Carlo Darwin
L'espressione dei sentimenti nell'uomo e negli animali

CAPITOLO XI.   DISISTIMA - DISPREZZO - DISGUSTO - ORGOGLIO, ECC. - IMPOTENZA - PAZIENZA - AFFERMAZIONE E NEGAZIONE

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CAPITOLO XI.

 

DISISTIMA - DISPREZZO - DISGUSTO - ORGOGLIO, ECC. - IMPOTENZA - PAZIENZA - AFFERMAZIONE E NEGAZIONE

 

Disprezzo, alterigia e disistima; diversità nella loro espressione. - Sorriso sarcastico. - Gesti che esprimono il disprezzo. - Disgusto. - Colpevolezza, astuzia, orgoglio, ecc. - Rassegnazione, debolezza o impotenza. - Pazienza. - Ostinazione. - Stringimento delle spalle, gesto comune a quasi tutte le razze umane. - Segni di affermazione e di negazione.

 

L'alterigia e la disistima non differenziano dal disprezzo che per una maggiore irritazione. si possono perfettamente distinguere dai sentimenti studiati nel precedente capitolo sotto il nome di sogghigno e d'aria di sfida. Il disgusto è una impressione di natura un po' meglio definita, provocata prima da una impressione che ripugna al senso del gusto, e poi da tutto quello che può dar luogo ad una simile impressione, col mezzo dell'odorato, del tatto e puranco della vista. Checchè ne sia, corre poca differenza tra il disgusto e lo sprezzo spinto al massimo grado, che talvolta prende il nome di ripulsione. Queste diverse condizioni dell'animo sono dunque molto affini, ed ognuna di esse può manifestarsi nelle più varie maniere. Gli autori si sono principalmente dilungati su questo e su quel mezzo espressivo che loro si conviene, ed il signor Lemoine se ne fece sgabello204 per sostenere che le loro descrizioni avevano nulla di fondato. Ma noi vedremo come sia naturale che i sentimenti in discorso possano esprimersi in molte maniere diverse, imperocchè, in virtù del principio dell'associazione, atti consuetudinari diversi sono egualmente adatti a manifestarli.

L'alterigia e la disistima, al pari del sogghigno e dell'aria di sfida, possono esprimersi scoprendo leggermente il dente canino da una parte sola, e questo movimento par che degeneri in una specie di sorriso. Altre volte il motteggio si palesa con un sorriso o con un vero riso, ed è quando l'offensore è tanto meschino da risvegliare in noi solamente allegria, la quale per altro non è mai propriamente gioia. Gaika, rispondendo alle mie domande, nota che d'ordinario i Cafri, suoi compatrioti, esprimono il disprezzo sorridendo; il principe indiano Brooke fa la medesima osservazione riguardo ai Dyak di Borneo. Siccome la primitiva espressione della gioia propriamente detta è il riso; così io non credo che i bambini giovanissimi ridano mai in segno di burla.

Il parziale abbassamento delle palpebre, come l'afferma il signor Duchenne205, od anche l'azione di distogliere gli occhi ed il corpo tutto, esprimono pure con molta esattezza lo sdegno. Sembra che questi atti dicano che la persona sprezzata è indegna d'un guardo o che la sua vista ci spiace. La qui annessa fotografia (Tavola V, fig. 1), fatta dal signor Rejlander, mostra questa specie di sdegno. Essa rappresenta una ragazza mentre sta lacerando la fotografia di un amante da lei disprezzato.

La più comune maniera di manifestare il disprezzo consiste in certi movimenti delle regioni nasale e boccale; questi ultimi, peraltro, quando sono molto pronunciati, esprimono il disgusto. Qualche volta il naso si rialza alquanto, il che certamente proviene dal sollevarsi del labbro superiore; tal altra il movimento si riduce ad un semplice increspamento della pelle del naso. Spesso le narici vengono debolmente contratte, come per restringere il loro orificio206, e contemporaneamente si determina una breve espirazione nasale. E questi medesimi atti avvengono pure quando si percepisce uno sgradevole odore, che desideriamo evitare o di cui vogliamo sbarazzarci. Secondo il dottore Piderit207, in quei casi nei quali questi fenomeni raggiungono il massimo grado, si sporgono e si sollevano ambe le labbra, o il superiore soltanto, in modo da chiudere le narici con una specie di valvola, e contemporaneamente si rialza il naso. Ei pare che noi vogliamo così far intendere all'individuo sprezzato che la sua vicinanza ci appesta208, quasi nella stessa maniera con cui gli significhiamo ch'egli è indegno di attirare il nostro sguardo, quando chiudiamo a mezzo gli occhi o distogliamo il capo. Non è a credere però che tali raziocinii ci traversino la mente proprio nel punto in cui manifestiamo il nostro disprezzo. Tutte le volte in cui fummo esposti a sentire o a vedere un oggetto sgradevole, si compirono atti di questo genere, i quali perciò divennero abituali, si resero fissi, ed ora rinnovansi sotto l'impero di ogni analogo stato dell'animo.

Anche altri piccoli gesti singolari esprimono il disprezzo: citerò quello che consiste nel far chioccare le dita. Secondo l'osservazione del signor Tylor209: «non è molto facile comprendere questo atto, tal quale abitualmente si osserva; ma bisogna riflettere che questo stesso movimento, eseguito con ogni delicatezza, come se si trattasse di rotolare fra l'indice e il pollice qualche oggetto minuto, o di lanciarlo lontano colle medesime dita, costituisce pei sordo-muti un gesto comunissimo e perfettamente compreso, che vuol indicare qualche cosa di piccolo, di insignificante, di spregevole; sembra quindi che noi abbiamo semplicemente esagerato e reso convenzionale un atto del tutto naturale, al punto da perdere affatto di vista il suo primitivo significato. Una curiosa menzione di questo gesto si rinviene in Strabone». Il signor Washington Matthews m'apprende che gl'Indiani Dakota, dell'America settentrionale, esprimono il disprezzo non solo con movimenti della faccia, ma eziandio «avvicinando dapprima al petto la mano chiusa, poi stendendo bruscamente l'avambraccio, aprendo la mano e scostando l'uno dall'altro le dita. Che se l'individuo che provoca questo disprezzo è presente, la mano si porta verso di lui, mentre qualche volta se ne distoglie il capo». Questa maniera di lanciare vivamente le braccia aprendo la mano indica forse l'idea di lasciar cadere o di respingere qualche oggetto senza valore.

