Jacopo Alighieri
Chiose alla cantica dell'Inferno di Dante Alighieri

LIBRO PRIMO   Chiose d'Jacopo, figliuolo di Dante Alighieri sopra alla "Commedia"

Comincia il Primo Capitolo

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Nel mezzo del camin di nostra vita

Mi ritrovai per una selva iscura

Chè la diritta via era ismarrita

 

In questo cominciamento del libro, siccome proemio, significa l'autore la quantità del tempo suo nel quale egli era quando il lume della verità gli cominciò prima a raggiare nella mente, avendo infino allora dormito col sonno della notte continua, cioè nell'oscurità della ignoranza, mostrando che fosse nel mezzo del camin di nostra vita; per lo quale si considera il vivere di trentatre, o vero di trentaquattro anni, secondo quello che del più e del meno e del comunale appare e simigliantemente quel c'appare del vivere11 e del morire di Cristo, il quale, per essere perfetto in tutte sue operazioni il mezzo comprese. Nel quale essendo s'avide ch'egli era in una oscura selva, dove la dritta via era smarrita. Per la quale, figurativamente, si considera la molta gente che nella oscurità dell'ignoranza permane, con la quale è impossibile di procedere per la via dell'umana felicità, chiamandola selva, a dimostrare che differenza non sia da loro sensibile e razional suggietto al vegetabile solo. Onde propriamente di cotal gente selva d'uomini si può dire come selva di vegetabili piante.

 

Tanta e amara che poco è più morte

Ma per trattar del ben ch'io vi trovai

Dirò dell'altre cose ch'io v'ho scorte.

 

Per questo bene di che egli trattare intende il dichiarare al mondo la passione de' rei e la gloria de' buoni si considera, la qualità loro secondando per dare correzione e lode a chi n'è degnio.

 

Io non so ben ridir com'io v'entrai,

Tant'era pien di sonno in su quel punto

Che la verace via abbandonai.

 

Naturalmente a ciascuno è ignoto12 della detta selva l'entrata per lo principio puerile, nel quale si dorme l'affetto di ciascuna inpressione.

 

Ma quando fu' a pie' d'un colle giunto,

dove terminava quella valle,

Che m'avea di paura il cor conpunto.

 

 Essendosi raveduto dell'essere istato nella bassezza della detta ignoranza, la quale figurativamente quì valle si chiama, l'animo suo al pie' d'un colle incontanente pervenne, per lo quale l'altezza dell'umana si considera, la quale coll'intelletto de' raggi del sole coperta la vide, cioè della chiarezza dell'intellettuale verità, con la quale dirittamente si guida chi co' lei si rimira.

 

Allor fu la paura un poco queta

Che nel lago del cor m'era durata

La notte ch'io passai con tanta pieta.

 

 Ritrovandosi nel cominciamento di cotanto bene, la paura della notte ch'avea passato, cioè del tempo in che nella ignoranza era stato, alquanto gli fu sollevata per la speranza che già nell'intelletto la sopradetta chiarezza gli dava.

 

Così l'animo mio, ch'ancor fuggiva

Si volse in dietro a rimirar lo passo

Che no lasciò già mai anima viva13.

 

 Per questo passo, al quale egli qui si rivolse la sopra detta viziosa e ignorante vita, figurativamente si considera, la qual non lascia aver vita d'alcuna vertuosa fama dietro a la morte, a chi di lei fia impresa.

 

Ecco quasi al cominciar dell'erta

Una lonza legier e presta molto

Che di pel maculata era coperta.

