Carlo Darwin
L'espressione dei sentimenti nell'uomo e negli animali

CAPITOLO XIV.   CONSIDERAZIONI FINALI E RICAPITOLAZIONE

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CAPITOLO XIV.

 

CONSIDERAZIONI FINALI E RICAPITOLAZIONE

 

I tre principii fondamentali che hanno determinato i principali movimenti dell'espressione. - Loro ereditabilità. - Sulla parte che hanno avuto la volontà e l'intenzione nel conseguimento dei modi dell'espressione. - Della conoscenza istintiva dell'espressione. - Rapporti del soggetto colla questione dell'unità specifica delle razze umane. - Sul graduale conseguimento delle diverse forme dell'espressione nella serie dei progenitori dell'uomo. - Importanza dell'espressione. - Conclusione.

 

Io ho fatto del mio meglio per descrivere, nelle pagine precedenti, le azioni principalissime dell'uomo e di alcuni pochi animali inferiori, che costituiscono l'espressione. Ho anche tentato di spiegare l'origine e lo sviluppo di dette azioni in base ai tre principii di cui è parola nel primo capitolo. Il primo di questi principii sta in ciò, che i movimenti utili a soddisfare un qualche bisogno o ad alleviare una qualche sensazione, ripetuti spesso, diventano abituali così, che vengono eseguiti, siano essi utili o no, ogni volta che proviamo lo stesso bisogno o la stessa sensazione anche in un grado assai leggero.

Il nostro secondo principio è quello dell'antitesi. L'abitudine di eseguire volontariamente dei movimenti contrari in seguito a contrari eccitamenti si è fortemente sviluppata per l'esercizio pratico durante tutta la nostra vita. Se quindi sono state eseguite regolarmente certe azioni in un determinato stato dell'animo conforme al nostro primo principio, si verificherà involontariamente una forte tendenza all'esecuzione di azioni direttamente opposte, siano esse o non siano di qualche utilità, sotto l'eccitamento d'uno stato opposto dell'animo.

Il nostro terzo principio è quello dell'azione diretta del sistema nervoso irritato sul corpo, indipendentemente dalla volontà e in gran parte anche dall'abitudine. L'esperienza insegna che si produce forza nervosa e si fa libera ogni volta che il sistema nervoso cerebro-spinale viene irritato. La direzione percorsa da questa forza nervosa viene necessariamente determinata dal modo di unione delle cellule nervose fra loro e colle diverse parti del corpo. Questa direzione viene pure considerevolmente influenzata dall'abitudine, in quanto che la forza nervosa si propaga facilmente in canali messi spesso e da lungo tempo in azione.

I movimenti pazzi e dissennati d'un uomo furioso possono ascriversi in parte alla diffusione di forza nervosa che è priva di particolari condotti, ed in parte all'abitudine; poichè essi rappresentano spesso in un modo indeterminato l'atto del battere. Essi si connettono per ciò sotto questo riguardo coi gesti dipendenti dal nostro primo principio; nel caso per es. d'un uomo arrabbiato od indignato che assume inconsciamente una posizione adatta all'offesa del suo avversario, e senza nessuna intenzione di recargli di fatto un'offesa. Noi vediamo ancora l'influenza dell'abitudine in tutti i sentimenti e le sensazioni che vengono chiamati eccitanti; essi hanno assunto questo carattere per ciò, che ordinariamente hanno provocato delle azioni energiche; ma un'attività modifica in modo indiretto il sistema respiratorio e circolatorio, e quest'ultimo reagisce alla sua volta sul cervello. Ogni volta che noi proviamo questi eccitamenti o sensazioni in grado anche insignificante, quantunque essi in questo caso non producano nessuno sforzo, tuttavia tutto il nostro corpo si turba per la forza dell'abitudine e dell'associazione. Altri sentimenti e sensazioni vengono detti deprimenti, poichè essi comunemente non hanno provocato azioni energiche, eccezione fatta del primo momento, come un estremo dolore, la paura e l'affanno; infine essi hanno cagionato stanchezza o sfinitezza; la loro espressione è per conseguenza formata da segni negativi e da prostrazione generale. Si dànno inoltre altri sentimenti ancora, come quelli dell'affetto, i quali ordinariamente non determinano alcuna attività di nessuna specie e conseguentemente non vengono espressi da segni esteriori distinti. È però vero che l'affetto, in quanto che sia un sentimento gradevole, provoca i segni ordinari del piacere.

D'altro canto, molti degli effetti, che si manifestano, in conseguenza di un'irritazione del sistema nervoso, sembrano essere affatto indipendenti dalla corrente di forza nervosa che percorre i canali diventati abituali in seguito ad antecedenti sforzi della volontà. Simili effetti, i quali tradiscono spesso lo stato dell'animo delle persone affette in tal maniera, non possono spiegarsi per ora; come è per esempio il cambiamento di colore dei capelli in seguito a terrore o cordoglio - il sudor freddo e il tremito dei muscoli per paura - le alterazioni delle secrezioni del tubo digerente - e il cessare dell'attività in certe glandule.

