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CAPITOLO XII.
SORPRESA - STUPORE - PAURA - ORRORE
Sorpresa, stupore. - Sopracciglia rialzate. - Bocca aperta. - Labbra sporte. - Gesti che accompagnano la sorpresa. - Ammirazione. - Paura. - Terrore. - Erezione dei capelli. - Contrazione del muscolo pellicciaio. - Dilatazione delle pupille. - Orrore. - Conclusione.
Allorchè l'attenzione viene provocata improvvisamente e vivamente, ella si trasforma in sorpresa; questa conduce allo stupore, donde poscia si passa allo sbalordimento ed allo spavento. Codest'ultimo stato dell'animo è molto analogo al terrore. L'attenzione, il vedemmo di già, è palesata da una leggiera elevazione di sopracciglia; mentre nella sorpresa, queste si rialzano assai più energicamente, e gli occhi e la bocca spalancansi. E tale sollevamento delle sopracciglia, necessario perchè gli occhi possano aprirsi largamente e rapidamente, determina la formazione di strie trasversali sul fronte. Il grado a cui s'aprono gli occhi e la bocca corrisponde all'intensità della sorpresa provata; d'altra parte questi due movimenti deggiono eseguirsi con atto simultaneo: di fatti, come l'ha dimostrato il dottore Duchenne in una sua fotografia, tenendo la bocca spalancata e le sopracciglia leggermente rialzate, si esprime proprio niente230. Spesse volte, invece, si finge la sorpresa semplicemente sollevando le sopracciglia.
Una delle fotografie del dottor Duchenne rappresenta un vecchio, nel quale, per la galvanizzazione del muscolo frontale, le sopracciglia sono rialzate e ad arco, mentre la bocca è mantenuta volontariamente aperta. La sorpresa vi è espressa con toccante verità. Io la mostrai a ventiquattro persone, senza dir loro una parola in proposito: una sola non seppe dirne il significato. Un'altra la chiamò terrore, parola non molto lontana dal vero; alcune, ai motti: sorpresa o stupore, aggiunsero gli appellativi seguenti: orribile, desolato, triste o disgustoso.
Gli occhi e la bocca spalancati costituiscono una espressione universalmente riconosciuta come quella della sorpresa o dello stupore. Shakespeare dice: «Vidi un fabbro, ritto, colla bocca aperta, che divorava avidamente le storie d'un sarto» (Re Giovanni, atto IV, scena II). Ed altrove: «Si guardavano reciprocamente, e i loro occhi pareano lì lì per ischizzar dalle orbite; il loro silenzio parlava, i loro gesti traboccavano di eloquenza: si avrebbe detto che ascoltavano la fine del mondo» (Novelle d'inverno, atto V, scena II).
I miei corrispondenti rispondono con una notevole uniformità alle mie inchieste sulla espressione della sorpresa nelle diverse razze umane; le movenze dei lineamenti qui sopra accennate s'associano talvolta a certi gesti od alla emissione di suoni che descriverò tra breve. Su questo punto, dodici osservatori, in diverse parti dell'Australia, sono d'accordo. Il sig. Winwood Reade ebbe a constatare questa espressione nei Negri della costa di Guinea. Il capo Gaika ed altri con lui rispondono affermativamente alle mie domande sui Cafri del Sud dell'Africa; parecchi altri osservatori sono altrettanto espliciti riguardo agli Abissini, a quei di Ceylan, ai Cinesi, agl'indigeni della Terra del Fuoco, a certe tribù dell'America settentrionale ed ai naturali della Nuova Zelanda. Fra questi ultimi, a dire del sig. Stack, in taluni individui l'espressione è più spiccata che in altri, avvegnachè tutti si studiino di dissimulare, quant'è possibile, i loro sentimenti. Secondo il principe indiano Brooke, i Dyak di Borneo, allorchè sono stupiti, spalancano la bocca; nello stesso tempo dondolano a destra ed a manca la testa e si battono il petto. Il signor Scott mi narra che a Calcutta è severamente proibito di fumare agli operai del Giardino botanico; ma essi trasgrediscono spesse volte l'ordine, ed ove sieno sorpresi in flagrante delitto, spalancano immediatamente gli occhi e la bocca. Poi, quando vedono che non c'è proprio scampo, alzano sovente le spalle, oppure aggrottano le sopracciglia, pestando dispettosamente in terra. Ma dalla sorpresa si rimettono bentosto, e la paura servile che li assale si palesa all'assoluto rilassamento dei muscoli; par che la loro testa si sprofondi entro le spalle; girano smarrito lo sguardo e balbettano scuse.
Il sig. Stuart, quel celebre esploratore dell'Australia, ha dato231 una magnifica relazione dello stupido spavento, mischiato a terrore, che scorgendolo provò un indigeno il quale non aveva mai visto un uomo a cavallo. Essendosi il sig. Stuart avvicinato a lui senz'essere scorto ed avendolo chiamato ad una breve distanza: «Ei si rivolse, dice, e mi vide. Non so ciò ch'ei pensasse ch'io mi fossi; so peraltro che fu quella per me la più toccante espressione della paura e dello stupore. Ei fermossi, incapace di movere un dito, inchiodato al suolo, colla bocca aperta, cogli occhi fissi.... Si mantenne immobile fino a che io giunsi a qualche metro da lui; allora, gettando il suo fardello, saltò oltre una siepe con tutto lo slancio che gli permetteano le proprie forze. Non poteva parlare, non rispondeva un accento alle inchieste che il negro gli indirizzava; ma, tutto tutto tremando, agitava le palme per tenerci lontani».
L'elevazione dei sopraccigli, sotto l'influenza della sorpresa, dev'essere un movimento innato o istintivo: possiamo concluderlo dal fatto che Laura Bridgman, quando è in preda allo stupore, agisce invariabilmente così. Ciò mi venne affermato dalla donna ultimamente incaricata di assisterla. Siccome la sorpresa è provocata da qualche cosa d'inatteso o d'ignoto, è naturale che noi desideriamo di riconoscere al più presto la causa che l'ha fatta nascere; gli è perciò che spalanchiamo gli occhi, in modo da aumentare il campo della visione e da poter facilmente diriger lo sguardo verso una direzione qualunque. Tuttavia codesta interpretazione non ispiega guari il sollevamento così pronunciato dei sopraccigli, nè il selvaggio fissar degli occhi spalancati. Io ritengo che la spiegazione di questi fenomeni si debba cercare nella impossibilità di aprire rapidissimamente gli occhi con un semplice movimento delle palpebre superiori; a riescirvi, bisogna sollevare energicamente le sopracciglia. Provatevi, dinanzi a uno specchio, ad aprire, più che potete, gli occhi, e vedrete che eseguirete realmente quest'atto; tale energica elevazione delle sopracciglia spalanca gli occhi così, ch'essi prendono un'espressione di particolare immobilità, dovuta alla comparsa della bianca sclerotica, che si mostra tutt'attorno dell'iride. Per giunta, codesta posizione delle sopracciglia offre un vantaggio per guardare in alto, perocchè, sino a che restano basse, intercettano la vista in su. Sir C. Bell dà232 una curiosa prova dell'uffizio che adempiono le sopracciglia nell'apertura delle palpebre. In un uomo abbrutito dalla ubbriachezza, tutti i muscoli sono rilassati, e di conseguente le palpebre ricadono proprio come in un uomo che non può più resistere al sonno. Per lottare contro questa attitudine, il beone rialza le sopracciglia, onde gli si vede quel guardo imbarazzato e stupido ch'è perfettamente riprodotto in un disegno di Hogarth. Una volta acquisita l'abitudine di sollevare le sopracciglia allo scopo di vedere più presto che sia possibile tutto quanto ci attornia, questo movimento dovette subire, al pari di tanti altri, l'influenza della forza di associazione, ed al presente deve prodursi tutte le volte in cui proviamo stupore per una causa qualunque, anche per l'effetto d'un suono improvviso o d'un inatteso pensiero.
