Enotrio Ladenarda (alias Andrea Lo Forte Randi)
La Superfemina abruzzese

LA PIÙ NOBILE OPERA DI GABRIELE

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LA PIÙ NOBILE OPERA DI GABRIELE

I.

Parla Gabriele:

«Più che l'amore è un Poema di libertà»5 – di quella libertà che non conosce confine, perchè può tutto dire e tutto fare, ed è, quindi, prerogativa del delinquente, del gorilla e del Superuomo.

«In questo mio Poema la più bella speranza canta la più alta melodia.» – Ciò non vuol dir nulla, lo so; ma le parole son così belle! Ma già voi lo sapete: so io dir altro che belle parole? Vuote, sciocche, inutili, tutto quello che volete, ma belle. Lasciate, dunque, che io ripeta: «In questo mio Poema la più bella speranza canta la più alta melodia».

«In Corrado Brando sono manifesti, con i segni proprî dell'arte tragica, l'efficacia e la dignità del delitto concepito come virtù prometea.» – Se ci ha tra voi che mi ascoltate dei delinquenti o di quelli che sono disposti a delinquere, io dico loro: Volete che la vostra coscienza senta la dignità del vostro delitto? Ebbene, commettete il delitto come virtù prometea, e voi sarete dei nobili delinquenti come Corrado Brando, che – come sapete – fu seduttore, ladro ed assassino. – Oh! «Più che l'amore

«Nessuna delle mie opere fu tanto vituperata e nessuna mi sembra più nobile di questa.» – E vo' dirvene il perchè. Il protagonista di questa che è la più nobile delle mie opere, è «un nobile eroe latino della terza Roma», nobile, nobilissimo, anzi, poichè esso – come sapeteviola la casa ospitale, seduce la sorella dell'amico, calunnia i suoi animosi compagni, ruba ed uccide con virtù prometea.

«Col canto senza musica..... (Non dimenticate che in Più che l'amore «la più bella speranza canta la più bella melodia» senza accompagnamento di flauti, di violini, di contrabassi) – Vi dicevo dunque che «col canto senza musica questa mia tragedia si accorda cogli esemplari augusti dei tragedi greci. Sorta dalla mia più vigile angoscia..... – Non m'interrompete, di grazia. Lo so, lo so: voi vorreste sapere quale è la mia più vigile angoscia, dalla quale è sorta questa mia tragedia. Ma! E lo so io forse? E poi se le parole son belle, è necessario, forse, che significhino qualche cosa? E dunque? – «Sorta dalla mia più vigile angoscia colla spontaneità di un grido....

– Come il fiat lux di Domineddio?

Sissignori!

.....ella sembra composta sotto l'insegnamento assiduo dei primi tragedi.....

..... – Sembra! Ho io detto sembra? Sì, è mio costume di sballarle un po' grosse; ma ciò io faccio per far piacere a voi altri, che – solo per questo – mi applaudite. È evidente che, poichè questa mia «più nobile tragedia» l'ho scritta io, chi, se non io, può e deve sapere se io l'abbia o non l'abbia composta sotto l'insegnamento assiduo dei tragedi greci? E allora, perchèimitando il fu microcefalo Giovannino, mio fratello minore e maggiore – vi dico che sembra? – È composta, o sembra composta? Sembra? – ma allora non è. È? – ma allora non sembra. Ciò che sembra non è quel che sembra, ma è altra cosa da quello che sembra; onde è chiaro che questa mia «più nobile tragedia» la quale sembra composta... non è composta. Non è così? E allora applauditemi. – E vo' che mi applaudiate anche per quello che vi dico ora:

«Se io contemplo questa mia più nobile tragedia, gli accordi e i riscontri che io discopro in lei coi capolavori di Eschilo, di Sofocle e di Euripide, sono per me inattesi.» – Il che, come vedete, significa, nientemeno!, che questa mia «più nobile tragedia» si accorda cogli esemplari augusti dei tragedi greci senza che io lo volessi o sapessi! Infatti, cotesti accordi, in essa li discopro solo quando io la contemplo!