Quantunque molti fatti relativi al soggetto di cui qui trattiamo siano incomprensibili, si possono però spiegare fino ad un certo punto tanti movimenti ed attività costituenti una determinata espressione col mezzo dei tre principii o leggi sopraccennate, che possiamo nutrire fondata speranza di vederli più tardi tutti spiegati col mezzo di essi o di principii assai analoghi.

Le azioni di qualunque specie che accompagnano regolarmente e costantemente una determinata modificazione dello spirito si denominano espressioni. Queste possono essere formate da movimenti di una qualunque parte del corpo; per es. il dimenare della coda del cane, lo stringersi nelle spalle dell'uomo, l'erigersi dei peli, la secrezione di sudore, la modificazione dei capillari, il respirare affannoso, e l'attività degli organi della voce e d'altri apparati producenti suono. Perfino gli insetti esprimono collera, terrore, gelosia ed amore col mezzo dei loro striduli suoni. Nell'uomo gli organi della respirazione hanno un'importanza speciale nell'espressione, in modo diretto non solo, ma anche e molto più in modo indiretto.

Pochi punti relativi al presente soggetto sono più interessanti della catena estremamente complicata di fenomeni che costituiscono certi movimenti molto espressivi. Si consideri per es. la posizione obliqua delle sopracciglia d'un uomo affetto di dolore o di affanno. Quando piccoli fanciulli strillano per la fame o per dolore, la circolazione ne vien modificata e gli occhi si riempiono facilmente di sangue: in conseguenza di ciò i muscoli protettori che circondano l'occhio si contraggono fortemente. Questo modo d'agire è stato sicuramente reso fisso ed ereditario nel corso di molte generazioni. E se anche col progredire degli anni e della coltura sia in parte venuta meno l'abitudine di strillare, i muscoli che circondano l'occhio tendono tuttavia a contrarsi, ogni qualvolta una sensazione di angustia anche insignificante si manifesti. Di questi muscoli, i piramidali del naso sono meno soggetti al controllo della volontà che gli altri, e la contrazione può essere solo impedita da quelle dei fasci mediani del muscolo frontale; questi ultimi fasci sollevano le estremità interne delle sopracciglia e solcano la fronte in un modo tutto particolare, che noi immediatamente riconosciamo come espressione del dolore o dell'affanno. Movimenti insignificanti, come quelli qui accennati, o l'abbassamento appena sensibile dell'angolo orale sono gli ultimi avanzi o i rudimenti di movimenti ben distinti e comprensibili. Essi hanno per noi, riguardo all'espressione, la stessa grande importanza che hanno pel naturalista i comuni organi rudimentali nella classificazione e genealogia degli esseri organici.

Ognuno vorrà concedere che i principali movimenti espressivi presentati dall'uomo e dagli animali inferiori siano al presente congeniti o ereditati, vale a dire non appresi dall'individuo. Impararli od imitarli è affatto impossibile per molti di essi, poichè fino dai primi giorni dell'infanzia e per tutta la vita sono perfettamente esclusi dal controllo della volontà; come per es. il rilassamento delle arterie della pelle, e l'aumento dell'attività del cuore nella collera. Noi possiamo veder arrossire per vergogna bambini di due o tre anni anche ciechi nati, e la pelle nuda del capo di piccoli fanciulli diventar rossa quand'essi sono agitati da qualche passione. I bambini strillano per dolore immediatamente dopo la nascita, e in allora i lineamenti della loro faccia presentano la stessa forma, come negli anni posteriori. Questi soli fatti bastano a dimostrare che molti dei nostri più significanti movimenti espressivi non sono stati appresi; è peraltro meraviglioso che alcuni di essi, senza dubbio congeniti, abbisognino d'un certo esercizio nell'individuo primachè possano essere eseguiti completamente e in modo perfetto: per esempio il pianto ed il riso. L'ereditabilità del maggior numero dei nostri movimenti espressivi spiega il fatto che i fanciulli nati ciechi, come mi dice il rev. R. H. Blair, eseguiscono gli stessi movimenti e nello stesso modo, come quelli dotati della vista. Per l'ereditabilità noi possiamo comprendere anche il fatto, che gl'individui, tanto giovani quanto vecchi, di razze assai distinte, nell'uomo come negli animali, esprimano eguali modificazioni dell'animo con movimenti eguali.

Il fatto che giovani e vecchi animali esprimono i loro sentimenti nello stesso modo ci è tanto famigliare, che noi osserviamo appena quanto sia meraviglioso che un giovane cagnolino appena nato dimeni la coda se è di buon umore, abbassi le orecchie e scopra i denti canini quando vuol mostrare collera, esattamente come un cane vecchio, oppure che un piccolo micino curvi il suo dorso ed eriga i suoi peli per paura o per collera, precisamente come un vecchio individuo della sua specie. Se noi rivolgiamo ora la nostra attenzione a quei gesti, i quali in noi stessi di rado avvengono e che siamo avvezzi a ritenere artificiali o convenzionali, come lo stringer delle spalle per esprimere impotenza o il sollevare delle braccia colle mani aperte e le dita allargate per esprimere meraviglia, ci sorprenderà forse assai di trovare che essi sono congeniti. Noi possiamo conchiudere che questi ed alcuni altri gesti sono ereditari, considerando che essi vengono eseguiti da fanciulli molto giovani, dai ciechi nati e da razze umane le più diverse. Noi dobbiamo ancora ricordare che nuove e molto singolari abitudini, associate con certe modificazioni dello spirito, sviluppatesi in determinati individui furono in alcuni casi trasmesse alla prole per più d'una generazione.

