IntraText Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText | Cerca |
I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
CAPITOLO IV.
MEZZI D'ESPRESSIONE NEGLI ANIMALI
Emissione di suoni. ‑ Suoni vocali. ‑ Suoni prodotti da vari meccanismi. ‑ Sollevamento delle appendici cutanee, peli, piume ecc., sotto l'influenza del furore o dello spavento. ‑ Rovesciamento all'indietro delle orecchie, quale disposizione alla lotta o come segno di collera. ‑ Raddrizzamento delle orecchie ed elevazione del capo in segno di attenzione.
I due capitoli che seguono saranno consacrati alla descrizione dei movimenti espressivi che manifestano alcuni noti animali, sotto l'influenza dei diversi stati dell'animo loro; io m'atterrò a quei dettagli che mi parranno strettamente necessari per mettere in chiaro questa parte del mio argomento. E, ad evitare inutili ripetizioni, prima di passare in rivista questi vari animali in un ordine logico, fa mestieri di studiare fin d'ora certi mezzi d'espressione che sono comuni alla maggior parte fra loro.
Emissione di suoni. ‑ In un gran numero di specie animali, e particolarmente nella specie umana, gli organi vocali costituiscono un mezzo d'espressione d'incomparabile valore. Vedemmo in uno dei precedenti capitoli che, quando una intensa eccitazione agisce sopra il sensorio, i muscoli di tutto il corpo vengono energicamente contratti. Allora, per quanto muto sia d'ordinario l'animale, lascia sfuggire grida violente, e ciò anche allora che queste grida non possono riescirgli di utilità veruna. Così il lepre e il coniglio non si servono mai, ch'io mi sappia, dei loro organi vocali, se non vi sono spinti dal dolore; il lepre, ad esempio, quando, di già ferito, vien preso dal cacciatore, ed il coniglio allorchè cade fra gli artigli del furetto. I cavalli ed i buoi sopportano il dolore in silenzio; tuttavia, se oltrepassa certi limiti e diviene eccessivo, e sopratutto se s'associa al terrore, mandano spaventevoli grida. Nei Pampas, io ho spesso riconosciuto di lontano l'ultimo muggito dei tori agonizzanti presi al laccio ed ai quali si tagliavano i tendini del garretto. Si dice che i cavalli assaliti dai lupi mandino grida d'angoscia facilmente riconoscibili.
Egli è possibile che l'emissione dei suoni vocali non sia stata in principio che una involontaria ed inutile conseguenza delle contrazioni dei muscoli toracici e laringei, provocata dal dolore o dalla paura. Nullameno è un fatto che presentemente molti animali fanno uso della voce con iscopi ragionati e diversi, ed anche in alcune circostanze nelle quali sembra che l'abitudine abbia la prima parte. Gli animali che vivono in truppe e nei quali la voce costituisce un mezzo di reciproca comunicazione frequentemente impiegato, ne fanno uso in qualunque occasione, più volentieri di quelli che hanno differenti costumi. La precedente osservazione fatta da parecchi naturalisti è, io credo, perfettamente giusta. Contuttociò questa regola soffre spiccatissime eccezioni; ad esempio, nei conigli. Anche il principio dell'associazione, tanto fecondo, tanto lato nelle sue conseguenze, dovette senza alcun dubbio esercitare la sua parte di influenza. In virtù di questo principio, la voce, impiegata dapprima siccome un utile soccorso in diverse circostanze che eccitano nell'animale impressioni di piacere, di dolore, di rabbia, ecc. divenne più tardi di uso abituale, tutte le volte che queste stesse sensazioni od emozioni si sono riprodotte, sia ad un grado minore, sia in condizioni interamente diverse.
Presso un gran numero di specie, durante la stagione degli amori, i sessi si chiamano continuamente l'un l'altro; nè avviene di rado che il maschio cerchi anche di allettare o di eccitare la femmina. Pertanto sembra essere stato questo il primitivo uso della voce e l'origine del suo sviluppo, siccome ho tentato di dimostrare nella mia Origine dell'Uomo; l'impiego degli organi vocali sarebbe dunque stato sul principio associato al preludio del piacere più vivo che l'individuo sappia sentire. Gli animali che vivono in società si chiamano di sovente l'un l'altro allorchè son separati, e provano palesemente gran gioia a ritrovarsi insieme; osservate ad esempio un cavallo nel punto in cui lo rendete al compagno ch'ei richiamava nitrendo. La madre non cessa di chiamare i suoi figli che ella ha perduto; così una vacca mugghia lontana dal proprio vitello. Di riscontro i piccoli di molti animali chiamano la madre. Quando un branco di montoni è disperso, si sentono a belare continuamente le pecore per riunire gli agnelli, e puossi osservare con qual piacere si ritrovano. Guai a quell'uomo che s'avventuri in mezzo ai piccoli dei quadrupedi selvaggi di grande statura, se questi giungono a sentire un grido d'angoscia della loro progenie! Il furore mette violentemente in azione i muscoli tutti, compresi quei della voce; così veggonsi parecchi animali, sotto l'impero di questo sentimento, emettere suoni che si sforzano di rendere forti e rauchi, certo per far tremare di paura il nemico; così fa il leone co' propri ruggiti, il cane co' suoi urli, ecc. Nel tempo stesso il leone raddrizza la criniera, il cane rabbuffa il pelo del dorso; per tal modo si gonfiano ed assumono l'apparenza più formidabile che per loro si possa. I maschi rivali si sfidano, si provocano colla voce e s'impegnano ancora in lotte sanguinose, talvolta mortali. Gli è a questo modo che l'uso della voce dovette associarsi all'emozione della collera e divenire un modo generale di espressione di questo sentimento, sia qualunque la causa che possa eccitarlo. D'altra parte, abbiamo già veduto che un vivo dolore provoca pure grida violente, le quali da se stesse arrecano una specie di sollievo; è così che l'uso della voce dovette associarsi anche al dolore, di qualunque natura questo essere possa.
Perchè le varie emozioni e sensazioni provocano l'emissione di suoni estremamente diversi? Rispondere a tale questione è assai difficile. Questa regola d'altra parte è lungi dall'esser costante; nel cane, ad esempio, l'abbaiamento della collera e quel della gioia differiscono assai poco, benchè sia possibile distinguere l'uno dall'altro. Probabilmente non si darà mai una spiegazione completa alla causa o all'origine di ciascun suono particolare ad ogni stato dell'animo. Certi animali, come sappiamo, passando allo stato di domesticità, hanno assunta l'abitudine di emettere alcuni suoni, che non erano loro naturali58. Così pure i cani domestici, e talvolta ancora gli sciacalli addimesticati hanno appreso ad abbaiare; in fatti l'abbaiamento non esiste in alcuna specie del genere, se non v'ha, come dicesi, nel Canis latrans dell'America settentrionale. Si videro eziandio certe razze di colombi imparare a tubare in una maniera nuova e tutt'affatto particolare.
