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IV.
Donna Laura attendeva il figliuolo giù, in fondo alla bellissima scalea di marino che i secoli avevano abbrunata. Essa era molto semplicemente acconciata di grigio: e il tenue colore faceva vieppiù risaltare la sua delicata bellezza e la grande dolcezza di tutta l'elegante sua persona.
Poi ch'ebbe Febo vicino lo baciò sulla fronte. E i bellissimi occhi della madre espressero una viva tenerezza di sollecitudine triste e un poco affannosa. Rialzando la fronte essa scambiò, con il marito, una rapida occhiata.
Anche il padre taceva, e come lei, pallido e commosso: e, secretamente, turbato.
Essi dovevano far comprendere, in qualche modo, al figliuolo che la loro condizione non era più quella dei conti di Rosa Santa di un giorno: che il bel palazzo di Roma ove il fanciullo tanti bei giorni di signorile quiete e di studi aveva trascorso, più loro non apparteneva: che lo studiolo elegante e raccolto che Febo tanto amava, avrebbe forse servito pei cómpiti al borghese figliuolo di qualche impresario arricchito.
E l'angolo della villa, dietro il palazzo, che Febo, precocemente sognatore, tanto prediligeva ed amava, ove tante volte la madre lo aveva sorpreso assorto, guardando la vecchia città che gli si stendeva solenne ai piedi!...
Don Pietro si chinò ad accarezzare Leon, il magnifico bracco che gli saltellava d'intorno; l'umido occhio pieno di gioia sommessa ed ardente nello stesso tempo.
– Che dolce sole stamane! Come ha fatto bene la pioggia!...
– Hai sentito il temporale, Febo?
– Oh, mamma, – rispose il piccolo Rosa Santa, – dormivo io, e pure ho sentito la tempesta: sognavo di essere in mare, sopra un bastimento grandissimo, tutto sconquassato: intorno a me il mare urlava e rombava; e come forte, mamma!... A un tratto cento voci intorno a me hanno gridato: "ecco, è finita, andiamo sotto!..." Poi, mamma, mi sono svegliato.
La madre posò lieve la mano sulla testa del figliuolo.
– Probabilmente nell'istesso momento che tu sognavi, il povero Mondolfi, bene sveglio lui, poveretto, riceveva sulle spalle il rovescio d'acqua.... e che rovescio!... – fece don Pietro ridendo.
– Povero Mondolfi! – esclamò donna Laura.
– Il vecchio timoniere dei Rosa Santa, – mormorò il conte.
– Ne ha dovuto attraversare delle tempeste.... per noi.
Don Pietro sorrise, ma triste. Passò forse in quel momento nella sua mente, rapida visione, la rovinosa vita del padre, sì fatale alla casa dei Rosa Santa.
Intorno la villa posava, quieta, ora, sotto il bel sole mattutino tutta verde e fragrante ancor del freschissimo bacio della pioggia che tutta l'aveva ravvivata e ringiovanita.
– Vieni, Febo, – si volse la contessa al figliuolo, – andiamo a vedere il Rosaio.... vediamo se ha sofferto pel temporale.
– Oh, – mormorò superbo il ragazzo, – nessuna tempesta può recar danno al Rosaio.
– Bravo, – esclamò don Pietro, serio. E soggiunse: – Ne sei convinto, non è vero?
– Certo, babbo, – rispose il ragazzo, anche lui serio, come il padre.
In mezzo ad una verde valletta, circondata da acacie in fiore profumatissime, alzava la testa al sole, prosperoso e superbo, il Rosaio, la sacra pianta della famiglia, il miracoloso cespo che le bianche pure mani di Cecilia di Rosa Santa avevano piantato nel suo giorno di grazia e di felicità, prima di volare al cielo. Era esso l'emblema, che nessun temporale aveva osato ancora insultare, della nobile schiatta.
Nel 1380 Adriano di Roccalba, il piissimo vescovo che agi, onori, famiglia aveva abbandonato per darsi alla fede e ai poverelli, visitando in una capanna un infelice – padre di cinque figliuoli – che agonizzava miseramente, posò un bacio sulla fronte del meschinello derelitto. Questi aprì gli occhi, riconobbe il santo vescovo e pianse di gioia e di riconoscenza. Gli raccomandò i miseri suoi figliuoli che piangenti circondavano il suo letto, poi chiese in grazia qualcosa di lui da tenere vicino, sempre, quando egli fosse partito, da recare con sè, nella tomba, se Dio ve lo avesse chiamato.
Adriano, che nulla recava mai sopra di sè perchè nulla ei possedeva, andò fuori della capanna, ove olezzava al sole un gramo tralcio di rose e ne spiccò un bottone, che, appena nelle sue mani subitamente sbocciò e s'infiammò di luce celestiale. Egli porse la rosa all'infermo, il quale alzatosi a sedere sul letto e gettate via le coperte andò a prosternarsi – sanato e forte come prima – ai piedi del santo uomo.
La fama del miracolo si sparse ovunque e il Papa concesse ai discendenti del Santo, da lì a poco chiamato a godere l'eterna ricompensa della sua bontà e delle sue virtù, d'inquadrar nello stemma il miracoloso tralcio di rosa e unir al nome di Roccalba quello di Rosa Santa.
