Carlo Darwin
L'espressione dei sentimenti nell'uomo e negli animali

CAPITOLO VIII.   GIOIA - ALLEGREZZA - AMORE - SENTIMENTI AFFETTUOSI - DEVOZIONE

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CAPITOLO VIII.

 

GIOIA - ALLEGREZZA - AMORE - SENTIMENTI AFFETTUOSI - DEVOZIONE

 

Riso, prima espressione della gioia. - Idee piacevoli. - Moti e lineamenti del volto durante il riso. - Natura del suono prodotto. - Secrezione di lagrime che accompagna lo sghignazzamento. - Gradi intermedi fra lo sghignazzare e il sorridere. - Allegria. - Espressione dell'amore. - Sentimenti affettuosi. - Devozione.

 

Una vivissima gioia provoca parecchi inutili movimenti: si balla, si battono le mani, si pestano i piedi, ecc.; e nel medesimo tempo si ride fragorosamente. Ciò si vede palese nei fanciulli, i quali, giuocando, ridono quasi che di continuo. Nella giovinezza, l'allegria si manifesta pure frequente con iscoppi di risa che sono giustificati da nulla. Omero chiama il riso degli Dei «l'esuberanza della loro gioia celeste dopo il quotidiano convito». Si sorride (e vedremo che il sorriso passa grado grado al riso), si sorride quando s'incontra per via un vecchio amico; si sorride anche sotto l'influenza del più leggiero piacere, ad esempio, aspirando un soave profumo145. Laura Bridgman, cieca e sorda, non poteva certo aver imparato da altrui veruna maniera di esprimersi; or bene, allorchè, coll'aiuto di segni, le si comunicava una lettera di qualche amico, «rideva, batteva le mani e le si colorivano le guancie». In altre occasioni fu vista a pestare i piedi in segno di gioia146.

Anche gl'idioti e gl'imbecilli ci forniscono buone prove in appoggio dell'opinione, che il riso od il sorriso esprimono di prima mano la gioia o la felicità. Il dottor Crichton Browne, che volle gentilmente comunicarmi, su questo argomento come su molti altri, i risultati della sua vasta sperienza, m'apprende che negli idioti il riso è la più generale e la più frequente di tutte le espressioni. Certi idioti sono fastidiosi, irascibili, turbolenti, cattivi, od anche affatto stupidi: codesti non ridono mai. Certi altri ridono spesso del riso più sciocco. Così, nell'Asilo, un giovane idiota, privo dell'uso della parola, lamentavasi un giorno a mezzo di segni col dottor Browne, perchè un compagno gli aveva fatto male ad un occhio; «queste doglianze erano interrotte da scoppi di risa, e la faccia di lui s'illuminava di larghi sorrisi». Ci ha un'altra classe d'idioti, assai numerosa, i quali sono costantemente allegri e inoffensivi, e questi o sorridono sempre147. La loro fisonomia s'impronta sovente d'un riso stereotipo; mettendo loro davanti una vivanda qualunque, carezzandoli, mostrando ad essi dei brillanti colori, o facendo loro sentire della musica, si fanno più allegri, si rasserenano, ridono e mandano grida soffocate. Alcuni ridono più del solito, quando camminano od eseguiscono un esercizio muscolare qualunque. Secondo le osservazioni del dottor Browne, l'allegria della maggior parte di questi idioti non è menomamente associata con alcun determinato pensiero; essi provano soltanto un piacere, e l'esprimono ridendo o sorridendo. Negli imbecilli, i quali nella scala degli alienati occupano un gradino più in su, sembra che la vanità personale sia la causa più comune del riso, e, dopo questa, il piacere prodotto dall'approvazione concessa alla loro condotta.

Nell'adulto il riso viene provocato da cause ben differenti, che non nell'infante; peraltro non avviene lo stesso per il sorriso. Sotto questo riguardo, il riso ha analogia colle lagrime, che nell'adulto colano solo sotto l'influenza del dolore morale, mentre nel fanciullo sono eccitate da ogni sofferenza, fisica o no, come pure dal terrore o dalla collera. Molti autori discussero in modo curioso intorno alle cause del riso nell'adulto: ell'è codesta una quistione molto complessa. Ei pare che, nella maggior parte dei casi, la causa provocatrice del riso sia una cosa incongrua o bizzarra, la quale produca sorpresa od un sentimento più o meno spiccato di superiorità - ammesso per altro che lo spirito sia bene disposto148. Le circostanze che lo producono non devono essere di un'importante natura: così un povero diavolo, che apprende improvvisamente di aver fatto una grossa eredità, non avrà voglia di ridere, di sorridere. Se, mentre l'animo è vivamente eccitato da giocondi sentimenti, accade qualche cosa d'inatteso, se un'idea impreveduta colpisca la mente, allora, a dire del signor Herbert Spencer149, «la forza nervosa in notevole quantità, che stava per dispensarsi producendo una quantità equivalente di pensieri e di nuove emozioni, si trova improvvisamente sviata.... Bisogna che quest'eccesso si scarichi in qualche altra direzione, onde ne risulta un flusso che si precipita, per i nervi motori, fino alle diverse classi di muscoli, e provoca quel complesso di atti semi-convulsivi a cui si il nome di riso». Nell'ultimo assedio di Parigi, un corrispondente fece un'osservazione, la quale, nell'argomento che ci occupa, ha il suo valore: quando i soldati alemanni erano profondamente impressionati da una pericolosissima situazione, cui riuscivano di scampare, erano in modo speciale disposti a dare in fragorosi scoppi di risa per la più futile causa. Così pure, quando i bambini cominciano a piangere, basta talvolta una circostanza brusca e inattesa per farli passare dalle lagrime al riso; sembra che queste due manifestazioni possano in pari grado servire a sperdere l'eccesso prodotto di forza nervosa.