Nella sua interessante opera sopra la musica, Herbert Spencer59 studiò i caratteri che assume la voce umana sotto l'influenza delle varie emozioni. Egli ha chiaramente dimostrato che la voce si modifica assai, secondo le circostanze, sotto i diversi rapporti della forza e della qualità, vale a dire dell'intensità e del timbro, come anche dell'altezza e della estensione. Ascoltate un oratore od un predicatore eloquente, ascoltate un uomo che parla con collera o che esprime una viva sorpresa, e voi sarete certamente colpiti dalla verità dell'osservazione di Spencer. è curioso a vedere come l'intonazione della voce divenga espressiva fino dall'infanzia. In un mio figliuolo, quando non avea ancor compiti i due anni, io sapeva distinguere nettamente l'affermativa sfumatura colla quale ei rendeva enfatico l'assenso, dalla specie di pianto ch'esprimeva un ostinato rifiuto. H. Spencer dimostrò inoltre, che il linguaggio passionato ha intimi rapporti, sotto tutti i punti di vista da me ora indicati, colla musica vocale, e per conseguenza colla musica istrumentale; e si sforzò di spiegare le qualità rispettive che le caratterizzano con ragioni fisiologiche, cioè «con questa legge generale che ogni sentimento è uno stimolo imitatore di un'azione muscolare». Si può ammettere di certo che la voce obbedisca a questa legge; nullameno codesta spiegazione mi sembra troppo generale e troppo vaga per poter gettare molta luce sulle differenze esistenti tra il linguaggio ordinario ed il passionato od il canto; essa non ispiega che la forza maggiore di quest'ultimo.
La precedente osservazione rimane vera, qualunque sia l'opinione che si vuol adottare; tanto che le diverse qualità della voce abbiano avuta l'origine parlando sotto l'eccitazione di violenti sentimenti e siensi ulteriormente trasmesse alla musica vocale; quanto (com'è mio parere) che sul principio abbia preso sviluppo l'abitudine di emettere suoni musicali, come mezzo di seduzione, negli antichi progenitori dell'uomo, e siasi associato così alle più energiche emozioni che risentire si possano, cioè all'amore, alla rivalità, alla vittoria. è un fatto ben conosciuto che alcuni animali emettono suoni musicali: il canto degli uccelli è un esempio comune e famigliare. Cosa più rimarchevole: una scimia, un gibbone, cantò un'ottava completa di note musicali, montando e scendendo la scala per mezzi tuoni; così può dirsi di lui che «solo fra tutti gli animali mammiferi, ei canta»60. Questo fatto e l'analogia m'indussero a credere che gli antenati dell'uomo abbiano cominciato ad emettere suoni musicali, prima d'acquistare la facoltà di articolare il linguaggio, donde concludo che, allorquando la voce umana vien messa in gioco da qualche violenta emozione, essa, in virtù del principio dell'associazione, dee tendere a rivestire un carattere musicale. Negli animali, si può perfettamente comprendere che i maschi usino la voce per piacere alle femmine e che trovino pur essi diletto nei loro esercizi di musica; ma, sino al presente, è impossibile spiegare perchè producano certi suoni determinati, e donde venga la soddisfazione che ne ritraggono.
Nè havvi dubbio che l'altezza della voce stia in rapporto con certi stati dell'animo. Una persona che si lamenta pian piano d'un cattivo trattamento o d'una leggera indisposizione, parla quasi sempre con un tuono elevato. Quando un cane è un po' impaziente, manda spesso per le narici una specie di sibilo acuto, che colpisce immediatamente come fosse lamento61; ma quanto riesce difficil cosa sapere se questo suono è in vero essenzialmente gemebondo, o se solo par tale a noi, perchè l'esperienza ce n'apprese il significato! Rengger constatò62 che le scimmie (Cebus Azarae) da lui possedute al Paraguay esprimevano: lo stupore con uno strepito che stava tra il fischio ed il grugnito; la collera o l'impazienza ripetendo il loro hou-hou sovra un tono più basso, simile al grugnire; infine la paura o il dolore per mezzo di penetranti grida. D'altra parte, nella specie umana, l'angoscia del dolore è pur espressa da sordi gemiti e da acute grida. Il riso è ora alto, ora basso; così, secondo un'antica osservazione dovuta ad Haller63, nell'uomo adulto, il suono del riso partecipa dei caratteri delle vocali O ed A (pronunciate alla tedesca); nel fanciullo e nella donna al contrario, ricorda piuttosto le vocali E ed I, che, come fu dimostrato da Helmholtz, sono più alte delle precedenti; malgrado questa differenza, esso esprime bene, tanto nell'uno che nell'altro caso, la gioia od il divertimento.
Studiando la maniera con cui le emissioni vocali esprimono i sentimenti, noi siamo naturalmente condotti a ricercare la causa di ciò che in musica si chiama espressione. Intorno a questo argomento, Litchfield, che per lungo tempo occupossi di quistioni musicali, ebbe la cortesia di comunicarmi le osservazioni seguenti: «La natura dell'espressione musicale è un problema a cui si rannoda gran numero di oscure questioni, le quali, per quanto io mi sappia, costituiscono, fino al presente, altrettanti enigmi indisciolti. Tuttavia, ogni legge che conviene all'espressione delle emozioni col mezzo di suoni semplici deve, sino a un certo punto, applicarsi al modo d'espressione più sviluppato del canto, potendo essere questo considerato quale tipo primitivo di ogni musica. Una gran parte dell'effetto di un canto sull'anima dipende dal carattere dell'azione coll'aiuto della quale si producono i suoni. Nelle canzoni, ad esempio, ch'esprimono una veemente passione, l'effetto dipende spesso sopra tutto dalla viva emissione d'uno o due passi caratteristici, i quali richiedono un vigoroso esercizio della forza vocale; e s'ebbe ad osservare di sovente che un canto di questo carattere manca d'effetto, quando venga eseguito bensì da una voce d'una forza e d'una estensione sufficiente per poter dare senza sforzo questi passi caratteristici, ma fu compiuto con poca fatica. Tale è senza alcun dubbio il secreto della diminuzione di effetto che produce sì spesso la trasposizione di un canto da un tuono ad un altro. Or dunque si vede che l'effetto non dipende solo dai suoni medesimi, ma dalla natura dell'azione che li produce. Ogni volta che noi sentiamo che l'espressione d'una melodia risulta dalla rapidità e dalla lentezza del suo movimento, dalla dolcezza o dall'energia di lei, e via così, egli è evidente che noi interpretiamo realmente le azioni muscolari che producono il suono, come in generale interpretiamo l'azione muscolare. Peraltro codeste considerazioni non bastano a spiegare l'effetto più sottile e più specifico che chiamiamo espressione musicale del canto, il piacere arrecato dalla sua melodia, od anche dai suoni separati, il complesso dei quali costituisce questa melodia. Ecco un effetto indefinibile, cui nessuno, ch'io sappia, è giunto ad analizzare, e che le ingegnose speculazioni di Herbert Spencer sull'origine della musica lasciano interamente inesplicato. In fatti egli è certo che l'effetto melodioso di una serie di suoni non dipende per nulla dalla loro forza o dalla loro dolcezza, nè dalla loro altezza assoluta. Un'aria cantata resta sempre la stessa, sia che venga eseguita forte o piano, dalla voce di un uomo o da quella di un fanciullo, da un flauto o da un trombone. L'effetto puramente musicale d'un suono qualunque dipende dal posto occupato da lui in ciò che tecnicamente si chiama una scala, chè un medesimo suono produce all'orecchio effetti completamente diversi, secondo ch'ei giunge associato con una o con quest'altra serie di suoni.