Nell'uomo adulto, quando si sollevano le sopracciglia, tutta la fronte è solcata da rughe trasversali; nel fanciullo, questo fenomeno si produce solo in debole grado. Le strie si dispongono in linee concentriche, parallele a ciascun sopracciglio, e si confondono in parte sulla linea mediana. Esse esprimono per eccellenza la sorpresa o lo stupore. Come nota il sig. Duchenne233, ogni sopracciglio, elevandosi, si fa alquanto curvo.
Perchè, sotto l'influenza dello stupore, s'apre la bocca? Codesta è fra le più complesse quistioni. E' par che assai cause concorrano a produrre un tal movimento. Fu a più riprese accampata l'opinione234 che questo atteggiamento giovi all'esercizio del senso dell'udito; io peraltro osservai delle persone che prestavano attento l'orecchio ad un leggiero rumore, di cui conosceano a perfezione la sorgente e la natura, nè ebbi mai a vederle ad aprire la bocca. Per la qual cosa io avevo supposto che l'aprir della bocca potesse servire a riconoscere la provenienza d'un suono, permettendo alle vibrazioni di penetrare per la tromba d'Eustachio fino all'orecchio. Ma il dottor W. Ogle235, ch'ebbe la gentilezza di consultare per mio conto le migliori autorità contemporanee intorno alle funzioni della tromba d'Eustachio, m'apprende che oramai è quasi dimostrato aprirsi essa solo nell'atto della deglutizione; e che in quelle persone ove resta anormalmente spalancata, l'audizione dei suoni esteriori non riesce affatto perfezionata, mentre invece è affievolita dal rumore della respirazione, che si fa più distinto. Mettetevi in bocca un orologio, senza che ne tocchi le pareti, e voi sentirete il tic-tac assai men nettamente, che non se l'aveste fuori. In quegli individui che, per una costipazione o per qualunque altra affezione morbosa, hanno permanentemente o momentaneamente ostruita la tromba d'Eustachio, il senso dell'udito è fatto più debole; ma di questo si può trovar la ragione nella presenza del muco accumulato entro la tromba e che impedisce il passaggio dell'aria. Onde possiamo conchiudere che, se sotto l'influenza dello stupore s'apre la bocca, ciò non è allo scopo di sentire più distintamente; è certo però che molti sordi tengono la bocca abitualmente aperta.
Ogni sentimento improvviso, e lo stupore per primo, accelera i battiti del cuore ed insieme i movimenti della respirazione. Ora, come osserva Gratiolet236 e come ritengo pur io, noi possiamo respirare assai più liberamente per la bocca aperta che per le narici. Anche quando vogliamo prestare attento l'orecchio ad un suono, arrestiamo il respiro o, aprendo la bocca, respiriamo più tranquillamente che sia possibile, tenendo tutto il corpo immobile. Una volta un de' miei figli fu risvegliato nel fitto della notte da un suono particolare, in circostanze che stimolavano vivamente la sua attenzione: dopo alcuni minuti s'accorse d'aver la bocca spalancata, ed allora si risovvenne d'averla aperta allo scopo di respirare più silenziosamente che fosse possibile. Questo modo di vedere è confermato dal fatto inverso che si produce nei cani; quando, in seguito ad un esercizio violento, oppure in una giornata caldissima, un cane è anelante, esso respira fragorosamente; ma se la sua attenzione è d'improvviso richiamata, drizza ben tosto le orecchie per ascoltare, chiude la bocca e respira in silenzio per le narici, ciò che la sua organizzazione gli permette di eseguire senza difficoltà.
Allorchè l'attenzione resta lungo tempo concentrata su qualche oggetto o su qualche argomento, tutti gli organi del corpo sono dimenticati e negletti237; e, siccome la quantità della forza nervosa, in un dato individuo, è limitata, così se ne trasmette solo una piccola proporzione a tutte le parti del sistema, salvo a quella che in quel punto vien messa energicamente in azione; onde la maggior parte dei muscoli tendono a rilasciarsi, e la mascella ricade per il suo proprio peso. Così trovano spiegazione la mascella abbassata e la bocca aperta dell'uomo stupefatto e sgomento, lo sia pure in debole grado. Dalle indicazioni che trovo nelle mie note, io ho realmente osservato questo fenomeno in fanciulli giovanissimi, sotto l'influenza d'una moderata sorpresa.
Havvi ancora una causa, assai importante, che provoca l'aprirsi della bocca, sotto l'influenza dello stupore e più specialmente d'una subitanea sorpresa. Ci riesce molto più facile eseguire una vigorosa e profonda inspirazione traverso la bocca aperta che traverso le narici. Ora, quando noi, all'udire qualche brusco suono, al vedere qualche oggetto inatteso, sussultiamo, quasi tutti i muscoli entrano momentaneamente e involontariamente in azione con energia, per metterci in condizione di difenderci o di fuggirlo, associando per abitudine appunto l'idea del pericolo a tutto ciò che viene inatteso. Ma, come dicemmo già, tutte le volte in cui ci prepariamo ad un atto energico qualunque, eseguiamo anzi tutto, senza pure averne coscienza, una profonda inspirazione, per lo che cominciamo collo spalancare la bocca. Se non si produce alcun atto e se il nostro stupore continua, lasciamo un istante di respirare, o per lo meno la nostra respirazione si fa leggiera leggiera, allo scopo di udire nettamente ogni suono che potesse colpirci all'orecchio. Infine, se la nostra attenzione si prolunga d'assai e l'animo nostro vi sia completamente assorto, ne viene un generale rilasciamento dei muscoli, e la mascella, dapprima bruscamente abbassata, mantiene codesta posizione. Molte cause concorrono pure a produrre questo stesso movimento, tutte le volte in cui proviamo sorpresa, meraviglia o stupore.