Certi altri gesti i quali a noi sembrano tanto naturali, così che ci potremmo facilmente immaginare che siano congeniti, furono assai probabilmente appresi come i vocabili d'una lingua. Il sollevare le mani giunte e il volgere degli occhi in alto durante la preghiera sembrano essere di questo numero. Lo stesso vale pel bacio quale dimostrazione d'affetto; questo è però innato, in quanto dipende dal piacere che il contatto con una persona amata ci procura. Le prove relative all'ereditabilità del piegare e dello scuotere del capo in segno d'affermazione e di negazione, sono dubbie; questi segni non sono affatto comuni a tutti, ma sembrano però troppo diffusi per essere stati appresi da tutti gli individui di razze tanto numerose in un modo indipendente.

Passiamo ora ad indagare quanta parte abbiano avuto la volontà e la consapevolezza nello sviluppo dei diversi movimenti dell'espressione. Per quanto noi possiamo giudicare, solo alcuni pochi movimenti espressivi, come quelli or ora accennati, furono imparati da ciascun individuo, vale a dire furono consciamente e volontariamente eseguiti nei primi anni della vita ad uno scopo determinato o ad imitazione di altri, e diventati quindi abituali.

Il massimo numero dei movimenti dell'espressione e fra questi i più significanti sono, come abbiamo veduto, innati o ereditari, e di questi non si può dire che dipendano dalla volontà dell'individuo. Tuttavia tutti i movimenti compresi dalla nostra prima legge erano originariamente eseguiti ad uno scopo determinato, vale a dire per preservare da un qualche pericolo, per alleviare una sensazione molesta, o per soddisfare un qualche bisogno. Si può, per es., difficilmente dubitare che gli animali, i quali combattono coi loro denti, non abbiano conseguita l'abitudine di rivolgere le loro orecchie all'indietro e di premerle contro il capo, per ciò che i loro progenitori hanno volontariamente agito in tal modo, per difendere le loro orecchie dalle lacerazioni dei loro nemici; poichè quegli animali che non combattono coi denti non esprimono il loro furore in questo modo. Noi possiamo ritenere come assai probabile, che noi stessi abbiamo conseguito l'abitudine di contrarre i muscoli che circondano l'occhio, quando piangiamo quietamente, cioè senza produrre alcun suono, per ciò che i nostri progenitori specialmente nell'infanzia abbiano provato nell'atto dello strillare una sensazione molesta al loro globo oculare. Inoltre havvi alcuni movimenti altamente espressivi, i quali sono il risultato del tentativo di trattenere o di impedire altri movimenti espressivi; così la posizione obliqua delle sopracciglia e l'abbassamento dell'angolo orale sono conseguenze del tentativo di evitare o di interrompere, se già è avvenuto, uno scoppio di grida. In questo caso, è chiaro che la coscienza e la volontà debbono essere da principio in giuoco; il che però non vuol dire che noi in questi o in altri casi simili sappiamo quali muscoli vengano posti in attività, ciò che qui non avviene, come non avviene nell'esecuzione dei movimenti volontari i più comuni.

Quanto ai movimenti espressivi determinati dal principio dell'antitesi, è chiaro che la volontà è venuta in giuoco, sebbene in un modo lontano ed indiretto. Lo stesso vale ancora per quei movimenti che cadono sotto il nostro terzo principio. Siccome questi sono influenzati da ciò che la forza nervosa facilmente si propaga entro canali usati, essi furono determinati da antecedenti ripetute manifestazioni della volontà. Gli effetti indirettamente determinati da questo ultimo influsso sono spesso complicati, per la forza dell'abitudine e dell'associazione, con quelli che risultano direttamente dalla irritazione del sistema nervoso cerebro-spinale. Di questo numero sembra essere l'aumento dell'attività cardiaca sotto l'influsso d'un forte eccitamento dello spirito. Quando un animale erige il pelo, assume una posa minacciosa ed emette dei suoni furiosi per incutere paura o terrore ad un nemico, noi vediamo un'ammirabile combinazione di movimenti, i quali originariamente erano volontari, con degli altri involontari. È però possibile che anche atti strettamente involontari, come l'erezione dei peli, possano essere stati influenzati dalla misteriosa potenza della volontà.

Alcuni movimenti espressivi potrebbero esser nati spontaneamente in associazione con certe modificazioni dell'animo, come quei piccoli tratti particolari di cui fu parlato anche poco prima. Ma io non conosco nissuna prova di fatto che renda verosimile questa opinione.