«Gli è dunque da quest'associazione relativa dei suoni che dipendono tutti gli effetti essenzialmente caratteristici riassunti col motto: espressione musicale. Ma perchè certe associazioni di suoni hanno i tali o i tal altri effetti? Gli è codesto un problema non ancora risolto. A dir vero, questi effetti devono in un modo o nell'altro trovarsi in rapporto colle note relazioni aritmetiche esistenti tra i numeri delle vibrazioni dei suoni che costituiscono una scala musicale. è possibile, ma è tuttora un'ipotesi, che la facilità meccanica più o meno grande colla quale lo apparecchio vibrante della laringe umana passa da uno stato di vibrazione ad un altro, sia stata primitivamente la causa per cui le differenti serie dei suoni produssero un piacere più o meno grande.
Lasciando da banda queste complesse quistioni e non occupandoci che dei più semplici suoni, noi possiamo riconoscere almeno alcune fra le ragioni dell'associazione di certi generi di suoni con certi stati dell'animo. Un grido, ad esempio, mandato da un giovane animale o da un membro d'una società, per chiamare al soccorso, sarà naturalmente forte, prolungato ed acuto, affinchè possa essere inteso lontano. Infatti, in seguito alle dimensioni della interna cavità dell'orecchio e del potere di risonanza che ne risulta, le note elevate producono nell'uomo, siccome l'ha dimostrato Helmholtz64, una impressione particolarmente violenta. Un animale maschio che voglia piacere alla sua femmina impiegherà naturalmente i suoni che riescono graditi all'orecchio della propria specie; contuttociò ei pare che i medesimi suoni piacciano spesso ad animali assai differenti, grazie alla rassomiglianza del loro sistema nervoso; gli è ciò che constatiamo su noi stessi ascoltando con diletto il garrir degli uccelli ed anche il canto di certe ranocchie. Al contrario, i suoni destinati a spaventare un nemico, saranno naturalmente rauchi e disaggradevoli.
Se il principio dell'antitesi abbia avuto un uffizio nello sviluppo dei suoni, come forse poteva attendersi, è cosa assai dubbia. I suoni tronchi del riso, emessi dall'uomo e da parecchie specie di scimie, per palesare il piacere, sono immensamente diversi dai gridi prolungati coi quali è espresso il dolore. Il sordo grugnito di soddisfazione del porco, allorquando è ripieno, non rassomiglia per nulla allo stridulo grido ch'ei manda sotto l'influenza del dolore o dello spavento. Nel cane, al contrario, come ho già fatto notare, l'abbaiamento della collera e quello della gioia nulla hanno di opposto fra loro; ed è così in molti altri casi.
Ecco ancora un punto oscuro, se cioè i suoni prodotti sotto l'influenza di parecchi stati dell'animo, determinano la forma della bocca, o se invece sia la forma della bocca che, determinata da cause indipendenti, agisce su questi suoni e li modifica. Un bambino che piange apre largamente la bocca, il che è evidentemente necessario per la emissione di un suono voluminoso; ma nello stesso tempo l'orificio boccale prende una forma quasi quadrangolare, in seguito ad una causa affatto distinta, la quale, come vedremo più avanti, consiste nell'energico rinserrar delle palpebre e nella elevazione del labbro superiore, che n'è la conseguenza. Fino a qual punto questa forma quadrata della bocca modifica il suono espressivo del pianto? Egli è ciò che io non saprei dire; solo sappiamo, grazie ai lavori di Helmholtz e di parecchi altri osservatori, che la forma della cavità boccale e quella delle labbra determinano la natura e l'altezza dei suoni vocali che vengono prodotti.
Vedremo eziandio in uno dei seguenti capitoli, che sotto l'influenza del disprezzo e del disgusto, esiste una tendenza, d'inesplicabile causa, a soffiar per la bocca o per le narici ed a produrre così un suono analogo a puh o pish. Ch'ei v'avvenga d'esser ad un tratto arrestato od improvvisamente sbigottito, ed avrete ben tosto una disposizione a spalancare la bocca come ad eseguire una rapida e profonda inspirazione, senza dubbio perchè eravate disposto a prolungar l'esercizio che eseguivate. Durante la profonda espirazione che sussegue, la bocca si chiude leggermente e le labbra si protendono un poco, per ragioni che saranno studiate più tardi; questa forma della bocca, secondo Helmholtz, corrisponde al suono della vocale o. È certo che una calca di gente lascia in fatto sfuggire un oh prolungato, assistendo a maraviglioso spettacolo. Se il dolore si mesce alla sorpresa, producesi una tendenza a contrarre tutti i muscoli del corpo, compresi quei della faccia, e le labbra si portano indietro; ciò spiega forse perchè il suono diventa allora più elevato e prende il carattere di ah o ach. La paura, che fa tremar tutti i muscoli, produce naturalmente un tremito nella voce; questa diviene nello stesso tempo rauca, in seguito all'aridità della bocca, che arresta la funzione delle glandule salivali. Non puossi spiegare perchè il rider dell'uomo e della scimia sia un suono rapidamente troncato. Gli angoli della bocca sono allora tesi in alto e all'indietro, il che l'allunga trasversalmente; noi tenteremo più avanti di renderci ragione di questo fatto. Tuttavia la questione delle differenze dei suoni che si producono sotto l'influenza dei vari stati dell'animo è nel suo complesso oscura così, che è molto s'io l'ho potuta rischiarare d'una pallida luce, nè saprei dissimularmi il fiacco valore delle osservazioni raccolte.
|
Fig. 11 - Spine sonore della coda dell'istrice.
|
Tutti i suoni onde tenni parola fin qui dipendono dagli organi respiratorii, ma ve n'hanno certuni, il cui meccanismo è affatto diverso e che valgono eziandio come mezzi di espressione. I conigli si avvertono reciprocamente per mezzo del rumore che fanno battendo il suolo coi piedi; un uomo che sappia esattamente imitarlo, se la sera è tranquilla, può sentire i conigli a rispondergli da parecchie bande. Questi animali, e con essi molti altri ancora, battono pure la terra quando si fanno montar in collera. In questa stessa condizione d'animo, gl'istrici fanno risuonare le loro spine e scuotono strepitosamente la coda: n'ebbi a veder uno a comportarsi in tal guisa, allorchè s'introduceva nella gabbia di lui un serpente vivo. Le spine della coda sono assai diverse da quelle del corpo: corte, incavate, sottili come penne d'oca; la loro estremità è tagliata trasversalmente ed aperta e stanno appese con un lungo pedicello, delicato ed elastico. Quando l'animale scuote rapidamente la coda, le spine si urtano producendo un suono particolare e continuo. Fui testimonio di questo fatto alla presenza di Bartlett. Mi sembra possibile concepire in qual modo l'istrice, in seguito ad una modificazione delle sue punte protettrici, sia stato munito di questo apparecchio sonoro veramente singolare. Esso è infatti un animale notturno: ora se nelle tenebre ei venga a fiutare od a sentire un nemico che sia alla caccia, sarà certamente un bene prezioso per esso poter fargli capire con cui ha da fare ed avvertirlo ch'egli è armato di formidabili punte. Può così evitare un attacco. Arrogi poi ch'esso conosce così la potenza delle sue armi che, quando viene irritato, fa l'attacco a ritroso colle punte rizzate, avvegnachè alquanto inclinate all'indietro.