Avvegnachè le precedenti emozioni per solito si manifestino aprendo la bocca, pur elle s'esprimono spesso anche sporgendo un pochettino le labbra; questo fatto ci ricorda il movimento, peraltro assai meglio spiccato, che indica lo stupore nel chimpanzè e nell'orango. I vari suoni che di consueto completano l'espressione della sorpresa possono probabilmente trovare spiegazione nell'energica espirazione che precede spontanea alla profonda inspirazione compiuta in sul principiare dell'atto, e nella posizione delle labbra ora indicata. Tal fiata sentesi solo una viva espirazione: così Laura Bridgman, sorpresa, rotonda e sporge le labbra, le apre e respira con energia238. Uno dei più comuni suoni consiste in un profondo oh, che naturalmente risulta, come Helmholtz spiegò, dalla forma che prendono la bocca moderatamente aperta e le labbra avanzate. Nel fitto d'una queta notte, a bordo del Beagle, ancorato in un piccolo seno di Tahiti, si mandarono in aria alcuni razzi per dilettare gl'indigeni; ad ogni razzo che partiva, il silenzio, dapprima assoluto, era ben tosto interrotto da una specie di grugnito, un oh! che risuonava tutt'attorno alla baja. Il signor Washington Matthews dice che gl'indiani dell'America settentrionale esprimono lo stupore con un grugnito; secondo il signor Winwood Reade, i Negri della costa occidentale dell'Africa sporgono le labbra e fanno sentire un suono simile a questo: aie, aie. Se, mentre le labbra sono notevolmente avanzate, la bocca non s'apre molto, si determina un rumore come di soffio o di sibilo. Il signor R. Brough Smith mi narrò che un Australiese dell'interno, condotto al teatro per assistere alle rapide capriole d'un acrobata «ne fu profondamente stupito: egli sporgeva le labbra, mandando colla bocca un suono simile a quello che si produce quando si smorza uno zolfanello». A dire del signor Bulmer, allorchè gli Australiesi sono meravigliati, fanno sentire l'esclamazione korki, «la quale è prodotta allungando la bocca come a fischiare». Gli Europei, del resto, fischiano spesso in segno di sorpresa; così, in un romanzo pubblicato da poco239, si legge: «Qui l'uomo espresse il proprio stupore e la sua disapprovazione con un prolungato sibilo». Il signor J. Mansel Weale mi narrò che una fanciullina cafra «udendo il prezzo elevato d'una merce, alzò le sopracciglia e fischiò propriamente come avrebbe fatto un Europeo». Wedgwood fa notare che, in inglese, i suoni di questo genere si scrivono whew, e che sono impiegati come interiezioni per esprimere la sorpresa.
Secondo tre altri osservatori, gli Australiesi palesano spesse volte lo stupore con una specie di scoppiettìo. Anche gli Europei esprimono talora una dolce sorpresa con un leggiero rumore metallico quasi eguale. Il vedemmo di già: sussultando di sorpresa, la nostra bocca improvvisamente si apre; ora, se in tal momento la lingua è perfettamente applicata contro la vôlta palatina, nel repentino staccarsene, produrrà un suono di questo genere, il quale, per tal modo, può essere considerato come un segno espressivo dello stupore.
E siamo all'atteggiamento del corpo. Una persona sorpresa leva di spesso le mani, aprendole al di sopra della testa; oppure, ripiegando le braccia, le porta all'altezza del viso. Il palmo della mano è rivolto verso l'individuo che provoca lo stupore; le dita son distese e disgiunte. Questo gesto fu rappresentato dal signor Rejlander, nella Tavola VII, fig. 1. Nella Cena, di Leonardo da Vinci, si veggono due degli apostoli, i quali, colle braccia levate, mostrano a chiare note il loro stupore. Un osservatore degno di fede, narrandomi d'essersi ultimamente trovato in presenza di sua moglie nelle più inattese circostanze, aggiunge: «Ella sussultò, spalancò la bocca e gli occhi, e portò ambo le braccia sovra la testa». Alcuni anni or sono, fui sorpreso di vedere alcuni dei miei figliuoli, che, accosciati sul suolo, pareano profondamente intenti a qualche lavoro: essendo troppo grande la distanza che mi disgiungeva da essi per permettermi di chiedere di che mai si trattasse, portai sopra la testa ambo le mani, aperte e colle dita distese. Appena eseguito questo gesto, io avea già compreso qual era l'oggetto della loro attenzione; ma attesi in silenzio, per vedere se aveano capito il mio movimento. Ed infatti li vidi corrermi incontro gridando: «Ci siamo accorti della vostra sorpresa!» - Non so se quest'atto sia comune alle diverse razze umane, siccome trascurai di fare ricerche su tale argomento. Si può conchiudere ch'esso è innato o naturale per ciò, che Laura Bridgman, quand'è stupefatta «stende le braccia e solleva le mani staccando le dita»240; infatti, siccome la sorpresa è un sentimento, quasi direi istantaneo, non è probabile che la povera donna abbia potuto apprendere questa movenza col senso del tatto, sia pure in essa perfetto.
Huschke descrive241 un gesto alquanto diverso, ma peraltro di simil natura, che, egli dice, accompagna in certi individui l'espressione dello stupore. Gl'individui in quistione si mantengono ritti; coi lineamenti del viso quali furono or ora descritti da me, ma stendendo le braccia all'indietro e separando le dita uno dall'altro. Io, per parte mia, non ho mai osservato quest'atto; tuttavia Huschke ha probabilmente ragione, però che, avendo un amico chiesto ad un altro come esprimerebbe un grande stupore, questi prese senza tempo di mezzo codesta postura.
I diversi gesti anzidetti possono spiegarsi, io credo, col principio dell'antitesi. Vedemmo che l'uomo sdegnato solleva la testa, quadra le spalle, gira i gomiti in fuori, spesso stringe i pugni, aggrotta le sopracciglia e serra la bocca; mentre l'atteggiamento dell'uomo impotente e rassegnato è perfettamente l'inverso. Qui noi riscontriamo una novella applicazione dello stesso principio. Un uomo che sia nello stato ordinario, che faccia nulla e a nulla pensi di particolare, tiene per solito le braccia penzoloni, colle mani semichiuse e le dita vicine fra loro. Sollevare bruscamente le braccia e gli avambracci, aprire le mani, separare le dita, od ancora raddrizzare le braccia stendendole indietro colle dita disgiunte, costituiscono altrettanti movimenti in completa antitesi con quelli che caratterizzano codesto stato indifferente dell'animo, e devono per conseguenza essere inconsciamente eseguiti da un uomo stupito. Spesse volte alla sorpresa si accompagna il desiderio di esprimerla in modo palese; ora, gli atteggiamenti su esposti si prestano mirabilmente allo scopo. Qui si potrebbe domandare, perchè soltanto la sorpresa e alcuni altri sentimenti, in piccolo numero, sieno espressi da gesti in antitesi. Risponderò che questo principio non ebbe evidentemente ad avere un uffizio importante riguardo a quei sentimenti i quali, come il terrore, la gioia, la sofferenza, la rabbia, conducono per via naturale a certi atti tipici e producono certi effetti determinati sul corpo; siccome il nostro fisico tutto ne è anticipatamente impressionato in modo speciale, codesti sentimenti sono già espressi così colla maggiore chiarezza.