La parola disgusto, nel più stretto significato, si applica ad ogni sensazione che offende il senso del gusto. È curioso vedere come questo sentimento venga provocato facilmente da tutto quello che si scosta dalle nostre abitudini, sia nell'aspetto, nell'odore o nella natura del cibo. Alla Terra del Fuoco, un indigeno, avendo toccato col dito un pezzo di carne fredda conservata ch'io stavo per mangiare al bivacco, manifestò il massimo disgusto sentendone la pastosità; mentre io dal mio canto provai un vivo disgusto al vedere che un selvaggio portava le mani sul mio nutrimento, quantunque non mi sembrassero sporche. Una barba imbrattata di broda ci riesce stomachevole, sebbene la broda in se stessa abbia nulla di disgustoso. Io credo che questo fenomeno risulti dalla potente associazione ch'esiste nell'animo nostro tra la vista del cibo in qualunque circostanza e l'idea di mangiare questo cibo.

Giacchè la sensazione di disgusto deriva primitivamente dall'atto di mangiare o di gustare, è naturale che la sua espressione sarà principalmente determinata da movimenti della bocca. Ma siccome il disgusto provoca anche della contrarietà, così questi movimenti sono di solito accompagnati dall'aggrottamento dei sopraccigli, e spesse volte da gesti destinati a respingere l'oggetto che lo determina od a schermirsi dal suo contatto. Nelle due fotografie rappresentate alla Tavola V (fig. 2 e 3), il signor Rejlander ha tentato, con qualche successo, di riprodurre questa espressione. Sul volto, il disgusto, quando è moderato, si manifesta in diverse maniere: si spalanca la bocca, come per gettar fuori il boccone che ha offeso il senso del gusto, si sputa, si soffia sporgendo le labbra; e si produce una specie di rastiamento della gola. Questo suono gutturale può esprimersi con ah o euh. La sua emissione è talvolta accompagnata da un brivido, mentre le braccia si stringono al petto e le spalle sollevansi, come nell'espressione dell'orrore210. Un sommo disgusto vien espresso con movimenti boccali simili a quelli che precedono il vomito. La bocca si spalanca affatto, il labbro superiore si contrae energicamente, le porzioni laterali del naso s'increspano, il labbro inferiore s'abbassa e s'arrovescia quanto è possibile. Quest'ultimo movimento esige la contrazione dei muscoli che tirano in basso gli angoli della bocca211.

È notevole la facilità con cui certe persone, solo all'idea di prendere un cibo inusato, di mangiare, per esempio, la carne d'un animale che non si adopera per consueto alimento, soffrono immediatamente nausee o vomiti, anche quando questo cibo nulla contiene che possa produrre alterazione allo stomaco. Quando il vomito risulta, come atto riflesso, da qualche causa materiale, un disordine, l'ingerimento d'una vivanda guasta, d'un emetico, non si produce sul punto, ma di solito avviene dopo un notevole intervallo di tempo. E per ispiegare come la nausea od anche il vomito possano immediatamente succedere alla semplice percezione d'una idea, è lecito supporre che i nostri antichi progenitori abbiano dovuto possedere, al pari dei ruminanti e di parecchi altri animali, la facoltà di rigurgitare volontariamente il nutrimento che tornava loro d'incomodo. Al d'oggi questa facoltà non è più sottomessa all'azione della volontà, ma, per effetto d'una inveterata abitudine, si riproduce involontariamente tutte le volte in cui lo spirito si ribella all'idea di prendere questo o quel cibo, o più in generale tutte le volte ch'esso si trova dinanzi a qualche oggetto che inspira disgusto. Tale opinione è confermata da un fatto attestatomi dal signor Sutton: le scimie del Giardino zoologico, benchè affatto sane, vomitano spesso, proprio come se questo atto dipendesse dalla loro volontà. Si comprende d'altra parte che, potendo l'uomo insegnare, per mezzo del linguaggio, ai suoi figli ed ai propri simili da quali cibi si debba astenersi, poche sarebbero le occasioni da mettere a profitto questa facoltà di volontaria espulsione; quindi ne viene ch'essa dovette disparire man mano per non-uso.

Il senso dell'odorato sta in intimo nesso con quello del gusto. Non di rado si vede che in certe persone un odore molto cattivo, al pari dell'idea d'un cibo ributtante, provoca nausea e vomito, e che per conseguenza un odore moderatamente sgradevole suscita le diverse manifestazioni che esprimono il disgusto. In sul principio la disposizione alla nausea provocata da un fetido odore si aumenta in modo curioso; ma poi disparisce, perchè se n'è presa l'abitudine, ed anche perchè la volontà vi esercita un'influenza repressiva. Io mi ricordo, per esempio, d'aver voluto un giorno apparecchiare uno scheletro d'uccello, non ancora macerato a sufficienza; l'odore ch'esso spandeva provocò al mio assistente ed a me stesso, molto poco abituati a tali operazioni, una nausea tanto violenta, che fummo obbligati a lasciar . Nei giorni avanti avevo esaminato alcuni altri scheletri, il loro leggiero odore m'avea punto impressionato; ma da quel momento, per parecchi non mi fu possibile maneggiare quei medesimi scheletri senza sentirmi subito sconvolto lo stomaco.

Dalle informazioni avute dai miei corrispondenti, sembra che i diversi movimenti descritti come espressivi del disprezzo e del disgusto sieno identici in una gran parte del mondo. Il dottor Rothrock, ad esempio, risponde proprio affermativamente alle mie domande su questo argomento, per quanto riguarda alcune tribù indiane selvaggie dell'America del Nord. Crantz racconta che, quando un Groenlandese rifiuta qualche cosa con disprezzo o con orrore, alza il naso e ne fa uscire un debole suono. Il signor Scott m'inviò una pittoresca descrizione della fisonomia d'un giovane Indù, al vedere dell'olio di castoro che gli si voleva far trangugiare212. Il sig. Scott ha pure osservata la stessa espressione sul volto di indigeni d'una classe elevata, quando si avvicinavano a qualche sucido oggetto. Il Bridges dice che i naturali della Terra del Fuoco «esprimono il disprezzo sporgendo la labbra, fischiando e rialzando il naso». Molti fra i miei corrispondenti notano la tendenza a soffiar per il naso, o ad emettere un suono più o meno analogo ad euh od ah.

