Ettore Romagnoli
Minerva e lo scimmione

APPENDICE

II.   PER L'AFFRANCAMENTO DELLA LIBRERIA ITALIANA

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II.

 

PER L'AFFRANCAMENTO

DELLA LIBRERIA ITALIANA

 

Questo breve articolo apparve nel Corriere della Sera del 27 marzo 1917. I filologi «scientifici» lo attaccarono con la solita virulenza, ma, viceversa, finirono per aderire inconsciamente a tutte le mie proposte. Riferisco in nota i luoghi da cui risultano tali adesioni; non per il gretto gusto di coglierli in contraddizione; ma per allineare alcuni dei punti su cui dovrà necessariamente passare la linea del futuro accordo, richiesto dal buon senso italiano. Vedi introduzione.

 

 Tra le molte proposte fiorite ad alleviare il regime di guerra, ci fu anche quella di chiudere a due battenti le Università. Non attecchí, e le Università rimangono sempre aperte. Onde io, in conformità a un certo piano di studî, debbo quest'anno svolgere un corso sul teatro d'Euripide. E siccome reputo che sia metodo eminentemente scientifico, ma anche eminentemente balordo quello di impiegare un anno a discutere le varianti di un centinaio di versi, poniamo, della Medea, e che in otto mesi si debba invece e si possa condurre i discepoli ad una conoscenza tutt'altro che superficiale di tutti i drammi d'Euripide, al principio dell'anno prescrissi l'acquisto dell'intero teatro50.

 

 Ma una edizione italiana d'Euripide non c'è: una edizione francese accessibile non c'è: quella di Lipsia non si può far venire, e poi, prima di spedire in Germania oro che ci torni convertito in piombo, manderei al diavolo non il solo Euripide, ma tutta la letteratura greca. Rimaneva la piccola edizione di Oxford. E venti giorni prima che incominciassero le lezioni, la feci richiedere.

Ma due settimane dopo l'inaugurazione dell'anno accademico, giunse la risposta che Euripide era in ristampa. Pausa. Nuova richiesta. E nuova risposta: era stampato e tirato, ma non rilegato. - Mandassero pure i fogli slegati. Nuovo e lungo silenzio. E forse prima d'Euripide arriverà l'auspicata chiusura delle Università.

Questo per Euripide. Ma se invece d'Euripide avessi scelto Eschilo, che so io, Sofocle, Aristofane, Pindaro, Omero, Tucidide, Erodoto, i poemi omerici, mi sarei trovato su per giú nelle medesime angustie. In Italia mancano assolutamente le opere complete di tutti i classici greci. È questa una delle più gravi lacune della libreria italiana.

E ciò che fa stizza è vedere che una dose anche minima di buona volontà basterebbe a colmarla.

Aprite, per esempio, un catalogo Loescher. E nella collezione dei classici annotati trovate della Iliade commentata dallo Zuretti il libro I, e poi i libri dal V al XXIV. Essendo annotata, costa 12 lire e 20, e non è completa. - Aprite il catalogo Albrighi e Segati, e troverete quasi tutti i libri della Odissea, pubblicati in altrettanti volumetti commentati. E su per giú il medesimo può ripetersi per i principali editori scolastici, per i principali autori greci e latini. Ne trovate le varie parti disperse, in edizioni commentate: l'autore completo non lo trovate mai.

Ora, per rimanere al primo esempio, sul quale se ne possono modellare infiniti altri, come mai non è passato per la mente al Loescher di adoperare la composizione già pronta nei suoi magazzini, di 21 libri della Iliade, aggiungere i tre altri, e darci l'Iliade completa? Per gli usi della scuola avrebbe vantaggiosamente sostituito le edizioni tedesche, e ci saremmo cosí liberati dal vergognoso tributo che le nostre scuole hanno per tanti anni pagato alla Germania. E quel che è detto per la Iliade e per la Odissea va ripetuto per infiniti classici. E la rapidità con cui la ditta Paravia va stampando un Euripide (7 tragedie commentate in meno d'un anno), dimostra che la libreria italiana può far da sé, e può far presto e bene.