Qualche volta si dice che l'immaginazione è solleticata da una piacevole idea: questo solletico intellettuale presenta curiose analogie col solletico fisico. Tutti conoscono gli smodati scoppi di risa, le generali convulsioni che il solletico provoca nei fanciulli. Vedemmo che anche le scimie antropomorfe, quando vengono solleticate, specialmente nel cavo dell'ascella, mandano un suono interrotto paragonabile al ridere umano. Un giorno strisciai con un pezzo di carta la pianta del piede d'un mio figliuolino, nato da soli sette giorni; egli ritirò subito la gamba con un brusco movimento, flettendo le dita, come l'avrebbe potuto fare un fanciullo più avanzato in età. È chiaro che questi movimenti, come pure il riso provocato dal solletico, sono atti riflessi; e ciò dicasi anche della contrazione dei piccoli muscoli lisci che erigono i peli in vicinanza ad un punto della pelle solleticato150. Ma il riso prodotto da un'idea piacevole, quantunque involontario, non può tuttavia chiamarsi un atto riflesso nello stretto senso della parola. In questo caso, come nell'altro in cui il riso è cagionato dal solletico, onde quello si produca, bisogna che l'animo sia ben disposto. Così un fanciullino, solleticato da una persona sconosciuta, manda grida di spavento. Occorre eziandio che il contatto sia leggiero, e che l'idea od il fatto che deve provocare il riso, non abbia seria importanza. Le parti del corpo più sensibili al solletico sono quelle che non sopportano abitualmente il contatto di superficie straniere, ad esempio le ascelle o le parti interne delle dita; o meglio ancora quelle che soffrono il contatto di una superficie larga e uniforme, come la pianta dei piedi; peraltro la parte su cui ci appoggiamo quando siamo seduti, fa spiccata eccezione alla regola. Secondo Gratiolet151, certi nervi, in confronto di certi altri, sono molto più sensibili al solletico. Un fanciullo riesce difficilmente a solleticarsi da , o per lo meno la sensazione che ne prova è assai meno intensa. di quando è prodotta da un'altra persona. Da questo fatto sembra risulti che, onde la sensazione del solletico esista, bisogna che il contatto giunga inatteso; nella stessa maniera, se trattasi dell'animo, pare che una cosa inaspettata, un'idea repentina o bizzarra, la quale si getti traverso un corso ordinato di pensieri, costituisca un notevole elemento nelle cause del riso.

Lo strepito che accompagna il ridere è prodotto da una profonda inspirazione, seguita da una contrazione breve, interrotta, spasmodica dei muscoli toracici e specialmente del diaframma152. Gli è da ciò che deriva l'espressione: ridere da tenersi le coste. In seguito alle scosse impresse al corpo, la testa è smossa da una parte all'altra. La mascella inferiore tremola spesso dall'alto al basso; movimento quest'ultimo che notasi pure in alcune specie di babbuini, quando sono sotto l'impero di una viva gioia.

Ridendo, la bocca si apre più o meno; le commessure sono tratte assai indietro e un po' in alto; il labbro superiore si solleva leggermente. Ove meglio si osserva la trazione all'indietro delle commessure, gli è in un riso moderato o in un largo sorriso; d'altra parte l'epiteto applicato alla parola sorriso indica che la bocca si apre di molto. Nella Tavola III si veggono (fig. 1-3) delle fotografie che rappresentano il sorriso e diversi gradi del riso. La figura della fanciullina con sul capo un cappello, è del dottor Wallich: l'espressione ne è naturalissima. Le due altre sono del signor Rejlander. Il dottore Duchenne fa più volte notare153 che, sotto l'influenza di un sentimento giocondo, la bocca subisce l'azione di un muscolo solo, il gran zigomatico, il quale ne tira gli angoli in alto e all'indietro; tuttavia, a voler giudicare dal modo con cui i denti superiori si scoprono costantemente nel riso o nel largo sorriso, e riportandomi per giunta alla testimonianza delle mie sensazioni personali, non posso dubitare che alcuni dei muscoli che s'inseriscono sul labbro superiore non entrino pur leggermente in azione. Nello stesso tempo le porzioni superiore ed inferiore dei muscoli orbicolari si contraggono più o meno; e, come vedemmo parlando del pianto, esiste un'intima connessione tra questi muscoli (specie gl'inferiori) ed alcuni di quelli che confinano col labbro superiore. Su questo proposito Henle fa osservare154 che, quando un uomo chiude perfettamente un occhio, non può a meno di sollevare il labbro superiore dello stesso lato; e viceversa, se, dopo di aver collocato un dito sulla palpebra inferiore, si cerca di scoprire più che sia possibile i denti incisivi superiori, si sente, man mano che il labbro si solleva con energia, che i muscoli della palpebra entrano in contrazione. Nel disegno di Henle, riprodotto alla fig. 2, si può vedere che il muscolo malaris (H), il quale si getta nel labbro superiore, appartiene quasi integralmente alla parte inferiore dell'orbicolare.

Il dottor Duchenne pubblicò due grandi fotografie, che noi presentiamo ridotte alle figure 4 e 5 della Tavola III, e che rappresentano il volto di un vecchio: la prima, allo stato normale, impassibile, - la seconda, naturalmente sorridente. L'espressione di quest'ultima venne riconosciuta a primo aspetto da tutti che la videro. Nello stesso tempo egli diede, come esempio di un sorriso prodotto artificialmente, un'altra fotografia (fig. 6) del medesimo vecchio, cogli angoli della bocca fortemente contratti per la galvanizzazione dei muscoli gran zigomatici. Ora, è cosa evidente che codesta espressione non è naturale, perocchè, di ventiquattro persone, a cui ne feci vedere la fotografia, tre non seppero trovarvi espressione veruna, e le altre, pur riconoscendo che si trattava di qualche cosa più o meno analoga ad un sorriso, proposero gli appellativi seguenti: buffonata, riso forzato, ridere smorfioso, ridere mezzo balordo, ecc. Il dottore Duchenne attribuisce la falsità dell'espressione all'insufficiente contrazione degli orbicolari a livello delle palpebre inferiori, ed a buon diritto annette grande importanza alla contrazione di questi muscoli nell'espressione della gioia. In codesta foggia di vedere vi ha senza dubbio qualche cosa di vero, ma tuttavia a' miei occhi non esprime ancora tutta la verità. Come abbiamo già visto, la contrazione della parte inferiore degli orbicolari è sempre accompagnata da un sollevamento del labbro superiore. Così, nella figura 6, se il labbro si fosse leggermente elevato, la curvatura sarebbe riescita assai meno brusca, il solco naso-labiale avrebbe alquanto cangiato di forme, e l'insieme dell'espressione sarebbe stato, io credo, più naturale, senza calcolare ciò che vi avrebbe giovato una più energica contrazione delle palpebre inferiori. Di più, nella figura 6, il sopraccigliare è contratto così da increspare le sopracciglia; ora, a meno che non si tratti di un riso molto accentuato o violento, questo muscolo, sotto l'influenza della gioia, non agisce giammai.