«E questi accordi e riscontri mi significano le divine analogie della vita ideale, le comunioni misteriose e quasi direi sotterranee, che affratellano le creature dello spirito.» – Ho detto sotterranee. Ma pensate con me: Non è Corrado Brando un superuomo? E le comunioni che affratellano i superuomini, che sono appunto «le creature dello spirito», non sono di ragione comunioni superterranee? Il mio sproposito è, dunque, evidente, e voi mi dovete, per questo, un nuovo applauso. Quanto alle creature dello spiritopoichè vi leggo negli occhi la gran brama di sapere che c.... esse siano – mi do l'onore di dirvi che esse sono gli aborti, i quali – questo lo sapetesogliono immergersi nello spirito. – E passo avanti.

«Quando sulla mano pallida ma forte di Maria Vesta, che alza il suo .... velo, intravedo l'ombra.... (Badate ch'io non intravedo niente; dico per dire) ... intravedo l'ombra del braccio di Ercole che discopre il viso fedele di Alcesti tornante dall'Ade, io riconosco l'eternità della Poesia che abolisce l'errore del tempo....» – E tutto ciò io vi dico come se Maria Vesta fosse una donna reale o fatta tale dal mito, come se cotesta marionetta non l'avessi fabbricata io stesso colle mie mani, come se non fossi io a muovere con un filo la mano con cui essa alza il suo.... velo nel darsi alle voglie della marionetta Corrado Brando. – Ma voi, cui ne ho già fatte inghiottire delle più grosse, mi farete la grazia d'inghiottire anche questa: in quella mano (che di ragione dev'essere molto piccina) io intravedo l'ombra dell'enorme braccio di Ercole, nientemeno! – Ed inghiottite, vi prego, anche quest'altra: Io riconosco l'eternità della poesia che abolisce l'errore del tempo. – Il che significa: 1. che Corrado Brando è contemporaneo di Oreste e di Ajace, o che Oreste ed Ajace sono contemporanei di Corrado Brando; 2. che Più che l'amore è poesia eterna. – Non ragiono bene io? Se così è (e quando lo dico io è così) aprite bene le orecchie e ascoltate:

«Anche riconosco la verità e purità della mia arte moderna.... – (Badate: della mia arte moderna.... non della mia arte antica) – che cammina col suo passo inimitabile.... – E vi permetto che per «arte inimitabile» intendiate: arte non degna d'imitazione, come dovrebbero essere tutte le porcherie. – Dunque «la mia arte moderna, cammina col suo passo inimitabile, colla movenza che è propria di lei sola.» – Infatti, se voi ben la guardate, essa si muove agitando le natiche, come fanno le sgualdrine. – Dunque, «la mia arte moderna cammina colla movenza che è propria di lei sola, ma sempre sulla vasta via diritta segnata dai monumenti dei poeti padri... – (esclusi i poeti nonni e i poeti bisnonni) – dei quali poeti padri io sono legittimo figlio, come l'arte mia moderna, naticante, ricca di belletti, di fronzoli e di quisquiglie, luminosamente dimostra.

«Perciò io mi considero maestro legittimo, e voglio essere e sono il maestro che per gl'Italiani.... – (anche per quegli Italiani che mi hanno fischiato) – riassume, nella sua dottrina, la tradizione e le aspirazioni del gran sangue onde è nato... – (che, come sapete, è il gran sangue composito Rapagnetta-D'Annunzio) – non un seduttore e un corruttore – (come molti mi chiamano e – in confidenza – hanno ragione di chiamarmi) – bene un infatigabile animatore che eccita gli spiriti... – (col segreto ch'io solo posseggo, cioè, prostituendo i sensi) – non soltanto con le opere scritte... – (cioè, che io ho scritte a conforto degli impotenti) – ma anche con i giorni trascorsi leggermente.... – (statemi bene a sentire) – trascorsi leggermente nella dura disciplina.» – E vi leggo negli occhi il desiderio di sapere che c.... intenda io dire accoppiando quel leggermente a quel dura, che la fanno a pugni tra loro. Ma la sarebbe una storia lunga; solo vi dico che leggermente sveglia un'idea di piacere, perchè ciò che pesa poco sulla nostra vita è sempre piacevole, e che dura disciplina è un'espressione metaforica, la quale non ha niente affatto la significazione di pesante, di sgradito, di dispiacevole, tutt'altro! ... giacchè è il caso che io vi adduca degli esempî – vi hanno cose dure che sono piacevoli, dico meglio: che sono per me molto piacevoli, e più esse son dure e più esse mi piacciono.... Sicchè, riassumendo, il mio pensiero è questo: «Io sono un infaticabile animatore ed eccitatore degli spiriti, non solo per le molte mie opere pornografiche, ma sì ancora e più per avere trascorsa la vita leggermente nell'esercizio piacevolissimo di dura disciplina, ossia nella disciplina di un esercizio per me tanto più delizioso quanto più duro.

