Jacopo Alighieri
Chiose alla cantica dell'Inferno di Dante Alighieri

LIBRO PRIMO   Chiose d'Jacopo, figliuolo di Dante Alighieri sopra alla "Commedia"

Comincia il IX Capitolo

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Quel color che viltà nel cor19 mi pinse,

Vedendo il duca mio tornare in volta

Più tosto dentro il suo novo ristrinse

 

Aspettandosi d'entrare nella presente città in questo cominciamento del capitolo con temenza sopra le dette parole, così si ragiona, immaginandosi che tali colpe si fosser lasciate cercare, procedendo che in dietro tornando in loro si come vizioso finalmente il terrebbero.

 

Ver è ch'altra fiata qua giu fui

Congiurato da quella Ericon cruda

Che richiamava l'ombra20 a' corpi suoi

 

 Eripthon fu una donna vecchissima femmina delle parti ....., di cui anticamente a' corpi morti per suo congiuramento tornare si credeva, la quale da Virgilio, alcuna volta, favoleggiando così pare che toccasse.

 

Dove in un punto furon dritte ratto

Tre furïe infernal di sangue tinte

Che membra femminine aveano e atto

 

 Per queste tre furie, secondo i poeti, ira cupidità e voloptà in vizioso modo usate si considerano, si come ira in offensione, la quale usare si dee in familiaria correzione.  Cupidità in avarizia la quale usare in necessario procuramento de' bisogni si dee, e voloptà in lussuria la quale a fine di procreazione di figliuoli legittimamente si dee usare. Per le quali l'animo umano in ciò disposto in furia e in percussione permane, onde così figurativamente sono disposte qui per principio e chiamate, e secondo i pagani in forma di tre femmine co' capegli serpentini, così s'appellano cioè, ira cupidità e voloptà nel sopradetto modo usate. Ma, secondo quello che nel presente libro si contiene, prendendo il soggetto delle dette parole, così è da considerare, che si come ciascuna qualità corporale e operazione, secondo i pagani, à per suo motore alcuna Idea, così le scellerate maliziose e bestiali operazioni hanno tre idee cioè Aletto, Tesifoni e Megera, per le cui interpetrazioni chiaramente s'intendono le tre qualità da cui generalmente ciascuno male si muove, cioè mal pensamento, dischiesto21 parlare e malvagia e furibonda operazione delle quali Aletto [im]pausabile22 cioè mal pensamento interpetrato s'intende. Thesifo dischiesto parlare e Megera iniqua e furibonda operazione. Le quali figurativamente sopra l'entrata della presente città si concedono, a significare il pianto e la difesa loro contra la correzione, e la propietà simigliante che nell'abito degli eretici si contiene, le quali, sì come per diverse immaginative e pensieri si conserveno, così figurativamente cinte di diversi serpenti, e specialmente il luogo determinato della memoria, figurano, a significare il trascorrere d'un pensiero in altro, che per lor si produce, che, simigliante al moto di serpenti, subito si concede e alla propietà di loro fredda e velenosa malizia.

 

E quei che ben cognobbe le meschine

Della reina dello eterno pianto

Mi disse: guarda le feroci Erine

 

 Secondo quello che per Ovidio e per gli altri poeti favoleggiando si tratta, la reina dello eterno pianto, la luna s'intende, riducendola nel nome di colei che Dite prese nell'isola di Cicilia cogliendo suoi fiori, la quale Proserpina si chiama. Onde così nominata, reina dello inferno s'intende, si come Dite, cioè Lucifero, Re; della quale ancille e principii di tutto suo seguito sono come nella sopradetta chiosa si conta. E riducendola negli altri suoi due nomi quando Luna si chiama in cielo si considera, e quando Diana in luoghi salvatichi e diserti si come in selve o boschi, idea si intende; per li quali tre detti suoi nomi in alcun luogo Trivia si chiama, le cui allegorie tra l'altre in loro essere si prendano.