Ci ha un altro piccolo gesto espressivo dello stupore, sul quale io non posso proporre spiegazione veruna; intendo parlare di quello per cui le mani corrono alla bocca o sopra una parte qualunque del corpo. Eppure fu riscontrato in un numero sì grande di razze umane, da aver certamente un'origine naturale. Un selvaggio Australiese, introdotto in una grande stanza ripiena di fogli ufficiali, n'ebbe molto stupore, e prese a gridare: cluck, cluck, cluck, portando il dorso della mano davanti alle labbra. La signora Barber dice che i Cafri ed i Fingi esprimono lo stupore con una seria occhiata e mettendo la mano destra sopra la bocca: nello stesso tempo pronunciano la parola mawo, che vuol dire meraviglioso. Sembra242 che i Boschimani portino la mano destra al collo, rovesciando il capo all'indietro. Il sig. Winwood Reade osservò dei Negri della costa occidentale dell'Africa i quali esprimeano la sorpresa battendosi colla mano la bocca, ed ebbe ad udire essere codesto un atto abituale con cui eglino palesano il proprio stupore. Il capitano Speedy mi narra che gli Abissini collocano la mano destra sul fronte, col palmo all'infuori. Per ultimo, il signor Washington Matthews riferisce che il segno convenzionale dello stupore, presso le tribù selvaggie delle regioni occidentali degli Stati Uniti, «consiste in portare la mano semichiusa sopra la bocca, mentre la testa spesse volte si piega in avanti, e talora escono dalle loro labbra parole o sordi grugniti». Catlin243 nota questo medesimo gesto anche presso i Mandani e diverse altre tribù indiane.
Ammirazione. - Su quest'argomento ben poco ho a dire. L'ammirazione sembra consistere in una miscela di sorpresa, di piacere e di approvazione. Quand'è viva, le sopracciglia sollevansi; gli occhi si aprono e brillano, mentre nel semplice stupore essi restano smorti; infine la bocca, invece di spalancarsi, si apre lievemente e modella un sorriso.
Paura, Terrore. - Ei pare che la voce paura derivi etimologicamente dai vocaboli che rispondono alle nozioni di improvviso e di pericoloso244; quella di terrore ebbe pure ad origine il tremito delle corde vocali e delle membra. Io adopero la parola terrore per estremo spavento; tuttavia alcuni scrittori ritengono doversi ella usare allorquando viene più specialmente impiegata la immaginazione. Spesse volte la paura è preceduta da stupore, ed è tanto affine a quest'ultimo sentimento, che istantaneamente risvegliano, sì l'uno che l'altra, i sensi della vista e dell'udito. L'uomo spaventato resta in sul principio immobile al par d'una statua, soffocando il respiro, oppure istintivamente si rannicchia per togliere di venire scoperto.
Il cuore martella rapidi colpi e violenti e solleva il petto. Pur nullameno egli è molto incerto se quest'organo compia un lavorìo maggiore o migliore che non allo stato normale, cioè se mandi una più grande quantità di sangue in tutte le parti dell'organismo: in fatto la pelle si fa bianca bianca d'un tratto, come presso a deliquio. Tuttavia codesto pallore della superficie cutanea è probabilmente dovuto, se non del tutto, in gran parte alla impressione ricevuta dal centro vaso-motore, che provoca la contrazione delle piccole arterie dei tegumenti. L'impressionabilità della pelle in causa d'un intenso spavento si manifesta eziandio nella prodigiosa e inesplicabile foggia onde questo provoca immediatamente la traspirazione. E tanto più è notevole tale fenomeno, che, in questo momento, la superficie cutanea è fredda; d'onde il termine di sudor freddo; di solito, infatti, le glandole sudoripare funzionano specialmente quando questa superficie è calda. I peli si rizzano, e fremono i muscoli superficiali. Si turba la circolazione, e la respirazione precipita. Le glandole salivali agiscono imperfettamente; la bocca inaridisce245; essa si apre e si chiude con frequenza. Io ho anche osservato che una leggiera paura determina una forte disposizione allo sbadiglio. Uno dei sintomi più spiccati dello spavento è il tremito che signoreggia i muscoli tutti del corpo e che spesso compare, prima che altrove, sui labbri. Codesto tremore, al par dell'aridità della bocca, altera la voce, che si fa rauca, o indistinta, o disparisce affatto: «obstupui, steteruntque comae, et vox faucibus haesit».
Nel libro di Giobbe si legge una notevole e ben conosciuta descrizione della paura vaga: - «In mezzo ai pensieri suscitati dalle visioni notturne, mentre un sonno profondo avvolgeva gli uomini, m'incolse la paura, ed un tremito che mi facea scricchiolare tutte le ossa. Uno spirito mi vagolò dinanzi: e il pelo della mia carne arricciossi. I' m'arrestai, ma non seppi distinguerne la forma; mi stava davanti un'immagine, e in quel funebre silenzio, mi giunse una voce che dicea: L'uomo mortale sarà forse più giusto di Dio? un uomo sarà egli più puro del suo Creatore?» (Job., IV,13).
Quando la paura grado grado s'accresce e giunge al terrore angoscioso, noi riscontriamo, come avviene per tutte le emozioni violente, molteplici fenomeni. Il cuore batte tumultuoso; altre volte lascia di contraersi, e ne segue il deliquio; il pallore è cadaverico e la respirazione affannosa; le ali del naso sono largamente dilatate: «le labbra si muovono convulsivamente, le guancie tremano e si fanno infossate, la gola geme sotto la pressione di un incubo»246; gli occhi spalancati e sporgenti fissano l'oggetto, causa del terrore, oppure corrono incessanti da una parte a quell'altra: huc illuc volvens oculos totumque pererrat247. Le pupille appaiono straordinariamente dilatate. Tutti i muscoli del corpo irrigidiscono o sono presi da convulsioni. Le mani, spesso anche con bruschi movimenti, alternano fra lo star chiuse e l'aprirsi. Le braccia si portano qualche volta in avanti, come a schermirsi da un orrendo periglio, oppure si sollevano in tumulto sopra la testa. Il reverendo signor Hagenauer ebbe ad osservare quest'ultimo atto in un Australiese atterrito. In altri casi si prova una subita tendenza invincibile di fuggire a rompicollo; ed è ella cotanto potente, che vi cedono i più valorosi soldati, improvvisamente assaliti da panico.
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Fig. 19 - Stato della capigliatura in una pazza (da una fotografia).
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Allorchè lo spavento giunge al massimo grado, ne sorge l' orribile grido del terrore. Grossi goccioloni di sudore solcan la pelle. Si rilasciano tutti i muscoli del corpo. Prostrazione rapida e completa: le facoltà mentali sospese. Le intestina ne sono impressionate; gli sfinteri non sanno più agire e lasciano sfuggire le escrezioni.