«Le figure della mia poesia insegnano la necessità dell'eroismo.» – Infatti, i miei eroi sono eroi senza saperlo, senza volerlo, lo sono per necessità, come accade, per esempio, alle marionette Orlando e Rinaldo, che, fatte di legno o di stoppa, pur sono eroi; o come accade alla marionetta Corrado Brando, che, ladro ed assassino, è – ciò non ostante – un eroe senza saperlo, per necessità, voglio dire che egli è eroe per forza maggiore, essendo egli il mio alter-ego; ed io, voi lo sapete, io sono l'eroe per eccellenza, avendo io trascorso leggermente la vita nella disciplina di un duro, sì, ma delizioso esercizio.

Sappiate, intanto, che «uscito è dalle mie fornaci.... – E perchè mi guardate così? Oh! che non sapete che io sono un fornaciaio? E ditemi: a che cosa servono le fornaci se non a cuocervi calcina, tegoli e mattoni, e poi mattoni, tegoli e calcina? Bassa, sì, ma facile e lucrosa industria cotesta, che non richiede ingegno sapere, e alla quale, in alcune parti del mondo, dopo breve esercizio, riescono eccellenti perfino le scimmie. Così è dato a voi conoscere il segreto della mia strabiliante «fecondità». Gli è che io lavoro colle fornaci, colle mie fornaci, dalle quali escono sempre le stesse cose: esse crescono, sì, di numero, ma di diverso non hanno altro che il nome. I miei romanzi sono sempre il medesimo romanzo; i miei drammi sono tutti il medesimo dramma; i miei superuomini sono tutti, ognora e sempre, la medesima marionetta con suvvi un diverso vestito. Guardateli bene: essi – maschi o femine – hanno tutti la stessa carnela mia carne – come i tegoli hanno tutti la stessa terra. – Ed ora permettete ch'io ripigli il mio discorso.

«Uscito è dalle mie fornaci il solo poema di vita totale, vera e propria rappresentazione d'Anima e di Corpo che sia apparsa dopo la Commedia di Dante....» – Questa che vi dico – lo so – è una cosa, non solo fischiabile, ma anche bastonabile – lo so; ma oggi son di buono umore...; e poi, il dir di coteste cose mi costa, forse, qualche cosa? – Il pericolo della bastonatura? dite voi. Bah! e non ci siete voi, voi, miei fidi e bravi cretinoidi, ognor pronti a gridare sempre più alto il mio nome e a spargere, occorrendo, il vostro sangue per me?

«Questo mio poema si chiama Laus Vitae.» – cioè «la lode della mia vita», che io ho trascorsa leggermente e grecamente, come il greco Alcibiade, che leggermente trascorse la sua sotto la dura disciplina di Socrate.

Ciò posto, «che mai può significare e volere il tentativo di rivolta....Veramente, questo è un eufemismo di cui io mi servo pel rispetto che io debbo alle mie orecchie, che mal sopporterebbero il suono delle parole tempesta di fischi, dei quali echeggiano ancora la sala, i palchi e il loggione del Costanzi... – Vi dicevo dunque: «che mai può significare e volere il tentativo di rivolta contro la mia signoria spirituale, basso e vano come una sommossa di schiavi ubbriachi?» – Ben è vero, sì, che di cotesti «schiavi», io avevo agognato gli applausi, e che è da sciocco il parlare, come io faccio, di «signoria spirituale» sopra degli schiavi, i quali, per giunta, sono anche ubbriachi. Ma gli è che io son io; voglio dire che quando una frase, una proposizione, una parola mi riempie a meraviglia le orecchie, non cerco più in , e mi vi afferro e la inchiodo sulla carta o la lancio fuori dalle mie labbra, contemplandola nei suoi segni grafici o nelle sue vibrazioni armoniose, dica pure una sculacciabile sciocchezza. D'altronde voi, miei fedeli cretinoidi, non mi applaudite voi, forse, per questo? E allora?