Per la contrazione del gran zigomatico, dunque, le commessure si deprimono e si sollevano, ed il labbro superiore s'innalza; ne viene da ciò che anche le guancie sono tratte in su. Sotto gli occhi, e, nei vecchi, alla loro estremità esterna, si formano delle pieghe, e queste pieghe sono eminentemente caratteristiche del riso o del sorriso. Quando un individuo passa da un leggiero sorriso ad un sorriso bene distinto o ad un riso spiegato, s'ei presta attenzione alle proprie sensazioni e si guardi allo specchio, può constatare che, man mano che il labbro superiore si solleva e si contraggono gli orbicolari inferiori, le rughe che si veggono alla palpebra inferiore e all'ingiro degli occhi si fanno ognora più spiccate. Nello stesso tempo, in base ad un'osservazione da me spesse volte eseguita, le sopracciglia si abbassano leggermente, il che prova che gli orbicolari superiori entrano, come gli inferiori, in contrazione, almeno fino ad un certo grado, avvegnachè quest'ultimo fenomeno non ci sia fatto palese dalle nostre sensazioni. Chi voglia confrontare le due fotografie che rappresentano il vecchio in discorso, alla figura 4 nel suo stato ordinario, ed alla figura 5 naturalmente sorridente, s'avvedrà che in quest'ultima le sopracciglia sono alquanto abbassate. Io credo che ciò sia un effetto dei muscoli orbicolari superiori, i quali, per l'influenza di un'abitudine lungamente associata, tendono ad entrare più o meno in azione di concerto cogli orbicolari inferiori, che si contraggono quando il labbro superiore s'innalza.

La disposizione dei muscoli zigomatici a contrarsi sotto l'influenza di sentimenti giocondi è dimostrata da un fatto curioso, che mi fu comunicato dal dottore Browne, relativo ai malati colpiti dalla paralisi generale degli alienati155: «In questi malati, si constata quasi invariabilmente un certo che di ottimismo - illusioni di salute, di posizione, di grandezza - un'allegria insensata, della benevolenza, della prodigalità; d'altra parte, il primo sintomo fisico di quest'affezione consiste nel tremito delle commessure labiali e degli angoli esterni degli occhi. Gli è codesto un fatto ben dimostrato. La continua agitazione della palpebra inferiore, il tremito dei muscoli gran zigomatici sono segni patognomonici del primo periodo della paralisi generale. La fisionomia poi offre un'espressione di soddisfazione e di benevolenza. Man mano che la malattia progredisce, altri muscoli vengono alla loro volta contratti; ma fino al grado della completa imbecillità, l'espressione dominante è sempre quella di una stupida bonarietà».

Nel riso e nello spiccato sorriso, in seguito all'elevazione delle guancie e del labbro superiore, il naso sembra accorciarsi; la pelle mediana si copre di sottili rughe trasversali, e quella sui lati di crespe longitudinali od oblique. Per solito si scoprono gl'incisivi superiori; e si forma un profondissimo solco naso-labiale, che, partendo dall'ala del naso, arriva agli angoli della bocca, solco che nei vecchi spesse volte è doppio.

La soddisfazione o il diletto è caratterizzato eziandio dallo sguardo vivace e brillante, come pure dalla contrazione delle commessure e del labbro superiore e dalle pieghe che vi si accompagnano. Negli idioti microcefali stessi, che sono così digradati da non apprendere mai a parlare, gli occhi, sotto l'influenza del piacere, brillano un poco156. Nel riso violento, gli occhi sono troppo pieni di lagrime per poter brillare; invece, nel riso moderato o nel sorriso, l'umidità secreta dalle glandule lagrimali può giovare a renderli vivaci; tuttavia questa circostanza non deve avere che un'importanza secondaria, imperocchè, sotto l'influenza dell'affanno, l'occhio si scolorisce, quantunque non di rado sia contemporaneamente pieno di lagrime. La vivacità dello sguardo sembra principalmente dipendere dalla sua interna tensione157, dovuta alla contrazione dei muscoli orbicolari ed alla pressione delle guancie rialzate. Tuttavia, secondo il dottore Piderit, che studiò l'argomento più di ogni altro scrittore158, questa tensione può venire in gran parte attribuita all'ingorgo dei globi oculari prodotto dal sangue e dagli altri fluidi, che risulta dal circolo accelerato dovuto all'eccitazione del piacere. Quest'autore fa notare il contrasto esistente tra l'aspetto degli occhi d'un malato di tisi in cui il circolo è rapido, e quel degli occhi d'un individuo colpito di cholera, e nel quale quasi tutti i fluidi sono consumati. Ogni causa che rallenta la circolazione ammortisce lo sguardo. Mi ricordo d'aver visto un uomo affatto sfinito per lungo e violento esercizio in giornata caldissima; un vicino paragonava gli occhi di lui a quelli d'un merluzzo bollito.

Ma torniamo ai suoni che accompagnano il riso. Noi possiamo quasi comprendere come l'emissione di suoni d'un genere qualunque abbia dovuto naturalmente associarsi ad un giocondo stato dell'animo; infatti, una gran parte del regno animale impiega i suoni vocali od istrumentali sia come richiamo, sia come mezzo di seduzione fra i sessi. In certe riunioni tra i genitori e la loro progenie, o fra membri d'una stessa comunità questi suoni vengono usati anche come segni di gioia. Ma per quale ragione i suoni emessi dall'uomo sotto l'influenza della gioia abbiano la specialità di venire ripetuti, specialità che caratterizza il riso, non ci è dato spiegare. Tuttavia si può ammettere che, per quanto era possibile, questi suoni abbiano dovuto naturalmente rivestire una forma diversa da quella delle grida che esprimono il dolore; e giacchè nella produzione di queste, le espirazioni sono lunghe e continue, le inspirazioni brevi e interrotte, i suoni provocati dalla gioia doveano certamente avere espirazioni corte ed a scosse con ispirazioni prolungate. Infatti accade proprio così.