La facoltà di comunicazione fra i membri d'uno stesso stipite col mezzo della parola è stata della più alta importanza rispetto allo sviluppo dell'uomo; e la potenza della parola è rafforzata in modo significante dei movimenti espressivi della faccia e del corpo. Noi ci accorgiamo di ciò, quando c'intratteniamo a discorrere sopra un soggetto importante con una persona di cui non vediamo il volto. Ciò non ostante, per quanto mi fu dato indagare, non vi sono ragioni per ritenere che un muscolo qualunque sia stato sviluppato o anche solo modificato allo scopo esclusivo dell'espressione. Gli organi vocali e gli altri apparati che producono suoni assai espressivi sembrano formare una parziale eccezione; io ho tuttavia in altro luogo tentato di dimostrare che questi organi dapprima furono sviluppati per scopi sessuali, affinchè col loro mezzo uno dei sessi possa chiamare e solleticare l'altro. Io non sono neppure in istato di trovare ragioni per ammettere che un movimento ereditario qualsiasi, il quale serve ora come mezzo della espressione, sia stato eseguito in origine volontariamente e consciamente per ottenere questo scopo particolare, - come alcuni gesti e il linguaggio della dita dei sordo-muti. All'opposto sembra che ogni movimento proprio o ereditario della espressione abbia avuto un'origine naturale e indipendente. Ma una volta raggiunti questi particolari movimenti, essi possono essere impiegati volontariamente e consciamente quali ausiliari della reciproca comunicazione. Perfino i bambini s'accorgono in età ancora tenera, se sono accuratamente allevati, che il loro strillare arreca loro sollievo, e presto imparano a strillare volontariamente. Noi possiamo osservare spesso come taluno aggrotti involontariamente le sopracciglia per esprimere stupore, o sorrida per esprimere contentezza e soddisfazione. Spesso avviene che taluno desideri rendere evidenti e dimostrativi certi gesti; e allora innalza le sue braccia distese e colle dita allargate sopra il suo capo, per esprimere meraviglia, oppure solleva le spalle fino alle orecchie per indicare che egli non può o non vuole fare qualche cosa. La tendenza ad eseguire tali movimenti verrà rafforzata o aumentata, se essi vengono eseguiti nel modo anzidetto volontariamente e ripetutamente; e simili attitudini possono essere trasmesse.

Vale forse la pena d'esaminare se certi movimenti, i quali dapprincipio furono usati solo da uno o da pochi individui per esprimere un determinato stato dell'animo, si sieno talvolta estesi ad altri individui e infine si siano resi comuni per virtù dell'imitazione conscia od inconscia. È certo che havvi nell'uomo una forte tendenza all'imitazione indipendentemente dalla volontà cosciente. Ciò si manifesta nel modo più straordinario in certe malattie cerebrali, e specialmente in principio del rammollimento infiammatorio del cervello. Gl'individui affetti da questa malattia imitano, senza nulla comprendere, ogni gesto, per quanto assurdo, che venga fatto in loro presenza, e ripetono ogni parola che venga pronunciata vicino a loro, anche se in una lingua forestiera304. Per quanto riguarda gli animali, lo sciacallo e il lupo in istato di prigionia hanno imparato ad imitare il latrato del cane. In qual modo sia stato originariamente imparato il latrato del cane, il quale serve ad esprimere sentimenti e desiderii diversi, e che è così meraviglioso perchè acquisito dopo che il cane fu ridotto allo stato domestico e perchè ereditato in diverso grado dalle diverse razze, ci è ignoto; ma non si potrebbe forse supporre che l'imitazione abbia avuto la sua parte nell'origine di esso, vale a dire nel senso che i cani sono vissuti per lungo tempo in società con un animale tanto ciarliero come è l'uomo?

Nel corso delle presenti osservazioni e dell'intiero libro io ho spesso provato una difficoltà significante relativa all'uso appropriato delle espressioni: volontà, coscienza e intenzione. Azioni, le quali dapprincipio sono volontarie, diventano presto abituali e infine ereditarie, e allora possono essere eseguite anche in opposizione alla volontà. Sebbene esse manifestino spesso lo stato dell'animo, tuttavia questo risultato dapprincipio non era preveduto aspettato. Anche espressioni simili, come, per es., la seguente: «Certi movimenti servono quai mezzi dell'espressione», possono facilmente condurre in errore, poichè racchiudono l'idea, che questo sia stato il loro scopo primitivo. Ciò sembra essere avvenuto solo di rado o quasi mai; i movimenti, o sono stati originariamente di qualche vantaggio diretto, oppure sono effetti indiretti dell'irritazione del sensorio. Un bambino può strillare a bella posta oppure istintivamente, per dimostrare che ha bisogno di nutrimento; ma non ha desiderio alcuno alcuno scopo di contorcere i suoi lineamenti in un modo particolare, che indica tanto chiaramente la pena. E tuttavia alcune forme assai caratteristiche dell'espressione nell'uomo sono da derivarsi dall'atto dello strillare, come prima fu spiegato.

