Ettore Romagnoli
Minerva e lo scimmione

III.   LA TRAPPOLA SCIENTIFICA

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III.

 

LA TRAPPOLA SCIENTIFICA

 

E seguitiamo a dipanare la matassa arruffata. Seguitiamo, distinguendo con esattezza quello che dicono i filologi da quello che è in realtà. I filologi dicono che il Wolf ampliò il concetto e sollevò la dignità della filologia convertendola in scienza dell'antichità, e subordinandole ventiquattro discipline. Benissimo. Ma in che cosa consistono codesto ampliamento, codesta conversione, codesta sublimazione?

Le ventiquattro discipline che, in seguito alla riforma wolfiana, rimasero tradizionalmente subordinate alla filologia, son dunque le seguenti. Lettori di buona volontà, raccogliete il fiato: lettori impazienti, saltate l'enumerazione,

 

ché senz'essa

può star l'istoria, e non sarà men chiara.

 

E dunque: 1) Dottrina filosofica del linguaggio. 2-3) Grammatica delle lingue greca e latina. 4) Ermeneutica, ossia fondamenti dell'arte d'interpretare. 5) Fondamenti della critica filologica e dell'arte di emendare. 6) Fondamenti della composizione prosastica e metrica, o teoria dell'arte di scrivere. 7) Geografia ed uranografia antica. 8) Storia universale di tutti i popoli dell'antichità. 9) Fondamenti dell'antica cronologia e della critica storica. 10) Antichità greche. 11) Antichità romane. 12) Mitologia dei Greci e dei Romani. 13) Storia letteraria dei Greci. 14) Storia letteraria dei Romani. 15) Storia delle arti del discorso e delle scienze presso i Greci. 16) Storia delle arti del discorso e delle conoscenze scientifiche (non scienze, questa volta: adorabili nipoti d'Arminio!) presso i Romani. 17) Notizia storica delle arti mimetiche presso entrambi i popoli. 18) Introduzione dell'archeologia dell'arte. 19) Tecnologia archeologica. 20) Storia universale dell'arte nell'antichità. 21) Introduzione alla conoscenza e storia dell'architettura antica. 22) Numismatica dei Greci e dei Romani. 23) Epigrafia d'entrambi i popoli. 24) Storia letteraria della filologia. - Auff! Ho dovuto riassumere, ma è proprio22 finita.

Questa classificazione è un imperituro monumento della bestialità teutonica, scoprentesi ed affermantesi proprio nel campo in cui i tedeschi pensano d'essere maestri ai maestri, cioè nella sistemazione teorica. E son pronto a dare la esauriente dimostrazione di tale asserto ai filologi valvassori i quali me ne facciano regolare domanda su carta da bollo. Per ora, chiediamo solo perché le discipline siano per l'appunto ventiquattro. Forse perché ventiquattro sono i canti dei poemi omerici, altre vittime delle lucubrazioni wolfiane: perché quando si conta per uno la Numismatica dei Greci e dei Romani (e perché non la grammatica?), peggio le Antichità greche, peggio la Storia universale degli antichi, capite bene che il ventiquattro si può senza fatica tramutare in quarantotto, in novantasei, in centonovantadue. Viceversa alcune discipline dovrebbero essere assorbite in altre da cui il Wolf le distingue. Ma questi, ed altri errori che il piú profano dei lettori italiani rileva a prima vista, sono in fondo, per attenerci alla partizione dantesca, peccati d'incontinenza. La matta bestialità, che doveva poi tralignare in malizia, è nella equazione fondamentale: filologia = scienza dell'antichità. Che cosa poteva voler dire questa equazione?

Abbiamo visto nello scorso articolo che cosa era stata la filologia sino a questo momento, e che cosa deve e non può non essere sempre fondamentalmente: preparazione di testi.

E sappiamo anche, e ben chiaro, che cosa sia ciascuna di quelle discipline conglobate insieme, da Federico Augusto Wolf, sotto il nome e l'egida della filologia. Ma dove mai l'operoso demolitor d'Omero trovò le basi per l'annessione?

Le trovò in un rapporto che esiste di fatto tra la filologia e ciascuna di quelle discipline. La filologia prepara il materiale per tutte. E questo fa che, mentre la maggior parte di esse non saprebbe accoppiarsi omogeneamente con alcun'altra, sicché fra l'astronomia, per esempio, e l'epigrafia, fra la numismatica e la retorica, non si saprebbero escogitare connubî se non mostruosi; essa la filologia, può invece unirsi benissimo con ciascuna di esse. È come un minimo comun divisore di tutte.