Ma ecco una quistione, la cui soluzione non è meno difficile: Perchè, nel riso ordinario, gli angoli della bocca si contraggono ed il labbro superiore sollevasi? La bocca non può spalancarsi; imperocchè, quando ciò avviene in un parossismo di sgangherate risa, n'esce un suono appena apprezzabile, od almeno il suono emesso cangia di tuono e sembra venire dal più profondo della gola. I muscoli che presiedono alla respirazione ed anche quelli degli arti vengono contemporaneamente messi in azione ed eseguiscono rapidi movimenti vibratorii. La mascella inferiore partecipa spesso a questi movimenti, il che impedisce alla bocca di spalancarsi. Tuttavia, siccome bisogna emettere un volume considerevole di suono, l'apertura boccale dev'essere sufficiente, ed è forse a tal uopo che si contraggono le commessure e si solleva il labbro superiore. Se ci riesce difficile spiegare la forma che prende la bocca durante il riso e che provoca la formazione di rughe sotto gli occhi, come pure lo speciale suono interrotto che l'accompagna e il tremolìo della mascella, possiamo almeno supporre che tutti questi effetti derivino da una medesima causa. Infatti, tutti caratterizzano l'espressione del piacere in diverse specie di scimie.

Dal riso sgangherato alla semplice espressione dell'allegria v'ha una gradazione non interrotta, passando per il riso moderato, il largo sorriso ed il sorriso leggiero. Quando si ride sgangheratamente, il corpo spesse volte si getta indietro e si scuote, o cade quasi in convulsioni; la respirazione è turbatissima, la testa e la faccia si riempiono di sangue, le vene si dilatano, i muscoli peri-oculari si contraggono spasmodicamente per proteggere gli occhi. Sgorgano abbondanti le lagrime; però, come ho già fatto notare, è appena possibile di riconoscere una differenza qualunque sul viso bagnato di lagrime dopo un accesso di riso e dopo un trasporto di pianto159. Gli è probabilmente per l'esatta rassomiglianza tra i movimenti convulsivi causati da sentimenti così diversi, che i malati isterici passano alternativamente dal pianto al riso violento e che ciò qualche volta si avvera anche nei bambini. Il signor Swinhoe mi dice d'aver osservato di spesso dei Cinesi, tormentati da un profondo affanno, scoppiare in accessi isterici di risa.

Desideravo conoscere se lo sghignazzamento provocasse un'abbondante effusione di lagrime nella maggior parte delle razze umane: le risposte che mi diedero in proposito i miei corrispondenti, permettono di rispondervi affermativamente. Uno degli esempi citati si riferisce a certi Indù, nei quali d'altra parte, per loro propria testimonianza, il fatto non è raro. Avviene lo stesso per i Cinesi. In una tribù selvaggia di Malesi, nei dintorni dell'isola di Malacca, si vede talvolta (benchè, a dir vero, assai raramente) che le donne, sganasciandosi dalle risa, versano lagrime. Nei Dyak di Borneo invece, almeno fra le donne, il fatto dev'essere frequente; imperocchè il Rajah C. Brooke mi riferì ch'essi di solito usano la frase: ridere fino alle lagrime. Gli aborigeni Australiesi si abbandonano senza ritegno ai loro sentimenti; al dire de' miei corrispondenti, essi saltano e battono le mani in segno di gioia, e ridendo mandano spesso veri ruggiti; secondo la testimonianza di quattro fra questi osservatori, i loro occhi in tali circostanze si umettano, e in uno dei casi citati, le lagrime colavano lungo le guancie. Il signor Bulmer, che percorse in qualità di missionario le remote regioni di Victoria, osserva che «i naturali si mostrano sensibilissimi alle buffonate; essi sono mimi eccellenti, e quando uno di loro si mette a contraffare le originalità di qualche membro assente della tribù, il campo tutto ride di spesso fino a divenirne convulso». Ci è noto che anche presso gli Europei l'imitazione è una delle cose che provocano più agevolmente il riso; or è abbastanza curioso riscontrare la stessa particolarità nei selvaggi Australiesi, che costituiscono una fra le razze meglio definite del globo.

Nell'Africa meridionale, in due tribù di Cafri, specialmente nelle donne, avviene spesse volte che nel bel mezzo del ridere gli occhi si riempiono di lagrime. Gaika, fratello del capo Sandilli, da me interpellato su questo argomento, mi risponde: «Sì, è generalmente la loro abitudine». Sir Andrew Smith vide il viso tatuato di una donna Ottentota solcato da lagrime dopo un trasporto di risa. La stessa osservazione fu fatta negli Abissini dell'Africa settentrionale. Infine il fatto fu constatato nell'America del Nord, presso una tribù notevolmente selvaggia ed isolata; in un'altra tribù lo si ebbe a notare una volta soltanto.

Come abbiamo già detto, dallo sghignazzamento, per transazioni insensibili, si passa al riso moderato. In questo, i muscoli peri-oculari si contraggono assai meno e l'increspamento dei sopraccigli è poco distinto o nullo. Fra un riso moderato ed un largo sorriso, quasi non corre differenza veruna; solamente quest'ultimo non è accompagnato da veruna emissione di suono. Tuttavia, al cominciare d'un sorriso, si ode sovente una espirazione più forte; un lieve rumore, una specie di rudimento del riso. Sopra una faccia che ride moderatamente, la contrazione dei muscoli orbicolari superiori qualche volta si manifesta anche per un leggiero abbassamento dei sopraccigli. Quella dei muscoli orbicolari inferiori e palpebrali è più visibile, ed è palesata dall'increspamento delle palpebre inferiori e dei sottostanti tegumenti, come pure da una debole elevazione del labbro superiore. Dal più largo sorriso si passa al più leggiero per una serie di gradini insensibili. Al limite estremo, i lineamenti si alterano pochissimo, molto più lentamente, e la bocca resta chiusa. Anche la curva del solco naso-labiale si modifica leggermente. Per lo che, basati sulle movenze dei lineamenti, riesce impossibile stabilire una linea qualunque di spiccata demarcazione tra il riso più violento e il più lieve sorriso160.