«Qual mai potenza può oggi rivendicare contro la mia arte, se la mia arte ha celebrato e celebra, nella più schietta ed energica lingua d'Italia,6 le più superbe e sante potenze della vita...», le quali io ho impersonate in Brando ladro ed assassino?

«In nome di qual principe degno di esser nato e coronato re (come son io) domandano la mia deposizione i poveracci che si sfamano cogli avanzi dei miei conviti e i ladruncoli che trafugano i frutti degli alberi dei miei giardini

-

– (Qui il Divo si ferma di botto, come chi, correndo all'impazzata, si accorga di avere smarrita la sua strada. Infatti, i poveracci, di cui egli ha parlato, che si sfamano cogli avanzi dei suoi conviti, e i ladruncoli che trafugano i frutti degli alberi dei suoi giardini, ecco, egli se li vede attorno alla sua piccioletta augusta persona, rispettosi ed umili, come sempre, pronti a leccargli il sedere, come sempre, e, come sempre, entusiasti della sua arte, che «celebra le più superbe e sante potenze della vita» spargendo intorno

d'ascelle e d'inguini
e d'altro ancor
odor.

Quei suoi ladruncolidico – egli se li vede prosternati, come sempre, dinanzi, tutti intenti ad espiare colla loro umiliazione fedele e devota l'oltraggio a lui fatto dagli «schiavi» che lo hanno fischiato, che hanno schifo di accostarsi ai suoi banchetti putenti di carne pregna di acre sudore, e i frutti dei suoi alberi gettano agli eunuchi pei quali egli li ha coltivati. Sì, i poveracci e i ladruncoli contro cui se l'è presa – egli ben se ne avvede – sono i dannunziani.... Ahimè! Ma può egli dar di frego ad un periodo che gli è venuto fuori così bello? – «In nome di qual principe....» – e se lo ripete le due, le quattro volte. Oh! come è bello! – «.... i poveracci che si sfamano.... i ladruncoli che trafugano....» Bello! Bello! – «In nome di qual principe degno d'esser nato e coronato re....» Bello! Bello! Bello! – E pensa: Ma che diranno i miei adoratori di me che in sì indegno modo li tratto?... Che diranno?... – Ma non diranno niente... Non son essi dei cretinoidi? Non è dalla loro bocca, infatti, che esce quel coro di lodi al mio indirizzo? Ecco! Ecco! Quello non è Menico Oliva, che, deputato da loro e in nome di tutti loro, addosso ai miei «schiavi ribelli»? Uditelo! Uditelo!

—– O invidi della gloria del Divo, o voi che lo avete fischiato, quanto più alta la piccioletta persona del Poeta si sarà elevata nel concetto dei contemporanei....

– D'Annunzio tra : cioè, nel concetto dei miei moretti e dei femminaccioli letteruti.

—– ... quanto più vasta ne sarà la fama....

– Il Divo, tra : Vasta è improprio; bisognava che tu dicessi grande, crocchione mio carissimo.

—– ... tanto più scoppierà la vostra frenetica gioja di demolizione. – Sì, voi volete che egli, il Poeta, sconti tutti i plausi di un tempo, tutte le ammirazioni, tutte le adorazioni....

Gabriele, tra : frutto d'una sapiente, denarosa réclame.

—– ... le migliaia dei suoi volumi venduti....

D'Annunzio, tra : I cretini son senza numero.

—– ... i trionfi dei salotti e delle piazze....

– Il Divo, tra : Ma che piazze d'Egitto! Dei postriboli, dovevi dire, dei postriboli.

—– ... i sorrisi delle donne....

Gabriele, tra : conquise dalla mia formidabile mascolinità superumana.

—– .... la devozione degli scolari....

– D'Annunzio, tra : un vero esercito di mastrupatori.

—– ... le ingenue proteste d'affetto degli umili....

– Il Divo, tra : Meglio se tu dicessi: l'affetto dei poveri di spirito, ossia di tutti i Menicucci d'Italia.

—– ... il favore della critica....

Gabriele, fra : E so ben io e sanno i miei editori quanto è costato e quanto costa cosiffatto favore!

