante per un leggero strato di mota che pensai dovesse colà sussistere perenne. Poichè in alto, il cielo sopra i tetti grigi delle brutte case era azzurro: eppure nessuna gaiezza scendeva da quel cielo sereno su quanto mi circondava.

Spirava un'aria di grigiore, di tristezza, di miseria e di vecchiume da per tutto. Non mi pareva più di essere nella grande, ricca e potente America: ma nel più squallido e malinconico villaggio del mezzogiorno nel mio paese. Pochi abitanti incontrai: un vecchio, delle donne sudicie e sgraziate, dei bambini scalzi che mi guardavano con l'aria attonita e stupida.

La casa che io andavo a cercare era in fondo al paese: la trovai subito, appena percorsa tutta la non lunga viuzza, credo la principale del piccolo paese.

Salii le scale umidiccie ed oscure. Ed ecco la porta di casa. Un'esile cordicella, che un tempo forse poteva anche essere stata di seta, pendeva malinconica: la tirai con discrezione.

Risuonò dentro una campanella: subito uno stizzoso abbaiare di piccolo cane si avventò al battente.

Aspettai: il cane fiutava ed abbaiava; sentivo lo stropiccìo del suo corpo contro il legno della porta. Ma nessuno veniva ad aprire. Suonai ancora. Il cane riprese ad uggiolare più stizzoso e sentii un passo che finalmente s'avvicinava.... L'uscio si aprì e mi apparve una vecchia.

– La serva, – pensai subito.

Ed entrai. Le dissi che cercavo del suo padrone, gliene feci il nome.... Ella mi guardava con i grigi occhi di vecchia decrepita: mi accorsi subito che non aveva capito una sola parola di quanto nel mio inglese le avevo detto. Il cane intanto mi girava intorno e mi fiutava brontolando. Io mi accingevo a ripetere più forte quanto avevo già detto, allorchè una voce di vecchio, risuonò di , dalla camera vicina:

– Vieni pure avanti, Evans, vieni....

Lasciai la vecchia e mi feci sull'uscio dond'era venuta la voce del vecchio. Egli era seduto in una poltrona, sepolto in un vecchissimo pastrano, le gambe nascoste sotto una coperta; solo la testa, da sotto la calotta, usciva nuda da quel viluppo di panni, coperta qua e da lunghi fili di capelli grigiastri: il volto era di teschio, ma gli occhi infossati brillavano ancora intelligenti. Doveva essere vecchissimo. Mi guardò, non molto stupito in verità, mi porse una lunga mano ischeletrita, tutta ossa, e mi disse:

– È sorda come un tamburo.

Alludeva alla vecchia servente. Poi mi disse:

Perdonate, vi avevo preso per Evans, mio nipote: un ragazzaccio cattivo soggetto, sapete.

E mi fece cenno di accomodarmi. Mi sedetti vicino al vecchio e mi guardai intorno. La finestra dava contro il muro della casa vicina ed io non vedevo, tra i vetri chiusi, che il grande grigio della muraglia. E quel grigio entrava dalla finestra nella camera e gettava il suo squallore di luce in ogni cantuccio, su ogni cosa intorno.

Per terra erano dei tappeti scoloriti: in fondo alla camera era un gran letto di legno, dalle coperte scure. Nella stanza vagolava un odore indefinito che ora non so esprimere: odore di vecchiezza, di cose morte, di cose lontane dalla vita ch'io soleva vivere ogni giorno. Ed ogni oggetto sul quale io posavo lo sguardo mi appariva vecchio, appartenente ad un'altra esistenza lontana dalla mia, ad altri usi, ad altri pensieri, ad altro modo di vivere. Davanti al vecchio era un'antica scrivania piena di cartacce, di libri, di vecchi nettapenne, di vecchi calamai, di vecchi gingilli.

