Ettore Romagnoli
Minerva e lo scimmione

APPENDICE

I.   L'EDIZIONE «KOLOSSAL» DEL DECAMERONE   MANTISSA QUASI COMICA

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APPENDICE

 

 

I.

 

L'EDIZIONE «KOLOSSAL»

DEL DECAMERONE

 

MANTISSA QUASI COMICA

 

Nella sua Fin de Satan, Victor Hugo immagina che quando l'arcangelo ribelle piombò giù dal cielo, una penna delle sue ali rimase, pura e candida, all'orlo degli abissi interminati. Un angelo la raccolse, e, rivolto al cielo sublime, lanciò, con carità di collega, una suggestiva domanda: Seigneur, faut-il qu'elle aille, elle aussi, dans l'abîme?

E Dio, con l'abituale misericordia:

Ne jetez pas ce qui n'est pas tombé.

Questa fantasia victorughiana, tra sublime e grottesca, m'è spesso tornata alla mente, in questi ultimi tempi, a proposito della cultura tedesca. Dopo che il tentativo di sopraffazione alemanna ebbe mostrato qual nòcciolo si nascondesse dentro la grassa e rubiconda polpa della Kultur, si cominciò ad esaminare di che qualità fosse anche codesta polpa. E piú d'uno scienziato italiano si diede alla salutifera analisi.

I loro scritti, sepolti in riviste scientifiche poco accessibili, o addirittura contese al gran pubblico, dovrebbero essere ristampati in edizioni popolari e aver larga diffusione in Italia. Mi sia lecito intanto ricordarne alcuno dei piú notevoli.

Il professor Bossi, direttore dell'Istituto ginecologico della Università di Genova, in una conferenza di chiusura dell'anno 1915, dimostrava come oramai, non solo nel campo ostetrico, bensí in genere in tutto il campo chirurgico, i tedeschi, piú che medici, siano da considerare dilettanti d'assassinio46.

Federico Patetta, dell'Università di Torino, in un discorso inaugurale pronunciato il 4 novembre 1915, sottoponeva a minuta e profonda indagine di raffronto la civiltà latina e la germanica. E illuminava per ogni verso, rigorosamente, inconfutabilmente, con dottrina e genialità inesauribili, la ineliminabile barbarie tedesca47.

Dante Bertelli, professore di anatomia a Padova, già nel 1912, nel Discorso inaugurale per il Convegno della Unione Zoologica italiana, protestando contro il mal vezzo di mandare i nostri giovani a perfezionarsi, cioè a incretinirsi, in Germania, scriveva queste sacrosante parole: «Oramai vediamo che giovani educati unicamente nel nostro Paese, pubblicano lavori i quali nulla hanno da invidiare a quelli eseguiti nelle piú culte nazioni. I nostri vecchi grandi anatomici si educarono in Italia e furono maestri alle genti: ci siamo liberati dal servaggio straniero politico, dobbiamo anche liberarci dal servaggio scientifico»48.

Piú lungo discorso meriterebbero gli di Ernesto Lugaro. Ernesto Lugaro è proprio il tipo dello scienziato italiano, quale era prima dell'intossicamento tedesco, quale dovrà tornare domani, quando l'intossicamento sarà neutralizzato, e speriamo per sempre. Egli è scienziato profondo e preciso: ma tuttavia, artista d'intuito e di studio, possiede una forma che gli potrebbero invidiare parecchi dei suoi colleghi di lettere, i quali, tirati su a pillole di metodo scientifico, scrivono come veri emarginatori di pratiche letterarie. Egli sa quanto altri mai isolarsi nel silenzio e nell'ombra del suo laboratorio; ma, ben lungi dalla frigidità di tanti castroni, i quali, con la bella scusa che l'uomo di scienza non deve occuparsi di politica, evitano e si rifiutano di pronunziare il loro giudizio, del resto piú che superfluo, sui misfatti della Germania, sin dal principio della guerra ha rivolto il suo spirito appassionato ai multipli problemi che quella coinvolge. E in una serie di scritti vibranti, coloriti, suggestivi, ha dimostrata la insanabilità ed i pericoli della follia collettiva che ha invasa la Germania. Non sarà inutile riportare, per nostro mònito, le parole conclusive del suo primo scritto: «Molti segni mostrano come ci sia in Germania chi sente che già troppi legami sono rotti col mondo, e che bisogna cercare di salvare quelli che restano ancora.

E qui sta il pericolo per l'avvenire. Bisogna tenerlo bene a mente, e ripeterselo sempre: questi legami che si voglion salvare sono le vie per cui si potrà rinnovare l'insidia; essi possono permettere di preparare a scadenza piú o meno breve il colpo piú sicuro. Questi legami vanno tagliati sino a quando la Germania, profondamente cambiata nella sua struttura politica, non dia serie garanzie d'intenzioni oneste e ragionevoli.

La Germania deve persuadersi che il mondo può fare a meno di essa. Noi italiani, forse piú degli altri, dobbiamo estirpare dal nostro suolo le maligne radici germaniche che voglion succhiare ogni principio di vita»49.