—– ... il grido assordante della stampa....

– D'Annunzio, tra : la quale, per mia fortuna, è caduta in mano dei bocciati a tutti gli esami.

—– ... le vittorie più luminose....

– Il Divo, fra : specie nel campo pornografico succhiatore.

—– .... le conquiste più strenue e più solenni....

Gabriele, fra : Veramente, io giurerei di non avere fatto conquiste di nessun genere. Pregherò a quattr'occhi Menicuccio perchè me le ricordi... Conquiste! e poi strenue! e poi solenni!

—– O fischiatori dell'Immaginifico, sappiate che i vostri fischi sono la rivincita dei vinti di un giorno, dei conquistati di jeri, reazione brutale e selvaggia....

– L'Immaginifico, tra : Davvero? Io ignoravo che l'asinità di Menicuccio potesse giungere a tanto!... Dunque, secondo lui, se il vinto di un giorno, se il conquistato di jeri reagisce e riesce a prendersi la rivincita è un brutale e un selvaggio?! Ma, viceversa, cotesto è un gesto di valore e, perciò, di gloria. Oh! come arrossisco dei miei difensori! Ma.... acqua in bocca!

—– Jeri sera, mentre voi, fischiatori del Poeta, vi scagliavate contro una gloria e contro una potenza....

– Il Poeta, tra : Potenza?! Oh!, se tu, Menicuccio, sapessi! Ma... acqua in bocca!

—– ...io, invece, evocavo, con palpito d'immensa commozione....

– Il Divo, fra : commozione rettorica. Mi accorgo bene che egli è mio degno discepolo, poichè è capace di far delle evocazioni nella sala di un teatro in piena tempesta di..., in pieno tumulto!

—– ... evocavo le mille bellezze che questa mente felice....

– D'Annunzio, fra : Bravo! La mia mente!

—– ... ha saputo creare; evocavo i ritmi e le rime di cui è signore....

Gabriele, fra : signora, Menicuccio, signora. Ma... acqua in bocca.

—– ... le prose fluide e pure che gli sgorgano dalla penna....

– L'Immaginifico, fra : Infatti, esse non mi sgorgano dalla mente dal cuore.

—– ... acque limpide e scintillanti, melodiose nel loro corso nei paesi del sogno e nei paesi della realtà....

– Il Divo, fra : Dimentichi una categoria di paesi – (e la più importante) – quella dei paesi dell'impotenza la quale, per via del desiderio, giunge alla più sfrenata libidine, alla pederastia e all'incesto.

—– ... Rievocavo – mentre il teatro Costanzi pareva dovesse andare in rovina sotto i vostri fischi, o invidi della gloria del Poetarievocavo l'adolescenza vittoriosa....

– D'Annunzio, fra : Intorno alla mia adolescenza vittoriosa, chiedere informazioni al «buttero platonico» e compagnia bella.

—– ... la virilità ferma....

Gabriele, fra : Acqua in bocca.

—– ... quelle sue Elegie, quel suo Poema paradisiaco, quelle sue Odi navali e, specie, quelle sue Laudi, in cui la divina giovinezza ellenica è sposata alla grandezza latina....

Gabriele, fra : Bel matrimonio fra due femine!

—– ... quel suo Piacere, che è una festa, benchè triste e stanca....

– Il Poeta, fra : O Menicuccio, tu mi rubi il mestiere!

—– ... quel suo Innocente, che è una primavera, benchè terribile e perversa....

Gabriele, fra : Tu cominci a farmi invidia.

—– ... quel suo superbo Trionfo della Morte, che mi convertì al fascino del suo ingegno....

– D'Annunzio, fra : Che fortuna per entrambi!

—– ... sentivo, o fischiatori, sentivo profumi di fiori; ascoltavo murmuri di fonti; passavano visioni di donne, di città, di marine, di miti; era come uno spettacolo di idee e di cose che mi trascinava e mi incantava.

– Il Divo, fra : Più parolaio di me! Chi se lo sarebbe immaginato? E tutto questo ben di Dio Menicuccio lo evocava, lo sentiva e lo vedeva mentre infuriava al Costanzi «la sommossa degli schiavi» contro di me! Pare impossibile! Ma, Meninicuccio non sarebbe per avventura anch'egli un tantino superuomo? – E che pensa di dire adesso?