Si potrebbe credere perciò che il sorridere costituisca la prima fase nello sviluppo del riso. Tuttavia si può considerare la cosa sotto un altro punto di vista, probabilmente più esatto: l'abitudine di tradurre una gioconda sensazione colla emissione di suoni fragorosi e interrotti ha sul principio provocato lo stiramento degli angoli della bocca e del labbro superiore, come pure la contrazione dei muscoli orbicolari; da quel momento, mercè l'associazione e la prolungata abitudine, gli stessi muscoli devono adesso entrare leggermente in azione, quando una causa qualunque eccita in noi un sentimento che, più intenso, avrebbe cagionato il riso; da ciò risulta il sorriso.

Sia che si voglia considerare il riso come il completo sviluppo del sorriso; sia (ed è più probabile) che un debole sorriso rappresenti l'ultimo vestigio dell'abitudine profondamente inveterata per molte generazioni di manifestare la gioia col riso, noi possiamo seguire nei nostri fanciulli il graduato passaggio dal primo di questi fenomeni all'altro. Chi alleva bambini sa bene quanto è difficile di riconoscere con esattezza se certi movimenti della loro bocca esprimano qualche cosa, di riconoscere cioè, s'essi realmente sorridano. Io ho assoggettato i miei propri figliuoli ad un'attenta osservazione. L'un d'essi, trovandosi in una felice disposizione morale, sorrise all'età di quarantacinque giorni, vale a dire che gli angoli della sua bocca si stirarono e nel medesimo tempo lo sguardo di lui si fe' brillantissimo. L'indomani notai lo stesso fenomeno; ma il terzo , essendo il bambino indisposto, non v'ebbe più traccia di sorriso, fatto che rende probabile la realtà dei precedenti. Nei quindici che susseguirono, i suoi occhi splendeano in modo notevole, tutte le volte ch'ei sorrideva, ed il naso gli s'increspava trasversalmente. Questo movimento era accompagnato da una specie di piccolo belato, che forse rappresentava un riso. A cento tredici giorni, questi lievi romori che si producevano sempre durante l'espirazione, mutarono un po' di carattere; essi divennero più tronchi o interrotti, come nel singhiozzo; senza dubbio era questo il principio del riso. Ei mi parve che codesta modificazione del suono fosse collegata all'ingrandimento laterale della bocca, che avveniva man mano che il sorriso si facea più spiegato.

In un secondo fanciullo osservai un vero sorriso per la prima volta a quarantacinque giorni (ad un'età quindi poco diversa), ed in un terzo un po' prima. A sessantacinque giorni, il sorriso del fanciullo era molto più netto, molto più disteso che quello del primo alla medesima età; a questo tempo ei cominciava eziandio ad emettere suoni molto analoghi ad un vero riso. In codesto graduato sviluppo del riso noi troviamo, fino a un dato punto, qualche cosa di analogo a quel che avviene per il pianto. Ei pare che in entrambi i casi sia necessario un certo esercizio, com'è necessario per acquisire i movimenti ordinari del corpo, valgan quelli del passo. All'incontro l'abitudine di gridare, la cui utilità pel bambino è evidente, raggiunge fin dai primi giorni di vita il suo completo sviluppo.

Buon umore, allegria. - In generale, un uomo di buon umore ha la tendenza di stirare gli angoli della bocca, senza propriamente sorridere. L'eccitazione del piacere accelera il circolo; si fanno più brillanti gli occhi, più vivo il color della faccia. Il cervello, stimolato da un afflusso più copioso di sangue, reagisce sulle facoltà intellettuali; piacevoli idee corron rapide traverso la mente, ed i sentimenti affettuosi diventano meglio espansivi. Un fanciullo di circa quattr'anni, al quale si chiese che cosa significasse essere di buon umore, rispose: «Vuol dire ridere, parlare ed abbracciare». Sarebbe difficile trovare una definizione più vera e più pratica. In questa condizione morale, l'uomo sta ritto, colla testa alta, gli occhi aperti. Non v'ha alterazione dei lineamenti, non contrazione dei sopraccigli. Secondo un'osservazione di Moreau161, invece, il muscolo frontale tende a contrarsi leggermente, e questa contrazione liscia la fronte, inarca alquanto le sopracciglia e solleva le palpebre. Da ciò la frase latina exporrigere frontem, distendere le sopracciglia, che vuol dire esser allegro e contento. L'uomo di buon umore ha una fisonomia precisamente contraria a quella dell'uomo affannato. Secondo sir C. Bell, «in tutti i sentimenti di letizia le sopracciglia, le palpebre, le narici e gli angoli della bocca sono rialzati. Invece nelle sensazioni dolorose avviene tutto l'inverso». Sotto l'influenza di quest'ultima il fronte si deprime; le palpebre, le guancie, la bocca e la testa tutta si abbassano; lo sguardo è abbattuto, la fisonomia pallida e la respirazione lenta. Nella gioia il viso si allarga, nell'affanno invece si allunga. Non voglio peraltro asserire che ad acquistare queste opposte espressioni abbia avuto un uffizio il principio dell'antitesi, di concerto colle cause dirette di cui ho già parlato, e che sono abbastanza evidenti.

In tutte le razze umane, l'espressione del buon umore sembra esser la stessa, e si riconosce facilmente. Ciò risulta dalle risposte che m'inviarono i miei corrispondenti dalle varie parti dell'antico e del nuovo mondo. Ebbi alcuni dettagli intorno agl'Indù, ai Malesi ed agli abitanti della Nuova Zelanda. La vivacità dello sguardo degli Australiesi ha colpito quattro osservatori, e lo stesso fatto fu osservato negl'lndù, nei Dyak di Borneo e nei Neo-Zelandesi.