Sebbene la massima parte delle nostre azioni espressive siano innate o istintive, come ognuno vorrà concedere, è tuttavia un'altra questione, se noi abbiamo una qualche facoltà istintiva di riconoscerle. Si è creduto universalmente che questo sia il caso; ma tale opinione fu violentemente combattuta dal sig. Lemoine305. Le scimie imparano presto a distinguere il suono della voce dei loro padroni non solo, ma anche l'espressione del loro volto, come un accurato osservatore ha indicato306. I cani conoscono assai bene la differenza fra i gesti e i suoni carezzevoli e i minacciosi; e sembra pure che essi riconoscano il suono compassionevole. Ma per quanto io potei dedurre da ripetuti esperimenti, essi non comprendono nissun movimento limitato alla faccia, ad eccezione del sorriso e del riso; questi sembrano essere compresi da loro almeno in alcuni casi. Codesto limitato grado di conoscenza fu conseguito da essi, dalle scimie come dai cani, probabilmente per ciò che hanno associato coi nostri movimenti un trattamento aspro o benevolo; di certo questa conoscenza non è istintiva. È fuor di dubbio che i bambini imparano a comprendere i movimenti espressivi di persone più avanzate in età, nello stesso modo come gli animali quelli dei loro padroni. Inoltre, se un bambino piange, o ride, sa in un modo generale che cosa egli faccia o senta, così che con un piccolo dispendio d'intelligenza capirà che cosa significhi in altri il pianto o il riso. La questione si riduce dunque in questi termini: i nostri bambini conseguiscono essi la conoscenza dell'espressione soltanto col mezzo dell'esperienza ed in virtù della forza di associazione e dell'intelligenza?

Poichè la massima parte dei movimenti espressivi si sono sviluppati gradatamente e devono più tardi essere diventati istintivi, sembra a priori esservi un certo grado di probabilità, che anche la facoltà di riconoscerli sia divenuta istintiva. Almeno questa opinione non incontra difficoltà più serie di quella, che la femmina d'un mammifero che abbia figliato per la prima volta comprenda il pianto di dolore ed angustia dei suoi figli, oppure che molti animali conoscano e temano istintivamente i propri nemici; e di questi due fatti non si può ragionevolmente dubitare. Ma è d'altronde assai difficile dimostrare che i nostri bambini riconoscano istintivamente il significato d'una qualsiasi espressione. Io feci delle osservazioni intorno a questo punto sul mio figlio primogenito, il quale nulla poteva aver imparato pel contatto con altri bambini, e mi convinsi che egli comprendeva un sorriso, provava piacere nel vederlo e rispondeva con uno simile, mentre era in un'età troppo tenera per poter aver imparato qualche cosa dall'esperienza. Essendo questo bambino nell'età di quattro mesi, feci in sua presenza diversi, e strani rumori e gesti stravolti e tentai anche di fare la brutta ciera; ma se i rumori non erano troppo forti, venivano presi, come i gesti, per celie; io l'attribuii al tempo e alle circostanze, poichè tutto ciò era preceduto od accompagnato da un sorriso. A cinque mesi parve intendesse un'espressione e un suono della voce compassionevole. Quando aveva oltrepassato di pochi giorni i sei mesi, la sua allevatrice finse di piangere, ed io potei osservare il suo viso assumere all'istante un'espressione malinconica cogli angoli orali fortemente abbassati. Ora questo bambino poteva aver veduto solo di rado un altro bambino a piangere e mai una persona adulta; io dubito pure che potesse riflettere su ciò in età tanto tenera. Mi sembra quindi che un sentimento innato gli debba aver detto che il finto pianto dell'allevatrice esprime dolore: e ciò provocò in lui dolore per l'istinto di simpatia.

Il signor Lemoine opina che, se l'uomo possedesse una conoscenza innata dell'espressione, scrittori ed artisti non avrebbero trovato tanta difficoltà, come è notoriamente il caso, nel descrivere e nell'imitare i segni caratteristici di ogni speciale stato dell'animo. Questo mi sembra non essere un argomento valevole. Noi possiamo di fatti osservare come l'espressione in un uomo o in un animale cambi in modo da non ammettere confusione, e tuttavia siamo assolutamente incapaci, come io so per esperienza, di analizzare la natura del cambiamento. In due fotografie d'uno stesso uomo attempato prodotte da Duchenne (Tav. III, fig. 5 e 6) quasi ognuno riconobbe, che l'una rappresentava un vero, l'altra un falso sorriso; e tuttavia io trovai grave difficoltà nel decifrare in che consista tutta la differenza.