E qui m'interrompe il longanime lettore. Che cosa c'entrano, di grazia, tutte queste belle considerazioni, con Giovanni Boccaccio, con Victor Hugo, con la piuma dell'arcangelo?

Ecco come c'entrano. Grazie all'opera dei sullodati e di tanti altri valentuomini che sarebbe lungo ricordare (non tacerò l'infaticabile Ezio Maria Gray), gli Italiani hanno cominciato a guardare un po' piú attentamente, e senza occhiali affumicati, il colosso mastodontico della famigerata Kultur. E si sono accorti, salvo qualche tempestivo o precoce rammollito, indurito nella tedescolatria, che il piú dell'oro era princisbecche, il marmo cartapesta, l'avorio celluloide. Ma una fede rimase intatta: la fede nella eccellenza assoluta ed insuperabile dei tedeschi come stampatori e come editori. Su questo punto niuno osò muover dubbio. E gli ex germanofili, ora patrioteggianti, e pronti domani, per loro esplicita confessione, a ricacciare il pensiero d'Italia sotto il giogo tedesco, questi signori, dico, si aggrapparono a quest'ultima trincea, per tener ferma la loro posizione. Per questo lato, almeno, i tedeschi rimanevano maestri al mondo: e noialtri poveri diavoli non potevamo che ammirarli ed imitarli.

Era anche questa, come tutte le asserzioni dei germanofili, una solenne impostura. Anche come editori, i tedeschi sono stati grandi. Sono stati grandi, sebbene a loro modo - ma sarebbe stolto pretendere che un uomo o un popolo tradiscano il proprio genio - nel periodo eroico degli studî, che va, su per giú, dal Winckelmann al Mommsen. Allora ebbero studiosi che consacrarono tutta la loro vita ad un autore, magari di quart'ordine, e riuscirono a stamparlo in modo pressoché ineccepibile. Ma ultimamente buona parte degli studiosi tedeschi erano divenuti mestieranti e cerretani della peggiore specie. Il libro d'erudizione tedesco si spacciava assai in tutto il mondo, grazie alla connivenza idiota o furbesca di tutti gli affiliati alla onorata società filologica che i lettori han trovata descritta in questo volume. E visto che il genere andava, i filologi si erano dati a fabbricarlo a diluvio, due o tremila pagine ciascuno ogni sei mesi; e intascavano i quattrini dei gonzi; e questo era diventato il vero ed unico scopo della loro attività scientifica.

Per disgrazia, dare la dimostrazione di tale asserto non è facile. Facile sarebbe mostrare qualche indice esterno della volgarità senz'amore in cui era caduta l'arte libraria. Tutti avranno viste le famigeratissime edizioni di Lipsia spedite con fascicoli slegati, e senza copertina. I clienti erano citrulli, e il mercante li trattava da citrulli. Ma al di di questi indici esterni, se io mi industriassi a dimostrare che, poniamo, il Sofocle di Mekler è per molti versi, e dal lato editoriale per ogni verso, una birbonata; che il Pindaro (minore) dello Schroeder, ad onta di qualche strombazzatura nostrana, vale cinquanta centesimi: se m'industriassi a svolgere tale dimostrazione: da quanti potrebbero essere apprezzate le mie ragioni, d'indole necessariamente filologica? Qualcuno dei famuli della sede centrale berlinese risponderebbe che quelle edizioni sono bellissime; e, fra i due contendenti, la maggioranza, per fortuna sua non filologica, non saprebbe a chi dar retta.

Ma il vecchio Dio favorisce palesemente le giuste aspirazioni; sicché, dopo parecchie ricerche, spero di aver trovato un documento meridiano definitivo ed inconfutabile della odierna bestialità libraria alemanna.

È il fascicolo d'invito ad una edizione monumentale del Decamerone, perpetrata dalla casa Insel di Lipsia. La casa Insel è una delle piú celebri, anzi quella piú in voga della Germania; e a proposito delle sue edizioni, i bravi tedeschi parlavano volentieri di rinascenza del libro. Riproduco senz'altro le quattro pagine dell'invito, che debbono documentare le mie conclusioni. (Tavole 1-2-3-4). Ora che il lettore ha gustate le finissime incisioni, e si è associato agli elogi, senza dubbio disinteressati, che l'editore tributa al genio italiano, cominci a leggere il testo del Decamerone, e veda con quale attenzione scrupolosa e veramente scientifica è curato il testo del nostro prosatore immortale. Per agevolargli il compito, dei piú solenni sfarfalloni un elenco che nella sua nudità riuscirà piú convincente di qualsiasi commento.

Pag. 3, colonna sinistra, rigo 4: simili ad ora, correggi: oro - rigo 14: rispodendo, correggi: rispondendo - rigo 18-19: chiara fronte, correggi: fonte.

Pag. 3, colonna destra, rigo 3; che il nostro Re me tanta, correggi: me a tanta - rigo 4-5: mag-nificenza, diviso cosí fra due righe - rigo 6: bellazza, correggi: bellezza - Titolo della novella: Novella d'un cavaliere serve al re di Spagna -  - rigo 26 (ultimo): del quala, correggi: del quale.