Moltissimi uccelli producono nella stagione degli amori suoni variati coll'aiuto di penne che offrono una speciale disposizione. La cicogna, provocata, fa sentire un rumoroso stridore col becco. Alcuni serpenti fanno uno strepito come della coda dell'istrice di confricazione o di raschiamento. Molti insetti ronzano strofinando fra loro parti specialmente modificate dell'integumento corneo che li riveste. Codesto ronzìo è in generale impiegato siccome un richiamo o quale mezzo di seduzione fra i sessi, ma serve ancora alla espressione di differenti emozioni65. Tutti coloro che studiarono le api, sanno che il loro ronzìo muta carattere quando sono irritate, il che può metterci in guardia contro il pericolo di venir punti. Alcuni autori hanno insistito così sugli organi respiratorii considerati quali mezzi speciali di espressione, ch'io credetti di dover fare queste poche osservazioni per mostrare che suoni prodotti da altri meccanismi servono pure al medesimo oggetto.
Erezione delle appendici cutanee. ‑ Forse niun altro movimento espressivo è così generale quanto la erezione involontaria dei peli, delle penne e delle altre appendici cutanee; essa è infatti comune a tre delle grandi classi di vertebrati. Tali appendici si erigono sotto l'influenza della collera o dello spavento, e più specialmente allorquando queste emozioni sono fra loro associate o si succedono. Codesta azione serve d'altra parte a dare all'animale un'apparenza più imponente e più terribile in faccia ai nemici od ai rivali; essa è generalmente accompagnata da parecchi movimenti volontari che tendono al medesimo scopo, e dall'emissione di suoni selvaggi. Bartlett, tanto perfetto conoscitore degli animali di ogni specie, non mette dubbio veruno sulla verità di questa interpretazione; ma è tutt'altra questione sapere se la proprietà di tal genere di erezione sia stata primitivamente acquistata con un fine speciale.
Comincierò dal richiamare i fatti che, in numero considerevole, dimostrano come questo fenomeno sia generale nei mammiferi, negli uccelli e nei rettili; ciò che riguarda all'uomo sarà riservato ad un ulteriore capitolo. Il sig. Sutton, intelligente guardiano del Giardino zoologico, avendo, dietro mia inchiesta, osservato con cura il chimpanzè e l'orang, constatò che il pelo di questi animali si erige ogni volta che sono bruscamente spaventati, come ad un colpo di fulmine, od irritati, per esempio aizzandoli. Ho veduto io stesso un chimpanzè in apprensione per l'insolito aspetto d'un carbonaio dal volto annerito; il suo pelo era dovunque rizzato; egli faceva piccoli movimenti in avanti, come per piombare su quest'uomo, senz'alcuna intenzione di farlo, ma, diceva il suo guardiano, nella speranza di spaventarlo. Secondo Ford66, quando il gorilla è infuriato, drizza la sua cresta di peli e la spinge in avanti; gli si dilatano le nari, il labbro inferiore si abbassa. Nello stesso tempo manda il suo urlo caratteristico, probabilmente allo scopo di mettere spavento al nemico». Nel babbuino Anubis ho visto prodursi l'orripilazione, sotto l'influenza della collera, dal collo ai lombi, ma non sovra il dorso nè sulle altre parti del corpo. Avendo un dì messo un serpente impagliato nella gabbia delle scimie, vidi il pelo rizzarsi istantaneamente sovra un gran numero d'individui appartenenti a specie diverse; la coda sovratutto era la sede del fenomeno, ed io ne feci particolarmente l'osservazione sul Cercopithecus nictitans. Brehm constatò che il Midas oedipus (che appartiene alla famiglia delle scimie americane) solleva la criniera quando viene provocato, «per darsi, aggiunge quest'osservatore, l'aspetto più spaventevole che per lui si possa»67.
Nei Carnivori, l'erezione dei peli sembra essere un carattere quasi universale; essa s'accompagna di spesso a movimenti minacciosi; l'animale mostra i denti e manda selvaggi brontolii. Ho osservato questa erezione nella Mangusta su tutto il corpo, compresa la coda. Nella iena e nel Proteles la cresta dorsale si rizza in modo notevole. Il leone in furore rizza la criniera. Tutti osservarono erigersi il pelo, nel cane, sul collo e sul dorso; nel gatto, su tutto il corpo e particolarmente sulla coda. In quest'ultima specie, pare che il solo spavento dia luogo al fenomeno in discorso; ma non, com'io potei osservare, per effetto di quell'umile timore che, ad esempio, sente un cane quando un guarda-caccia irritato gli si avvicina per infliggergli una punizione. Secondo un'osservazione ond'ebbi sovente a verificare la giustezza, la circostanza più favorevole all'orripilazione, nel cane, è questo stato intermedio fra la collera e lo spavento, nel quale ei si trova, ad esempio, quando fissa un oggetto che nelle tenebre vede solo imperfetto.
Un veterinario m'assicurò di aver visto di spesso rizzarsi il pelo nei cavalli e ne' buoi che avevano già subito delle operazioni e sui quali passava a praticarne di nuove. Avendo mostrato un serpente impagliato ad un pecarì, vidi il pelo rizzarglisi lungo la schiena in modo sorprendente: simile fatto si osserva nel verro quando è in furore. Agli Stati Uniti, un alce diè una mortale cornata ad un uomo; ei brandì dapprima le corna, belando rabbiosamente e battendo il suolo coi piedi; quindi si vide «rizzarglisi il pelo», infine si precipitò in avanti per attaccare68. Simile orripilazione si produce nelle capre, e, in base a quello che sentii riferire da Blyth, in certe antilopi delle Indie. Ho constatato lo stesso fenomeno nel velloso formichiere e nell'Aguti, fra i rosicanti. Un pipistrello femmina, che allevava i suoi piccoli entro una gabbia, «erigeva la pelle del dorso quando vi si guardava, e mordeva le dita che gli si presentavano»69.
|
Fig. 12 - Chioccia che protegge i propri pulcini contro di un cane. Dal vero di Wood. |
|
Fig. 13 - Cigno che respinge un importuno. Dal vero, di Wood.
|
Gli uccelli appartenenti a tutte le grandi specie erigono le penne quando sono irritati o sgomenti. Ciascuno ebbe a vedere due galli, fino dalla più tenera età, prepararsi a piombar addosso l'un all'altro, col collo sollevato; l'erezione di queste penne non è tuttavia per loro un mezzo di difesa, perocchè l'esperienza provò agli amatori dei combattimenti di galli che torna meglio tagliarle. Il Machetes pugnax maschio, quando si batte, rizza pure il suo collare di penne. Allorchè un cane s'avvicina ad una delle nostre chioccie seguìta da' suoi pulcini, ella stende le ali, spiega la coda, erige tutte le penne, ed assumendo l'aspetto più fiero, si precipita sull'importuno. La coda non è sempre esattamente nella posizione medesima; talvolta mostrasi eretta così, che le penne centrali quasi toccano il dorso, come nella figura 12. Un cigno irritato solleva nella stessa guisa le ali e la coda e rizza le penne; apre il becco e nuotando fa dei piccoli balzi aggressivi verso chi s'appressa di troppo alla sponda (Fig. 13). Alcuni uccelli dei tropici, quando si va a disturbarli nei loro nidi, non volano via, ma dicesi «che si contentano di rizzare le penne mandando delle grida»70. Quando ci appressiamo ad un gufo (Strix flammea), «gonfia istantaneamente le piume, stende le ali e la coda, fischia e fa crocchiare il suo becco con forza e rapidità»71. Altre specie di barbagianni fanno egualmente. Dalle informazioni fornitemi dal signor Jenner Weir, anche il falco, in simili circostanze, rizza le penne e distende le ali e la coda. Alcune specie di pappagalli erigono le piume; io ho veduto nella stessa maniera un casoario, spaventato alla vista di un formichiere. I giovani cuculi, nel nido, rizzano le piume, spalancano il becco e si mostrano più spaventevoli che per loro si possa.