Qualche volta i selvaggi esprimono la loro soddisfazione non solamente sorridendo, ma eziandio con gesti derivati dal piacer di mangiare. Così, a dire di Petherick, il sig. Wedgwood162 racconta che, avendo esibite le sue collane ai Negri del Nilo superiore, si posero tutti a stropicciarsi il ventre. Leichhardt dice che gli Australiesi facevano scoppiettare le labbra alla vista dei suoi cavalli, dei suoi buoi e sopratutto dei suoi cani. I Groenlandesi, «quando annuiscono con piacere a qualche cosa, aspirano l'aria con un particolare rumore»163, il che può essere un'imitazione del movimento prodotto deglutendo un cibo saporito.

Per reprimere il riso si contrae energicamente il muscolo circolare della bocca, il quale s'oppone all'azione del gran zigomatico e degli altri muscoli che avrebbero per effetto di tirare le labbra in alto e all'indietro. Per giunta, il labbro inferiore è trattenuto qualche volta fra i denti, il che alla fisonomia una maliziosa espressione, come venne osservato nella cieca e sorda Laura Bridgman164. Il gran zigomatico, del resto, va soggetto ad alcune variazioni, ed io ho visto in una ragazza i depressores anguli oris contribuire potentemente alla repressione del sorriso; tuttavia, siccome le brillavano gli occhi, la contrazione di questi muscoli impartiva niente di malinconico alla fisonomia di lei.

Tante volte, per dissimulare qualche stato dell'animo, e la collera stessa, si ricorre ad un riso forzato. Alcune persone se ne servono di spesso per celare la vergogna e la timidezza. Quando increspiamo le labbra, come a prevenire un sorriso, allorchè non v'ha nulla che possa o eccitarlo o impedire che vi ci abbandoniamo liberamente, ne risulta un'espressione affettata, studiata o pedante. Egli è inutile intrattenerci su codeste espressioni ibride. Il riso di motteggio, sia desso reale o forzato, prende parte spesse volte all'espressione particolare del disdegno, che può trasformarsi in collera sprezzante o semplicemente in disprezzo. In tali circostanze, il riso od il sorriso hanno lo scopo di mostrare all'offensore ch'ei non giunge ad altro che a sollazzarci.

Amore, sentimenti affettuosi, ecc. - Avvegnachè il sentimento dell'amore, quello, ad esempio, d'una madre per il proprio figliuolo, sia uno dei più grandi che il cuore possa concepire, è pur nullameno difficile assegnargli un mezzo qualunque, proprio o speciale, di espressione; e ciò dipende perchè in generale questo sentimento non provoca atti d'una particolare e determinata natura. Egli è certo però che l'affezione, la quale è un sentimento gradito, si manifesta di solito con un debole sorriso e con una vivacità degli occhi un po' più pronunciata. Si desidera vivamente d'aver accanto la persona amata: ecco la più completa espressione dell'amore165. Gli è perciò che noi bramiamo di stringere fra le braccia le persone che amiamo teneramente. E probabilmente questo desiderio si deve all'abitudine ereditaria, associandosi agli effetti dell'allattamento e delle cure che prodighiamo ai nostri figliuoli, come pure all'influenza delle vicendevoli carezze degli amanti.

Anche negli animali si osserva che il piacere derivato dal contatto si associa all'affetto e gli giova di mezzo espressivo. È certo che i cani ed i gatti godono a strofinarsi contro i loro padroni, o a venirne stropicciati o dolcemente picchiati. I custodi del Giardino zoologico mi asserirono che molte specie di scimie amano carezzarsi fra loro, come pure di venir carezzate dalle persone per cui nutrono affetto. Il sig. Bartlett mi riferì la condotta tenuta da due chimpanzè, che avevano un'età alquanto più avanzata di quelli trasportati di solito nel nostro paese. Messi insieme per la prima volta, essi s'assisero l'uno in faccia dell'altro, misero a contatto le loro labbra molto sporte in fuori, e ciascuno di loro portò la mano sulla spalla del compagno; poscia si strinsero in un mutuo abbraccio; finalmente si alzarono, colle braccia sulle spalle, levando la testa, aprendo la bocca ed urlando di piacere.

Noi Europei ci siamo così abituati ad esprimere l'affezione col bacio, che si potrebbe supporre esser questo un segno espressivo innato nella specie umana. Tuttavia non è vero, e Steele s'ingannò quando disse: «La natura il creò, ed ei nacque col primo amore». Un abitante della Terra del Fuoco, Jemmy Button mi disse che il bacio in quel paese non si sa pur cosa sia. È sconosciuto del pari presso gl'indigeni della Nuova Zelanda e di Tahiti, presso i Papuesi, gli Australiesi, i Somalis dell'Africa e gli Esquimesi166. È tuttavia così naturale, ch'esso probabilmente deriva dal piacere prodotto a mezzo dell'intimo contatto d'una persona amata; e in certe parti del mondo è rimpiazzato da alcuni gesti che sembrano avere la medesima origine. Quei della Nuova Zelanda e della Lapponia si strofinano il naso; altrove si stropicciano o si battono amichevolmente sul braccio, sul petto o sullo epigastro; ed in altri luoghi ancora si toccano il viso colle mani o coi piedi. Anche l'abitudine di soffiare su varie parti del corpo, in segno di affetto, deriva forse dallo stesso principio167.

I sentimenti ai quali si l'appellativo di affettuosi sono difficili ad analizzarsi; e' pare che sieno composti di affezione, di gioia e specialmente di simpatia. In se stessi sono di natura gioconda, tranne però la pietà, quando oltrepassa certi limiti ed è, per esempio, sostituita dall'orrore che si prova al racconto di torture inflitte ad un uomo o ad un bruto. È da notarsi il fatto che questi sentimenti provocano assai facilmente lo spargimento di lagrime. Infatti non è raro il caso nel quale un padre ed un figlio piangano ritrovandosi dopo una lunga separazione, tanto più se l'incontro è inatteso. Fu dimostrato che una vivissima gioia tende per se stessa ad agire sopra le glandule lagrimali; ma è puranco probabile che, in circostanze simili a quelle da noi or ora accennate, passi per la mente del padre e del figlio come una vaga idea del dolore che avrebbero provato se non si fossero riveduti giammai, e questo triste pensiero attiri naturalmente il pianto. Così, al ritorno di Ulisse è detto:

. . . . . . . «Il figlio (Telemaco) allora

Del genitor s'abbandonò sul collo,

In lagrime scoppiando ed in singhiozzi.