 

Vegnia Medussa si 'l farenn di smalto

Dicevan tutte rimirando in giuso

Mal non vegniammo in Teseo l'assalto

 

 Medussa, secondo le favole d'Ovidio fu delle parti di ponente e figliuola d'alcuno nominato Forco e serocchia di Sten e di Euriale, la quale per sua bellezza Nettuno, Iddio del mare, esendone vago, carnalmente nel tempio di Pallade, idea di sapienza, a suo piacere la tenne. Del quale oltraggio non possendosi vendicare di Nettuno Pallade, perchè, come ella, era Idio, di Medusa cotal vendetta ne fece, che ciascuno suo capello per sua fattura in serpente divenne e che chi la vedea diventava di pietra. La cui allegoria chiaramente s'intende, che fallando nel mare, cioè nelle mondani operazioni contro al dovere di sapienza, sanza alcun senso di ragione si permane, si come pietra. La quale così nelle dette parti dimorando e guastando la gente che lei rimirava, alcun virtudioso delle parti d'oriente, nominato Persio, con alcuno suo ingegno di specchio per non vederla con gli occhi, tagliandole il capo, finalmente l'uccise. La cui testa così crinata, appiccandolasi di dietro a sua cintura, nelle parti d'oriente tornandosi addusse, chiamandola Gorgone, cioè appetito di peccato. Onde figurativamente le dette furie per paura di non essere corrette, ond'elle perdan posseditori per correzione d'alcuno virtudioso, così chiamandolo dicono incontro al presente autore, acciò che voglioso del peccato diventi, si che in ciò più non proceda, rinproverandosi per lui l'assalto che fece Teseo a' vizij infernali, si come per ....., favoleggiando, si contiene, del qual non fecer vendetta, sì che altri non si fosse più messo in simigliante cammino. La cui storia in cotal modo permane.

 

Vid'io più di mille anime distrutte

Fuggir così dinanzi ad un ch'al passo

Passava Stige colle piante asciutte

 

 Però che sanza la sperienza della mente nella qualità dell'effetto malizioso e bestiale, come in quel della incontinenza non si può entrare, qui figurativamente si pone che per lei la cittade presente, cioè qualità, al presente autore sia aperta. La quale vegniendo colla sinistra dinanzi al viso se fatica, a dimostrare che nella sinistra operazione al presente proceda, e che ciascuna anima le si fuga dinanzi, a dimostrare il naturale volere che in ciascuno la conoscenza in altrui delle sue mali operazioni. La quale propiamente messo di Dio si considera per la correzione che di lei si procede.

 

Che giova nelle fata dar di cozzo

Cerbero nostro, se ben si ricorda

Ne porta ancor pelato il mento e 'l gozzo?

 

 Per lo ricalcitrare che qui di diavoli si contiene, cioè degli affetti maliziosi alla beatitudine delle vertù, cioè dell'autore, il sopradetto messo celestiale contro a loro così ne ragiona, rammentando quello che per Teseo alcuna volta fu fatto loro, specialmente al demonio Cerbero, si come di sopra nella sua chiosa si conta.

 

Hanno i sepulcri tutt'i' luogo varo

Così facievan quivi d'ognie parte

Salvo che 'l modo v'era più amaro

 

 Essendosi entrato nella presente qualità maliziosa, cioè nel sesto infernale grado, nel quale la colpa della resia si concede, così sua qualità figurata si pone, che, si come per molte e diverse credenze, fuor di quella cattolica della deità si contiene, così qui figurativamente arche mischiate di fuori e dentro di fiamme si concedono, a dimostrare l'ardente fermezza dell'animo nelle dette credenze, tra le quali d'una, per esenpio, dell'altre così si ragiona, che, tra gli altri filosofi, ne fu uno nominato Epicuro, il quale credette che, morto il corpo, fosse morta l'anima. Onde ciascuno di tale intenzione seguace nella sua arca s'intende, si come nella sua credenza con lui s'intende, e simigliantemente nell'altre credenze ciascun seguace nella sua arca si pone, chiamandole resiarche, cioè principali di loro credenze, nelle quali simile con simile così son sortiti.

 

 

 





19 La volgata: di fuor.



20 L'ombre.



21 P. 313 disonesto (?), abbiamo pure dischiesto per sconvenevole, inopportuno, non richiesto.



22 Impausabile. Isidoro Etim VIII, II.



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