Io ebbi spesso a restar sorpreso come di cosa meravigliosa, che tante gradazioni dell'espressione siano da noi immediatamente riconosciute senza alcun processo di analisi. Io credo che nessuno possa descrivere esattamente un'espressione di dispiacere e di astuzia; e tuttavia molti osservatori sono concordi nello asserire che queste forme dell'espressione sono riconoscibili nelle diverse razze umane. Quasi ognuno a cui ho mostrato la fotografia di Duchenne relativa al giovane colle sopracciglia obliquamente disposte (Tav. II, fig. 2), dichiarò tosto come essa esprimesse dolore o qualche sentimento analogo; e tuttavia probabilmente nissuna di queste persone oppure una fra mille, avrebbe potuto citare qualche particolare della posizione obliqua delle sopracciglia colle estremità interne ingrossate o dei solchi rettangolari della fronte. Lo stesso accade anche di altre forme dell'espressione; io lo ho praticamente esperimentato alla pena che si prova nell'insegnare ad altri quali punti si debbano osservare. Se dunque una grande ignoranza relativamente ai dettagli non impedisce che noi riconosciamo prontamente e con sicurezza le diverse forme dell'espressione, non comprendo come si possa addurre tale ignoranza per prova che la nostra conoscenza, quantunque indeterminata e assai generale, non sia innata.

Io ho avuto cura di dimostrare con una buona copia di dettagli, che le principali forme dell'espressione presentate dall'uomo sono identiche su tutta la superficie della terra. Questo fatto è interessante, in quanto che costituisce un nuovo argomento in favore dell'idea che le diverse razze derivino da un'unica e stessa forma primitiva, la quale deve essere stata quasi perfettamente umana nella sua struttura e assai avanzata nel suo mentale sviluppo, prima che la divergenza delle razze sia avvenuta. È bensì vero che apparati analoghi di struttura, adatti allo stesso scopo, furono spesso conseguiti indipendentemente, per virtù della variabilità e della elezione naturale, da specie diverse; ma questa idea non spiega la grande somiglianza di specie diverse in un gran numero di insignificanti particolarità. Se consideriamo le numerose particolarità di struttura, estranee all'espressione, in cui concordano esattamente tutte le razze umane, e aggiungiamo ad esse quelle ancor numerose - alcune della più grande importanza e molte di valore assai subordinato, - da cui dipendono i movimenti dell'espressione in un modo diretto od indiretto, mi sembra assai improbabile, che una sì grande somiglianza o, per meglio dire, identità di struttura sia stata determinata da mezzi indipendenti. E tuttavia questo dovrebbe essere stato il caso, se le diverse razze umane fossero derivate da parecchie specie originariamente diverse. Egli è assai più probabile che i molti punti di grande somiglianza nelle diverse razze siano conseguenza dell'eredità da un'unica forma primitiva, la quale abbia già raggiunto il carattere umano.

Sarebbe interessante, sebbene forse penosa, la ricerca dell'epoca in cui, nella lunga serie dei nostri progenitori, sono successivamente apparsi i diversi movimenti espressivi che l'uomo presenta. Le seguenti osservazioni possono almeno bastare a richiamare alla memoria alcuni dei punti più importanti discussi in questo volume. Noi possiamo ritenere con certezza che il riso sia apparso come segno di gioia o di piacere nei nostri progenitori molto prima ch'essi meritassero il nome di esseri umani; poichè moltissime specie di scimie emettono, quando provano piacere, un suono spesso ripetuto, evidentemente analogo al nostro riso, accompagnato da movimenti tremoli delle loro mascelle e delle labbra, durante il quale gli angoli orali vengono ritratti all'insù ed all'indietro, le guancie diventano solcate e perfino gli occhi splendenti.

Nello stesso modo noi possiamo conchiudere che la paura già in un tempo estremamente lontano venisse espressa in un modo quasi identico a quello che ora avviene nell'uomo; vale a dire col mezzo di tremiti, dell'erezione dei peli, del sudor freddo, del pallore, dello spalancar degli occhi, del rilassamento della maggior parte dei muscoli, e col rannicchiarsi o coll'immobilità del corpo.

Il dolore avrà prodotto, se intenso, fin da principio il gridare o il ringhiare accompagnato da contorcimenti del corpo e dal digrignare dei denti. I nostri progenitori però non avranno presentato quei tratti della faccia tanto espressivi che accompagnano il gridare ed il piangere, prima che i loro organi della respirazione e della circolazione e i muscoli che attorniano gli occhi abbiano raggiunto la presente loro struttura. Il lagrimare sembra aver avuto origine da azioni riflesse, risultanti dalla contrazione convulsiva delle palpebre, in unione forse allo iniettarsi degli occhi di sangue durante l'atto del gridare. Il pianto apparve quindi probabilmente più tardo nella serie dei nostri progenitori; questa conclusione concorda col fatto, che i nostri parenti più vicini, le scimie antropomorfe, non piangono. Tuttavia noi dobbiamo qui procedere con qualche prudenza; poichè, se certe scimie, che non sono più affini coll'uomo, piangono, quest'abitudine può essersi sviluppata in un tempo molto lontano, in un ramo secondario del gruppo da cui ha avuto la sua origine l'uomo. Se i nostri antichi progenitori soffrirono cordoglio od inquietudine, non avranno però disposte obliquamente le sopracciglia o abbassato l'angolo orale, prima di avere conseguito l'abitudine di tentare di soffocare i loro gridi. La espressione del cordoglio e della inquietudine è quindi eminentemente umana.

