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Il fenomeno D'Annunzio e il fenomeno Rostand sono i due maggiori indici della decadenza letteraria delle due nazioni sorelle. Sì, certo, cotesti due fenomeni ispirano una eguale simpatia alla gran maggioranza di evirati intellettuali nei due paesi; ma è certo ancora che essi fanno una eguale nausea agli ormai pochi pensatori superstiti al fallimento etico ed estetico della degenere razza latina.
I due grandi ciarlatani di moda formano insieme una abominevole friponnerie letteraria. Essi non hanno creato nulla, inventato nulla, dato nulla, sono addirittura incapaci di analizzare, di osservare, di sentire sotto l'angolo del buono, del bello e del vero. L'opera loro rispettiva è fatta d'incoerenze, di versi pesanti, d'immagini assurde, od oscure per troppo luccichio; in essa gl'incidenti si succedono senza transazione, gli epiteti si accumulano e precipitano in disordine. Entrambi hanno ammazzata la loro lingua rispettiva, giacchè i vocaboli nelle loro mani deviano dalla loro significazione propria e dalla loro significazione figurata, ed hanno un terzo senso, il senso «prezioso» che va dal grottesco al ridicolo e dal ridicolo al grottesco. E intanto, in Italia, dove un Tommaso Cannizzaro sta per discendere – fra l'incosciente indifferenza dei suoi connazionali – nella fossa e nell'oblio insieme ai suoi ottanta anni vissuti fra le braccia della grande Poesia – e in Francia, dove un Becque è quasi sconosciuto, Gabriele ed Edmondo hanno di un sol colpo potuto inalzarsi alle più alte cime della popolarità e della gloria chiassosa con aver dato splendida prova di possedere a meraviglia l'arte di scriver male. I suonatori di zufolo in Italia e i mirlitons in Francia, tutti i fabbricatori di «grandes machines» in versi e in prosa tanto in Francia che in Italia, tutti, insomma, i «Richepin» dei due paesi, si sono inchinati e s'inchinano davanti a loro.
Entrambi maneggiano gli stessi strumenti; in entrambi ávvi la stessa abilità nell'impiego delle figurazioni grottesche, dei luccichî di carta argentata che fanno andare in visibilio i loro snervati ammiratori. In entrambi è la stessa falsità, lo stesso artifizio, la stessa abbondanza di vacue parole; in entrambi le stesse parvenze ingannevoli, le stesse impostature istrioniche, gli stessi giuochi di dilettantismo si fondono in una espressione verbosa senza genialità, senza eloquenza, senza calore, la quale, non essendo altro che suono senza idee e colore senza visioni, vellica e titillica le orecchie e dà nell'occhio di tutti i senza-pensiero, specie delle signore e degli adolescenti, che si lasciano prendere in quelle due panie con loro piacere infinito.
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Solo una differenza è tra il decadente italiano e il decadente francese, ed è che il francese, nelle sue manifestazioni artifiziose non è un androgine, un ermafrodito, laddove l'italiano lo è e se ne fa un gran vanto, perchè è in ciò unicamente riposto il segreto del suo immenso successo fra le lettrici e i lettori depravati. – Rostand è un ciarlatano, diciamo così, brillante, il quale tiene molto a riuscire piacevole indistintamente ai due sessi di tutte le età e di tutte le condizioni, ai patrizî e ai plebei, ai collegiali e alle collegiali, ed è, quindi, decente per partito preso. È vuoto, sissignori; è falso, sissignori; è anche supinamente ignorante, sissignori; ma ha l'abilità suprema di ben chiacchierare, e sa far dei libri con dei riens, i quali ogni volta egli riesce a trasformare – per via d'una gigantesca réclame – in grandi avvenimenti letterarî; ma ripeto: non è un pornografico; non ardisce mostrarsi in pubblico «nudo fra le braccia di donne nude intente a solleticarlo», come fa il D'Annunzio in persona dei superuomini dei suoi romanzi e dei suoi drammi, nei quali costantemente adombra sè stesso. – Cyrano de Bergerac, l'Aiglon, Chantecler, sono tre splendide spettacolose stupidaggini che Rostand è riuscito a far passare per tre capolavori presso il suo pubblico di deficienti intellettuali; ma, tant'è, nel suo «trionfo» non entra come efficiente la seduzione dell'animalità ignobile dei suoi lettori; laddove il D'Annunzio seduce il pubblico dei salotti, dei ginnasî e delle botteghe dei barbieri colle sue eminenti qualità di «arruffiniatore di tutti i vizî corporali e spirituali» e di «specialista in decorazioni per bordelli di lusso».
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Certo, la Francia, per la spaventevole corruzione dei costumi, e per la sconfinata licenza nella pratica dei vizî snervanti, sorpassa di gran lunga l'Italia; e vi hanno in Francia scrittori infami in gran numero, autori di libri innominabili che han finito per avvelenare, irrimediabilmente, il sangue di quello che fu un giorno il più gran popolo della terra; ma, appunto perchè salaci, venerei e priapeschi, quei libri, in un ambiente così corrotto, fanno la strada da sè senza ajuto di réclame, e si spacciano in edizioni colossali che arricchiscono i loro autori e i loro editori; mentre in Italia, dove la gioventù può dirsi che sia appena sulle soglie della grande corruzione, i libri-infami han bisogno di prendere ad imprestito il falso nome di opere d'arte e di essere, come tali, strombazzati dalla réclame affinchè siano smerciati in gran numero. Ecco perchè in Francia Rostand, pur non essendo un pornografico, è costretto – ogni volta – a fare squillare tutte le trombe della réclame prezzolata come fa ogni ciarlatano che voglia accreditare i suoi cerotti; ed ecco ancora perchè in Italia il D'Annunzio – pur essendo pornografico, e come! – ha da fare ogni volta il reclamista affinchè le sue specialità in decorazioni per bordelli di lusso abbiano libero transito quali opere d'arte.
