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G. D'Annunzio, che cura così femminilmente e cocottamente le sue vesti fin nei più piccoli particolari, fin nella forma e nella grandezza dei bottoni e degli occhielli, fin nell'altezza dei tacchi, fin nei colori delle calze, fin nell'odore dei suoi guanti, ed ha un ricco e vero corredo muliebre di camicie, di mutande, di colletti, di fazzoletti e di profumi, non tratta diversamente i prodotti del suo ingegno portentoso, davvero portentoso per le superfluità ornamentali con cui riesce a dar loro una consistenza apparente. Così accade che, se voi dispogliate quei suoi prodotti di tutto il ciarpame rettorico e verboso di cui egli li ha paludati alla maniera che le sarte fanno coi loro mannequins, che cosa resta di loro? Meno che niente.
Ma la femminilità del D'Annunzio è ancora più visibile e tangibile nelle per interminabile prolissità famose didascalie delle sue tragedie, ohimè, tutte, ormai, morte e seppellite! – Ecco qua le didascalie che egli premise ai due «Episodî» nei quali è diviso Più che l'amore, la sua – come egli l'ha battezzata –più nobile opera:
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— Appare una stanza spaziosa..... – (non più spaziosa, cred'io, del palcoscenico) – e imbiancata nella casa di Virginio Vesta ingegnere idraulico.... pardon!) – ingegnere d'acqua (sic), che sta.... – (l'ingegnere o la casa?) – che sta lungo il Tevere, alle Marmorate, tra l'Aventino e il Testaccio... – (non altrove, per carità!) – Una finestra è a manritta, una porta a manca, un'altra in fondo... Alle pareti pendono tabelle di formole... – (algebriche e geometriche inscrittevi con esattezza matematica) – tavole grafiche, grandi carte ove son figurati i corsi dei fiumi.... (perciò di tutti i fiumi!) – dei torrenti, dei canali, gli apparecchi delle fontane, gli spaccati delle cisterne, delle condotte, dei serbatoi, delle chiuse, delle dighe, dei ponti; le opere di presa e di difesa, i congegni delle nuove macchine per inalzare, condurre, governare le acque... – (Ed è a credere che ciascuno degli spettatori, che si suppone siano tutti ingegneri d'acqua e tutti dotati d'occhi di lince, esaminando da lontano cosiffatto apparato tecnico strumentale, resti soddisfatto e si metta ad applaudire). – Scaffali bassi ricorrono intorno carichi di volumi. Un tavolo robusto è presso la finestra, e sopra vi sono i larghi fogli per disegnare, le righe, le squadre, le seste, le matite, gli inchiostri (anche!) tutti, insomma, gli strumenti dell'arte... – (inclusi i chiodini a larga capoccia per appuntare la carta!) – e vi è anche di metallo il modello di un ariete idraulico, di legno il modello di un ponte di tre archi... (tre, non due, non quattro). – In un vaso di vetro un mazzo di violette vere e olezzanti. Non questi fiori soltanto interrompono la semplicità rigorosa (oh!), ma anche alcune immagini sublimi: il busto di Dante, il ritratto a sanguigna della vecchiezza di Leonardo, la testa dello schiavo – (proprio quella!) – di Michelangelo, la maschera autentica di Ludwing von Beethoven formata da Franz Klein nel 1812... – (Particolare, questo, che farà andare in visibilio gli spettatori, che si suppone siano tutti intenditori d'arte, e che, dotati anch'essi di lincei occhi, riusciranno ad assicurarsi che quella è la maschera autentica di Luigi.... pardon!, di Ludwing von Beethoven!) – il calco della statua mutilata che fu tratto dal frontone occidentale del Partenone, creduto il simulacro fluviale dell'Ilisso attico... (come se ci fosse un Ilisso non attico!, alla cui vista – dato che da lungi lo scorgano – gli spettatori – che si suppone siano tutti archeologhi – esulteranno di gioia). – È un pomeriggio di marzo, mutevole, in cui si avvicendano gli scrosci di pioggia (senza sole) e gli sprazzi di sole (senza pioggia). Nulla di fittizio: D'Annunzio farà piovere e farà splendere il sole colla sua onnipotente volontà, non acconciandosi egli agli scrosci di pioggia ottenuti coi soliti meccanismi, nè ad un sole fatto di luce elettrica). – Per la finestra si scorgono.... – (perciò gli spettatori scorgono!) – si scorgono i lecci, i pini, i cipressi dell'Aventino... (e i passeri che nidificano fra i loro rami) – Santa Maria del Priorato, la villa dei Cavalieri di Malta, i mandorli sul clivo erboso, le vecchie muraglie coperte d'edera... (tra la quale serpeggiano alcune lucertole e passeggiano varie schiere di formiche dalle lucertole insidiate e divorate. Che incanto per gli spettatori, che si suppone siano tutti pittori di paesi dannunziani!)