Sembra che il disprezzo o il disgusto si esprimano quasi dovunque coll'atto di sputare, il quale rappresenta evidentemente l'espulsione dalla bocca di qualche oggetto ributtante. Shakspeare fa dire al duca di Norfolk: «Io gli sputo addosso: ei non è che un infame e miserabile calunniatore». In altro luogo, Falstaff dice: «Hal, se in quel che ti dico c'è l'ombra d'una menzogna, sputami in faccia». Leichhardt fa osservare che gli Australiesi «probabilmente per esprimere il loro disgusto, interrompevano i discorsi, sputando ed emettendo un suono somigliante a puh! puh!» Il capitano Burton parla di certi negri che «sputavano in terra con disgusto»213. Il capitano Speedy mi notifica che lo stesso fatto si osserva negli Abissini. Secondo il signor Geach, nei Malesi di Malacca, il disgusto «si esprime sputando»; e, a dire del sig. Bridges, presso gl'indigeni della Terra del Fuoco, «il segno più caratteristico del disprezzo per un individuo consiste nello sputargli addosso».

Non ho mai osservato l'espressione del disgusto tanto significante come in un mio figliuoletto di cinque mesi, quando per la prima volta gli si pose in bocca un po' d'acqua fredda, e un mese dopo, un pezzetto di ciliegia matura. Le labbra e la bocca tutta assunsero una forma che doveva far colare il contenuto o lasciarlo immediatamente cascare; nello stesso tempo la lingua si portava in avanti. Codesti movimenti erano accompagnati da un leggiero fremito. Ed ella era cosa tanto più comica, in quanto che io dubito che il bambino provasse in fatto del disgusto, perocchè gli occhi esprimevano ad un alto grado sorpresa e riflessione. Lo sporger della lingua per lasciar cadere dalla bocca un oggetto ripugnante può spiegare perchè dappertutto si avanzi la lingua in segno di sprezzo e di odio214.

Così, per quanto vedemmo, lo sdegno, il disprezzo e il disgusto sono espressi in molte maniere, da speciali movenze dei lineamenti e da parecchi gesti; gesti e movenze comuni a tutte le parti del mondo. Consistono tutti in atti che rappresentano l'espulsione o il rigettamento di qualche oggetto materiale che ci repugnerebbe, senza però eccitare in noi verun'altra energica emozione, quali sarieno la rabbia o il terrore; in virtù della forza dell'abitudine e dell'associazione, codesti atti sono eseguiti tutte le volte in cui nell'animo nostro avvengono sensazioni di simil genere.

Gelosia, Invidia, Avarizia, Rancore, Sospetto, Perfidia, Astuzia, Colpevolezza, Vanità, Ambizione, Orgoglio, Umiltà, ecc. - La maggior parte dei sentimenti ora citati non hanno, a dir vero, una determinata espressione, abbastanza distinta da poter essere descritta o delineata. Quando Shakspeare disse: l'Invidia dallo scarno volto, la nera o la pallida Invidia, - la Gelosia, mostro dagli occhi verdi; - quando Spencer applicò al Sospetto gli epiteti di sporco, deforme, arcigno, l'uno e l'altro degli autori dovettero certo conoscere questa difficoltà. Tuttavia codesti sentimenti, almeno la maggior parte, possono dedursi dallo sguardo; ma in molti casi noi ci lasciamo guidare anzitutto, e ben più di quello che nol pensiamo, dall'anteriore conoscenza delle persone o delle circostanze.

Possiamo noi riconoscere nelle diverse razze umane l'espressione della colpevolezza e dell'astuzia? Quasi tutti i miei corrispondenti rispondono affermativamente a questa domanda; ed io ritengo tanto più degne di fede le loro asserzioni, inquantochè in generale concordano nel dire che la gelosia, per converso, non si manifesta con alcun segno visibile. Allorchè le osservazioni sono date con qualche dettaglio, si tratta quasi sempre degli occhi. L'uomo colpevole evita lo sguardo del proprio accusatore, ed egli stesso lancia occhiate furtive. Gli occhi sono diretti «obliquamente», o meglio, «vagano da una parte all'altra», o, per dir meglio ancora, «le palpebre sono abbassate e semichiuse». Quest'ultima osservazione fu fatta dal signor Hagenauer su certi Australiesi, e da Gaika su Cafri. Come vedremo trattando della vergogna, il moversi incessante degli occhi risulta probabilmente dal fatto che l'uomo colpevole non può sopportare lo sguardo del suo accusatore. Io posso aggiungere d'aver osservata l'espressione della colpevolezza, senza ombra di paura, in alcuni dei miei figliuoli di un'età assai precoce. Una volta, per esempio, ho visto questa espressione spiccatissima in un fanciullo di due anni e sette mesi, e fu per essa che riuscii a scoprire il piccolo fallo di lui. Esaminando le mie note di quell'epoca, trovo che la si manifestava con un insolito risplendere degli occhi e con uno strano ed affettato atteggiamento che torna vano descrivere.

Quanto all'astuzia, ritengo che essa pure sia espressa principalmente da movenze degli occhi o dei tegumenti che vi stanno vicini; infatti questi movimenti, a paragone di quelli del corpo, sono meno sottomessi al controllo della volontà, mercè l'influenza della lunga abitudine. «Quando noi desideriamo, dice il signor Herbert Spencer215, di guadagnare qualche cosa in una data parte del campo visuale, senza darlo a divedere, cerchiamo di impedire l'inclinazione della testa che potrebbe tradirci, e di eseguire il necessario movimento solo cogli occhi, i quali devono quindi assumere una direzione laterale molto spiccata. Anche, quando giriamo a destra e a sinistra gli occhi, senza che la faccia ne accompagni le movenze, la nostra fisionomia assume l'espressione dell'astuzia».