Tutto era vecchio, ripeto, dentro, in quella stanza ove quel vecchissimo trascorreva, contandoli forse, gli ultimi giorni, le ultime ore della sua lunga esistenza. E – curioso – egli mi guardava con simpatia, quasi mi conoscesse, senza curarsi neppure di domandarmi per qual ragione io mi trovavo in quel momento , seduto vicino a lui, che volessi, che cercassi io da lui.... Egli mi guardava con simpatia, quasi egli non appartenesse ormai più alla nostra solita vita, si curasse delle formalità abituali di essa; e mi parlava come al suo nipote pel quale poco prima mi aveva scambiato. E anch'egli parlava, come tutto intorno, di vecchiaia.

– Sono vecchio, ragazzo mio, – diceva egli con la sua voce un po' rauca, e tossendo tratto tratto; – sono vecchio, molto vecchio. Ottantaquattro anni!... quasi il triplo dei vostri, ragazzo mio. E la morte è , vedete, dietro a quella porta, che aspetta il momento per farmi il giuochetto che attendo da tanto tempo!... Dite di no?... Se ne siete convinto più di me, voi, caro giovinotto!... Ma non mi fa mica paura la morte, sapete? Tutt'altro! Figuratevi, giovinotto, che tutte le mattine quando mi sveglio (e dormo tanto poco io la notte!) mi dico: "Come, sono ancora vivo?..."

Cercai di borbottare quelle solite, inutili e sciocche parole che chiunque altro nel mio caso avrebbe profferite.

– Non dite sciocchezze, giovinotto, – mormorò il vecchio, – non dite sciocchezze. Curarmi, sostenermi, sollevarmi?... Che diavolo andate dicendo?... Io sono fuori del mondo, ormai! Tutti i miei, voglio dire tutti quelli che con me hanno vissuto, amato, goduto, sono morti. Voi di ora siete tutti gente nuova per me! Io non conosco più nessuno e voi non conoscete me. Io sono un rudere dimenticato dalla vita di un secolo fa. Perchè dovrei avere paura della morte, giovinotto?... Oh, ditemi un poco, quando voi siete stanco, alla sera, dopo la vostra giornata di vita giovane, che cosa desiderate solamente? Che vi lascino dormire in pace!... Ed io non aspetto che di poter dormire in pace anch'io. L'ho terminata da tanto tempo, io, la mia giornata!

E il vecchio filosofo mi guardò, sorridendo sotto le vuote occhiaie, poi esclamò:

– Ed ora ditemi, giovinotto, che cosa siete venuto a cercare da me.

Io gli feci il nome di Wilhelm Hyslop.

– Un mio vecchio amico.... un po' troppo poeta per noi americani! morto anche lui.

Quindi gli mormorai quello di Charnwood.

Poeta anche lui: ma d'altro genere!... Un egoista.

– Come?... – non potei a meno di esclamare.

Il vecchio mi guardò ma non aggiunse altro.

– Anche lui è morto, – dissi allora.

Morto?... – esclamò il vecchio; – non ne sapevo nulla!... affè, mi procedono proprio tutti, anche i più giovani!...

Morto in un modo orribile.... – aggiunsi io. E gli narrai concisamente la morte del povero mister Charnwood, con tutti i particolari della tragica sua fine. Il vecchio mi ascoltò impassibile, poi si contentò di mormorare:

Povero Charnwood!

– Lo conoscevate bene?

– Oh! – fece il vecchio.

E non aggiunse altro. Allora io venni senz'altro alla questione che mi premeva:

– Vi spiegherò ora la cagione che mi ha tratto qui, presso di voi. Mistress Mildred Charnwood....

– E viva, ancora, lei?

Sicuramente.

– Proprio quella che avrebbe dovuto morire prima degli altri!... – fece il vecchio.

– È vero, – mormorai. E ripresi: – Io sono venuto da voi perchè mi illuminiate sopra alcune circostanze dello strano dramma e romanzo che ha funestata la vita di mister Charnwood.

– E del mio povero Wilhelm Hyslop.

– Sì: di due uomini buoni e leali....

– E molto egoisti.

Ristetti alquanto perplesso, poi continuai:

– Voi mi chiederete come entri io, che voi vedete per la prima volta, in cotesto dramma e romanzo....

– Io non ve l'ho chiesto.

– Non importa, ve lo dirò in due parole. A me, prima di morire, mister Charnwood ha affidato il cómpito, la missione di definire un vecchio stato di cose anormali per due creature che voi certo dovete conoscere....