Ma anche il piú annuvolato alemanno avrebbe inteso che, riconosciuta una simile posizione della filologia di fronte alle altre discipline, difficilmente si potevano subordinare queste a quella. Essere singolarmente l'ancella di ventiquattro padrone, non può significare, in linea generale, essere la padrona di tutte e ventiquattro. E prima il Wolf, e poi, con protervia e malafede sempre crescenti, i suoi degni epigoni, mutarono questa posizione con uno spediente ingegnosissimo. Esaltarono, magnificarono, proclamarono unico il metodo filologico, e lo imposero a quelle ventiquattro discipline, e, via via, a tutte le discipline dell'universo.

 

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I filologi piú induriti vorranno concedermi che parecchie di quelle ventiquattro discipline non le ha inventate la filologia scientifica tedesca. La storia, per esempio, la critica letteraria, la interpretazione dei grandi autori, esistevano da un pezzo. Se non che, ciascuna di queste discipline aveva metodi suoi proprî, ed ai cultori di ciascuna d'esse si dimandavano qualità peculiari e ben distinte. Allo storico, per esempio, la facoltà di cogliere tra l'irrequieta moltitudine dei fatti i punti salienti e significativi: il dono di vederli risorgere entro sé, in una intima visione; la potenza espressiva per comunicare agli altri tale visione. All'interprete dei poeti, cuore ardente, fantasia agile, pronta a vibrare simpaticamente con quella degli autori interpretati, orecchio finissimo, capace di seguire le menome sfumature della poesia - che è sinfonia di parole - facoltà di rievocazione plastica, cioè di veder dietro ogni parola una immagine, di far risorgere nel proprio spirito le forme che già si librarono alla mente dell'artista creatore. - Al critico, tutte queste facoltà dell'interprete, e l'altra, di penetrare ancor piú profondamente nell'animo dell'artista, d'intuire quali fantasmi si disegnarono alla sua fantasia, di confrontarli con la loro materiale espressione, e dal confronto elevarsi al giudizio.

E cosí via, ciascuna disciplina aveva metodi e richiedeva attitudini speciali. Né parrebbe che i risultati di questa pluralità metodica fossero cattivi. E finché i tedeschi non abbiano data la prova del contrario a colpi di mortaro, il mondo seguiterà ad ammirare senza eccezione le opere di storici, di critici, di eruditi, come Tucidide, Orazio, Poliziano, Ludovico Antonio Muratori, Macaulay, Michelet, Giacomo Leopardi, nessuno dei quali, per quanto io sappia, andò a bere l'acqua della saggezza sulle rive della Sprea.

Alla filologia sembrò invece che quella pluralità fosse deleteria, quelle opere manchevoli e da dilettanti; e ai molti metodi sostituí dunque il proprio, unico come il prezzo unico dei bazar. È ben chiaro che chi impone il proprio metodo è padrone, come chi impone le taglie a Bruxelles è padrone del Belgio. E quello che avvenne per l'antichità classica, si ripete', su per giú, in ogni altro campo di studî. E cosí, la filologia, a poco a poco, da ancella divenne padrona.

La serva padrona.

 

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E quale era questo metodo unico? Quali attitudini, quali doti si richiedevano a impadronirsene, ad applicarlo?

Le qualità fondamentali richieste nel filologo, erano, sono e saranno sempre le seguenti:

1) Occhi resistenti e tenace pazienza per trascrivere e collazionare codici.

2) Conoscenza grammaticale delle lingue.

3) Un certo acume che conduca a scoprire le interpolazioni e le cause grafiche degli errori.

4) Un certo sentimento della fraseologia, che nei luoghi errati o lacunosi suggerisca la correzione o il complemento.

Le prime due qualità non presuppongono vero ingegno. La terza è una dote sui generis, molto affine a quella degli spiegatori d'enimmi. La quarta appartiene ad un ordine piú alto. I tedeschi, con la loro nativa leggerezza di tocco, la chiamano critica divinatoria. In realtà, essa non potrebbe sembrare straordinaria per alcun motivo, se non per l'abuso che se ne è fatto, anche dai grandi, nella arbitraria manipolazione dei testi. Ma insomma, essa attinge veramente i limiti del pensiero e dell'arte.