Il furore sarà stato espresso in epoca assai antica da gesti minacciosi o frenetici, dall'arrossarsi della pelle e dallo sguardo fisso, ma non dal corrugarsi della fronte. L'abitudine di corrugare la fronte sembra essersi sviluppata per ciò, che i corrugatori delle sopracciglia furono i primi muscoli a contrarsi, ogni volta che durante la prima infanzia si producevano le sensazioni di dolore o d'ira - circostanze codeste in cui il pianto è imminente - e in parte anche per ciò che il corrugare della fronte serviva di riparo, quando la vista era difficile ed intensa. Quest'azione, di farsi riparo agli occhi colle palpebre, sembra non esser divenuta probabilmente abituale, finchè l'uomo non conseguì una stazione perfettamente eretta; poichè le scimie non corrugano le loro sopracciglia, quando sono esposte ad una luce troppo viva. I nostri antichi progenitori avranno probabilmente denudato i loro denti quando venivano in ira, più di quello che non faccia l'uomo al presente anche quando lascia libero corso al suo furore, come nel caso di alienazione. Noi possiamo anche ritenere per certo che essi avranno allungato le loro labbra in caso di malumore o di disinganno, molto più che non lo facciano al presente i nostri bambini od anche i bambini di razze umane attualmente selvaggie.

I nostri antichi progenitori, sentendosi di malumore o moderatamente sdegnati, non avranno drizzato il capo, allargato il torace, contratte le spalle e stretti i pugni prima d'aver conseguito il contegno ordinario e la stazione eretta dell'uomo, e prima di aver imparato a combattere coi loro pugni o colle mazze. Fino a questa epoca il gesto dell'antitesi, di stringere le spalle in segno d'impotenza o di pazienza, non sarà stato sviluppato. Per la stessa ragione, la sorpresa in quell'epoca non si sarà espressa coll'innalzare le braccia colle mani aperte e le dita allargate. lo stupore, a giudicare dal modo d'agire delle scimie, sarà stato manifestato collo spalancar della bocca; saranno stati invece spalancati gli occhi e curvate le palpebre. L'orrore o l'avversione si sarà manifestata in epoca molto antica con movimenti della bocca simili a quelli del vomito, - ciò però solo nel caso che l'idea, da me espressa in via d'ipotesi (che cioè i nostri progenitori abbiano avuto ed usato delle facoltà di rigettare dal loro stomaco volontariamente e rapidamente un nutrimento che loro non convenisse) sia giusta. Il modo più raffinato di esprimere disprezzo o disistima coll'abbassare le palpebre o col volgere degli occhi e del capo, come se la persona disprezzata non fosse degna d'un nostro sguardo, non si sarà probabilmente conseguito che in epoca di molto posteriore.

Fra tutte le forme dell'espressione sembra essere il rossore la più umana nello stretto senso della parola; e tuttavia ell'è propria a tutte o a quasi tutte le razze umane, sia essa accompagnata da un cambiamento visibile del colore della pelle o no. Il rilassamento delle piccole arterie della superficie della pelle, da cui il rossore è determinato, sembra essere in prima linea un effetto della seria attenzione rivolta all'esteriore della nostra persona e in ispecie della nostra faccia, a cui s'aggiunse poi l'effetto dell'abitudine, dell'eredità e della facilità con cui la forza nervosa percorre vie usate; più tardi sembra essersi aggiunta per virtù dell'associazione l'attenzione rivolta al contegno morale. Si può difficilmente dubitare che molti animali siano in istato di pregiare i bei colori e persino le forme, come si può dedurre dalla cura che impiegano gli individui d'un sesso per far risaltare la loro bellezza davanti al sesso opposto. Ma non sembra però possibile che un animale qualsiasi abbia rivolto una seria attenzione sul proprio esteriore e sia divenuto suscettibile riguardo ad esso, fino a che le sue facoltà intellettuali non sieno state sviluppate in grado eguale o quasi eguale a quelle dell'uomo. Noi possiamo quindi conchiudere che il rossore è apparso in un'epoca assai tarda nella nostra lunga serie di discendenza.

Dai diversi fatti accennati e discussi nel corso del presente libro segue che, se la struttura dei nostri organi della respirazione e della circolazione avessero variato in un grado anche insignificante dallo stato in cui presentemente si trovano, la massima parte dei nostri modi dell'espressione sarebbero stati molto diversi. Una variazione, anche assai piccola, nella distribuzione delle arterie e delle vene del capo avrebbe probabilmente impedito che il sangue possa accumularsi nel nostro globo oculare in seguito a violente espirazioni; poichè questo fatto si verifica solo in assai pochi mammiferi. In questo caso noi non avremmo manifestato alcune delle nostre forme dell'espressione più caratteristiche. Se l'uomo avesse respirato nell'acqua col mezzo di branchie esterne (benchè quest'idea si possa appena immaginare), invece di inspirare aria col mezzo della bocca e delle narici, i lineamenti del suo volto non avrebbero espresso meglio i suoi sentimenti, di quello che ora lo facciano le mani o gli arti. Il furore e l'avversione li avrebbe però sempre potuti esprimere col mezzo di movimenti delle labbra e della bocca, e gli occhi sarebbero diventati splendenti o languidi secondo lo stato della circolazione. Se le nostre orecchie fossero restate mobili, i loro movimenti sarebbero stati in alto grado espressivi; come avviene in tutti quegli animali che combattono coi denti; e noi possiamo ammettere che i nostri antichi progenitori abbiano combattuto in questo modo, poichè noi denudiamo ancora invariabilmente il dente canino di un lato quando esprimiamo scherno o teniamo fronte ad un nemico, e mostriamo tutti i nostri denti se siamo in preda ad un frenetico furore.