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— Appare una stanza tutta parata di tela grezza da tenda nella casa di Corrado Brando, posta tra il muro di Servio e il Foro Trajano... (non altrove, per carità!) – Su le pareti sono sospesi i trofei. D'attorno a cranî di elefanti e di antilopi... (Già! di antilopi e di elefanti. Infatti, gli spettatori, che si suppone siano tutti zoologhi, non si terrebbero dal protestare se al posto dei cranî di elefanti e di antilopi vedessero cranî di rinoceronti e di capre) – gli utensili e le armi delle tribù nere sparse lungo le fiumane misteriose dalla valle dell'Uèbi al Gourar Ganâna... – (Tutti gli spettatori, che si suppone siano stati nei luoghi nominati, avranno un grido di dolce sorpresa riconoscendo quelle armi!) – i grandi coltelli dei Sidàma adunchi....) non i grandi coltelli adunchi dei Sidàma. E non si sbagli, per carità!) – le lance dei Boran con le cuspidi a foglia di lauro... (Per l'amor di Dio, mi raccomando: a foglie di lauro!) – le targhe dei Gurra in cuojo di giraffa inciso... (dico cuojo di giraffa – badate bene – e se non sono in cuojo di giraffa... si mandi il pubblico a spasso, ma non si profani la tragedia con targhe in cuojo di montone!) – gli archi dei Gubalùn a triplice curvatura: le faretre piene di giavellotti a testa mobile; i lacci di banano per catturare le fiere; le trombe foggiate con le corna dell'orige, i campani di conchiglia pei capretti, di legno pei camelli, e gli appoggiatoi che sulla mezza lunetta sostennero – (proprio quelli!) – le nuche oleose dei guerrieri giacenti.... (perciò appoggiatoi unti e bisunti di olio e di sudore! Il che fa supporre che tutti gli spettatori abbiano occhi di lince e naso di cane per vederne con quelli l'unto, e per sentirne con questo il fetore) – le ghirbe di palma che contennero... (proprio quelle stesse!) – che contennero l'acqua terrigna dei pozzi di Errer, e le sferze tagliate nella pelle d'ippopotamo, che fecero.... (proprio quelle stesse!) – che fecero sanguinare le schiene dei mercenari malfidi.... (E se nol credono, gli spettatori sono invitati a salire sul palcoscenico per verificare coi loro occhi che le sono proprio sferze di pelle d'ippopotamo e non di pelle d'asino). – Un uscio chiuso è nella parete di faccia, una finestra a manca. Sopra un divano è distesa una pelle di leone e vi si accumulano, a guisa di cuscini, i sacchi di Bulutta tessuti.... (e gli spettatori possono assicurarsene dai loro posti) – tessuti di fibre vegetali a disegni neri e gialli. Sopra una tavola coperta di una stoja di Lugh sono disposte le carabine da caccia grossa nelle loro custodie... (ragion per cui l'impresario può ben sostituirne le canne con manichi di scopa!) – le rivoltelle di gran calibro nelle loro fonde (l'impresario è, quindi, libero di riempire quelle fonde con della paglia) – le tasche e le cintole da cartucce, bocche di fuoco infallibili e munizioni eccellenti.... (Per l'autenticità di siffatte bocche di fuoco infallibili, il Divo con una di esse sparerà sopra uno degli spettatori tratto a sorte e lo fulminerà al primo colpo) – tutta la batteria già sperimentata nel cammino da Birbera a Bardera, ora