Fra tutti i complessi sentimenti su accennati, l'orgoglio è forse quello che si esprime nella più decisa maniera. Un orgoglioso palesa il proprio sentimento di superiorità sugli altri raddrizzando la testa ed il corpo tutto. Egli è borioso, e vuol apparire più grande che sia possibile; metaforicamente anche si dice ch'è pieno o gonfio d'orgoglio. Un pavone od un tacchino, che colle piume spiegate incede pomposo, è considerato talvolta come l'emblema dell'orgoglio216. L'uomo arrogante squadra gli altri dall'alto, e, colle palpebre abbassate, gli degna appena d'uno sguardo; oppure palesa il suo disprezzo con leggieri movimenti delle narici o delle labbra, analoghi a quelli descritti più in su. Anche il muscolo che arrovescia il labbro inferiore. ricevette il nome di musculus superbus. Su alcune fotografie di uomini affetti della monomanìa della superbia e che io devo al dottor Crichton Browne, si veggono la testa ed il corpo irrigiditi e strettamente chiusa la bocca. Io credo che quest'ultimo gesto, ch'esprime la decisione, risulti dall'assoluta fiducia in se stesso che l'orgoglio possiede. Il complesso della espressione dell'orgoglio è perfettamente in antitesi con quella dell'umiltà; e qui non è necessario di intrattenerci più oltre su quest'ultimo stato dell'animo.

Rassegnazione, Impotenza, Stringimento di spalle. - Spesse volte, allorchè un uomo vuol esprimere che non può far una cosa, o impedirne un'altra, rialza, con un rapido movimento, le spalle. Nello stesso tempo, per compiere la posa, tenendo le braccia piegate, porta i gomiti in dentro; alza le mani aperte e le gira all'infuori, staccando l'un dall'altro le dita. Di spesso la testa si reclina alquanto da un lato; le sopracciglia si sollevano, onde ne vengono alcune rughe trasversali sul fronte, e per solito s'apre anche la bocca. Queste varie movenze sono affatto incoscienti; ei m'accadde non di rado di rialzare volontariamente le spalle per osservare la posizione delle braccia, senza pure pensare che le mie sopracciglia si alzassero ed aprissi nello stesso tempo la bocca. Sol me n'avvidi quando ricorsi allo specchio, e da quel punto osservai questi movimenti medesimi sul volto altrui. Nella Tavola VI, fig. 3 e 4, il signor Rejlander ha felicemente riprodotto il gesto del sollevare le spalle.

Gl'Inglesi sono meno espressivi di molte altre nazioni europee, ed essi rialzano le spalle molto più di raro e con meno energia, che no 'l facciano i Francesi o gl'Italiani. D'altra parte, questo gesto varia dal complesso movimento su esposto fino ad una elevazione rapida e quasi impercettibile delle due spalle, oppure (come ebbi agio di osservare in una signora seduta sur una poltroncina) sino ad un semplice e leggerissimo moto all'infuori delle mani aperte colle dita disgiunte. Non vidi mai i fanciulli inglesi assai giovani alzar le spalle. Tuttavia il caso che segue fu accuratamente notato da un professore di medicina, abile osservatore, che me lo volle comunicare. Il padre del gentiluomo in quistione era parigino; scozzese la madre. Sua moglie discendeva da genitori inglesi; ed il mio corrispondente ritiene ch'ella in tutta la vita non abbia mai alzate le spalle. I suoi figli furono allevati in Inghilterra, e la nutrice è un'Inglese puro sangue, cui nessuno vide giammai a sollevare le spalle. Ora, si osservò questo gesto nella sua figlia primogenita, tra sedici e diciotto mesi; onde la madre ebbe a sclamare: «Guardate mo' questa piccola Francese, che solleva le spalle!» In sul principio l'atto si ripetè di frequente; nello stesso tempo la fanciulla rovesciava talvolta la testa alquanto all'indietro e da un lato; ma non s'ebbe mai a vedere ch'ella movesse i gomiti e le mani nel modo ordinario. Grado grado quest'abitudine disparve; e la ragazzina, che oggi conta più di quattr'anni, l'ha completamente perduta. Il padre alzava qualche volta le spalle, in ispecie quando discuteva con taluno; ma è molto improbabile che la sua figliuoletta, ad un'etàprecoce, operasse per imitazione, poichè ella ben di rado avea potuto vederlo a fare quel gesto. Per giunta, se fosse stata veramente l'imitazione a farle acquistare quell'abitudine, ben difficilmente la fanciulla l'avrebbe spontaneamente perduta, mentre il padre continuava a vivere in famiglia. Dal canto mio, posso aggiungere che codesta bambina riproduce in maniera molto strana i lineamenti del nonno. Presenta pure con lui un'altra curiosa rassomiglianza, che consiste in un ticchio comune: quando desidera qualche cosa con impazienza, gira in fuori la sua manina e batte rapidamente il pollice contro l'indice e il medio. In analoghe circostanze suo nonno eseguiva spesse volte il medesimo gesto.

Anche la seconda figliuola dello stesso gentiluomo, fino all'età di otto mesi, alzava le spalle, ma poscia ne lasciò l'abitudine. Può essere che questa abbia imitata la sorella primogenita; per altro ella continuò anche dopo che l'altra aveva cessato. Rassomigliava meno all'avo parigino che non la sorella alla medesima età; ma presentemente gli si assomiglia molto. A manifestare la propria impazienza, usa pur essa di battere il pollice contro due delle altre dita.

In questo fatto noi troviamo un buon esempio della trasmissione ereditaria d'un ghiribizzo o d'un gesto, simile a quelli offerti in uno dei precedenti capitoli; imperocchè nessuno, io credo, vorrà attribuire ad una semplice coincidenza la comunanza di un'abitudine così particolare ad un nonno e a due nipoti di lui, che non l'aveano mai visto.

Se si considerano tutte le circostanze della precedente osservazione, bisogna assolutamente ammettere che queste fanciulle abbiano ereditata l'abitudine di rialzare le spalle dai loro parenti francesi, quantunque avessero nelle vene solo un quarto di sangue francese, ed il gesto non fosse molto frequente nel nonno. Certamente codesto fatto è interessante; non però molto straordinario, chè in molte specie di animali, i piccoli conservano per un tempo più o meno lungo certi caratteri, i quali più tardi spariscono.