La colpa di tale deficienza ricade in parte sugli editori, i quali in genere badano al piccolo utile immediato, e producono quello che corrisponde alla piú frequente richiesta. Ma neppure saprebbero andare scevri da biasimo gli studiosi, i quali, per antico e pessimo vezzo, lavorano un po' come càpita, senza prima dare un'occhiata generale allo stato della cultura e delle scuole, e vedere quali ne siano le lacune, e come e in qual misura convenga riempirle. Ma è inutile rivangare colpe o responsabilità. L'essenziale è che gli editori italiani colmino presto questa lacuna, mirando ciascuno a completare gli autori per cui hanno piú materiale pronto, e dando cosí prestissimo all'Italia edizioni complete dei classici51. Non sarà impresa eccessivamente proficua, almeno per ora, perché tali edizioni complete serviranno piú che altro alle Università. Ma anche i professori dei Licei avranno presto il buon senso di preferire e di consigliare le edizioni complete, invece di quei miseri fascicoletti nei quali i poveri studenti sono abituati a vedere sbrindellate le membra dei grandi scrittori.

«Adagio, signor mio! - obietta qui un filologo scientifico. - Codeste vagheggiate edizioni non saranno edizioni critiche scientifiche: e quindi non potranno servire, come voi v'illudete, alle Università».

La risposta è assai facile. Codeste edizioni, nella maggior parte dei casi, saranno repliche delle famose edizioni di Lipsia, che voi dichiarate ottime. Stampate, sono stampate non meno correttamente di quelle. E se vi piace, i nostri editori potranno, con poca spesa in piú, riprodurre anche i famosi apparati critici. - Appropriazione indebita? E via, cari signori, tante volte avete dichiarato che il lavoro scientifico è patrimonio comune, acquisito alla cultura mondiale! E poi, non mi sembra eccessivo sottrarre qualche apparato critico a chi estorce alla Francia, al Belgio, alla Romania, qualche cosa di ben piú sostanzioso. E poi, Carlo Pascal, nella Biblioteca di classici latini iniziata presso la ditta Paravia, va dimostrando che un apparato critico lo sappiamo fare anche in Italia, senza mendicarlo dai tedeschi.

Del resto, dico tanto per dire. Perché dopo la guerra tutti intenderanno, speriamo, che spiegare il teatro d'Eschilo, non potrà significare discutere con grottesca compunzione le innumere scimunitaggini spiattellate dai filologi tedeschi alle spalle del titano d'Eleusi. Ed Eschilo, e Sofocle, e Pindaro, e tutti gli autori greci e latini, li studieremo egregiamente, e ne deriveremo tutto quello che si deve derivarne per la cultura italiana, senza attendere la vostra famigerata edizione critica italiana dei classici, che di qui a due o tre secoli vanterà, al solito, qualche libro d'Omero e qualche opuscolo di Senofonte. Ne riparleremo.

Ma due altri punti voglio oggi sottoporre alla attenzione degli editori e degli studiosi italiani.

Primo, le edizioni commentate. In séguito al funesto prevalere dell'indirizzo filologico scientifico alla tedesca, si è fatta, in Italia, una specie di classificazione dei varî lavori filologici. E mentre compilare un catalogo o ricopiare e magari fotografare un codice veniva dichiarato scientifico; il commento d'un classico era invece screditato a priori, come lavoro semidilettantesco. Conseguenza necessaria, i migliori ingegni, anche per necessità materiali, se ne distolsero. E cosí avviene che, ad onta di parecchie belle eccezioni - bellissima quella di Paolo Ubaldi, il quale sta dando all'Italia un Eschilo che si lascia dietro di gran lunga i migliori commenti tedeschi - il commento dei classici fu troppo spesso abbandonato ad inetti e mestieranti. Il fascicoletto commentato in modo da facilitare il passaggio agli scolari poltroni si vendeva a sfascio: e a furia di fascicoletti qualche commentatore si fabbricava perfino l'automobile. Questo sconcio e questo preconcetto debbono cessare. Commentare un classico, quando il commento è fatto con coscienza e con gusto, è opera piú che degna ed elevata. E il mal vezzo di gettar via nei concorsi i commenti solo perché commenti, deve sparire, come in parte è sparito52.

 

Secondo cómpito. Dare all'Italia la grande edizione italiana dei suoi classici e dei classici greci. Non già l'edizione critico-scientifica, quella a cui ho già accennato, e che si dovrebbe fare ricominciando ab ovo la disamina di tutti i codici di ciascun autore, e tenendo conto di tutte le grullerie, e son tante, passate per la mente ai filologi perdigiorni. Ma l'edizione che oggimai si può fare in tempo relativamente breve, servendosi dell'immenso materiale filologico e archeologico raccolto dai tempi dell'umanesimo ai nostri, e dando ad esso l'impronta della sobrietà e del gusto latino.