Mistress Mildred, giacchè voi mi dite che è viva, e la figliuola....

Precisamente. Ora io non so se voi sappiate che mistress Mildred ignora l'esistenza di sua figlia....

– Lo so.

– E che la figliuola, miss Ethel, ignora quella di sua madre....

So anche questo.

– Allora voi dovete spiegarmi un fatto che per me è un enigma, ancora.

– Un momento: come siete giunto sino a me? chi vi ha parlato di me?

Mistress Mildred....

Comprendo. E voi per interesse di chi agite?...

– Di nessuno, – esclamai, – io non fo che compiere quanto mister Charnwood ha lasciato per me in poche righe di testamento, scritte sulla nave, poche ore prima, posso dire, di morire....

E gli ripetei brevemente le parole del testamento.

Benissimo, – fece il vecchio, – domandatemi pure.

– Voi dovete spiegarmi perchè e in qual modo miss Ethel, la prima figliuola di mistress Mildred, si trovi in casa Charnwood.

Il vecchio ristette un momento, poi così cominciò a parlare:

– Voi conoscete tutta la storia....

– Mi fu narrata da mistress Mildred.

– Voi sapete adunque che questa signora, già madre di due bambine, riuscì a farsi sposare dal bello e ricco Charnwood, il quale sebbene avvertito, e in tempo, che questa dama non era fatta per lui.... preferì ubbidire al suo egoismo amoroso e farla sua.

– Lo so bene.

– D'altra parte voi saprete che Wilhelm aveva offerto alla bella e libera Mildred il suo stato modesto, a patto di partire per le praterie del Sud, ove la vita è meno difficile ma anche meno raffinata.... Ma la bella Mildred preferì la vita raffinata! Rimase a New-York e sposò il bello e ricco Charnwood. Come vedete, due egoismi d'accordo.

Continuate, vi prego.

Mildred sposò Charnwood, diventò mistress Charnwood, ma il suo egoismo di madre impose al povero Wilhelm di non allontanare da lei le due bambine, Ethel e Ketty. Ed egli che non aveva altro ormai che queste due creature che adorava, dovette per contentare il materno egoismo di Mildred restare a New-York, a disposizione di madama....

Sicuro.

– Ma Mildred amava cambiare di gusti... Non eran molti anni da che era mistress Charnwood (e aveva avuto una piccola Charnwood....).

Doroty.... – mormorai.

– Che madama Mildred fu vinta da viva simpatia per un personaggio non troppo altolocato fra i dipendenti di mister Charnwood, suo marito....

– Oh, conosco bene. Sorvoliamo sopra questo disgustoso episodio!... – esclamai.

Mister Charnwood non seppe nulla. Era naturale!... Ma Wilhelm, sì: e con lui tutti seppero! E il padre che adorava le due creature purissime temette per la loro purezza, con una madre consimile.... Egli ebbe paura di quel contatto impuro.... E, come saprete, volle allontanarle dal pericolo, cioè dalla madre.

– Le affidò ad un amico....

Poichè egli aveva contratta una malattia di petto, inguaribile. Era solo, non aveva parenti: si rivolse a me, suo vecchio amico, quasi padre. Mi confidò tutto e mi disse che voleva nascondere le sue bambine in un luogo sicuro, e sopra tutto lontano, ove, dopo la sua morte, la madre colpevole ed egoista non potesse ritrovarle e condurle con . "Le mie creature, diceva sempre, non debbono assomigliare alla loro madre!" – Io gli consigliai di mandarle in Europa. Un mio nipote, che viveva in Inghilterra, e sul quale io fidavo, capitano di un bastimento, s'incaricò di condurre in Europa le bambine, di farle educare in un collegio e quindi, fatte signorine, tenerle in sua famiglia finchè non si fossero maritate.... Il povero Wilhelm consegnò a lui tutto il suo patrimonio messo insieme col lavoro e con la costanza, intestato alle due bambine. Io ero già troppo vecchio, fin d'allora, per occuparmi personalmente di tali cose....

Continuate, vi prego.