Ambi un vivo desir sentian del pianto:

. . . . . . . . . . . . . . .

E già piangenti e sospirosi ancora

Lasciati avriali, tramontando, il Sole,

Se il figlio al padre non dicea: . . . . .»

Odissea (lib. XVI, traduz. Pindemonte).

 

E più avanti, allora che Penelope riconosce finalmente lo sposo:

 

«Poscia corse vêr lui dirittamente,

Disciogliendosi in lagrime; ed al collo

Ambe le braccia gli gittava intorno,

E baciavagli il capo e gli dicea

Libro XXIII (id.).

 

La rimembranza del luogo ove trascorremmo l'infanzia, o quella dei giorni felici da lungo tempo spariti, presentandosi viva alla nostra mente, c'inumidisce spesse volte gli occhi; qui pure interviene un doloroso pensiero, il pensiero che più non verranno quei . In tali circostanze può dirsi che abbiamo compassione di noi stessi, confrontando il presente al passato. La pietà per le disgrazie altrui chiama facilmente le lagrime agli occhi, anche ove si tratti della sfortunata eroina di qualche triste episodio, personaggio fantastico, pel quale non sapremmo nutrir affezione. Ed è pure così della simpatia che proviamo per la felicità degli altri, valga per quella d'un amante messo in scena da romanziere provetto e i voti del quale sono appagati dopo innumerevoli sforzi, dopo una serqua di ostacoli.

Pare che la simpatia costituisca un sentimento separato e distinto, atto specialmente ad agire sulle glandule lacrimali, tanto di colui che la prova, quanto di quel che la provoca. Tutti sanno come i fanciulli scoppiino facilmente in singhiozzi, allorchè si lamentano di qualche futile malanno. In seguito alle informazioni fornitemi dal dott. Crichton Browne, negli alienati malinconici basta solo una dolce parola a provocare indomabili accessi di pianto. Quando noi ci mostriamo pietosi verso un amico affannato, gli occhi ci si bagnano spesso di lagrime. Per solito il sentimento della simpatia si spiega col supporre che, vedendo o sentendo un altro a soffrire, l'idea del dolore s'impadronisce dell'animo nostro così, da far patire noi stessi. Tuttavia questa interpretazione a me non par sufficiente, perocchè non rende conto dell'intimo legame che annoda la simpatia all'affetto: egli è certo che noi simpatizziamo assai più per una persona diletta, che per un'altra che ci sia indifferente; e le prove di simpatia che ne tributa un amico ci riescono pure le meglio accette. Non è men vero, però, che si possa aver compassione delle sciagure d'un uomo cui non ci lega affetto veruno.

Vedemmo nel precedente capitolo la ragione per cui quando si soffre, si piange. Ora l'espressione naturale ed universale della gioia è il riso, e, in tutte le razze umane, lo sghignazzamento eccita la secrezione lagrimale più energicamente di ogn'altra causa, eccettuato il dolore. E' mi sembra che, se la gioia inumidisce gli occhi anche quando non c'è ombra di riso, questo fenomeno, in virtù dell'abitudine e dell'associazione, si possa proprio spiegare come abbiamo interpretato lo spargimento di lagrime sotto l'influenza dell'affanno anche allora che non avvengono grida. Tuttavia è cosa molto notevole (ed è un fatto certissimo) che i dolori altrui ci fanno sparger più lagrime che non i nostri medesimi. Chi non ha visto almeno una volta un uomo, il quale non saprebbe versare una stilla di pianto per i propri dolori, piangere a quelli d'un amico diletto? Cosa più notevole ancora: la felicità o la contentezza di coloro che amiamo teneramente provoca le nostre lagrime, mentre, se una simil ventura tocca a noi, ne resta secco il ciglio. Si potrebbe quindi supporre che se ci è dato, mercè un'inveterata abitudine, di resistere efficacemente al pianto sotto l'influenza del dolore fisico, codesta potenza repressiva non fu d'altra parte mai messa in giuoco per impedire la leggera effusione di lagrime prodotta alla vista delle disgrazie e delle sfortune altrui.

Come altrove ho cercato di dimostrare168, la musica ha un meraviglioso potere di far rinascere, in modo vago e indefinito, quelle potenti sensazioni che, nelle remote età, provarono i nostri antichi progenitori, probabilmente allorquando impiegavano i suoni vocali quale mezzo di seduzione fra i sessi. Noi sappiamo che molte delle nostre più potenti emozioni, affanno, viva gioia, amore, simpatia, agiscono sulla secrezione lagrimale; or non è a meravigliare se anche la musica può muovere al pianto, specialmente quando siamo già inteneriti da qualche sentimento pietoso. Ma la musica cagiona di spesso un altro singolare fenomeno. Si sa che le emozioni o le violente eccitazioni - estremo dolore, rabbia, terrore, gioia, passione amorosa - hanno tutte una speciale tendenza a produrre un tremito nei muscoli; ora la musica, in quelle persone che ne risentono vivamente l'impressione, induce una specie di brivido o di tremolio nella spina dorsale e nelle membra. Ei pare che fra questo fenomeno ed il tremare del corpo a cui ora accennammo corra lo stesso rapporto che si riscontra tra il leggero spargimento di lagrime prodotto dalla musica ed il pianto in seguito ad una reale e violenta sensazione.