 

 Cominciando coll'animo a salire su pe la detta altezza, mostra che tre bestie gli si parassero dinanzi per isturbarlo, per le quali figurativamente si conprendono i principali tre vizii più contrarii a bene operare dell'animo, de' quali il primo è lussuria, formandola in lonza, però che come lei è macchiata di molti e diversi colori, sì come di molti e diversi piaceri e di simigliante umidità e superflua caldezza disposta.  Il secondo superbia in forma di leone figurata, la cui significazione apertamente si vede.  Il terzo avarizia, formata in lupa, a significazione di sua bramosa e infinita voglia, sì come per lei tra gli altri animali di ciò golosamente sembianza vede e di ciascuna mostrando a cotale salire come grande è l'offesa.

 

Tempo era del principio del mattino

E 'l sol montava su con quelle stelle

Ch'eran co lui, quando l'amor divino

Mosse di prima quelle cose belle.

 

 Essendo occupato nell'animo da' sopradetti vizii alcuna cagione di speranza, l'ora del tempo gli dava e la dolce stagione e della fiera la gaetta14 pelle, immaginando che la chiarezza del felice lume gli avea incominciato a raggiare nella mente nel principio del sì come in principio di luce e fine d'oscurità, essendo il sole in compagnia colle stelle dell'ariete, con le quali, secondo la divina scrittura era acconpagnato, quando in prima ebber moto, però che si vedeva con l'universo in uno medesimo tempo accordante: Per lo quale si segue che fosse di primavera ne' del suo mezzo Marzo. E simigliantemente, immaginando alla vaghezza della gaetta pelle, pensando che la naturale par che conceda, che dove più è valore più cotal fuoco s'accenda, avegna che ciò non si debba accettare se non come vizio.

 

Mentre ch'io ruinava in basso loco

Dinanzi agli occhi mi si fu offerto

Chi per lungo silenzio parea fioco

 

 Ritornando con l'animo nell'usato luogo, cioè nell'ignoranza per la forza de' detti tre vizi, l'effetto dell'umana ragione dinanzi agli occhi della mente gli apparve, dal quale è compreso indizio e forza di procedere per la via dell'umana felicità; il quale effetto, figurativamente, nel detto luogo ingnorante, in forma di colui che più nella ragione umana poetando si stese, compone cioè di Vergilio, dal quale per tutto il cammino che a lei s'appartiene figurativamente sì come da essa, per questo libro prende sua guida.

 

Molti son gli animali a cui s'ammoglia,

E più saranno ancor in fin ch'el veltro

Verrà che la farà morir con doglia15

 

 Con ciò sia cosa che, per volere di Dio, ciascuno animale da' corpi celestiali, cioè dalle stelle, abito16 e forma comprenda; però il loro effetto così qui è da entrare che, secondo quello che visibilmente appare, la presente umana età più della cupidità dell'avarizia che d'altra impressione aver mostra e questo è quello che nelle presenti parole se tocca, diciendo che pur crescier debbia infin che suo corso trascorra e poi venir meno ragionevolmente sì come ella comincia per la continua e velocissima variazione delle stelle.  Per la quale definizione, che figurativamente qui veltro si chiama, la seguente impressione di lei si considera, la quale esser conviene virtudiosa, perchè dala presente ciascun vizio dipende, chiamandola veltro per contrario della presente, ch'è lupa. La cui nazione serra tra feltro e feltro, considerando cioè tra cielo e cielo. Ver è che per certi diversa intenzione sopra ciò si contiene, dicendo che 'l detto veltro debbia essere alcuno virtudioso che per suo valore da cotal vizio rimova la gente approvando ch'altro che di gentil nazione non possa essere.  Onde per abbattere cotale opinione, cioè che così di vile come di gentile non possa essere, qui per contrario solamente tra feltro e feltro così si consente, si come tra vile e vile, però ch'è drapo di vile condizione, avegnia che la intenzione del presente autore a questa ultima però non consente.

 

 

 





11 Dalla parola che alla parola vivere togliamo dal codice B.



12 Nell'originale "ègnoto". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



13 Il cod. B legge persona.



14 Il cod. L gaeta, il cod. B gaecta.



15 Il cod. B legge invece di con, di doglia.



16 Il cod. B animo.



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