Mi riferì il Weir, che certi piccoli uccelli, come alcuni fringuelli, cingallegre e capinere, quando sono irritati, erigono tutte le piume, o solamente quelle del collo, oppure stendono le ali e le penne caudali. In questo stato, si slanciano l'uno contro l'altro, col becco aperto ed in atto minaccioso. Il signor Weir, colla sua grande esperienza, conclude che l'erezione delle penne viene provocata molto più dalla collera che dal terrore. Ei cita l'esempio d'un cardellino meticcio, dall'umore irascibilissimo, che, avvicinato di troppo da un domestico, prendeva istantaneamente l'apparenza di una palla di piume erette. Ei pensa che, in tesi generale, gli uccelli, sotto l'influenza dello spavento, rinserrino strettamente tutte le penne: la diminuzione di volume che ne risulta è spesso maravigliosa. Appena rimessi dalla paura o dalla sorpresa, per primo scuotono le piume. Gli è nella quaglia ed in certi pappagalli72 che il Weir trovò gli esempi migliori di questo ravvicinamento delle penne e di tale apparente diminuzione del corpo, sotto l'azione dello spavento. Codesta abitudine si comprende in tali uccelli, perocchè essi, in faccia ad un pericolo, sono abituati a rannicchiarsi sul suolo od a starsene immobili sovra di un ramo per non essere scoperti. Sebbene negli uccelli la collera sia la principale e più comune causa dell'erezione delle penne; tuttavia è probabile che i giovani cuculi, allorchè sieno visti nel loro nido, e la gallina coi suoi pulcini, quando sia avvicinata da un cane, sentano almeno un po' di terrore. Il Tegetmeier mi dice che, nelle lotte dei galli, l'erezione delle piume della testa, sul campo di battaglia, sia riguardata da lungo tempo come un segno sicuro di codardia.
I maschi di alcuni Sauriani, quando si battono fra loro nell'epoca degli amori, dilatano il gozzo o sacco laringeo ed erigono la cresta dorsale73. Tuttavia il dott. Günther ritiene che non possano rizzare isolatamente le loro spine o scaglie.
Gli esempi citati mostrano che la erezione delle appendici cutanee, sotto la influenza della collera e dello spavento, è generale nei Vertebrati delle due prime classi, ed anche in alcuni Rettili. Il meccanismo di codesto fenomeno ci fu rivelato da un'interessante scoperta dovuta al signor Kölliker, quella dei piccoli muscoli lisci, involontari, che s'attaccano ai follicoli dei peli, delle penne, ecc., e che spesso vengono distinti col nome di muscoli arrectores pili74. Per la contrazione di questi muscoli, i peli, nello stesso tempo che sono tratti un po' fuori del loro follicolo, possono istantaneamente rizzarsi, come vediamo nel cane; e subito dopo si abbassano. Il numero di questi piccoli muscoli esistenti su tutto il corpo di un quadrupede coperto di pelo è veramente prodigioso. In certi casi, alla loro azione s'aggiunge quella delle fibre striate e volontarie del pannicolo carnoso sottogiacente: ad esempio, nell'uomo, quando gli si rizzano i capelli sul capo. Così, per la contrazione di quest'ultimo strato muscolare, anche il riccio solleva le sue spine. Inoltre, dalle ricerche di Leydig75, e di altri osservatori, risulta che da questo pannicolo ad alcuni dei peli più grandi, per esempio ai vibrissi di certi quadrupedi, si portano delle fibre striate. La contrazione degli arrectores pili non solo producesi sotto l'influenza delle emozioni ora indicate, ma eziandio per effetto del freddo. Mi ricordo d'aver osservato, nel mattino susseguente ad una gelida notte passata al sommo delle Cordigliere, che i miei muli ed i miei cani, condotti da una stazione inferiore e più calda, avevano su tutta la superficie del corpo il pelo rizzato così, come se fossero stati soggetti ad un profondo terrore. Constatiamo lo stesso fenomeno nella pelle d'oca, che in noi si produce durante il fremito che precede un accesso di febbre. Il signor Lister notò76 che anche il solletico provoca l'erezione dei peli nelle parti vicine del tegumento.
Dai precedenti fatti risulta evidente che la erezione delle appendici cutanee è un atto riflesso, indipendente dalla volontà; quando esso si produce sotto l'influenza della collera o del terrore, bisogna considerarlo, non come un'attitudine acquistata per raggiungere qualche scopo, ma come un risultato collegato, almeno in gran parte, con un'affezione del sensorio. Sotto questo riguardo, lo si può paragonare all'abbondante sudore provocato dall'intenso dolore o dallo spavento. Contuttociò è rimarchevole cosa vedere con quale facilità esso si manifesti di spesso in seguito alla più leggiera eccitazione; così rizzasi il pelo di due cani che vogliono gettarsi l'un sull'altro per gioco. D'altra parte, moltissimi esempi tratti dalle classi più varie ci dimostrarono che l'erezione dei peli o delle penne è quasi sempre accompagnata da movimenti volontari diversi: l'animale prende un'attitudine minacciosa, apre la bocca e mostra i denti; gli uccelli stendono le ali e la coda; talvolta ancora vengono articolati suoni selvaggi. Ora non si può disconoscere il fine di questi movimenti volontari; nè sembra degno di fede che l'erezione delle appendici cutanee, la quale si produce contemporaneamente e per cui l'animale si gonfia ed assume un aspetto più formidabile in faccia al nemico o al rivale, sia solo un fenomeno affatto accidentale, un inutile risultato della perturbazione del sensorio. Ei sarebbe così inverosimile come il considerare come altrettanti atti senza scopo l'erezione delle punte nel riccio, o quella delle spine nell'istrice, o meglio ancora il raddrizzamento delle penne che adornano parecchi uccelli, nell'epoca dei loro amori.
Ma qui sorge una seria difficoltà. Come mai la contrazione degli arrectores pili, muscoli lisci e involontari, ha potuto associarsi a quella di muscoli volontari per questo medesimo oggetto speciale? Se si potesse ammettere che gli arrectores furono in principio muscoli volontari e perdettero in seguito le loro strie per cessare di essere sottomessi all'impero della volontà, la questione sarebbe singolarmente semplificata. Ma, per quanto io mi sappia, nessuna prova esiste che favorisca questo modo di vedere. Tuttavia si può credere che la opposta trasformazione non avrebbe presentato difficoltà molto grandi, dal momento che negli embrioni dei più elevati animali e nelle larve di certi crostacei esistono i muscoli volontari allo stato liscio. Per giunta sappiamo, secondo Leydig77, che negli strati più profondi del derma, in certi uccelli adulti, il reticolo muscolare è in una specie di stato intermedio: le fibre non presentano che alcuni rudimenti di strie trasversali.