– Ciò che avvenne è triste e malvagio! Il mio caro nipote, stato sino allora onesto, tradì la nostra fede. Egli si sbarazzò della bambina maggiore pagando per essa alcuni anni di retta in un collegio inglese ove l'aveva confinata; della piccina non ne sapemmo più nulla.... Il padre morì pochi mesi dopo la partenza delle bambine e mister Charnwood, al quale, come voi saprete, il povero Wilhelm, prima di morire, s'era aperto e confidato, venne da me per sapere il recapito delle due creature che voleva tenere, anche da lontano, sotto la sua protezione.... Il triste mio nipote tentennò nel darcene notizie, evitò di farci conoscere il luogo ove le aveva collocate.... Ciò c'insospettì. Charnwood partì subito per l'Inghilterra e abboccatosi con mio nipote lo minacciò di denunciarlo alla polizia se non rivelava subito ove aveva collocato le due bambine affidategli da Wilhelm e l'uso che aveva fatto della sostanza in sue mani consegnata.... Il tristo preso alle strette si turbò, chiese di ritirarsi un momento: andò in sua camera e si fece saltare le cervella. Allora Charnwood comprese che il tristo aveva commesso forse un delitto a scopo di furto.

– È orribile!

– È così! Charnwood fe' tutte le ricerche possibili che riuscirono vane. Quando un caso provvidenziale....

Raccontate.

Giunse qua, all'indirizzo del povero Wilhelm, già morto da anni, una lettera dall'Inghilterra.... Pervenuta in mie mani l'apersi. Era della piccola Ethel che credendo sempre vivo suo padre aveva saputo spiegare, certo miracolosamente, data la giovanissima età, il recapito dello stesso ad una compagna che l'aveva aiutata a compilare l'infantile sua lettera e a spedirla.... Così ci fu noto il modestissimo e quasi ignorato collegio ove la piccola Ethel era stata posta dallo sciagurato mio nipote.

– È strano.

Charnwood corse , tolse la bambina, la collocò in un altro istituto, ove la tenne sino ai sedici anni.... Quindi la tolse e la prese con , in casa sua. Nel frattempo egli l'aveva anche legalmente adottata.

– E dell'altra piccina?

– Non si riuscì a saperne nulla. La stessa famiglia di mio nipote, – la moglie e due figli ch'egli lasciò nella costernazioneignorava assolutamente tutto.

Sicchè della piccola Ketty....

– Non s'è saputo più nulla.

– È triste ed orribile!

Perduta nel mondo, forse.

– Se non uccisa!

Dio voglia di no! – esclamò il vecchio. – Forse, chissà, perduta in qualche angolo ignoto, come la sorella, della quale ora parimenti non si saprebbe nulla senza la provvidenziale letterina....

– E tutto è stato tentato per ritrovarla?

– Tutto. Annunci, ricerche....

– E tutto è riuscito vano?

– Tutto vano.

– È doloroso.

– Ed ora, caro giovinotto, che sapete tutta la storia, permettetemi che vi offra una piccola tazza del mio vecchio, anzi decrepito caffè....

E la sorda domestica, coetanea del padrone, mi portò il caffè in una tazzina coetanea ad ambedue. Ed io sorbii religiosamente quel liquido che nel mio stato d'animo, in quel momento, assumeva qualcosa di venerabile, quasi.

Ditemi, – mormorai, – voi avete compresa ora la mia posizione.... Qual è dunque il mio dovere da compiere?

– Il vostro dovere.... Ascoltatemi.

Il vecchio si raccolse un istante, poi alzando l'ischeletrita sua mano disse:

Mildred venne, allora, in quei giorni, da me.... Voleva sapere, voleva notizie delle figlie. Ma io ero legato da un giuramento: e da un doppio giuramento: a Wilhelm e a Charnwood. Essi non volevano, per allora almeno, ch'ella assolutamente sapesse ove si trovavano le due bambine.... Ora le cose sono cambiate. Wilhelm riposa da tanti anni.... Charnwood non è più! Voi non siete legato da alcun giuramento verso alcuno di essi. Io non vi lego in nessun modo. Voi siete giovane e intelligente! Interrogate la vostra coscienza.... e decidete.

– Voi dite bene, – mormorai.

