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LIBRO PRIMO Chiose d'Jacopo, figliuolo di Dante Alighieri sopra alla "Commedia" Comincia il XXXI Capitolo |
I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
Una medesma lingua pria mi morse
Sì che mi tinse l'una e l'altra guancia
Dimostrata la semplice frodolente qualità del presente ottavo infernal grado, qui in questo canto in verso il nono ultimamente si procede, facendosi qui nel cominciamento alcuna conperazione della sopradetta correzione di Virgilio a lui ad alcuna virtudiosa proprietade che già della lancia de' re Peleo di Grecia e d'Achille suo figliuolo si credea, la quale, in cotal modo poetando si conta, che niuno da lor ferito giammai non gueriva, se quella medesima lancia nella ferita un'altra volta pacificamente non entrasse. E così procedendo, la qualità del nono grado si segue.
Dopo la dolorosa rotta, quando
Carlo Magno perdè la santa gesta
Non sonò sì terribilmente Orlando.
Per similitudine del figurato suono che qui nel presente testo si conta, di quel che per Orlando si fece quando Carlo Magno perdè la sua gesta, cioè de' Paladini, nella battaglia di Santa Maria di Valle rossa49 essendo con loro e' da' Saracini isconfitti, così si ragiona.
Sappi che non son torri, ma giganti
E so' nel pozzo intorno dalla ripa
E dal bellico in giù son tutti quanti
Acciò che nella allegoria della seguente qualità, cioè del nono grado, più ordinatamente si proceda, qui sopra la qualità di suoi figurati giganti in prima, così è da considerare, che, si come sanza iniqua superbia nella qualità frodolente che tradimento volgarmente si chiama, non si procede così qui circustanti al suo sito figurativamente i giganti per entrata e a guardia son posti, i quali, come nelle filosofiche e poetiche iscritture, alle dette superbie qui figurati sono. La cui allegoria in cotal modo permane, che, si come la superbia oltre il dovere della natura con grandissimo cuore operando trapassa, così in forma umana oltre il dovere di grandezza e di possa figurati si fanno, le cui qualità qui e nell'altre iscritture diversamente secondo loro propietadi si danno.
Si che la ripa che v'era per zoma50
Dal mezzo in giù, ne mostrava ben tanto,
Di sopra, che di giungere alla chioma
Izoma anticamente si chiamava alcuna vesta di panno, che solamente dal mezzo in giù, cioè dal bellico infino alle gambe copriva, la qual è cinta e increspata in queste parti, come nelle meridionali s'usava.
Poi disse a me: egli stesso s'accusa
Quest'è Nebroth per lo cui mal coto
Pur un linguaggio nel mondo non s'usa
Secondo le storie de' giganti che per la divina e filosofica scrittura si conta, una superbia dall'età di Noè dietro al diluvio così fatta discese, la quale figurativamente Nembroth chiama, nella cui istoria figliuol di Noè si considera, il quale essendo queto il diluvio nelle parti d'India, una grandissima torre, per superbia di salire a Dio, ordinato compose, la cui altezza acciò che più non procedesse, la comune loquela di loro il voler d'Iddio in più parti divise. Onde figurativamente suo favellare sanza alcuna intelligenza qui si compone.
O tu, che nella fortunata valle
Che fece Scipion di gloria reda
Quando Annibal [co' suoi] diede le spalle
Tra l'altre qualitadi di superbie, figurativamente nominate e in giganti formate, qui d'una, nominata Anteo, così si ragiona; il quale, secondo le poetiche iscritture, in alcuna valle di Barberia, appresso Cartagine, con grandissima e furiosa forza lungo tempo si resse, nella quale da Ercole essendo passato di Grecia con intenzione di liberarla da lui, combattendo, finalmente fu morto. La quale superbia, cioè Anteo, siccome per meno grave a rispetto dell'altre, qui per passo si toglie, lodando e lusingando suo essere e rammentandogli la grande battaglia di Flegra tra li Dii e giganti, e della fortunata valle le sue prede, a dimostrare la qualità del superbo, che solo per lode di sè s'aumilia. La quale fortunata sopradetta valle di Cartagine fortunata si chiama per le molte guerre e battaglie che anticamente in lei si son fatte, tra le quali quella che per lo buono Scipione di Roma vittorioso contra Annibale Africano si fece, fu l'una; l'altra, quella di Giulio Cesere contra Iuba e Catone, essendo morto Pompeo com molte altre assai, delle quali qui non si ragiona. E così figurando, per lui nel nono e ultimo grado si scende, la cui qualità e allegoria nelle infrascritte sue chiose [per ordine si conta] 51.