IntraText Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText | Cerca |
I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
III.
Nella vasta sala che le ombre spioventi dai cortinaggi addolcivano d'una luce mite ed uguale, Febo – il figliuolo – attendeva la madre. Egli era solo e stava appoggiato ad una vecchia scranna di legno bruno, gli occhi sollevati, volti alla parete, sopra un ritratto di donna che lo guardava e gli sorrideva. Aveva quattordici anni, Febo: ma il lungo volto pallido e scarno e i nerissimi occhioni pieni di ombre e di pensiero, non eran di fanciullo quattordicenne.
Febo di Rosa Santa, il trentesimo e ultimo discendente in linea diretta dei conti di Roccalba, ne recava sul volto raccolti tutti i tratti caratteristici che apparivano di là, nel grande salone dei ritratti; e ne portava riassunto nel suo giovane sangue tutto il passato: forse tutte le decadenze, pensava ancora la madre, segretamente, con un sospiro.
Egli era stranamente precoce: poco allegro, molto raccolto, sempre pensoso, volontieri chiuso e solitario: egli non somigliava nè a Lamberto, il glorioso condottiero, nè ad Adriano il venerabile abate morto in povertà, nè al generoso e ardente patriota, nè al folle, spensierato e vizioso suo nonno. Egli non somigliava a nessuno di quei suoi antenati, per virtù e per vizi grandi tutti. Forse somigliava a tutti insieme meglio ancora – pensava sempre la madre, con un sospiro – e ne aveva ereditato nel gracile corpo tutte le stanchezze....
Ed ora il fanciullo, sempre appoggiato alla scranna di legno bruno, guardava serio e pensoso il ritratto di donna giovane e sfolgorante che lo guardava e gli sorrideva.
Ed egli guardandola intensamente sentiva novamente risuonare all'orecchio le tristi parole che un suo piccolo compagno della capitale – un pallido discendente come lui di eroi e di abati – gli aveva malignamente, per addolorarlo, sussurrato un giorno, in un grande salone, mentre le loro mamme discorrevano di balli e di sarte.
– Ne ha tanto parlato a pranzo, ieri, mio padre, di tua nonna! E ha raccontato una storia che ha messo quasi paura a tutti, ch'eran presenti. Tu non ne sai niente, dunque?...
– No, – aveva risposto Febo perplesso.
– Vuoi che te la racconti? – aveva detto l'altro, precoce e maligno.
– Racconta, – aveva risposto Febo, suo malgrado.
Come una smania, un fastidio, un desiderio di non sapere e insieme una triste curiosità di conoscere aveva colto il fanciullo a quelle parole.
E l'altro aveva cominciato a raccontare:
– Diceva dunque il babbo che tua nonna era una dama bella, bella tanto.... Ma non andava d'accordo con tuo nonno. Suo marito, m'intendi?... Lui viveva a Parigi e lei lassù, sola, in quella vostra villa....
– Rosa Santa, – aveva soggiunto Febo.
– Sicuro: a Rosa Santa; anche mio padre ha detto così. E tuo nonno mai andava a trovarla, mai. E tua nonna viveva sola sola....
– Va avanti, – aveva mormorato Febo impazientito.
– Ora senti dunque. Una mattina i servitori aspettano tanto che tua nonna li chiami.... Ma essa non si fa viva. Passa la mattinata, passano le dodici.... e tua nonna non si vedeva....
Il piccolo discendente di eroi e di abati si era fermato per bene assaporare l'effetto del suo discorso.
– Continua, continua, – diceva Febo, nervoso e irritato.
– La vanno a cercare nel suo appartamento, nella sua camera.... nessuno. Tua nonna non c'era più.... Ma è dunque proprio vero che non sai nulla, tu? si era interrotto il maligno raccontatore.
– Ma no, ma no, t'ho detto di no, – aveva gridato il piccolo Febo battendo i piedi, quasi con le lacrime agli occhi per la stizza, – continua dunque, una volta; dimmi tutto, tutto!...
Il piccolo narratore aveva continuato:
– La cercano da per tutto e non la trovano più. Finalmente, dopo aver tanto girato, entrano in un salone, sempre chiuso, il salone da ballo.... lo conosci tu, quale è, non è vero!...
– Finisci, Dio mio, finisci! – aveva gridato, esasperato, il piccolo martire pallido e convulso.
– E tua nonna fu trovata morta, là, al buio, sopra un tappeto, nel grande salone chiuso da tanto tempo.
E l'abile piccolo narratore si era fermato. Febo ascoltava pallidissimo, i grandi occhi spalancati di stupore insieme e di terrore. Ora ch'egli sapeva non parlava più: lasciava che il suo compagno proseguisse come più gli piaceva.
– Nessuno riuscì mai a saper niente, ha detto il babbo, – riprese il ragazzo.
– Perchè tua nonna era dunque entrata là dentro, dove nessuno mai entrava?... – continuò egli, ripetendo le parole del padre. – Chi l'aveva dunque uccisa là dentro?... e perchè?... Nessuno ha potuto sapere mai nulla....
– Qualche servitore.... – mormorò Febo.
– Furon messi in prigione e poi lasciati liberi tutti, perciò erano innocenti.... – concluse il ragazzo, contento della ferita che aveva aperto nel cuore dell'ignaro nipote della povera assassinata.
Ed ora, davanti al ritratto della morta che lo guardava e gli sorrideva, Febo aveva sentito risuonare al suo orecchio, come una lugubre musica lontana, dalla prima, sino all'ultima, le parole del funesto racconto. Ed egli ora la guardava intensamente. Era stata bella, molto bella, sua nonna. Era stata bionda, bianca, sottile: doveva essere alta e distinta. Gli occhi eran quelli del babbo, il suo unico figliuolo. Il ritratto, fatto quando la nonna era giovanissima ancora, presentava al nipote una meravigliosa bellezza che il precoce ragazzo commosso contemplava con ammirazione e con maraviglia.
Il padre era entrato nella sala silenziosamente, non veduto dal figlio. Si fermò a rimirarlo alquanto nell'atto suo meditabondo, davanti al ritratto della nonna. Lo chiamò:
– Febo.
Il ragazzo si volse: lievissimamente arrossì. Il padre disse:
– La mamma ti aspetta di sotto: andiamo insieme.
Febo si mosse. Il conte prima di lasciar la sala si fermò alquanto, mentre guardava il ritratto. Pareva perplesso e dubbioso: a Febo che fissamente lo guardava in volto parve volesse dire qualcosa....
Ma non parlò,
– Andiamo, – disse forte di nuovo.