Se non che, tanto questa ultima quanto le altre che d'ora in poi dovevano sostituire tutte quelle richieste sino ad ora nel critico, nello storico, nell'esegeta, era difficile gabellarle per qualche cosa di alto, di supremo, e far credere che la loro applicazione dovesse condurre a risultati miracolosi, definitivi. Era difficile, senza un'acconcia preparazione degli spiriti, senza una propaganda, senza, come dire?, senza un boniment. Ed ecco infatti i filologi tedeschi, commessi viaggiatori nell'animo, come parecchi personaggi illustri della loro schiatta, a lavorar l'articolo con abilità prodigiosa. Grazie alla quale fu possibile uno dei piú mastodontici equivoci, e si armò una delle piú complicate e formidabili trappole che abbiano mai servito ad acchiappare e paralizzare spiriti umani. Il metodo filologico, aureolato dalla recente annessione, fu battezzato metodo scientifico; e alla filologia fu ascritto il carattere e decretata la dignità di scienza esatta.

 

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Alla prodigiosa identificazione si arrivò poi mediante un ragionamento che rimase sempre la botte di ferro dei filologi impenitenti, e che, spogliato dalle lappole dei dulcamara, dagli orpelli dei ciceroni, dalle confusioni dei bertoldi, risulta impostato sulle seguenti proposizioni:

1) La scienza ricerca la verità. Qualsiasi fantasia dev'essere bandita dal suo seno augusto. Non deve mai porre la mira e deve disdegnare qualsiasi applicazione pratica.

2) La storia civile, la letteraria, la critica, intese nel senso ovvio e comune, non vi dànno mai la verità assoluta. Una pittura storica del Carlyle o del Michelet, una analisi artistica del Taine, una sintesi estetica del De Sanctis, sono, in fondo, opere di fantasia. Possono essere, e furono oppugnate.

3) Invece il metodo filologico vi fatti. Non aspira alle sintesi ambiziose che, per quanto felici, lasciano sempre scappare da qualche parte qualche briciolo di verità; ma vi particolari veri: vi anch'essa la verità assoluta.

4) Dunque, la filologia è una scienza. Stamburinata a piacere sull'austerità e sulla dignità dello spirito scientifico di fronte al princisbecche, ai castelli di carta, alle nuvole del metodo critico estetico, eccetera, eccetera, eccetera.

5) Ma le scienze esatte studiano le verità anche minime, anzi tutte le benché minime verità. Quindi non v'è fatto, per quanto piccolo, per quanto in apparenza trascurabile, che non si debba scavizzolare, studiare, farne l'edizione critica, e magari la riproduzione fotografica.

Ora, non è difficile vedere come tutto questo bel ragionamento sia imperniato sovra una metafora sbagliata. Ed è strano che i filologi, i quali dimostrano cosí sacro orrore per le grazie dello stile, si siano poi abbandonati ciecamente a quella insidiosa figura retorica che suole spalancare anche ai piú esperti scrittori il lubrico bivio dell'errore.

E infatti, la filologia non può a nessun costo essere agguagliata alle scienze esatte. Queste studiano i fenomeni non per quello che sembrano, ma per quello che piú presumibilmente sono: fanno perciò astrazione dal loro velo specioso, onde rampolla ogni diletto estetico, e cercano di cogliere la loro essenza (non parlo di essenza filosofica), per arrivare a scoprire le leggi che li governano. Scoprire leggi è mèta suprema della scienza.

Invece la storia, le opere letterarie, artistiche, musicali, tutto insomma quello che è prodotto dello spirito umano, non è soggetto a vere e proprie leggi. Quelle che i tedeschi onorano con tal nome solenne, sono tanto leggi quanto io sono arciduca d'Austria. Per esempio, il professore Eselkopf scuopre che una certa scuola di poeti alessandrini si è sempre astenuta dal collocare una sillaba lunga nella tale o nella tal'altra sede del verso - gli è come se, per esempio, qualche serbatoio d'Arcadia si fosse imposto l'obbligo di non far cadere mai nell'endecasillabo un accento sulla terza sillaba. Eselkopf parla subito di legge, e gli eselkopfiani di Germania non esitano a paragonarlo a Leonardo da Vinci o a Galileo: quelli d'Italia battono le mani. Ma ai lettori non filologi non ho bisogno d'aggiungere parole per dimostrare che razza di leggi siano codeste. E pure ammesso che nello studio dei fenomeni letterarî si possano osservare ricorrenze che somiglino, sempre però assai da lontano, alle vere leggi scientifiche, sussiste però immutabile il fatto, evidente a chiunque abbia sale in zucca, che l'Iliade, la Divina Commedia, le Tragedie di Shakespeare, avranno sempre importanza per sé stesse, e non già per le pseudo-leggi che un Eselkopf qualsiasi possa scavizzolarne. Dunque, la equazione filologia = scienza è un solennissimo sproposito.