Ecco un'altra spiegazione che mi sembra accettabile. Possiamo supporre che in principio, sotto l'influenza della rabbia e dello spavento, gli arrectores pili sieno stati messi leggermente in azione, in una maniera diretta, dalla perturbazione del sistema nervoso, proprio come in noi nella pelle d'oca che precede un accesso febbrile. Essendosi frequentemente riprodotte le eccitazioni della rabbia e del terrore, per lungo seguito di generazioni, questo effetto diretto della perturbazione del sistema nervoso sulle appendici cutanee dovette quasi di certo aumentarsi per l'abitudine e per la tendenza della forza nervosa a passar facilmente lungo le vie che le sono abituali. Questa opinione intorno all'uffizio attribuito alla forza dell'abitudine sarà ben tosto confermata dallo studio dei fenomeni che gli alienati presentano; noi vedremo, infatti, in uno dei seguenti capitoli, che in essi l'impressionabilità del sistema peloso diventa eccessiva, in seguito alla frequenza dei loro accessi furiosi o di spavento. Per tal modo accresciuta o fortificata una volta questa proprietà dell'orripilazione, l'animale maschio dovette veder di spesso i suoi rivali in furore rizzar i peli o le penne, aumentando così il volume del corpo. È cosa probabile che allora abbia avuto pur esso il desiderio d'apparire più grande e più formidabile in faccia ai nemici, prendendo volontariamente un'attitudine minacciosa e mandando grida selvaggie: dopo un certo tempo, quest'attitudine e queste grida, per effetto dell'abitudine, divennero istintive. Così gli atti compiuti dalla contrazione dei muscoli volontari poterono combinarsi, per uno stesso fine speciale, cogli atti effettuati dai muscoli involontari. È ancora possibile che un animale soggetto ad una eccitazione, e più o meno cosciente della modificazione avvenuta nello stato del suo sistema peloso, possa agire su questo per mezzo di un esercizio attentamente e volontariamente ripetuto. Infatti non abbiamo ragione di credere che la volontà sia suscettibile di influenzare, in un'occulta maniera l'azione di certi muscoli lisci od involontari: citerò quali esempi i movimenti peristaltici dell'intestino e la contrazione della vescica. Nè ci fugga di mente la parte che la variazione e la elezione naturale han dovuto sostenere, imperocchè i maschi che seppero darsi il più terribile aspetto in faccia ai loro rivali o agli altri nemici, dovettero lasciare un numero maggiore di discendenti, eredi delle loro qualità caratteristiche, antiche o di recente acquisite.
Rigonfiamento del corpo, ed altri mezzi per mettere spavento al nemico. - Alcuni anfibi e certi rettili che non posseggono spine da rizzare, nè muscoli atti a produrre questo movimento, gonfiano il corpo, inspirando dell'aria, sotto l'influenza della paura o della collera. Gli è questo un fenomeno perfettamente conosciuto nei rospi e nelle rane. Chi non rammenta la favola di Esopo, intitolata: il Bue e la Rana, secondo cui quest'ultimo animale per invidia e vanità, si gonfiò così da scoppiarne? L'osservazione di questo fatto deve rimontare all'epoca più remota, perocchè, secondo Hensleigh Wedgwood78, la parola botta esprime, in quasi tutte le lingue d'Europa, l'abitudine di gonfiarsi. Questa particolarità fu constatata in alcune specie esotiche, al Giardino zoologico, e il dottor Günther pensa ch'essa sia generale in tutto questo gruppo. Noi, lasciandoci guidare dall'analogia, ammetteremo che il fine primitivo di tale rigonfiamento fu probabilmente quello di dare al corpo l'apparenza più imponente e più terribile in faccia d'un nemico. Nullameno un altro vantaggio, forse più importante, ne risulta ancora: quando una rana è presa da un serpente, suo principale nemico, ella si gonfia prodigiosamente, e, secondo il dottor Günther, se il serpente non è di grande statura, non riesce ad inghiottire la rana, che sfugge così al pericolo di venir divorata.
I Camaleonti ed alcuni altri Sauriani si gonfiano pure quando sono irritati. Citerò, ad esempio, il Tapaya Douglasii, specie che abita l'Oregon. Essa è lenta nei suoi movimenti; non morde, ma ha un aspetto feroce: «Allorchè quest'animale è irritato, si slancia minaccioso su qualunque oggetto che gli stia dinanzi; nello stesso tempo spalanca la bocca, soffia con forza, infine gonfia il corpo e manifesta la collera con parecchi altri segni»79.
Molte specie di serpenti si gonfiano egualmente sotto l'influenza della collera. Il Clotho arietans è particolarmente notevole sotto questo punto di vista: solo io credo, in seguito ad un'attenta osservazione su questo animale, ch'esso non agisca in tal modo allo scopo di aumentare il proprio apparente volume; ma semplicemente col fine di inspirare una considerevole quantità d'aria, che gli permette di produrre un sibilo rumoroso, acuto e prolungato. Il Cobra-de-capello, irritato, si gonfia un po' e soffia dolcemente; ma nello stesso tempo solleva la testa, e col mezzo delle lunghe coste anteriori, dilata la pelle d'ambo i lati del collo, in modo da formare una specie di disco largo e appiattito, distinto col nome di cappuccio. Allora, colla sua bocca spalancata, prende uno spaventevole aspetto. Il vantaggio che gliene deriva dev'essere evidentemente considerevole, per compensare la sensibile diminuzione che questa dilatazione fa provare alla rapidità (ancora, a dir vero, grandissima) dei suoi movimenti, quando si slancia sovra un nemico o sopra una preda; gli è come un pezzo di legno largo e sottile che non può fender l'aria al pari di un piccolo bastone cilindrico. Un serpente inoffensivo dell'India, il Tropidonotus macrophthalmus, quando è irritato, dilata il collo nella stessa maniera, ciò che di spesso lo confonde col suo compatriota, il terribile Cobra80. Forse questa rassomiglianza costituisce una salvaguardia per lui. Un'altra specie inoffensiva, il Dasypeltis dell'Africa meridionale, si gonfia, distende il collo, sibila e si slancia sull'importuno che lo molesta81. Molti altri serpenti sibilano in simili circostanze. Essi dardeggiano eziandio la lingua e l'agitano rapidamente, ciò che può ancora contribuire a dar loro un formidabile aspetto.
Oltre il sibilo, certi serpenti posseggono mezzi per produrre particolari suoni. Son già molti anni, io ho rimarcato nell'America del Sud, che quando si sturbava un Trigonocephalus velenoso, esso agitava vivamente l'estremità della coda, la quale, battendo sull'erba e sui ramoscelli secchi, produceva un vivo e rapido strepito che si facea nettamente distinguere alla distanza di sei piedi82. L'Echis carinata dell'India, specie feroce e la di cui puntura riesce mortale, produce «un suono particolare, strano, prolungato, quasi un sibilo», per un meccanismo affatto diverso, cioè strofinando «le une contro le altre le pieghe del corpo», mentre la testa si mantien quasi immobile. Le scaglie laterali, e solamente queste, sono fortemente convesse, ed il loro rilievo mediano è dentellato come una sega; allorchè l'animale avviluppato strofina le sue pieghe, questi denti raschiano fra loro83. Richiamiamo finalmente il noto esempio del serpente a sonaglio. Chi si limitò a scuotere il sonaglio può avere una giusta idea del suono prodotto dall'animale vivente. Secondo il professore Shaler, questo suono non può distinguersi da quello che produce il maschio della grande Cicala (insetto omottero) che abita lo stesso paese84. Al Giardino zoologico fui colpito dalla rassomiglianza dei suoni mandati dal serpente a sonaglio e dal Clotho arietans, allorchè si provocavano contemporaneamente; e, quantunque il romore prodotto dal Crotalo fosse più risonante e più acuto che il sibilo del Clotho, io duravo pena, stando ad alcuni metri di distanza, a distinguerli uno dall'altro. Ora, qualunque sia il significato dello strepito prodotto da una di queste specie, non posso menomamente dubitare che pur nella seconda non serva al medesimo scopo; e dai gesti minacciosi eseguiti nello stesso tempo da molti serpenti concludo che il loro sibilo, il rumore del sonaglio del Crotalo e della coda del Trigonocefalo, il rastiar delle scaglie dell'Echis e la dilatazione del cappuccio del Cobra, servono tutti al medesimo oggetto, cioè a farli apparire formidabili in faccia ai nemici85.
