Jacopo Alighieri
Chiose alla cantica dell'Inferno di Dante Alighieri

LIBRO PRIMO   Chiose d'Jacopo, figliuolo di Dante Alighieri sopra alla "Commedia"

Comincia il VII Capitolo

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Comincia il VII Capitolo

 

Pape satan pape satan Aleppe

Cominciò Pluto colla boce chioccia

E quel savio gentil che tutto seppe.

 

Procedendosi, la gravezza delle viziose colpe in questo capitolo, quella del quarto grado, cioè dell'avarizia e della prodigalità, si dimostra. La quale, figurativamente, in volgere certi pesi colla forza del petto si pone riscontrandosi insieme a due punti del cerchiato sito e rimproverandosi l'uno coll'altro l'effetto di loro opposite colpe. Sopra la quale Pluto demonio per motore si contiene. La cui allegoria in cotal modo permane.  Che, con cio sia cosa che di ciascuna operazione il mezzo, virtù si consideri, di ragione le stremità sue, cioè il troppo e 'l poco deon essere vizij, però del temporale spendio le sue, cioè avarizia e prodigalità, qui contrarie egualmente sono messe. Per lo quale sopra detto affaticare del volgere i pesi l'infinito affaticare dell'animo, così ne' ritenere come nello scialacquare si significa. Per la cui contrarietade figurativamente qui nelle due stremità del diviso cierchio contrariamente si scontrano, rinproverandosi, contrarie, si come nemiche, delle quali per lo sopra detto motore il male volere che l'operazione a simigliante effetto produce si considera, sopra le cui proposte parole cotal dispositione si ritegna.  In prima che pape è avverbio ammirativo, Satan nome propio d'alcun diavolo, cioè d'alcun male volere; Alep in lingua ebrea e in latina A, e altri dissero alpha, però si come principio della scrittura, la quale in tutto contiene figurativamente qui si dice Alep, cioè Iddio, si come principio di tutto l'universo, maravigliandosi dell'essere del presente autore.

 

Come fa l'onda sopra Cariddi

Che si frange con quella in cui s'intoppa

Così convien che qui la gende riddi

 

 Per comparazione della presente qualità, qui del contrario percuotere delle marine onde, che nella riviera di Calavra a rimpetto l'isola di Cicilia tra certi scogli si fa, che si chiama Cariddi, si ragiona, il quale per lo ritenere del crescere e del discrescere della marina che fa la detta isola dal levante al ponente addiviene.

 

Maestro, diss'io lui, or mi di' anche:

Questa fortuna, di che tu mi tocche,

Che è, che i ben del mondo ha sì tra branche?

 

  dalle cose tenporali l'avarizia e la prodigalità si derivano però qui di ragionare accade di quella divina voglia, che, dando e togliendo a cui le piace, il distribuisce. Sopra la quale naturalmente così si consideri che, si come la divina mente prende ministra e guida nella sua qualità ciascun cielo si come da Angeli ed Arcangeli e da' Principati e dagli altri seguenti, così alle qualitadi Inferiori da lei simigliantemente son date, tra le quali quella de' beni temporali fortuna si chiama, la qual e toglie il suo reggimento a cui le piace, contra la quale il senno umano riparando non è possente. E perchè continuamente l'umana generazione nascendo si rinnovella però di necessità conviene che suo dominio d'uno in altro tramuti. La cui voglia subita e occulta come serpente tra erba permane, onde sanza ragione di lei s'abiasima a cui togli però che già da lei dalla sua grazia assentita, la qual di necessità, come detto di sopra, d'uno in altro distribuita si segue.

 

Or discendiamo omai a maggior pieta

Già ogni stella cade che saliva

Quando mi mossi e il troppo star si vieta

 

 Qui l'ora del tempo così significa, vogliendosi nel quinto infernal grado discendere, dicendo ch'ogni stella cadeva, nel cominciamento della sera di loro intrata saliva, per la quale si segue che già la mezzanotte corresse, però che ogni stella s'intende salire dall'orientale orizzonte al meridionale cerchio e poi discendere infino all'occidentale orizzonte.  Nel quale quinto grado scendendosi, alcuna fontana con acqua turbata e bogliente si trova, la quale il cominciamento della seguente colpa significa, e del secondo fiume infernale che Stige si chiama, cioè tristizia. Il quale, figurativamente, per lo quinto presente grado s'impadula, nel quale propiamente la colpa dell'iracundia e dell'accidia si conserva, mostrandosi di ciascuna per suo segno la propietade, si come degli iracondi la bogliente e palese rabbia, e delli accidiosi la occulta e tinta irata voglia; delle quali per più notizia si come delle stremità di temperanza nella dimostrazione del nascimento dell'ira così si procede, che, secondo la speculativa e natural verità, ira e desiderio di vendetta d'alcuna ricevuta ingiuria, nascendo d'un vizio, che arroganza si chiama, il cui suggetto è reputarsi d'essere migliore e più possente che l'essere non porta, della quale due dispetti iracundi finalmente nascono de' quali l'uno è semplice, e l'altro contumelioso. Il semplice, vedendo alcuno immaginarsi d'esser tenuto da lui vile o cattivo non essendovi la cagione del dovere e il contumelioso essere ingiuriato da alcuno in sua presenza personalmente, ovvero per parole rapportate da lui, per la quale arroganza l'altezza della torre del presente grado si considera, e i detti due dispetti le fiammelle che appresso, figurativamente, si pongono, come nel seguente capitolo si conta.

 

 

 


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