Il dott. J. Crichton Browne mi fece una relazione così toccante d'un intenso spavento provato da un'alienata di trentacinque anni, che non posso lasciare di riferirla. Quando le viene un assalto, ella grida: «Ecco l'inferno! V'è una donna nera! Impossibile fuggirne!» ed altre esclamazioni di simil genere. In questo frattempo, passa alternativamente da un tremito generale al convulso. Un istante chiude le mani, tende rigidamente avanti a sè le braccia flesse a metà; poscia si curva con brusco atto all'innanzi, si ripiega rapidamente a destra ed a manca, caccia le dita in mezzo ai capelli, porta al collo le mani e tenta di lacerarsi le vesti. I muscoli sterno-cleido-mastodei (che fanno inclinare la testa sul petto) vengono sporgentissimi, come se tumefatti, e la pelle della regione anteriore del collo si copre di profonde grinze. I capelli, che dietro la testa sono rasi e che allo stato normale si mantengono lisci, si rizzano; mentre le mani arruffano quelli che coprono la regione anteriore. Dalla fisionomia traluce una straziante angoscia dell'animo. La pelle vien rossa sul viso e sul collo fin alle clavicole, e le vene del fronte e del collo sporgono, come fossero cordoni. Il labbro inferiore si abbassa e tal fiata s'arrovescia. La bocca è semichiusa; la mascella inferiore si protrae in avanti. Le guancie s'infossano e sono profondamente solcate da linee ad arco che corrono dalle ali del naso agli angoli della bocca. Anche le narici si sollevano e si dilatano. Si spalancano gli occhi, e al di sotto la pelle par gonfia; le pupille mostransi dilatate. La fronte è coperta da numerose strie trasversali; verso l'estremità interna dei sopraccigli, essa presenta dei solchi profondi e divergenti, dovuti all'energica e persistente contrazione dei muscoli sopraccigliari.
Anche il sig. Bell descrisse248 una scena d'angoscia, di terrore e di disperazione, ond'egli stesso fu testimonio, a Torino, in un omicida che si menava al supplizio. «Ai lati della carretta stavano assisi i preti officianti; in mezzo il condannato. Era impossibile contemplare lo stato di quel miserabile senz'essere compresi di terrore, e pur tuttavia gli occhi erano inchiodati sull'orrendo spettacolo, quasi obbedissero ad una strana malìa. Parea ch'avesse trentacinqu'anni all'incirca, era alto e muscoloso della persona; i lineamenti del viso accentuati e feroci; mezzo nudo, pallido come la morte, straziato dal terrore, le membra stravolte per angoscia, le mani convulsivamente serrate, il viso inondato di sudore, il sopracciglio ricurvo e aggrottato, egli stringea di continuo l'immagine di Cristo, dipinta sulla bandiera che gli pendeva dinnanzi, ma con un'angoscia così selvaggia e disperata, da disgradarne ogni cenno che volesse offrirne la ben che minima idea».
Non citerò più che un caso relativo ad un uomo completamente abbattuto dal terrore. Uno sciagurato, assassino di due persone, fu condotto in un ospitale, perocchè si credette, a torto, ch'ei si fosse avvelenato. Il dottor W. Ogle l'esaminò attentamente l'indomani mattina, nel punto in cui la polizia veniva ad arrestarlo e a impadronirsi di lui. Era estremo il suo pallore, e tanta la prostrazione, che durava fatica a vestirsi. Avea la pelle in traspirazione; le palpebre tanto abbassate e la testa reclinata così, che riusciva impossibile gettare un solo sguardo sugli occhi di lui. Penzolavagli la mascella inferiore. Nessun muscolo della faccia era contratto, il dottor Ogle è quasi sicuro che i capelli non erano eretti; però che, osservandolo da presso, li riconobbe tinti, probabilmente ad arte, per isfuggire alle mani della giustizia.
Diciamo sulla espressione della paura nelle diverse razze umane. I miei corrispondenti s'accordano nello asserire essere dovunque i segni di codesto sentimento i medesimi che negli Europei. Negl'Indù e negl'indigeni di Ceylan si manifestano in eccessiva maniera. Il sig. Geach vide dei Malesi atterriti impallidire e tremare; il sig. Brough Smyth narra che un naturale australiese «colto un giorno da estremo spavento, mutò cera e prese una tinta simile al pallore, quale possiamo immaginare in un uomo nero». Il sig. Dyson Lacy assistette al terrore di un Australiese, manifestato da un tremito nervoso delle mani, dei piedi e delle labbra, e dalla comparsa di goccie di sudore sulla pelle. Molti popoli selvaggi non reprimono i segni della paura, come fanno gli Europei, e sovente si veggono tremar con violenza. «Nei Cafri, dice Gaika, il tremito del corpo è spiccatissimo, e gli occhi si spalancano». Nei selvaggi i muscoli sfinteri spesse volte rilasciansi. Questo medesimo sintomo si osserva nei cani, quando sono assai spaventati, ed io l'ebbi pur a notare in scimie atterrite cui si dava la caccia.
Capelli irti. - Ci ha qualche segno dello spavento che merita uno studio un po' più profondo. I poeti parlano continuamente di capelli rizzati sulla testa; Bruto dice all'ombra di Cesare: «Tu mi fai gelare il sangue e rizzare i capelli». Dopo l'assassinio di Gloucester, il cardinale Beaufort sì grida: «Ma riordina dunque i suoi capelli; o non vedi che gli si rizzan sul capo?» Siccome io non ero sicuro che i poeti non avessero applicato all'uomo ciò che di spesso aveano osservato negli animali, chiesi al dottor Crichton Browne alcune informazioni sugli alienati. Ei mi rispose d'aver visto spessissimo rizzarsi in questi i capelli sotto l'influenza di un improvviso ed estremo terrore. Una pazza, ad esempio, cui s'è talvolta obbligati di praticare delle iniezioni sotto-cutanee di morfina, teme oltremodo questa operazione, avvegnachè pochissimo dolorosa, perchè s'è fissa in mente che le s'introduca un veleno atto a rammollirle le ossa e a ridurre le sue carni in polvere. Ella vien pallida come la morte; soggiace ad una specie di spasmo tetanico, e parte dei capelli le si rizzano sul davanti del capo.
Il dottor Browne fa notare eziandio che l'erezione dei capelli, tanto comune negli alienati, non è sempre associata al terrore. Questo fenomeno sopratutto si vede nei malati di manìa cronica, che delirano ed hanno idee di suicidio; ed è specialmente nel parossismo dei loro eccessi che questa erezione si rende notevole. Il fatto del rizzarsi dei capelli sotto la duplice influenza della rabbia e dello spavento s'accorda appuntino con quel che vedemmo a proposito degli animali. Il dottor Browne cita in appoggio molti esempi: così, in un individuo, che attualmente è all'Asilo, avanti ogni assalto di manìa, «si rizzano i capelli sul fronte come la criniera di un poney delle Shetland». Ei m'inviò le fotografie di due femmine, tratte negl'intervalli dei loro accessi; e, quanto all'una di queste due donne, m'aggiunge che «lo stato della capigliatura di lei è una dimostrazione convincente e bastante della condizione dell'animo». Io ho fatto copiare una di queste fotografie; e ad una breve distanza, l'incisione dà l'esatta sensazione dell'originale, toltone forse che i capelli paiono un po' troppo ruvidi e crespi. Lo straordinario stato della capigliatura, negli alienati, è dovuta, non solo alla erezione di essa, ma eziandio alla sua aridità e durezza, fenomeni questi che stanno in nesso colla inazione delle glandule sottocutanee. Il dottor Bucknill disse249 che un lunatico «è lunatico fino alla punta delle dita»; egli avrebbe potuto aggiungere che spesse volte lo è fin alla estremità dei capelli.