Si potrebbe supporre che i serpenti velenosi, come quelli da noi poc'anzi citati, che posseggono nei loro denti uno stromento di difesa tanto formidabile, non debbano essere esposti ad attacchi, e che quindi non abbiano alcun bisogno dei mezzi atti a provocare la paura nei nemici. Tuttavia non è così, e in tutti i paesi del mondo si veggono questi rettili servire pur essi di preda a un grandissimo numero di animali. È un fatto ben conosciuto che agli Stati Uniti, onde purgare i distretti infesti da serpenti a sonaglio, s'impiegano porci, i quali adempiono perfettamente quest'opera86. In Inghilterra il riccio attacca e divora la vipera. Ho sentito riferire al dottor Jerdon che nell'India molte specie di falconi ed almeno un mammifero, l'Herpestes, uccidono i Cobra ed altri serpenti velenosi87; ed avviene altrettanto nel sud dell'Africa. È dunque permesso di credere che i suoni od i segni di ogni genere, per i quali le specie velenose possono farsi immediatamente riconoscere siccome formidabili, riescano a loro almeno tanto utili quanto alle specie inoffensive, che sarebbero incapaci, ove fossero attaccate, di produrre alcun male reale.
Giacchè la storia dei serpenti m'ha di già intrattenuto in così lunghi sviluppi, non posso resistere alla tentazione di aggiungere alcune osservazioni sul meccanismo che probabilmente presiedette allo sviluppo del sonaglio del Crotalo. Parecchi animali, certi Sauriani in particolare, quando sieno provocati, ripiegano la coda o l'agitano vivamente; gli è ciò che si osserva in molte specie di serpenti88. Al Giardino zoologico vedesi una specie inoffensiva, Coronella Sayi, la quale fa girare la coda così rapidamente, che diviene quasi invisibile. Il Trigonocefalo, di cui ho già parlato, ha la stessa abitudine; l'estremità della sua coda è un poco rigonfiata. Nel Lachesis, che è sì affine al Crotalo da venir messo da Linneo nel medesimo genere, la coda, appuntita, si termina con un'unica scaglia, grande, in forma di lancetta. Ora, in seguito alle osservazioni del professore Shaler, in alcuni serpenti «la pelle si distacca più difficilmente sulla regione caudale che sulle altre parti del corpo». Supponiamo che fin d'allora, in qualche antica specie americana, la coda allargata abbia prima portata una sola grande scaglia; supponiamo che all'epoca della muta, questa scaglia non abbia potuto staccarsi e sia rimasta definitivamente fissa al corpo dell'animale; ad ogni novello periodo dello sviluppo del rettile, una nuova scaglia, più grande della precedente, si sarà formata al disopra di questa e avrà potuto del pari restar aderente. Ecco il punto di partenza dello sviluppo d'un sonaglio, l'impiego del quale sarà abituale, se la specie avea l'abitudine, come tant'altre, di agitare la coda in presenza di una provocazione. È difficile mettere in dubbio che il sonaglio non siasi in seguito sviluppato specialmente per servire da stromento sonoro; perocchè le vertebre stesse della coda provarono modificazioni nella loro forma e subirono una sinfisi. D'altra parte il fatto che alcuni apparecchi, siccome il sonaglio del Crotalo, le scaglie laterali nell'Echis, le coste cervicali nel Cobra, il corpo tutto nel Clotho, hanno potuto soffrire certe modificazioni tendenti a produrre l'apprensione e lo spavento in un nemico, non è più improbabile di quello che in un uccello, lo strano Segretario (Gypogeranus), l'economia intera si è resa specialmente adattata alla caccia ai serpenti, senza che ne risulti verun danno per lui. È assai probabile, da quel che vedemmo, che quest'uccello, quando si precipita sopra un serpente, rizzi le penne; è certo che l'Erpeste, al momento in cui piomba su un rettile, raddrizza il pelo di tutto il corpo e particolarmente quello della coda89. Si sa parimenti che alcuni istrici, quando sieno irritati o se la vista d'un serpente li spaventi, agitano rapidamente la coda, producendo così un suono particolare, che risulta dallo scontro delle loro punte tubulari. Per tal modo l'assalitore e l'assalito cercano entrambi di rendersi a vicenda spaventevoli più che per loro si possa; ciascuno d'essi possiede a questo fine mezzi speciali, i quali, cosa singolare, si rinvengono talvolta pressochè identici. Concludo: da un lato fra i serpenti gli individui privilegiati, ch'erano i più capaci di spaventare i loro nemici, sfuggirono più facilmente alla morte; d'altra parte fra questi nemici prosperarono sovratutto coloro che poteano meglio vincere le difficoltà presentate dalla caccia ai serpenti velenosi; nell'un caso e nell'altro, ed ammettendo la variabilità delle specie, risulta che le variazioni utili si sono conservate per la sopravvivenza degli individui più adatti.
Arrovesciamento delle orecchie all'indietro. - In un gran numero di animali, i movimenti delle orecchie costituiscono un mezzo espressivo di grande valore; in certe specie all'incontro, ad esempio nell'uomo, nelle scimie superiori, e in molti ruminanti, questi organi, sotto il punto di vista della espressione, non presentano utilità veruna. Bastano spesso leggiere oscillazioni per accusare nel modo più evidente differenti stati dell'animo, come tuttodì osserviamo nel cane. Ma noi qui ci occuperemo soltanto di quello speciale movimento per cui le orecchie s'arrovesciano completamente all'indietro e si applicano contro la superficie della testa. Questo movimento indica ostili disposizioni, ma solo nel caso in cui si tratti di animali che combattono a colpi di denti; e ciò si spiega in allora naturalmente colla preoccupazione che hanno questi animali, combattendo, di garantire codeste appendici sì esposte e d'impedire all'avversario di afferrarle. L'influenza dell'abitudine e dell'associazione fa loro in seguito eseguire lo stesso movimento tutte le volte che sono stizziti, anche ad un debole grado, o ch'essi vogliono, giocando, darsene l'aria. A convincersi che questa spiegazione è veramente l'espressione della realtà, basta considerare la relazione che in un gran numero di specie animali esiste fra codesta contrazione delle orecchie ed il modo di combattere.