Cecilia di Rosa Santa – bellissima, e pia – aveva avuto notizia che lo sposo adorato era morto in guerra. Non volle prestar fede alla crudele notizia e, sopra una rosa simboleggiante la fede dell'avo Adriano, innalzò ardentissima preghiera a Dio di cedere la sua giovane vita per quella dello sposo adorato, pur di vederlo vivo e forte, come prima, ancora una volta. Il giorno dopo l'Atteso si presentò alla sposa. Ella lo baciò tremante e trasfigurata di letizia e di arcana dolcezza, poi lo condusse nella valletta delle acacie, spiccò con lui il tralcio di rose, sul quale aveva proferito il suo voto, lo trapiantò nel mezzo, nel luogo ove tuttora si trovava, e chinatasi davanti ad esso, in orazione, una bianchissima colomba ne raccolse l'anima celestiale conducendola in alto, nell'eterno azzurro che sulla sua bianca e giovane salma ormai sfolgorava.
Il piccolo tralcio di rosa piantato dalle purissime mani di Cecilia si sviluppò nei secoli, crebbe, mise un tronco nodoso, gettò mille rampolli potenti e si trasformò nel poderoso Rosaio, gloria ed orgoglio della villa e dei Rosa Santa.
Aveva duecento anni. Ed era tutto in fiore: dal maggio al novembre era una continua, smagliante fioritura: appena ne' mesi del gelo prendeva un breve riposo, il meraviglioso Rosaio, per rifulgere più vivido e fiorito che mai nella primavera novella.
Dal vecchio tronco poderoso, che i secoli avean annerito, si spiccavan potenti i giovani rami novelli, gittando all'intorno i tralci gremiti degli ardenti fiori.... E la brezza passando nel Rosaio ne recava il divino olezzo giù nella valle, come già un giorno avea recato la fama e la pietà di Adriano e di Cecilia.
In fondo alla valletta, quasi sepolta nelle verdissime acacie, davanti al Rosaio, in una bianca cappella dormiva, da due secoli, Cecilia di Rosa Santa.
E la piccola ma profonda vasca che le gorgogliava di fronte ne cantava ancora la purezza e la infinita fede d'amore che l'aveva tratta a far dono a Dio della sua giovane vita di santa.
*
Donna Laura, don Pietro e Febo si arrestarono un istante davanti al Rosaio, gioiente anch'esso, come tutto il resto della villa, del freschissimo bacio della pioggia che lo aveva irrorato.
– Sempre più bello, – mormorò il ragazzo, guardando il padre e la madre.
– Tu l'hai detto, Febo, poc'anzi: nulla può la tempesta contro il Rosaio dei Rosa Santa, –mormorò don Pietro.
– Andiamo a pregare, Febo, – disse la madre, – forse i Rosa Santa.... hanno bisogno della protezione di Adriano e di Cecilia....
Il ragazzo guardò in volto la madre, quindi il padre. Questi taceva, intento lo sguardo sul grosso tronco nodoso e bitorzoluto del Rosaio.
Donna Laura entrò nella cappella. Febo la seguì.
La madre fe' genuflettere il figliuolo accanto a lei, sul breve inginocchiatoio di legno bruno, davanti alla candidissima lastra che proteggeva il sonno di Cecilia. Donna Laura pregò in silenzio, lungamente. Febo teneva basso lo sguardo, sulla bianca lapide.
Entrava dal finestrino aperto nella cappella la fragranza sottile della terra che la pioggia aveva ridestato a nuova vita: il Rosaio vi mandava l'olezzo delle sue rose fiorite a baciare, a ondate, la casa purissima di Cecilia, la morta per amore. Un raggio di sole, sguisciando fra i vetri istoriati, venne a far scintillare di neve la candidissima pietra che chiudeva il sepolcro.
Donna Laura pregava intensamente: poi si alzò. Ristette alquanto, guardandosi intorno – presa anche lei della mistica dolcezza dell'ora e del momento – poi data la mano al figliuolo, si volse per uscire. Sulla porta attendeva don Pietro.
– Fermiamoci un poco qui, – disse egli.
Rimase un poco titubante, poi disse forte:
– Febo.
Il ragazzo alzò gli occhi, inquieto, sopra il padre.
– Debbo dirti una cosa.... – proseguì il conte.
– Il Rosaio.... nostra gloria e nostra fede.... chiede da noi un dovere.
– Noi resteremo a Rosa Santa....
– Per sempre?... – chiese Febo.
– Forse sì, – rispose il padre, semplicemente.
– Tu mi hai compreso, ragazzo mio? – chiese il padre, scrutandolo.
– Il ragazzo – che pareva un uomo in quel momento – si fe' sin presso il Rosaio e ne spiccò due rose. Dette l'una al padre e alla madre l'altra.
Don Pietro si chinò e baciò sul serio visetto pallido il figliuolo: la madre lo strinse fra le braccia.
– Figliuol mio! – mormorò ella profondamente.
Ma il suo volto fidente non aveva una lacrima.