Devozione. - Benchè la primitiva natura della devozione sia il rispetto, misto spesse volte a timore, pure essa s'avvicina fino a un dato punto all'affezione; onde avrem poco da dire sulla espressione di questo stato dell'animo. Certe sêtte, sì antiche che moderne, hanno stranamente mescolato la religione e l'amore, sostenendo perfino (gli è un fatto ben compassionevole) che il santo bacio di amore differisce appena da quello che un uomo ad una donna o una donna ad un uomo169. La divozione si esprime sopra tutto sollevando la testa al cielo e volgendo in alto gli occhi. Sir Carlo Bell fa notare che, all'approssimarsi del sonno, o d'uno svenimento, o della morte, le pupille si dirigono in alto e all'indentro; ed ei pensa che, «quando siamo assorti in devozione e non ci curiamo delle impressioni esterne, alziamo lo sguardo per un atto innato o istintivo», ciò che dev'essere attribuito alla medesima causa addotta nei casi su esposti170. Secondo il prof. Donders, è fuori di dubbio che nel sonno gli occhi si girano in alto. Quando un bambino succia il latte materno, questo movimento dei globi oculari spesse volte una stupida espressione di piacere estatico alla sua fisonomia, e in codesta circostanza si può vedere benissimo come il bimbo lotti contro una posizione che gli è naturale nel sonno. Sir Carlo Bell spiega questo fatto, supponendo che alcuni muscoli, meglio che altri, sieno sottoposti al controllo della volontà. Il prof. Donders, però, ritiene tale interpretazione inesatta. Durante le preghiere, si alzano spesse volte gli occhi, senza che l'animo vi sia così assorto, da simulare lo stato di non-coscienza che caratterizza il sonno; or dunque è probabile che le loro movenze siero puramente convenzionali, e risultino dalla volgare credenza che il Cielo, seggio della potenza divina a cui s'indirizza la prece, sia collocato al di sopra di noi.

A veder una persona in atto umile, ginocchioni, colle braccia sollevate e le mani giunte, ci sembra, per effetto di una lunga abitudine, che quella postura si adatti così ad esprimere la divozione, da poter credere un tale atteggiamento innato; eppure io non ne rinvengo alcuna traccia in varie razze umane extraeuropee. pare che i Romani, durante il classico periodo della loro istoria, avessero l'abitudine di giungere le mani pregando; e qui mi appoggio sopra una autorità competentissima. Hensleigh Wedgwood probabilmente ne diede la vera spiegazione, supponendo essere l'atteggiamento in discorso quello d'una sommissione servile171: «Quando un uomo, egli dice, s'inginocchia per pregare, solleva le braccia e congiunge le mani, ei rappresenta un captivo, che mostra l'assoluta sua sommissione porgendo le mani ai ceppi del vincitore. Si tratta proprio del dare manus latino, che vuol dire sottomettersi». Per lo che egli è probabile che gli occhi levati al cielo, le mani giunte sotto l'influenza de' sentimenti devoti, non sieno atti innati, veramente espressivi; del resto doveva essere così, perocchè è a dubitare d'assai che gli uomini non civilizzati delle antiche età sieno stati suscettibili di provare sentimenti analoghi a quelli che noi collochiamo in questa categoria.

 

 






145 HERBERT SPENCER, Essays Scientific, ecc., 1858, p. 360.



146 F. LIEBER, sui suoni vocali di L. BRIDGMAN, Smithsonian Contributions, 1851, vol. II p. 6.



147 Veggasi anche MARSHALL, Philosophical Transactions, 1864, p. 526.



148 Nell'opera del BAIN (The Emotions and the Will, 1865, p. 247) si trova una lunga e interessante discussione sulle cause del riso. La citazione, trascritta più in su, sul ridere degli Dei è tratta da quest'Opera. - Veggasi anche MANDEVILLE, The Fable of the Bees, vol. II, p. 168.



149 The Physiology of Laughter. Essays, seconda serie, 1863, p. 114.



150 LISTER, Quarterly Journal of Microscopical Science, 1853, vol. I, p. 266.



151 De la Physionomie, p. 186.



152 Sir C. BELL (Anat. of Expressions; p. 147) fa alcune osservazioni sul movimento del diaframma durante il riso.



153 Mécanisme de la Physionomie humaine. Album, leggenda VI.



154 Handbuch der, System. Anat. des Menschen,1858, vol. I, p. 144. - Veggasi la mia fig. 2, H.



155 Si veggano anche le osservazioni del dott. J. CRICHTON BROWNE, relative allo stesso argomento, nel Journal of Mental Science, aprile 1871, p. 149.



156 C. VOGT, Mémoire sur les Microcéphales, 1867, p. 21.



157 Sir C. BELL, Anatomy of Expression, p. 133.



158 Mimik und Physiognomik, 1867, p. 63-67.



159 Veggansi le osservazioni di sir J. REYNOLDS (Discourses, XII, p. 100). «Egli è curioso, ei dice, osservare come gli estremi delle passioni s'esprimano, salvo leggerissime differenze, coi medesimi atti». Ad esempio, egli cita il piacere frenetico d'una Baccante ed il dolore d'una Maria Maddalena.



160 Il dott. PIDERIT giunse alle medesime conclusioni, ibid., p. 99.



161 La Physionomie, di G. LAVATER, edizione del 1820, vol. IV, p. 224. - Per la citazione seguente veggasi anche sir C. BELL, Anatomy of Expression, p. 172.



162 Dictionary of English Etymology, seconda ediz., 1872. Introduzione, p. XLIV.



163 CRANTZ, citato da TYLOR, Primitive culture, 1871, vol. I, p. 169.



164 F. LIEBER, Smithsonian Contributions, 1851, vol. II, p. 7.



165 Il signor BAIN fa notare (Mental and Moral Science, 1868, p. 239) che «la tenerezza è un gradito sentimento, derivato da varie cause, e che ha per effetto di spingere gli uomini ad abbracciarsi a vicenda».



166 In sir J. LUBBOCK (Prehistoric Times, seconda ediz., 1869, p. 552) si trovano le ragioni che giustificano queste asserzioni. La citazione di Steele è tolta da quest'Opera.



167 Veggasi uno studio completo di tale quistione, con ogni spiegazione, in E. B. TYLOR, Researches into the Early History of Mankind, seconda ediz., 1870, p. 51.



168 Origine dell'Uomo, trad. italiana di M. LESSONA, pag. 532.



169 Veggasi lo studio di questo fatto in Body and Mind, del dott. MAUDSLEY, 1870, p. 85.



170 The Anatomy of Expression, p. 103, e Philosophical Transactions, 1823, p. 182.



171 The Origin of Language, 1866, pag. 146. - TYLOR (Early History of Mankind, seconda ediz., 1870, p. 48) attribuisce un'origine più complessa alla posizione delle mani durante la preghiera.



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