Tutti i carnivori lottano coi denti canini, e tutti eziandio, almeno nei limiti delle osservazioni che potei fare, arrovesciano le orecchie per esprimere ostili disposizioni. Gli è ciò che ogni giorno puossi osservare negli alani, quando si battono seriamente fra loro, e nei piccoli cani, allorchè lottano per dilettarsi. Questo movimento è ben distinto dall'abbassamento delle orecchie accompagnato da un leggiero arrovesciamento all'indietro, che si nota in un cane festevole e carezzato dal padrone. Lo si può eziandio constatare nei piccoli gatti quando lottano giocando, come anche nei gatti adulti, allorchè sono realmente di un umore intrattabile (vedi più addietro la fig. 9). Lo si sa: benchè efficacemente protette fino ad un certo punto dalla posizione che prendono allora, le orecchie non escono mai sane e salve dalla battaglia, e nei vecchi gatti si veggono di spesso scorticature più o meno profonde, tracce delle loro bellicose rivalità. Nei serragli di belve, questo stesso movimento è assai manifesto nelle tigri, nei leopardi, ecc., quando s'accosciano brontolando sul pasto. La lince possiede orecchie di lunghezza notevole; se si avvicina uno di questi animali nella sua gabbia, ei le contrae con energia, in una maniera che esprime al massimo grado ostili intenzioni. Una foca, l'Otaria pusilla, che ha orecchie piccolissime, le arrovescia egualmente all'indietro quando si slancia incollerita alle gambe del suo guardiano.
Allorchè i cavalli lottano fra loro, mordono cogl'incisivi e battono colle estremità anteriori, molto più che non tirino calci colle gambe di dietro. Codeste osservazioni vennero eseguite su stalloni fuggiti; ciò d'altra parte risulta in modo evidente dalla natura delle ferite che vicendevolmente si fanno. Ciascuno conosce l'aspetto vizioso che questo arrovesciamento di orecchie dà ad un cavallo, arrovesciamento perfettamente distinto dal movimento per cui esso presta attenzione ad un rumore prodotto dietro a lui. Se un cavallo di cattivo carattere, collocato nella propria stalla, ha disposizioni a tirar calci, le sue orecchie si contraggono per abitudine, avvegnachè ei non abbia l'intenzione o il potere di mordere. Osservate all'incontro un cavallo che liberamente si slancia o che riceve una scudisciata; ei lancia vigoroso le estremità posteriori, ma in generale non arrovescia le orecchie, perocchè in quel caso non è incollerito. I Guanachi si battono ad oltranza coi denti; codeste lotte devono anche essere frequenti, perchè io ho trovato di spesso squarci profondi nella pelle di quelli che uccisi in Patagonia. I camelli fanno egualmente. Ora, in queste due specie, le orecchie si arrovesciano ancora molto all'indietro, in segno di ostilità. Ho rimarcato che i Guanachi contraggono le orecchie anche allorquando non hanno l'intenzione di mordere, ma solo di lanciare lontano la loro ripugnante saliva sull'aggressore. L'ippopotamo stesso, quando s'avanza minaccioso, colla bocca spalancata, sopra un animale della propria specie, arrovescia le sue piccole orecchie, proprio come il cavallo.
Quale contrasto tra i precedenti animali ed i buoi, i montoni, le capre, che non adoperano mai i denti per combattere e che giammai contraggono le orecchie sotto l'influenza della collera! Per quanto mansueti appaiano i montoni e le capre, i loro maschi appiccano talvolta lotte accanite. I cervi costituiscono una famiglia molto vicina ai precedenti; ed io, non sapendo che lottassero coi denti, rimasi un giorno sorpreso trovando in un racconto del maggiore Ross King i seguenti dettagli sull'alce d'America, da lui osservato al Canadà: «Quando avviene che due maschi s'incontrino, ei dice, si precipitano l'uno sull'altro con spaventoso furore, rovesciando le orecchie e ringhiando»90. Appresi dappoi dal signor Bartlett che alcune specie di cervi si battono furiosamente a colpi di denti, dimodochè il rovesciamento delle orecchie dell'alce è ancora una conferma della regola generale. Molte specie di kangurù, conservate al Giardino zoologico, combattono graffiando coi piedi davanti e tirando calci coi posteriori; non si mordono mai, nè i loro custodi li ebbero mai visti a rovesciare le orecchie, quand'erano irritati. I conigli si battono sopratutto a colpi di pedi e di artigli, ma per giunta si mordono, ed io conosco un esempio nel quale l'uno dei due strappò con un colpo di denti mezza coda dell'avversario. Al principio della lotta essi arrovesciano le orecchie, ma poi, quando si precipitano gli uni sugli altri e si battono a colpi di piedi, le mantengono ritte o le muovono vivamente in tutti i sensi.
Il signor Bartlett fu testimonio di un accanito combattimento tra un cinghiale e la femmina di lui; entrambi avevano aperta la bocca e le orecchie arrovesciate. Tuttavia ei non pare che questa attitudine sia abituale ai maiali domestici nelle loro querele. I cinghiali combattono colpendo dal basso in alto colle zanne; Bartlett non osa affermare che arrovescino le orecchie. Gli elefanti, che lottano pure colle zanne, non contraggono codeste appendici, ma al contrario le drizzano, precipitandosi gli uni sugli altri o sovra un nemico.
I rinoceronti del Giardino zoologico si battono col corno nasale, nè si vide giammai che tentassero di mordersi, se non per gioco; ed i loro custodi asseriscono che per manifestare ostili disposizioni, non arrovesciano mai le orecchie, a somiglianza dei cavalli o dei cani. Nè posso spiegarmi come sir S. Baker, narrando che un rinoceronte, ucciso da lui, aveva perdute le orecchie, aggiunga: «Ell'erano state strappate con una dentata, lottando con un altro animale della medesima specie; del resto tale mutilazione non è rara»91.
Per terminare, un cenno sulle scimie. Alcune specie, che posseggono orecchie mobili e si battono a colpi di denti, valga ad esempio il Cercopithecus ruber, quando sono irritate arrovesciano le orecchie, precisamente al pari dei cani; prendono allora un aspetto notevolmente feroce. In altre, come l'Inuus ecaudatus, nulla si osserva di simile. Altre infine - e la è codesta una singolare anomalia - allorchè si carezzano, contraggono le orecchie, mostrano i denti e fanno sentire un mugolio di soddisfazione. Osservai ciò su due o tre specie di macachi e sul Cynopithecus niger. Per certo, senz'esserne prevenuti, siccome siamo avvezzi alla fisionomia dei cani, ci riescirebbe difficile riconoscere nei precedenti caratteri l'espressione della gioia o del piacere.
Raddrizzamento delle orecchie - Su questo movimento ho poco da dire. Ogni animale che possa movere liberamente le orecchie, quand'è spaventato o guarda con attenzione un oggetto, le dirige verso quest'oggetto medesimo, allo scopo di afferrare ogni suono che provenir ne possa. Nello stesso tempo solleva generalmente la testa; tutti i suoi sensi sono allora in attenzione; alcuni animali di piccola statura si rizzano per giunta sulle zampe di dietro. Anche le specie che s'accosciano sul suolo o che fuggono immediatamente in faccia al pericolo, sul primo momento assumono in generale la precedente attitudine, allo scopo di scoprire la sorgente e la natura del periglio che le minaccia. La testa sollevata, le orecchie rizzate ed il guardo diretto in avanti dànno a qualunque animale un'espressione di profonda attenzione che non si può disconoscere.