Il dottor Browne cita il fatto seguente, a empirica conferma del rapporto ch'esiste negli alienati tra lo stato della capigliatura e quello dell'animo. Un medico curava una donna malata di acuta malattia e compresa da una paura terribile della morte per sè, pel marito e pei figli. Ora, la vigilia stessa del dì in cui gli giunse la mia lettera, la moglie di questo medico avevagli detto: «Io ritengo che la signora *** guarirà presto, perocchè i suoi capelli cominciano a farsi morbidi: ho sempre osservato che i nostri malati migliorano allorchè i loro capelli lasciano d'essere ruvidi e ribelli al pettine».
Il dottor Browne attribuisce la ruvidità persistente dei capelli in molti alienati, parte all'alterazione ond'è sempre più o meno avvolto l'animo loro, parte all'influenza dell'abitudine, vale a dire alla erezione che si produce spesso e con forza nei loro frequenti attacchi. In quegli infelici nei quali questo sintomo è molto spiccato, la malattia in generale è incurabile e mena alla morte; in quegli altri, avvece, in cui è moderato, la capigliatura ritorna alla morbidezza ordinaria, non appena l'affezione mentale è guarita.
In uno dei precedenti capitoli vedemmo che negli animali il pelo è rizzato dalla contrazione dei piccoli muscoli lisci, involontari, che s'appendono a ciascun de' follicoli. Nell'uomo, indipendentemente da quest'azione, in base alle convincentissime esperienze che il sig. Wood mi comunica, i capelli della testa che s'inseriscono verso il davanti e quelli della nuca che s'impiantano all'indietro, sono tratti in direzione opposta dalla contrazione dell'occipito-frontale o muscolo del cuoio capelluto. Così questo muscolo sembra contribuisca a produrre l'erezione dei capelli nell'uomo, come il muscolo analogo - panniculus carnosus - giova, od anche esercita il principale uffizio, nella erezione delle spine sul dorso di certi animali.
Contrazione del muscolo pellicciaio. - Questo muscolo si stende sulle parti laterali del collo; discende un po' al di sotto delle clavicole, e rimonta fino alla parte inferiore delle guancie. Nella fig. 2, se ne vede una porzione (M); conosciuta col nome di risorius; la contrazione di questo muscolo tira gli angoli della bocca e la parte inferiore delle guancie in basso e all'indietro. Contemporaneamente, negli individui giovani, appariscono sui lati del collo dei rilievi divergenti, longitudinali e ben distinti; nei vecchi immagriti, vi si veggono, invece, fine strie trasversali. Talvolta si disse che il pellicciaio non è sottomesso all'impero della volontà; eppure, chiedete al primo venuto di stirare con gran forza gli angoli della bocca in basso e all'indietro, e quasi sempre egli farà agir questo muscolo. Io ho sentito parlare d'un uomo che poteva a volontà metterlo in azione da una parte sola.
Sir C. Bell250 ed altri autori stabilirono che il pellicciaio si contrae vivamente sotto l'influenza dello spavento; il dottore Duchenne gli attribuisce tanta importanza nella espressione di questo sentimento, da chiamarlo il muscolo della paura251. Ammette peraltro che la contrazione di lui riesca affatto inespressiva, se non è associata a quella dei muscoli che spalancano gli occhi e la bocca. Ei pubblicò una fotografia (che diamo ridotta nella fig. 20) di quel medesimo vecchio che già più volte ci comparve dinanzi, colle sopracciglia vivamente rialzate, la bocca aperta e il pellicciaio contratto, il tutto a mezzo della elettricità. Mostrai la fotografia originale a ventiquattro persone, e, senza dare veruno schiarimento, chiesi loro che cosa esprimesse; venti risposero subito: intensa paura od orrore; tre dissero: affanno, ed una: estrema indisposizione. Il dottor Duchenne diede un'altra fotografia dello stesso vecchio, col pellicciaio contratto, la bocca e gli occhi aperti e le sopracciglia fatte oblique a mezzo del galvanismo. L'espressione ottenutane è naturalissima (V. Tavola VII, fig. 2); l'obliquità dei sopraccigli vi aggiunge l'apparenza d'un gran dolore intellettuale. Mostrato l'originale a quindici persone, dodici risposero: terrore od orrore, e tre angoscia o grande dolore. In base a questi esempi ed allo studio delle altre fotografie pubblicate dal dott. Duchenne, colle note annessevi, io credo doversi ammettere per cosa sicura che la contrazione del pellicciaio giova potentemente alla espressione dello spavento. Nullameno è impossibile accettare per esso la denominazione di muscolo della paura, imperocchè la sua contrazione non è certo necessariamente legata a questo stato dell'animo.
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Fig. 20 - Terrore (da una fotografia del dott. Duchenne)
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Un estremo terrore può benissimo manifestarsi con una pallidezza mortale, colla traspirazione della pelle e con un'assoluta prostrazione, essendo tutti i muscoli del corpo, compresovi il pellicciaio, affatto rilasciati. Il dottor Browne, che spesso negli alienati vide questo muscolo tremare e contraersi, non seppe però riferirne l'azione a verun sentimento da loro provato; eppure studiò con cura particolare i malati assaliti da una grande paura. Il sig. Nicol, al contrario, ebbe ad osservare tre casi nei quali questo muscolo appariva più o meno permanentemente contratto, sotto la duplice influenza della malinconia e della paura; peraltro in uno di tali casi anche parecchi altri muscoli del collo e della testa erano soggetti a contrazioni spasmodiche.
Il dottor W. Ogle osservò, dietro mia richiesta, in uno degli ospitali di Londra, una ventina di malati, nell'istante in cui si sommetteano all'anestesia col cloroformio per operarli. Tremavano un po', ma non aveano un grande terrore. Solo in quattro casi il pellicciaio si contrasse visibilmente; nè prendeva a contraersi che quando i malati cominciavano a gridare. E' pareva che codesta contrazione avvenisse ad ogni profonda inspirazione; ond'è assai dubbioso a dirsi s'ella avesse qualche dipendenza da un senso di paura. In un quinto caso, il paziente, cui non s'avea praticata l'anestesia, era molto sgomento; il pellicciaio di lui si contraeva più vivamente e con maggior persistenza che non negli altri. Ma pur qui ci ha luogo a dubitare; imperocchè il sig. Ogle vide questo muscolo, che d'altra parte appariva sviluppato fuor del consueto, contraersi nel punto in cui l'infelice, terminata l'operazione, levò la testa dal guanciale.