riforbita e pronta... (cioè, pronta ad essere nuovamente sperimentata, come sopra). In mezzo alla stanza, posata sul tappeto presso un piccolo mucchio di libri, è una robusta cassa cerchiata di ferro con maniglie di corda... (Preghiera a tutti i valigiai della sala di farvi bene attenzione: cerchiata di ferro e con maniglie di corda) – che serba i segni dei carichi e degli scarichi... – (i segni dei carichi in colore diverso da quello dei segni degli scarichi affinchè nessuno degli spettatori si sbagli nel distinguere gli uni dagli altri) – quante volte agganciata dal paranco – (segno rosso) – calcata nella stiva – (segno bianco) – ballottata dal rullio – (segno color mare) – tratta su per la boccaporta brutale – (segno nero) – gettata a sfascio su la banchina abbagliante (segno giallo) – legata colle strambe sopra la bestia da soma – (segno color livido) – portata a traverso l'ardore delle terre incognite – (segno color perso) – deposta e ripresa da accampamento in accampamento – (segno colore incerto) – rimessa sulla via del ritorno con l'impronta dell'avventura lontana e con l'odore indefinito del sud.... (segno color merda)».
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Povera cassa! Essa è l'unico personaggio genuinamente tragico di questa corbellatura che chiamasi Più che l'amore, e i lettori, guardandola, hanno tutti quanti il dovere di commuoversi ai suoi casi davvero pietosi e crudeli... Quanto all'odore del sud indefinito gli spettatori, perchè ne abbiano un'idea, possono favorire in palcoscenico, dove il Divo insegnerà loro, con l'esempio, a strisciare la punta del loro naso sull'impronta dell'avventura lontana, segnata dal color.... merda.
Ma, scherzo a parte, il Divo non tratta gli altri personaggi di questa sua «più nobile opera» nè da più nè da meno di questo personaggio-Cassa, o di questa Cassa-personaggio, il che vuol dire che egli li tratta da par suo, divamente.
«Nessun dubbio – scriveva un magno giornale romano9 poche ore innanzi alla prima rappresentazione di questo, come lo chiamavano anzitempo, meraviglioso capolavoro dannunziano – nessun dubbio che l'ambiente è presentato al pubblico senza alcuna omissione.... infatti, c'è perfino l'odore del sud!) – ma gli spettatori non avranno tempo di distrarsi, giacchè rimarranno subito avvinti dalla melodiosa attraenza della frase!).... (sempre la frase! ) – dalla deliziosa originalità delle immagini... (sempre le immagini!) – e dal tumultuoso prorompere di sensazioni violenti... (sempre sensazioni! e mai, mai grandezza, profondità, originalità di pensieri!) – per incatenare viva... (oh crudeli sensazioni!) – l'attenzione di ognuno».
E la incatenarono – dico io – siffattamente, che poco mancò che il teatro non cadesse in rovina dalla furia dei fischi che sapete!
Ohimè! Ed io penso a quella povera cassa e penso agli scudi di pelle di ippopotamo e a tutte le innumerevoli altre preziosissime cose del bazar dannunziano dal Divo étalées sul palcoscenico del Costanzi, le quali – pur protestando: «noi siamo straniere.... noi ci poniamo sotto la salvaguardia dell'odore del sud» – furono anch'esse – vittime innocenti – spietatamente fischiate.