Mi pareva assai poco probabile che un gesto tanto complesso com'è quello del sollevare le spalle cogli svariati movimenti che l'accompagnano, potesse essere innato. Onde mi pungeva vaghezza di conoscere se lo eseguisse Laura Bridgman, che, cieca e sorda, non poteva certo averlo appreso per via d'imitazione. E, col mezzo del dottor Innes, seppi da una donna, la quale aveva recentemente prestate le sue cure a questa infelice, ch'essa alzava le spalle, girava i gomiti in dentro, e sollevava le sopracciglia, come tutti lo fanno, e nelle circostanze medesime. Bramavo eziandio d'imparare se quest'atto esistesse nelle diverse razze umane, e particolarmente in quelle che non ebbero mai relazione cogli Europei. E vedremo che è proprio così; solamente, ei pare che si riduca talvolta ad una semplice elevazione delle spalle, senza essere accompagnata dagli altri movimenti su esposti.

A Calcutta, il signor Scott constatò di frequente l'atto di alzare le spalle nei Bengalesi e nei Dangar (questi ultimi appartengono ad una razza distinta), che sono impiegati al Giardino botanico; quando, per esempio, dichiaravano che era loro impossibile di eseguire qualche lavoro, di sollevare qualche peso troppo grave. Un giorno diede l'ordine ad un Bengalese di arrampicarsi sovra un alto albero; questi, alzando le spalle e piegando bruscamente la testa da un lato, rispose che non n'era capace; e siccome il signor Scott, persuaso che codesta era una menzogna inspirata dalla pigrizia, insisteva affinchè si provasse, il viso del Bengalese impallidì, le braccia gli caddero penzoloni, la bocca e gli occhi si spalancarono, misurando tutta l'altezza dell'albero, gettò una torva occhiata al signor Scott, alzò le spalle, rovesciò i gomiti, stese aperte le mani, fece alcuni piccoli movimenti laterali della testa, e dichiarò che non poteva obbedire. Il signor H. Erskine osservò che anche gli indigeni Indiani alzavano le spalle, ma non li vide giammai a girare in dentro i gomiti in una maniera così spiccata come avviene da noi; essi, quando eseguiscono quest'atto, applicano qualche volta le mani sul petto, senza incrociarle.

Il signor Geach notò spesso il gesto in questione presso i Malesi selvaggi dell'interno di Malacca e presso i Bugi, che sono veri Malesi, benchè parlino una lingua diversa. Io credo poi che lo eseguiscano completamente, perchè nella sua risposta alle mie domande ed alle mie descrizioni sui movimenti delle spalle, delle braccia, delle mani e del viso, il signor Geach constata che tali movenze «si compiono in maniera notevole». Ho smarrito un estratto di un viaggio scientifico, nel quale il sollevamento delle spalle era perfettamente descritto in relazione a certi indigeni (Micronesiani) dell'Arcipelago della Carolina, nell'Oceano Pacifico. Il capitano Speedy mi apprende che gli Abissini alzano le spalle, ma non entra in altri dettagli. La signora Asa Gray vide in Alessandria un dragomanno arabo comportarsi proprio secondo la descrizione da me fatta nelle mie inchieste, nel momento in cui un vecchio gentiluomo ricusò di camminare nella precisa direzione che gli era stata indicata.

Il signor Washington Matthews, parlando delle tribù indiane selvaggie delle regioni occidentali degli Stati Uniti, mi scrive: «In alcune rare occasioni ho riscontrato degli uomini che in segno d'impotenza mostravano un leggero sollevamento delle spalle, ma nulla ho giammai constatato che risponda al resto della vostra descrizione». Fritz Müller mi riferisce di aver visto nel Brasile i negri ad alzare le spalle; ma può essere che abbiano appreso questo gesto imitando i Portoghesi. La signora Barber osservò nulla di simile nei Cafri del Sud dell'Africa; Gaika, a giudicare dalla sua risposta, non ha pure compreso ciò che esprimesse la mia descrizione. Il signor Swinhoe è incerto riguardo ai Cinesi; peraltro, in quelle circostanze per le quali noi avremmo alzate le spalle, ei li vide premere al fianco il gomito destro, sollevare le sopracciglia, portare in alto le mani girando la palma verso l'interlocutore, e scuoterla da destra a sinistra. Infine, relativamente agli Australiesi, quattro de' miei corrispondenti mi rispondono con una semplice negazione, ed un solo affermando, senz'altro. Il signor Bunnett, al quale si offersero occasioni molto propizie di osservazioni sui confini della colonia di Victoria, risponde così: «Sì», aggiungendo peraltro che l'atto in questione si eseguisce «in una maniera più indecisa e meno espressiva che non nelle nazioni civilizzate». Circostanza codesta, la quale forse spiega perchè quattro de' miei corrispondenti non l'abbiano saputo trovare.

I precedenti documenti, relativi agli Europei, agli Indù, alle tribù selvaggie dell'India, ai Malesi, ai Micronesiani, agli Abissini, agli Arabi, ai Negri, agli Indiani dell'America settentrionale, e probabilmente agli Australiesi - razze di cui la maggior parte non ebbe quasi relazione veruna cogli Europei, - questi documenti, dico, bastano a dimostrare che il sollevamento delle spalle, accompagnato in certi casi da altre speciali movenze, è un gesto naturale alla specie umana.

Questo gesto esprime la costatazione di un fatto che noi non abbiamo voluto, che non abbiamo potuto evitare, od anche della nostra impotenza a compiere una data azione o ad impedire un'altra persona di eseguirla. E contemporaneamente si dice quel che segue o qualche cosa di simile: «Non ce n'ho colpa; - mi è impossibile di accordare questo favore; - ch'ei segua pure la sua via: io nol posso arrestare». Il sollevamento delle spalle esprime pure la pazienza, o la nessuna idea di resistere. Gli è perciò che i muscoli che sollevano le spalle si chiamano talvolta, come mi ha detto un artista, «muscoli della pazienza». L'ebreo Shylock dice:

 

«O mio signor Antonio, molto e spesso

Voi m'avete in Rialto vilipeso,

Pel mio danar, per l'interessi miei,

Paziente fui, mi strinsi nelle spalle».

Il mercante di Venezia (atto I, scena terza).