Non sapendo giustificarmi come mai la paura potesse in molti casi esercitare un'azione sopra un muscolo superficiale del collo, feci ricorso ai miei numerosi e gentili corrispondenti, per averne notizie sulla contrazione di questo muscolo manifestata in altre circostanze. Tornerebbe superfluo riprodurre tutte le risposte ottenute. Esse dimostrano che il pellicciaio spesse volte agisce in differente maniera e a gradi diversi, in circostanze numerose e svariate. Nell'idrofobia si contrae con violenza, e un po' meno energicamente nel trismo; talora codesta contrazione è pure spiccata, durante l'insensibilità prodotta dal cloroformio. Il dottor W. Ogle osservò due malati di sesso mascolino, che soffriano così a respirare, da dover loro aprir la trachea; in ambedue, il pellicciaio era vivamente contratto. L'un d'essi intese la conversazione dei chirurgi che gli stavan dattorno, e quando potè parlare, dichiarò di non aver avuto paura. In altri casi di affannosissima respirazione, nei quali non s'ebbe ricorso alla tracheotomia - casi osservati dai dottori Ogle e Langstaff - il pellicciaio non si contrasse.
Il signor J. Wood, che studiò con tanta cura, come risulta dalle varie sue pubblicazioni, i muscoli del corpo umano, ebbe spesse volte a vedere il pelliccaio a contraersi nel vomito, nella nausea e nella svogliatezza; notollo, per giunta, in fanciulli e in adulti, sotto l'influenza del furore, ad esempio in certe femmine irlandesi che altercavano e si provocavano con gesti di collera. In questo caso, forse, il fenomeno dipendeva dal tuono acuto e stridente della loro voce irritata; infatti io conosco una signora, distinta cantante, la quale, emettendo certe note elevate, contrae sempre il muscolo pellicciaio. E il medesimo fatto constatai in un giovane, allorchè cava talune note dal flauto. Il signor J. Wood m'apprende d'aver visto più sviluppato il pellicciaio in quelle persone che hanno il collo sottile e larghe le spalle; e m'aggiunge che nelle famiglie ove questi caratteri sono ereditari, il suo sviluppo d'ordinario si lega con una maggiore potenza della volontà sopra il suo analogo, l'occipito-frontale, che fa muovere il cuoio capelluto.
Pare che nessuno dei precedenti fatti fornisca un po' di luce intorno all'azione dello spavento sul pellicciaio; ma avviene altrimenti, mi sembra, di quelli che seguono. L'individuo del quale ho già tenuto parola, e che può agire a volontà su questo muscolo - da una parte sola - lo contrae senza dubbio da entrambi i lati tutte le volte in cui sussulta per sorpresa. Ho già dimostrato con varie prove che tal fiata questo muscolo agisce, forse allo scopo di spalancare la bocca, quando il respiro è reso difficile da qualche malattia, od ancora durante la profonda inspirazione degli accessi di grida, avanti un'operazione. Ora, allorchè una persona sussulta a qualche oggetto imprevisto o ad un improvviso rumore, dà immediatamente in un profondo respiro; gli è perciò che la contrazione del pellicciaio ha potuto associarsi al sentimento del terrore. Nullameno io ritengo che tra i due fenomeni ci abbia un più possente legame. Una sensazione di paura o il pensiero d'una cosa spaventevole provoca di solito un fremito. Io stesso mi sono sorpreso provando un leggiero raccapriccio a qualche penosa idea, ed in allora m'accorgevo benissimo che mi si contraeva il pellicciaio; che se io simulo un brivido, e' si contrae del pari. Pregai parecchie persone di fare altrettanto, e vidi questo muscolo agir negli uni e non negli altri. Uno dei miei figli, balzando un giorno dal letto, rabbrividì di freddo, ed avendo portata a caso la mano sul collo, sentii perfettamente la viva contrazione del suo pellicciaio. In progresso, ei fremette involontariamente, come aveva fatto altre volte, ma il pellicciaio fu muto. Anche il signor J. Wood ebbe ad osservare di spesso la contrazione di questo muscolo in certi malati, cui si toglieano le vesti per esaminarli, e non perchè avessero paura, ma solo perchè tremavano di freddo. Malauguratamente non mi venne dato verificare se esso entri in azione quando tutto il corpo trema, come nel periodo di freddo in un accesso di febbre. Così, giacchè il pellicciaio si contrae sovente nel raccappriccio, e poichè spesse volte il principio d'una sensazione di paura è accompagnata da un raccapriccio o da un tremito, ei mi sembra che in ciò v'abbia una concatenazione di fenomeni, la quale può spiegarci la contrazione del muscolo sotto l'influenza di quest'ultimo sentimento252. Nullameno codesta contrazione non accompagna sempre la paura; perocchè è probabile ch'essa non si produca mai sotto l'influenza dell'eccessivo terrore che provoca la prostrazione.
Dilatazione delle pupille. - Gratiolet insiste a più riprese253 sul fatto, che le pupille, nel terrore, si dilatano vivamente. Io non ho alcun motivo di dubitare sull'esattezza di tale asserzione; peraltro non seppi trovarne prove affermative, toltane quella già detta, d'una donna pazza, presa da sommo spavento. Quando i romanzieri parlano di occhi straordinariamente dilatati, io ritengo che intendano dir delle palpebre. Secondo Munro254, nei pappagalli l'iride è impressionata dai sentimenti, indipendentemente dall'influenza della luce; ma il professore Donders m'informa d'aver constatato di spesso nella pupilla di questi uccelli certi movimenti ch'ei crede si debbano rapportare agli effetti dell'accomodamento a diverse distanze; gli è così che, in noi, si contraggono le pupille quando gli occhi convergono per veder davvicino. Gratiolet fa osservare che le pupille dilatate dànno all'occhio la stessa apparenza offerta in una profonda oscurità; or è certo che l'uomo deve avere provato spesse volte lo spavento nell'oscurità; non tanto spesso però, nè così esclusivamente, da poterne provare l'origine e la persistenza di un'abitudine associata di questo genere; ci sembra più probabile - supponendo esatta l'asserzione di Gratiolet - che il cervello sia direttamente impressionato dal vivo sentimento della paura, e ch'esso reagisca sulla pupilla; peraltro il professore Donders mi dice essere codesta una quistione estremamente complessa. E qui posso aggiungere (cosa che forse potrà spargere un po' di luce sull'argomento) che il dottor Fyffe, dell'ospitale Netley, osservò, in due malati, che le pupille erano nettamente dilatate durante il periodo di freddo in un accesso di febbre. Anche il prof. Donders ha constatato di spesso la dilatazione della pupilla sul principiar del deliquio.