I movimenti dell'espressione della faccia e del corpo, qualunque possa essere la loro origine, sono in se stessi di grande importanza pel nostro benessere. Essi servono quai primi mezzi di comunicazione fra la madre ed il figlio; essa gli dimostra con un sorriso la sua approvazione e lo sprona con ciò a continuare per la retta via, oppure essa manifesta col corrugar della fonte la sua disapprovazione. Noi ci accorgiamo spesso della simpatia di altri dalla forma della loro espressione; i nostri dolori vengono con ciò sollevati e aumentate le nostre gioie; e con ciò viene rafforzato il sentimento reciproco dell'affetto. I movimenti dell'espressione dànno alla nostra parola vivacità ed energia. Essi mettono in chiaro i pensieri e le intenzioni degli altri meglio che nol facciano le parole, che possono essere simulate. Per quanto di vero possa esservi nella così detta scienza della fisionomia, essa sembra dipendere, come già da lungo tempo ha osservato Haller307, da ciò che persone diverse, a seconda dei loro sentimenti, mettono in frequente azione diversi muscoli della faccia; così si aumenta forse lo sviluppo di questi muscoli, e le linee o solchi che si formano sulla faccia in conseguenza dell'abituale loro contrazione diventano più profondi e più evidenti. La libera espressione d'un sentimento col mezzo di segni esterni lo rende più intenso. D'altro lato, la eliminazione di ogni segno esterno, per quanto è possibile, rende i nostri sentimenti più miti308. Chi lascia libero sfogo al proprio furore con gesti violenti, non farà che rafforzarlo; chi non sottopone i segni esterni della paura al controllo della volontà, sentirà paura in grado più elevato; e chi resta inattivo, quando vien sopraffatto dal dolore, perde la miglior occasione per riconquistare l'elasticità dello spirito. Questi risultati scaturiscono in parte dal rapporto intimo che passa fra i sentimenti e la loro esterna manifestazione, in parte dall'influsso diretto d'una tensione sul cuore e conseguentemente anche sul cervello. Anche la finzione d'un sentimento è causa ch'esso si risvegli leggermente nel nostro spirito. Shakespeare, il quale per la sua meravigliosa conoscenza dell'animo umano dovrebbe essere giudice competente, dice: «Non è egli mostruoso che, per una sventura immaginaria, per un vano sogno di passioni, quel commediante esalti l'anima sua al livello della parte ch'ei recita e ne dipinga tutti i moti sull'infiammato suo volto? Occhi umidi di pianto, dolore scolpito sopra ogni lineamento, voce interrotta da singhiozzi, gesto patetico e conforme allo stato in cui finge di essere; e tutto ciò per nulla!» (Amleto, atto II, scena 2).

Noi abbiamo veduto che lo studio della teoria dell'espressione conferma fino ad un certo punto l'idea, che l'uomo abbia avuto la sua origine da una bassa forma animale, e appoggia l'opinione della specifica o subspecifica identità delle diverse razze umane; ma a mio giudizio, ciò abbisogna appena di una tale conferma. Noi abbiamo anche visto che l'espressione in o il linguaggio del sentimento, come fu anche talvolta denominata, è certamente importante per il benessere dell'umanità. L'imparar a conoscere, per quanto è possibile, la fonte e l'origine delle diverse espressioni, che ad ogni momento ci è dato osservare sulla faccia degli uomini (per non parlare affatto degli animali domestici), dovrebbe avere un grande interesse per noi. Per questi motivi noi possiamo conchiudere che la filosofia del nostro soggetto è degna di tutta l'attenzione che le fu già concessa da parecchi distinti osservatori e che essa merita uno studio sempre maggiore da parte di tutti i distinti fisiologi.

 

 


Tav. II

 

 

 

 


Tav. III

 


Tav. IV

 


Tav. V

 

 


Tav. VI

 


Tav. VII






304 Vedi gli interessanti fatti narrati dal dott. BATEMAN nel suo trattato sull'Afasia, 1870, p. 110.



305 La Physionomie et la Parole, 1865, p. 103, 118.



306 RENGGER, Naturgeschichte der Säugethiere von Paraguay, 1830, p, 55.



307 Citato da MOREAU nella sua edizione del LAVATER, 1820, tom. IV, p. 211.



308 GRATIOLET (De la Physionomie, 1865, p. 66) afferma la verità di questa conclusione.



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