 

Sir Carlo Bell pubblicò217 una figura di stupenda naturalezza, ove vedesi un uomo che rincula davanti a qualche terribile pericolo e sta per gridar di terrore. Le spalle si sollevano fin quasi alle orecchie, il che dinota senz'altro la nessuna idea di resistere.

Se in generale l'alzare delle spalle vuol dire: «Non posso far questo o quello», con una leggiera modificazione significa: «Io non voglio farlo». Il movimento indica allora una ferma determinazione di non operare. Olmsted218 racconta che un indiano del Texas alzò vigorosamente le spalle sentendo che una truppa d'uomini era composta di Tedeschi e non d'Americani, volendo dire così ch'egli nulla avrebbe a fare con essi. In un fanciullo malcreato e caparbio possiamo vedere ambe le spalle vivamente rialzate; ma questo gesto non è associato alle altre movenze che di solito accompagnano il vero sollevamento. Un romanziere, abilissimo osservatore219, descrivendo un giovane deciso a non cedere ai desiderii del padre, dice: «Jack cacciò con forza le mani nelle saccoccie, ed alzò le spalle fino alle orecchie, modo bellissimo per indicare che, a torto od a ragione, egli sarebbe inflessibile al pari di una rupe, e che tornerebbe vana ogni rimostranza in proposito». Appena il figliuolo ottenne il voler suo, «ritornò colle spalle alla posizione naturale».

Qualche volta la rassegnazione si esprime collocando sulla parte inferiore del corpo le mani aperte, una sopra l'altra. Io non avrei creduto necessario di notare questo gesto poco importante, se il dottor W. Ogle non mi avesse detto di averlo osservato due o tre volte su certi malati ch'ei si accingeva ad anestetizzare col cloroformio prima di operare su loro. Mostravano poca paura; e con quella posizione delle mani, pareva dicessero che avevano tranquillo lo spirito e che erano rassegnati a subire ciò che non potevano evitare.

Ora chiediamoci perchè, in tutte le parti del mondo, l'uomo che sente di non potere o di non voler fare una cosa, o di non opporsi ad una cosa fatta da un altro - sia ch'ei voglia manifestare questo sentimento o no - alza le spalle, piega i gomiti in dentro, presenta il palmo della mano, disgiunge le dita, inclina sovente la testa alquanto da un lato, solleva le sopracciglia ed apre la bocca. Fra questi stati dell'animo, gli uni sono semplicemente passivi, gli altri al contrario esprimono una determinazione di non operare. Nessuno dei movimenti su esposti porta il ben che minimo giovamento. Non v'ha dubbio: la spiegazione si deve cercare nel principio dell'antitesi incosciente. Ei sembra che qui tale principio entri in giuoco in una maniera tanto evidente come nel caso di un cane, il quale, ringhioso, assume la posa conveniente ad attaccare e a darsi l'aspetto più formidabile, e, sottomesso ed affettuoso, imprime a tutto il suo corpo un atteggiamento affatto diverso, benchè questo non gli riesca di veruna utilità. Osservate come un uomo adirato, cui punge vivamente un'offesa e la rigetta, erge la testa, quadra le spalle e solleva il petto. Spesse volte stringe i pugni, e contraendo i muscoli tutti, prende con un braccio o con amendue la posizione richiesta per assalire o difendersi. Aggrotta le sopracciglia, cioè le contrae e le abbassa, e, preso un partito, stringe le labbra. I gesti e l'atteggiamento di un uomo impotente e rassegnato sono, sotto ogni punto di vista, rigorosamente inversi. Nella Tavola VI, una delle figure del lato sinistro par che dica: «Che pretendete voi insultandomi?» - mentre una di quelle che stanno a man destra sembra dire: «Io proprio non poteva impedirlo». L'uomo impotente contrae, senza averne coscienza, i muscoli del fronte, antagonisti a quelli che determinano l'aggrottamento dei sopraccigli, e così li rialza; nel medesimo tempo si rilasciano i muscoli attorno alla bocca, onde la mascella inferiore s'abbassa. L'antitesi è completa sotto ogni riguardo, non solo nelle movenze dei lineamenti, ma eziandio nella posizione delle braccia e nell'atteggiamento di tutto il corpo: lo si può osservare nella Tavola qui annessa. Siccome l'uomo che non ha più speranza od è impotente desidera spesse volte di palesare lo stato dell'animo suo, così in tali casi ei si comporta in maniera manifesta od espressiva.

Vedemmo che lo sdegno o l'aggressione non si esprimono in tutti gl'individui di tutte le razze coll'allontanamento dei gomiti e collo stringere dei pugni; così pure, in varie parti del mondo, si osserva che l'uomo sconfortato o impotente palesa questi suoi sentimenti alzando semplicemente le spalle, senza aprire le mani e senza girare i gomiti in dentro. L'uomo, o il fanciullo ostinato o rassegnato a qualche grave sciagura, non pensa giammai di opporre viva resistenza; egli mostra lo stato dell'animo suo solamente tenendo sollevate le spalle e incrocicchiando talora le braccia sul petto.

Segni di affermazione o di approvazione, di negazione o di biasimo; atti di piegare e di scuotere la testa. - Ero curioso di sapere fino a qual punto i segni, che noi usiamo di solito per indicare l'affermazione e la negazione, si riscontrassero nelle varie parti del mondo. Fino ad un certo grado, questi segni esprimono i nostri sentimenti: dinanzi ai nostri figliuoli, quando vogliamo approvare la loro condotta, pieghiamo, sorridendo, il capo dall'alto al basso; biasimandola, invece, lo crolliamo da un lato a quell'altro. Nel bambino, il primo atto di rifiuto consiste nel ricusare il nutrimento che gli viene offerto; ora, io osservai ben molte volte sui miei propri figliuoli, ch'essi lo eseguivano allontanando lateralmente la testa dalla mammella o da qualunque cibo che fosse loro presentato in un cucchiaio. Quando all'incontro gradiscono il nutrimento e lo ricevono in bocca, piegano il capo in avanti. Dopo aver fatte codeste osservazioni, seppi che Charma aveva avuto la medesima idea220. È notevole il fatto che, accettando o prendendo il cibo, si determina unicamente un movimento in avanti, e che l'affermazione si esprime pur essa con una semplice inclinazione del capo. Per converso, il fanciullo che rifiuta l'alimento offertogli, specialmente quando s'insiste, spesso rimuove la testa da una parte all'altra: il gesto preciso che facciamo anche noi quando neghiamo. avviene di raro che si esprima il rifiuto ripiegando la testa all'indietro, o, ancora, chiudendo ermeticamente la bocca; per lo che questi movimenti possono servire come segni di negazione. Su tale argomento, il signor Wedgwood fa osservare che «l'azione degli organi vocali, quando i denti o le labbra sono stretti, produce il suono delle lettere n od m. Questo fatto può spiegare l'uso della particella non per indicare il diniego, e forse anche quello del μή greco, adoperato al medesimo scopo»221.