Del resto, anche ammessa come legittima l'equazione, erroneo è il corollario (N. 5) che tutti i fatti possano e debbano essere oggetto di studio per la filologia. Le scienze esatte studiano, è vero, i fatti anche minimi; ma anche le scienze esatte limitano e scelgono il materiale di studio. Il mineralogo che raccogliesse e catalogasse uno per uno tutti i ciottolini della ghiaia di un fiume, sarebbe un rotondissimo imbecille; come rotondissimi imbecilli furono tanti e tanti che, a cavalcioni sul manico della granata scientifica, andarono per biblioteche e per archivi a caccia dei conti delle fantesche e delle liste dei bucati classici.

 

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Equazione sbagliata, corollario pratico sbagliato. Eppure quel ragionamento da tiralesina attecchí.

Attecchí per diverse ragioni. Prima di tutto, per il fascino che esercitava pur il semplice nome di scienza. La scienza, immune allora dalle tare che le si son via via scoperte, scorazzava da padrona assoluta nelle regioni proprie e nelle altrui. E appena essa appariva, tutte le fronti si chinavano reverenti.

Poi, la nuova concezione era democratica. Essa schiudeva a due battenti le porte, sinora aristocratiche, degli studî umanistici, alla bordaglia intellettuale. Infatti non si richiedevano piú le doti di buon gusto e di sentimento artistico che, pur non strettamente indispensabili alla bisogna filologica, erano però state sempre retaggio dei filologi classici. Macché! La filologia scientifica aveva inventata un'altra metafora, che fece e fa tuttavia furore presso i filologi pappagalli. La filologia mira a costruire un edifizio: l'edifizio della scienza. A costruire un edifizio ci vogliono sassolini, tanti tanti tanti sassolini (questa dei sassolini mandava e manda in brodo di giuggiole i filologi bevigrosso). Ma un sassolino, chi non lo può portare? Anche «le piú deboli forze» possono portare un sassolino! - E le piú deboli forze non intesero a sordo.

Ed oltre ai ragionamenti, anche parecchi fatti, di varia natura, contribuirono ad accreditare e rinsaldare il prestigio del metodo filologico scientifico.

E intanto, questo benedetto metodo filologico, che è non solo insufficiente, bensí deleterio, qualora si voglia dirigerlo a trattare e quindi a riformare l'essenza della storia letteraria, della civile, d'ogni studio artistico, è invece, come già vedemmo, non solo utile, bensí indispensabile ed unico nella preparazione dei materiali. Sia che li raccolga ed apparecchi da sé quegli che deve costruire l'opera complessiva, sia che altri glie li ammanniscano, questi materiali devono essere preparati con lo scrupolo e con la precisione filologica. Insomma, nel primo periodo di ciascuno studio, il metodo dev'essere, lasciamo stare lo scientifico, ma strettamente e severamente filologico. E chi pretendesse costruire senza aver prima le basi, quegli, , non riuscirebbe che ad innalzare castelli in aria.

Ora, appunto nel periodo in cui si lanciava il bluff della filologia scientifica, si incominciavano ad esplorare regioni di studio ancora sconosciute o mal note: le letterature romanze, per esempio, le letterature orientali, la glottologia, che, del resto, per sua speciale natura, si può veramente paragonare alle scienze esatte. In questi studî iniziali si applicò, come, del resto, avevano sempre fatto le persone di criterio, il metodo filologico: i risultati furono buoni; e l'onore ridondò in favore della filologia scientifica, che aveva riparate sotto le grandi ale tutte quelle discipline.