Orrore. - Lo stato morale espresso da questa parola presuppone del terrore, e, in certi casi, questi due termini sono quasi sinonimi. Ben molti infelici, avanti la meravigliosa scoperta del cloroformio, ebbero a provare orrore pensando a un'operazione chirurgica cui dovean sottoporsi. Quando si teme un individuo, quando lo si abborre, si prova, secondo l'espressione di Milton, dell'orrore per lui. La vista di qualcheduno, per esempio d'un fanciullo esposto ad un grave pericolo, ne ispira orrore. Ben pochi, al dì d'oggi, non proverebbero questo sentimento colla più grande intensità, se vedessero un uomo alla tortura o sul punto di subirla. In que' casi, noi non corriamo pericolo alcuno, ma, per la potenza dell'immaginazione e della simpatia, ci mettiamo al posto del paziente, e soffriam qualche cosa che s'assomiglia a paura.
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Fig. 21 - Orrore ed angoscia (da una fotografia del dott. Duchenne).
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Sir C. Bell255 osserva che «l'orrore è un sentimento assai energico; il corpo è in uno stato di estrema tensione, quando pure non sia snervato dalla paura». Dietro a ciò, ei parrebbe che l'orrore dovesse accompagnarsi ad uno spiccatissimo corrugamento di sopracciglia; ma siccome in codesta emozione entra in parte la paura, gli occhi e la bocca devono aprirsi e sollevarsi le sopracciglia, per quanto almeno il consente l'azione antagonistica dei sopraccigliari. Una fotografia del dottor Duchenne256 (fig. 21) ci mostra il solito vecchio, cogli occhi fissi, le soppraciglia un po' sollevate, ma nello stesso tempo increspatissime, la bocca aperta e il pelliciaio contratto, tutto per effetto della elettricità. L'espressione così ottenuta esprime, secondo il signor Duchenne, un estremo terrore, accompagnato da un orribile dolore, da una vera tortura. È a ritenersi che un uomo messo alla tortura presenterebbe l'espressione d'un orrore assoluto, finchè le sue sofferenze gli permettono di concepire timori per avvenire. Io ho mostrato il saggio della fotografia in discorso a ventitre persone d'entrambi i sessi e di diverse età; tredici di loro pronunciarono immediatamente le parole di orrore, grave sofferenza, tortura o agonia; tre corsero col pensiero a un grande spavento; in complesso sedici giudizi, presso a poco concordi con la maniera di vedere del signor Duchenne. Per altro ve n'ebbero sei, le quali credettero riconoscervi un'espressione di collera, senza dubbio colpite dalla viva contrazione dei sopraccigli e trascurando la particolare apertura della bocca. Un'altra volle vedervi il disgusto. Somma fatta, gli è chiaro che in quella fotografia noi abbiamo un'eccellente rappresentazione dell'orrore e dell'angoscia. La fotografia più addietro citata (Tav. VII, fig. 2) esprime del pari l'orrore; ma la posizione obliqua dei sopraccigli che ivi si rimarca, in luogo di energia, indica un profondo cordoglio.
L'orrore di solito è accompagnato da diversi gesti che variano secondo gl'individui. A giudicare da certe descrizioni, tutto il corpo è spesso impressionato o tremante, oppure le braccia sono violentemente tese in avanti, come a respingere uno spaventevole oggetto.
L'atto che più di consueto si produce, per quanto almeno si può giudicarne dal modo di agire in quelli che cercano di rappresentare al naturale una scena d'orrore, consiste nel sollevare le spalle, mentre le braccia sono strettamente serrate in sui fianchi o sul dinanzi del petto. In generale, questi movimenti sono quasi gli stessi che si eseguiscono quando si soffre assai freddo, e s'accompagnano d'ordinario da un fremito, come pure da una profonda espirazione o inspirazione, a seconda che il petto in questo istante si trova dilatato o contratto. I suoni prodotti in tali circostanze possono esprimersi più o meno esattamente colle parole uh o uhg257. Checchè ne sia, è sempre difficile il dire perchè, quando sentiam freddo o palesiamo un sentimento d'orrore, serriamo contro il corpo le braccia piegate, solleviamo le spalle e rabbrividiamo.
Conclusione. - Ho tentato di descrivere le varie espressioni della paura nei diversi gradi, dalla semplice attenzione e dal sussulto della sorpresa fino all'estremo terrore ed all'orrore. Alcune fra le espressioni che la rivelano si possono spiegare col mezzo dei principii dell'abitudine, dell'associazione e della eredità; avviene così, per esempio, dell'atto che consiste nello spalancare gli occhi e la bocca, rialzando le sopracciglia in modo da gettare più rapidamente che sia possibile lo sguardo attorno a noi e da intendere distintamente il minimo suono che possa colpirci l'orecchio; in fatto è proprio così che ci siam abituati a riconoscere o ad affrontare un pericolo qualunque. E coll'aiuto degli stessi principii si può ancora rendersi conto, almeno in parte, di alcuni altri segni dello spavento. Da innumerevoli generazioni, ad esempio, gli uomini cercarono di sottrarsi ai nemici o al pericolo, sia con una fuga precipitosa, sia con una lotta accanita; ora simili sforzi dovettero produrre in effetto il rapido battito del cuore, l'accelerazione del respiro, il sollevamento del petto e la dilatazione delle narici. E siccome questi sforzi si prolungarono spesso fino all'estremo, il risultato finale dovette essere un'assoluta prostrazione, pallore, traspirazione, il tremito di tutti i muscoli o il loro completo rilasso. Pur adesso, ogni volta in cui si prova un vivo senso di spavento, anche allora che questo non dovrebbe produrre alcuno sforzo, gli stessi fenomeni tendono a ricomparire, in virtù del potere dell'eredità e dell'associazione.
Nullostante è probabile che, se non tutti, almeno un grande numero dei su citati sintomi del terrore, come il battito del cuore, il tremito dei muscoli, il sudor freddo, ecc., sieno in molta parte direttamente dovuti a perturbazioni avvenute nella trasmissione della forza nervosa che il sistema cerebro-spinale distribuisce alle varie parti del corpo, od anche alla sua completa interruzione, causa la profonda impressione fatta sull'animo dell'individuo. Noi possiamo indubbiamente riferire a questa causa affatto indipendente dall'abitudine e dall'associazione, gli esempi nei quali sono modificate le secrezioni del canale intestinale, e quegli altri in cui sono abolite le funzioni di certe glandule. Quanto all'involontaria erezione dei peli negli animali, ci ha di buone ragioni per credere che questo fenomeno, ne sia qualsivoglia l'origine, concorra con certi movimenti volontari a dar loro un aspetto formidabile in faccia al nemico; ora, siccome le stesse movenze, involontarie e volontarie, sono compiute da animali assai prossimi all'uomo, siamo indotti ad ammettere che questi ne abbia conservate, per via ereditaria, talune vestigia, presentemente inutili. La permanenza fino al dì d'oggi dei piccoli muscoli che fanno rizzare i peli sì scarsi sul corpo quasi glabro dell'uomo, è senza dubbio un fatto molto notevole: nè offre meno interesse osservare che questi muscoli si contraggono ancora sotto l'influenza delle stesse emozioni (valgano il terrore e la rabbia) che determinano l'erezione del pelo negli animali collocati sugli ultimi gradini dell'ordine cui l'uomo appartiene.