Questi segni, almeno negli Anglo-Sassoni, sono innati o istintivi; se non altro, ciò pare quasi dimostrato dall'esempio della cieca e sorda Laura Bridgman, «la quale accompagna costantemente il suo colla ordinaria inclinazione affermativa del capo, ed il no con quel ripetuto movimento della testa, che in noi caratterizza la negazione». Se il signor Lieber non avesse dimostrato il contrario222, io, considerando la prodigiosa esattezza ond'ella apprezzava col tatto le movenze altrui, avrei creduto che avesse potuto acquistare questi gesti od apprenderli. Come si sa, gli idioti microcefali sono così degradati, che non imparano mai a parlare; ora, Vogt racconta223 che uno di loro, interrogato se volesse ancora mangiare o bere, rispondeva inchinando la testa o crollandola. Nella sua dotta dissertazione sulla educazione dei sordo-muti e dei fanciulli quasi idioti, Schmalz asserisce che gli uni e gli altri possono sempre comprendere ed eseguire i segni ordinari di affermazione e di negazione224.

Se ora passiamo a considerare le varie razze umane, riconosciamo che questi modi non sono così universalmente impiegati, come avremmo potuto credere; nullameno essi hanno un'estensione troppo generale, perchè sia lecito di considerarli come affatto convenzionali o artificiali. I miei corrispondenti asseriscono che i due gesti in questione sono in uso presso i Malesi, gl'indigeni di Ceylan, i Cinesi e i Negri della costa di Guinea; Gaika li ebbe ad osservare nei Cafri del sud dell'Africa; peraltro la signora Barber non riuscì mai a vedere che quest'ultimo popolo adoperasse, per negare, il ripetuto movimento laterale del capo. Quanto agli Australiesi, sette osservatori concordano a dire ch'eglino usano della inclinazione per affermare; cinque di loro sono pure d'accordo in riguardo al movimento di negazione, sia questo accompagnato o no dalla parola; ma il sig. Dyson Lacy non ha mai notato quest'ultimo segno a Queensland, e il signor Bulmer dice che a Gipp's Land, la negazione si esprime rovesciando leggermente la testa all'indietro e traendo la lingua. All'estremità settentrionale del continente, vicino allo stretto di Torres, gl'indigeni, «articolando una negazione, non crollano mai la testa, ma levano la mano destra e l'agitano facendola girare due o tre volte in circolo»225. Sembra che i Greci moderni e i Turchi esprimano la negazione rovesciando il capo all'indietro e facendo chioccare la lingua; e che i Turchi, affermando, eseguiscano un movimento simile a quello che noi facciamo quando crolliamo la testa226. Il capitano Speedy m'informa che gli Abissini manifestano la negazione piegando il capo sulla spalla destra, e facendo, a bocca chiusa, lievemente scoppiettare la lingua; ed esprimono l'affermazione rovesciando indietro la testa e sollevando rapidamente le sopracciglia. I Tagali di Luzon, nell'Arcipelago delle Filippine, secondo quello che ho inteso dire al dottore Alfonso Meyer, rovesciano parimenti il capo, alloraquando affermano. Sulla testimonianza del principe indiano Brooke, i Dyak di Borneo esprimono l'affermazione rialzando le sopracciglia, e la negazione contraendole lievemente, guardando in una maniera particolare. Il professore Asa Gray e sua moglie dicono che gli Arabi del Nilo impiegano di rado l'inclinazione affermativa, e mai il movimento laterale di negazione, del quale non comprendono nemmanco il significato. Negli Eschimesi227, il viene espresso da un'inclinazione del capo, ed il no con un ammiccamento. Gl'indigeni della Nuova Zelanda «in segno di assenso, levano, in luogo di abbassarli, la testa ed il mento»228.

In base agli studi fatti da parecchi Europei e da alcuni osservatori indigeni sovra gl'Indù, il sig. H. Erskine conclude che in questi i segni affermativi e negativi vanno soggetti a variazioni. Talvolta sono identici ai nostri; ma più d'ordinario la negazione si esprime rovesciando bruscamente la testa all'indietro e alquanto di fianco, e facendo chioccare la lingua; io so proprio indovinare il significato di tale scoppiettio, che del resto fu osservato in diverse nazioni. Un osservatore indigeno pretende che l'affermazione spesse volte si esprima portando a sinistra la testa. Il sig. Scott, che io avevo pregato di rivolgere la sua speciale attenzione su questo argomento, dopo numerose osservazioni, crede che gl'indigeni, per affermare, non impieghino ordinariamente una inclinazione verticale, ma dapprima rovescino il capo a destra o a sinistra, e poi lo pieghino obliquamente in avanti una sola volta. Un osservatore meno preciso avrebbe forse descritta questa movenza come una semplice scossa laterale. Il sig. Scott stabilisce eziandio che nell'atto negativo il capo di solito è mantenuto quasi ritto e scosso più volte di seguito.