Menicuccio: Ecco perchè il Poeta vinto mi parve un vincitore7

Gabriele, fra : Il che va tradotto così: Ecco perchè quei fischi parvero a me, Menicuccio, frenetici applausi.... Non altrimenti i molini a vento parvero a Don Chisciotte terribili mostri! – Bravo! Menicuccio; bravo davvero! Io ti inalzo, da oggi, al posto di mio primo moretto. – Ed ora che tu taci, parlo io.

«Come mai sperare, non dico di prevalere, ma di giungermi al calcagno, il rumore servile dei troppi che, non sapendo avermi per maestro, mi hanno per padrone, e recano in fronte il mio marchio rosso, e cercano invano di graffiarlo rompendosi le unghie – sia detto con sopportazione – non dissimili da quelle di Taide attuffata nella seconda bolgia?»

-

Ladenarda, ad altissima voce: Lo hanno per padrone! Bel padrone, affemmia, cotesto vanesio avventuriero che i «servi» cacciano via – a pedate – fuori della casa di gloria che egli si era indebitamente appropriata! Egli parla di «marchio rosso»! Ma la verità è che, in fatto di marchio rosso egli può solo parlare da ricevente, sia detto con sopportazione. Quanto alla sua millanteria di credersi maestro e padrone, io qui vorrei la buon'anima di mio nonno, il quale – coll'autorità che al suo tempo avevano tutti i nonniprenderebbe per un'orecchia cotesto vizioso pulzellone, poi se lo caccerebbe rovescioni sulle gambe e me lo sculaccerebbe con quelle sue sante mani che sapevano il mestiere, me lo rimetterebbe in piedi se prima ei non gli ripetesse tre volte: nu fazzu cchiù! nu fazzu cchiù! nu fazzu cchiù!Chè, che cosa volete usare contro cotesto enfant-gâté, contro cotesto ranocchio che s'illude d'esser grande, per lo meno, quanto papà Alighieri, il ragionamento forse? Bisognerebbe essere Croce e Borgese per farlo, due ranocchi anch'essi, che si credono, per lo meno, gli uguali del De Sanctis! Ma i ragazzacci sfacciati, vanitosi, viziosi e cattivi, anche quando abbiano cinquanta anni e discendano dal «gran sangue» dei Rapagnetta-D'Annunzio, si sculacciano: questo solo è il rimedio adeguato allo scopo cristiano di rimetterli sulla buona via. Se li pigliate sul serio, ringalluzziscono, vi danno dello schiavo e dell'ubbriaco, si proclamano maestri e padroni, sovrani e despoti, vi montano sulle spalle e vi fanno la cacca addosso. Sì, tutto questo il cinquantenne pulzellone ha fatto perchè, anzichè in un nonno a modo, egli si è abbattuto in altri ragazzacci da meno di lui nell'industria di affastellare o vuote od oscene parole, e li ha sbalorditi ed ubbriacati, e ha detto loro: Io sono il vostro maestro e il vostro padrone. Ammiratemi, applauditemi, e poi applauditemi ed ammiratemi, se non volete ch'io vi marchi in fronte col mio «marchio rosso» – E i ragazzacci ad ammirarlo e ad applaudirlo per non farsi marchiare col marchio rosso, del quale – ma essi lo ignoranoGabriele è affatto sfornito.





5 Tutte le parole in corsivo si leggono nella Prefazione di «Più che l'Amore».



6 Una delle più schiette ed energiche fonti di lingua e di stile alla quale il D'Annunzio attinge la sua lingua e il suo stile è Frate Francesco Colonna, detto Panfilo. Ecco come costui descrive la bellezza di una donna.

«Ella ha nitidissima et delicata carne et lactea cute, ampli fianchi, delicatamente tumidulo pecto, pudico alvo cum grato tumento, resistenti et tremule nate, rotundo et piccolo ventre, distese braccia, longe mani, ornate di subtili et tornatili digiti, cum longiuscole, surribicundile et lucide ungne, dritto et gallateo collo, spatioso et delitioso pecto, bianchissima gola.



7 Leggere questo elogio d'un evirato per un altro evirato in Giornale d'Italia – 20 ottobre 1906.



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