Tipico è il caso dell'archeologia. Dal Winckelmann in giú, si prese ad esplorare l'immenso materiale artistico, ancora quasi intatto, dell'antichità classica, e s'incominciarono gli scavi in tutte le regioni della primeva civiltà greca. I risultati di questi scavi, di queste esplorazioni, furono tali, che ne rimase profondamente mutata la fisonomia, non solo dell'arte, ma anche dell'antica letteratura greca. Merito unicamente della archeologia. Ma siccome, grazie all'annessione wolfiana, l'archeologia non era se non una delle tante province della filologia scientifica, i prodotti di quella andarono ad impinguare il tesoro di questa, come i quaranta milioni mensili estorti al Belgio andranno ad impinguare l'erario di Berlino. E la confusione arrivava piú in : dall'ambiguità si giungeva all'inversione. Anche ieri si poteva leggere in una rivista italiana che i profondissimi studî tedeschi sulla questione omerica avevano mutato la visione dell'antica poesia epica, anzi di tutta la poesia, e via di questo passo. Mentre la verità è che tale visione è venuta tramutando a poco a poco grazie alle scoperte archeologiche, dallo Schliemann (che era tedesco, ma non era filologo, e fu anzi schernito sempre dai filologi, finché non li convinse coi fatti palmari) agli scavi inglesi, francesi, italiani - perché, se Dio vuole, in questo campo, dove c'era da operare e da pensare, e non da imbottar nebbia, gl'Italiani in breve tempo si son messi alla pari con qualsiasi altra nazione. - La visione della poesia epica greca è tramutata, dicevo, grazie alle scoperte archeologiche, non grazie alle lucubrazioni di Wolf, di Lachmann, di Hermann; ché, anzi, ogni colpo di zappa affondato nel suolo di Troia, di Micene, di Creta, è andato via via scalzando il grottesco edificio, ora abbattuto, e speriamo per sempre, della famigerata «questione omerica».

Un altro fatto che contribuí ad accrescere il prestigio del verbo novello, fu questo: che, durante o subito dopo la sua promulgazione, la Germania ebbe, quasi in ogni campo, una quantità di studiosi veramente grandi e geniali; e basterà ricordare, senza uscire dal campo classico, Ottofredo Müller, che, morto giovane, compose, fra altre opere insigni, la nota e bellissima Storia della letteratura greca: Ernesto Curtius, autore d'una Storia greca veramente geniale ed artistica, ed ora vilipesa dai puri rappresentanti della filologia scientifica: e, punto simpatico, ma grandissimo, Teodoro Mommsen. Questi ed altri furono critici, storici, storici della letteratura, puramente e semplicemente perché avevano sortito da natura il bernoccolo dello storico, del critico, del letterato. E se vogliamo cercar derivazioni, essi, e specialmente i due primi, si svelano figli dell'impulso umanistico, quello impresso dal Winckelmann, dal Lessing, dal Klopstock, dal Humboldt, dal Herder, dal Goethe: impulso che fu artistico, poetico, tutto ardore e passione umana, e che era direttamente agli antipodi con la grama, goffa ed altezzosa concezione della filologia scientifica. Questa filiazione si potrebbe mostrare, e farlo sarebbe interessante. - Ma siccome quei tre, ed altri geniali filologi che onorano veramente la Germania, il Ribbeck, per esempio, il Bergk, e, ultimo e non men degno, l'Usener, avversato, in genere, dalla marmaglia scientifica, erano venuti dopo la promulgazione della nuova legge; anche le loro opere furono requisite a vantaggio della filologia scientifica; la quale giganteggiò cosí di giorno in giorno, sino a divenire un idolo mostruoso, un gigantesco Moloch, che innalzava sino alle nubi la sua faccia bestiale, con lo iato vaneggiante delle insaziabili fauci. E aveva sede in Berlino.

 

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Vedremo presto la filologia scientifica tedesca muovere alla conquista di tutte le regioni dello spirito e della cultura, invadere, saccheggiare, ricostruire a suo modo. Ma prima dobbiamo esaminare i principali corollarî e le conseguenze pratiche della nuovissima concezione. Per ora, enumeriamo.

Corollarî:

1) Oggettività e impassibilità dinanzi alle materie di studio.

2) Conseguente svalutamento del pregio intrinseco di tali materie.

3) E conseguente supervalutazione ed esaltazione della tecnica divenuta fine a sé stessa.

4) Internazionalismo filologico.

Conseguenze pratiche, una, ma buona: il sacrario dagli studî classici schiuso alle «piú deboli forze», e la produzione meccanica d'uno sterminato numero di filologi, che col sacro sigillo del metodo scientifico alemanno si sparpagliarono ai quattro venti, esercitando una forma non meno scientifica di spionaggio politico.

Questi gl'ingranaggi, e ne esamineremo le funzioni nel prossimo articolo, della formidabile macchina filologica con la quale la Germania, per la durata di circa un secolo, ghermí, irretí, paralizzò, triturò il pensiero del mondo.

 

 

 





22 Nell'originale "propro". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



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