Il sig. Bridges m'informa che i naturali della Terra del Fuoco, affermando, piegano al pari di noi il capo dall'alto al basso, e negando, lo crollano da destra a sinistra. Secondo il sig. Washington Matthews, gl'Indiani selvaggi dell'America settentrionale appresero questi due movimenti dagli Europei; perocchè allo stato naturale non li posseggono. Essi esprimono l'affermazione «tenendo, toltone l'indice, tutte le dita piegate, e descrivendo colla mano una linea curva in basso ed in fuori a partire dal corpo; e la negazione portando all'infuori la mano aperta, col palmo rivolto in dentro». A dire di altri osservatori, il segno dell'affermazione presso gl'Indiani consiste nell'alzare il dito indice, per poi abbassarlo verso il suolo, od anche nel dondolare davanti al viso la mano, tenendola verticale; i segno della negazione, invece, consiste nello scuotere il dito o tutta la mano da destra a sinistra229. Quest'ultimo moto supplisce e rappresenta probabilmente il nostro movimento laterale del capo. Si dice che anche gl'Italiani, per indicare il diniego, alzino il dito e lo crollino; moto, del resto, che qualche volta si osserva pur negli Inglesi.

Somma fatta, noi constatiamo una notevole diversità nei segni dell'affermazione e della negazione, secondo le differenti razze umane. Tuttavia, per quanto concerne all'atto negativo, se noi supponiamo che le scosse impresse da destra a sinistra al dito o alla mano simboleggino il movimento laterale del capo, e se ammettiamo che questa brusca movenza della testa rappresenti pur ella uno degli atti spesso compiti dal bambino che rifiuta di mangiare, dobbiamo ammettere una grande uniformità in tutto il mondo nella espressione del diniego, e nello stesso tempo possiamo comprendere quale sia l'origine di questa espressione. Gli Arabi, gli Eschimesi, alcune tribù dell'Australia ed i Dyak ci presentano le più spiccate eccezioni. Questi ultimi, negando, corrugano le sopracciglia: atto che in noi si associa di spesso al movimento laterale del capo.

Quanto all'inclinazione della testa come segno affermativo, le eccezioni un po' più numerose si riscontrano in certi Indù, nei Turchi, negli Abissini, nei Dyak, nei Tagal e negli abitanti della Nuova Zelanda. Qualche volta l'affermazione si esprime sollevando le sopracciglia; quando un uomo guarda l'individuo a cui s'indirizza, sporge la testa in avanti ed in basso, ed è quindi costretto a rialzare le sopracciglia, il che può avere determinato questo novello segno espressivo. Così pure, presso i naturali della Nuova Zelanda, l'alzare del mento e del capo in segno affermativo, rappresenta forse, sotto una forma abbreviata, il movimento regressivo della testa, dopo che venne inclinata in basso ed in avanti.

 

 






204 De la Physionomie et de la Parole, 1865, p. 89.



205 Physionomie humaine. Album, leggenda VIII, p. 35. - GRATIOLET (De la Phys., 1865, p. 52) parla anche dell'atto che consiste nel distorre gli occhi ed il corpo.



206 Il dott. W. OGLE, in una interessante Memoria sul senso dell'odorato (Medico-Chirurgical Transactions, Vol. LIII, p. 268), dimostra che, volendo gustare un profumo, non immettiamo l'aria per il naso profondamente, ma con piccole inspirazioni, rapide e ripetute. Se «durante questo tempo si osservano le narici, si vedrà che, ben lungi dal dilatarsi, si contraggono a ciascuna aspirazione. La contrazione poi non si estende a tutta l'apertura delle narici, ma solamente alla porzione posteriore». Poscia quest'autore spiega la causa di tal movimento. - All'incontro, quando vogliamo evitare un odore, la contrazione, mi pare, non interessa che la parte anteriore.



207 Mimik und Physiognomik, p. 84-93. - GRATIOLET (ibid., p. 155) è quasi d'accordo col dottor Piderit relativamente all'espressione del disprezzo e del disgusto.



208 L'alterigia implica una dose considerevole di spregio; e secondo il sig. WEDGWOOD (Dict. of English Etymology, vol. III, p. 125), una delle radici della parola alterigia (scorn) significa lordura o fango. Una persona che si tratta con alterigia è tenuta qual fango.



209 Early History of Mankind, seconda ediz., 1870, p. 45.



210 Veggasi, su questo fenomeno, HENSLEIGH WEDGWOOD, Dictionary of English Etymology, introduzione, seconda ediz., 1872, p. xxxvii.



211 Il dottore Duchenne crede che nel rovesciamento del labbro inferiore, le commessure sieno abbassate dai depressores anguli oris. HENLE al contrario ritiene che quest'ufficio sia disimpegnato dal quadrato del mento (Handbuch d. Anat. des Menschen, 1858, vol. I, p. 151).



212 Citato da TYLOR, Primitive culture, 1871, p. 169.



213 Queste due citazioni sono riprodotte dal signor il. WEDGWOOD, On the Origin of Language, 1866, p. 75.



214 Questo fatto è asserito dal sig. TYLOR (Early History of Mankind, seconda ediz., 1870, p. 52); egli poi aggiunge: «L'origine di questo movimento non è chiara».



215 Principles of Psychology, seconda ediz., 1872, p. 552.



216 GRATIOLET (De la Phys., p. 351) fa questa osservazione, ed offre alcune buone note sulla espressione dell'orgoglio. - Veggasi sir C. BELL (Anatomy of Expression, p. 111) a proposito dell'azione del musculus superbus.



217 Anatomy of Expression, p. 166.



218 Journey through Texas, p. 352.



219 Madama OLIPHANT, The Brownlows, vol. II, p. 206.



220 Essai sur le Langage, seconda ediz., 1846. Devo i miei ringraziamenti a miss Wedgwood, che m'ha dato questo ragguaglio, insieme ad un'analisi dell'opera in questione.



221 On the Origin of Language, 1866, p. 91.



222 On the vocal Sounds of L. Bridgman. Smithsonian Contributions, 1851, vol. II, p. 11.



223 Mémoire sur le Microcéphales, 1867, p. 27.



224 Citato da TYLOR, Early history of Mankind, seconda ediz., 1870, p. 38.



225 J. B. JUKES, Letters and Extracts, ecc., 1871, p. 248.



226 F. LIEBER, On the Vocal Sounds, ecc., p. 11. - TYLOR, ibid., p. 53.



227 Dott. KING, Edinburgh Phil. Journal, 1845, p. 313.



228 TYLOR, Early History of Mankind, seconda ediz., 1870, p. 53.



229 LUBBOCK, The Origin of Civilization, 1870, p. 277. - TYLOR, ibid., p. 38. - LIEBER (ibid., p. 11) fa alcune osservazioni sui segni negativi degl'Italiani.



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