Il vecchio mi tese la mano e mi accennò di non parlare oltre del triste romanzo passato, che anch'io gli avevo evocato.

– Sono le ombre del passato, – mormorò, – ed io non son più di que' tempi... io sono un altro!

Mormorò queste parole profondamente; ed io sentii corrermi il corpo come da uno strano brivido. Non mi sembrava, in quel momento, di trovarmi dinanzi ad un uomo: ma ad uno spirito. Uno spirito ch'era stato un giorno vivo, come me: ma ora così lontano da noi tutti!... E lo strano sentimento di poco prima, di quando io ero entrato, mi riprese.

Io respiravo lo strano alito ch'era dentro, in quella camera, intorno al vecchio, intorno a me. Sentivo tutta quell'essenza di vecchiaia, di passato, di morte cose che mi circondava: e pareva anche a me veramente di essere fuori del mondo, come il vecchio diceva. Mi pareva quasi impossibile di essere giovane, di vivere in mezzo a persone giovani, alle quali la vita appare con tutte le sue freschezze e tutte le sue forze.

Guardava quel volto senza carne, quelle mani tutta pelle e quasi senza moto, quello spirito ancor vivo sì, ma della vita oscillante della lampada a cui manca l'alimento, alla quale un guizzo più vivido può essere l'ultimo.

E lo strano sgomento che ho detto in principio mi riprendeva tutto.

Dio mio! che terrore quella vecchiaia, quella morte lenta del nostro povero essere!

E anch'io, fatalmente, dovevo dunque, un giorno....

La cagnolina – una brutta, triste bestiola, decrepita anche lei – mi guardava ringhiosa e brontolando.

E nel suo occhio tondo e umido a me pareva leggere un rimprovero:

Vattene, dunque, ritorna alla tua vita solita, tu, intruso! Perchè sei dunque venuto a turbare con la tua insolente gioventù le nostre ultime ore, la nostra pacifica attesa della morte, della pace, del riposo?... Vattene, intruso, non turbarci oltre, non offenderci ancora, vattene!...

Ed io sentivo che il rimprovero della vecchissima bestiola era giusto: ch'era quello di tutte le cose intorno a me, del vecchio, della povera sorda, di tutte quelle cose di una vita lontana, tramontata, pronta a spegnersi, a morire....

Quel rimprovero di tutta quella vecchiaia era giusto: ed io n'ero quasi intimidito e confuso.

Mi alzai per prendere congedo.

Il vecchio mi tese la mano e mormorò:

Addio, giovanotto, andate e fate giustizia, voi che siete giovane e che vivete. E non ritornate più, qui. Stasera, domani, doman l'altro al più tardi, io darò l'ultimo guizzo.... Fate giustizia e ricordate che fra gli uomini una sola cosa impera e tutto uccide: l'egoismo! L'egoismo nell'amore, l'egoismo nel far del bene, l'egoismo nel soffrire, l'egoismo nella felicità.... Addio, giovanotto, godete e vivete.

Quando partii e ripassai per la straduzza umida, sotto le case tristi e grigie, io avevo ancora nel cuore, nella mente, ne' sensi, la desolata visione di vecchiezza e di disfacimento.... Tutto, intorno a me, mi appariva vecchio, morto, cadente, appartenente ad un'altra vita.

Lo strano romanzo di colpa, di tristezze e di miserie infinite che mi si era alfine rivelato completo, s'intrecciava nella mia mente con quella bizzarra visione di vecchio morente ora per ora, consapevole della sua inevitabile fine, del suo lento disfacimento....

Egli mi pareva quasi il simbolo, cupo e inesorabile, di quel triste passato, di quel fatale ammasso di debolezze e di errori.

E ancora in treno, guardandomi intorno, osservando i miei compagni di viaggio (davanti a me, nello scompartimento, erano due signore eleganti e belle) mi pareva impossibile che esistesse ancora la giovinezza, che vivessero ancora creature forti e valide di vita....

E sentivo ancora in fondo al mio cuore lo squallore e il grigio di quell'incubo di vecchiezza e di passato che per parecchie ore mi aveva tenuto oppresso.

 

 


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