L'idea è bella e suggestiva e molti l'hanno accarezzata. Ed hanno... ed hanno fatto riunioni, ed hanno nominate commissioni. Come dicono i sapientoni di Pascarella?

 

- Sa? je fecero, senza complimenti

Qui bisogna formà 'na commissione.

 

Pare impossibile che la vita non insegni mai nulla a nessuno, nemmeno quella che viviamo oggi dolorosamente giorno per giorno. Pare impossibile che tante egregie persone (egregie senza ironia) non abbiano ancora inteso che per condurre a buon fine una qualsiasi impresa val meglio un solo mediocre che cento ottimi.

E per fare la grande edizione italiana dei classici greci e latini, non occorrono tante riunioni e tante commissioni. Occorrono due uomini. Un editore di larghi mezzi e di buona volontà: uno studioso non privo di gusto, e non impegolato, neppure un briciolo, del vischio scientifico tedesco.

Eccoti offerto ignudo il mio seno, o ironia filologica! Ma per concludere, dichiaro che se l'editore di larghi mezzi mi proponesse tale edizione, io la esigerei cosí bella e dispendiosa, che la sua buona volontà naufragherebbe forse dinanzi allo spauracchio dei preventivi.

 

 

 





50 Vedi Calò, nel Marzocco, 27 maggio. - «Il meglio che si possa ragionevolmente pretendere è che gli autori siano letti in iscuola, largamente, con intelligenza aperta e con conoscenza profonda della lingua, dell'antichità, dell'autore». Andiamo pienamente d'accordo. Ma faccio osservare al Calò che, secondo i criteri della scuola che egli difende, codesto sarebbe una specie di svago, e la dignità «scientifica» rimarrebbe sempre ascritta alla manipolazione dei testi. Ma non vuol dire. Siamo d'accordo. Segnamo questo punto all'attivo del nostro bilancio.



51 Giovanni Calò nel Marzocco 29 aprile: - «Sarà bene che editori e commentatori si preoccupino di completare la pubblicazione delle opere delle quali sian pubblicate soltanto alcune parti, anche per dare agl'insegnanti la possibilità di servirsene con agio e con libertà, senza limiti di scelta, nella scuola».

Felice Ramorino nel Giornale d'Italia 23 maggio: - «Soprattutto e prima di tutto i testi classici vogliono essere curati. Una Raccolta senza pretese ma fatta con diligenza e buon metodo, che esibisse nel testo ora ritenuto migliore le opere dei principali poeti, storici, oratori, filosofi greci e latini, con sobrii prolegomeni e note, raccolta a cui potessero ricorrere con fiducia gli studiosi, corrisponderebbe a un vero bisogno del nostro paese, perché ora, se si deve consultare Erodoto o Tucidide o Polibio o Plutarco o Cicerone stesso o Cesare o Livio, non si può a meno di ricorrere a edizioni forestiere». - Come si vede, tanto Calò quanto Ramorino ripetono fedelmente quello che ho detto io. Ma è altrettanto vero che nei tre convegni dell'Atene e Roma non si parlò mai di siffatta edizione, e in articolucci volanti e nelle solite polemichette e «lettere ai Direttori» cosí care ai filologhi occulti, si lasciò quasi intendere che una simile impresa sarebbe stata futile e quasi disonesta. Basta, segnamo all'attivo anche quest'altra nota concorde, e dimentichiamo che se l'Italia si trova a questo punto la colpa è appunto del «metodo scientifico».



52 Giovanni Calò id. id.: - «È utile che i commenti, quando presentino pregi veramente notevoli, siano tenuti nel debito conto in qualsiasi concorso, anche universitario, insieme coi lavori strettamente filologici (vorrei sapere perché i commenti non siano lavori strettamente filologici; quando si dice i dirizzoni!) - Ché un commento può appunto rivelare tali doti d'acume, di conoscenza profonda della lingua, di gusto, d'abilità didattica, quali non si possono generalmente riscontrare se non in coloro appunto che son degni di salire all'insegnamento superiore». - È una pura e semplice parafrasi di quello che dico io. Ma gli uomini appunto di cui Calò si fa paladino sogliono dichiarare lavoro di terz'ordine qualsiasi commento in genere; e, nel caso speciale, quelli dell'Ubaldi. Registro questo terzo punto di concordia, che con l'altro fondamentale, rilevato nella prefazione, cominciano a costituire un bel nucleo.



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