Pag. 4, colonna sinistra, rigo 1: ciascun altro signore trapassata e quei tempi, correggi: a quei tempi - rigo 8: si fee, correggi: si fece - rigo 23: famig-liare, diviso fra due righe.

Pag. 4 colonna destra, rigo 10: e come che molte ne ricogliesse tu camminando tutto il seco. Il tu è una piacevole aggiunta dell'editore tedesco - rigo 20: perché, correggi: perché - rigo 31: con-osciuto, diviso cosí - rigo 34: dìcevo correggi: dicevo - rigo 45: si come, correggi: - rigo 47: in presenza molti, correggi: di molti (questo forse si può difendere) - rigo 50: ogn'-altra diviso cosí.

Rimane, poi, a pagina 1, il nome dell'autore, che da Boccaccio è divenuto Di Boccaccio. Credo che la particella gentilizia sia una aggiunta dell'editore, per accreditar l'opera. E confesso che in questo caso sono anzi stati assai discreti a non scrivere addirittura un VON BOCCACCIO. Ma qui non son sicuro del fatto mio, cioè non son sicuro che in qualche pergamena non esista la forma Di Boccaccio; e però questo rilievo non vuol essere tanto una condanna all'editore di Lipsia quanto un dubbio rispettosamente rivolto agli scienziati storici della letteratura italiana.

 

Sono dunque, in due pagine, sedici spropositi: sollazzevoli tutti: ed alcuni da pigliar con le molle. Per una edizione monumentale, davvero non c'è malaccio.

Se non che un mio conoscente, súccubo intellettuale della Germania, al quale sottoposi questo ghiotto spicilegio, dopo esser rimasto qualche attimo interdetto, sollevò la fronte irraggiata da una luce improvvisa. «E se quegli errori ci fossero anche nel testo italiano, e l'editore tedesco li avesse mantenuti per scrupolo scientifico

E allora si schiuse alla mia mente tutto un nuovo orizzonte, e meditai di prendere il direttissimo, e di recarmi in fretta e furia alla Biblioteca nazionale di Parigi, per controllare la cosa. Perché se cosí fosse, oh allora, resterebbe dimostrata, non piú la goffa e mercantile incuria d'un editore, bensí la insanabile innocenza intellettuale dei tedeschi. E mi sarebbe avvenuto come a quell'eroe della Bibbia, che, uscito per cacciare un cervo, trovò un regno.

Ma io sono pigro, e il disagio del viaggiare in tempo di guerra mi distolse dall'eroico proposito. E d'altronde non bisogna pretender troppo dalla Provvidenza celeste. Il viaggio sarebbe certo riuscito vano, perché basta riflettere un minuto per convincersi che gli errori non sono certo imputabili all'editore italiano del 1492, bensí all'editore tedesco del 1913.

E quindi, rinunciando a quella generale illazione, contentiamoci di enumerare le conclusioni che senza possibile contrasto si ricavano da queste quattro paginette.

1) Quando un tedesco vuole fare una cosa nuova e degna, riproduce. Riproduce quello che hanno fatto gli altri, coi mezzi meccanici inventati da altri.

2) Questa pedestre riproduzione, molto simile ad una appropriazione, a lui, testone indomabile quanto prosuntuoso, sembra una creazione: onde scrive pari pari (pag. 2, rigo 7): nous créons avec ces gravures les plus beau Décameron qui existe.

3) Sa lanciare bene l'affare (vedi i prezzi), in modo da ricavare dal furterello una buona dose di marchi.

4) Salvate le apparenze, non si cura affatto della sostanza, e lascia correre per le pagine della conclamata edizione tali e tanti spropositi, quali e quanti non se ne trovano nella piú turpe edizione stampata alla macchia in questa Italia povera ed ignorante.

5) Le ragioni della incuria sono da cercare probabilmente nella bestiale prosunzione germanica. A Lipsia, credo, non era difficile trovare un italiano, sia pure di modestissima cultura, che rivedesse le bozze di stampa. Ma l'editore avrà creduto che un Italiano non fosse capace di tanto; e avrà ricorso a qualche melenso tedescaccio, laureato in filologia italiana o romanza in qualche università tedesca.

E tutto questo va bene. Una cosa sola va male. Codesta edizione non dovevano poi chiamarla monumentale. Dovevano chiamarla kolossal. Kolossal come la bestialità teutonica.

Dobbiamo soffiare sull'ultima piuma?

 

 

 





46 I pericoli e le vittime della cultura tedesca nel campo ginecologico, in Ginecologia moderna, 1915.



47 Civiltà latina e civiltà germanica, nella rivista: La riforma sociale, novembre 1915.



48 Monitore Zoologico italiano, anno XXIII, n. 9-10.



49 Pazzia d'imperatore o aberrazione nazionale? Rivista di Patologia nervosa e mentale, anno XX, fasc. 7. - Henri Fabre, id., fasc. 12. - Cfr. fasc. 10, e anno XXI, fasc. 1-2. Nella medesima rivista si è finito di pubblicare in questi giorni un altro suo lavoro importantissimo: La psichiatria tedesca nella storia e nell'attualità.



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