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Ma entrambi fanno a fidanza con la supina ignoranza del loro pubblico rispettivo. Il Rostand, per esempio, ha posto sulle scene un Cyrano de Bergerac – (che ha da fare col vero Cyrano quanto la menzogna colla verità) – senza che alcuno in Francia, nemmeno i critici più in voga, abbia – ch'io sappia – protestato contro quella mostruosa falsificazione d'un personaggio storico, il quale fu un ardito libero pensatore, discepolo del celebre Gassendi, ammiratore ed amico di Tommaso Campanella, entrambi da lui citati con riverente affetto in quella sua mirabile diavoleria che è l'Histoire comique des états et empires du soleil, e che nel campo delle esperienze fisiche, come ci attestano i poderosi frammenti che rimangono dei suoi scritti scientifici, fu assiduo, infaticabile cercatore, e fu anche precursore di Montgolfier e di Blanchard. – Ora, pare che anche oggi i letterati francesi ignorino questo, che fu il vero Cyrano, come certamente lo ignoravano i letterati francesi di ora è quasi un secolo, se dobbiamo prestar fede a Charles Nodier, il quale, in una sua Notizia sul Cyrano pubblicata nel 1838 nel Bulletin du Bibliophile, così si esprime: «Peu de littérateurs connaissent le nom de Bergerac autrement que par le vers de Boileau:
J'aime Bergerac et sa burlesque audace.
E protestando contro questo falso iniquo giudizio del Boileau sul Bergerac, il Nodier rileva le qualità superiori del costui intelletto, che fu quello d'uno strenuo cercatore di verità e di un filosofo eminente. – Sì, certo, il Bergerac fu un valoroso, uno schermitore formidabile ed ebbe anche naso prominente; ma non in queste due cose consiste la sua vera e propria personalità: queste due cose possono impressionare la folla dei barbieri, ma non costituiscono il Bergerac vero e superiore, che fu sopratutto uomo di pensiero e si nutrì di meditazioni filosofiche e scientifiche. Ma l'ignorantissimo Rostand non ha visto nel Bergerac che lo spadaccino, e attorno a questo spadaccino ha fabbricato quel suo centone che gli aprì – nientemeno! – le porte dell'Accademia! – Ohimè! E questo centone, magnificato dalla réclame, ha fatto il giro del mondo! Così, anche in Italia agli ignorantissimi suoi ammiratori il D'Annunzio parla di navi, di areoplani, di scoperte africane, dei fratelli Caboto, dei costumi medievali veneziani, della medievale Francesca, del medievale Cola di Rienzo, di città morte, di teatri greci, ecc. ecc. ecc., con la sicurezza che nessuno di loro è in grado di coglierlo in flagranti errori storici e scientifici dei più colossali, perchè il suo pubblico di lettorelli ammiratori è fatto – in massima parte – di signore, di scolarelli e di barbieri. I dotti hanno ben altro da fare che perdere il loro tempo leggendo i suoi libri!
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Già il fenomeno della falsità applaudita esisteva da un pezzo in Italia sin da quando il De Amicis pubblicò, fra l'ammirazione di tutti i soliti ignorantelli, quel Costantinopoli, quella Spagna, quel Marocco , che stanno al vero Marocco , alla vera Spagna e al vero Costantinopoli, come i giojelli falsi stanno ai veri giojelli, e che han fatto ridere e sorridere chi lungamente ha fatto dimora in quelle regioni.
Sì, l'ignoranza del loro rispettivo pubblico giova ai loro libri, come l'ignoranza dei badaloni giova ai cerotti dei ciarlatani. Costoro esistono perchè esistono coloro che non han modo alcuno di verificare le vantate virtù dei loro cerotti; ed esistono i lettori e gli ammiratori del D'Annunzio e i lettori e gli ammiratori del Rostand per l'analogo motivo, giacchè nessuno di essi, data la loro crassa ignoranza nelle lettere, nella storia, nelle scienze, nella filosofia, è in grado di coglierli in difetto di queste quattro cose.
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Ma, poichè ogni ciarlatano, se vuole imporsi, ha da essere personalmente piacevole e dare nell'occhio, è in entrambi uno studio indefesso della ricercatezza e dell'eleganza nelle vesti; condizione sine qua non per far colpo sulla folla. In ogni tempo Socrate in cenci ha corso il rischio d'esser preso a pedate da qualsiasi sciocco ben vestito. Ciò che luccica, che brilla, che ha l'aria del gran Signore s'impone alla curiosità e all'ammirazione. Così, per esempio, accade a Parigi che un Montesquieu qualunque, il quale scrive e parla sempre a somiglianza di un bambinone che trae dalla bocca le parole imparate a memoria, è l'enfant-gâté di tutte le signore del bel mondo e si è fatta fra esse una reputazione di grand'uomo, sol perchè veste da impeccabile dandy. Se lo scrittore ha un palazzo, delle automobili e dei servitori è – de jure – un grande scrittore. Certo, «il grande scrittore» divide i proventi con chi l'ajuta a farsi una smisurata réclame, senza di che non possederebbe nè palazzo nè automobili nè lacchè; ma questo retroscena sfugge al ristretto comprendonio dei leggicchiatori analfabeti, i quali vedono il palazzo, vedono le automobili, vedono i lacchè, e, quindi, gli s'inchinano e lo riconoscono «grande». – Rostand è già più volte milionario; Gabriele ha dissipato dei milioni ed è disposto a dissiparne degli altri, se le lunghe gambe della Rubinstein continueranno a volergli bene. Come è possibile che non siano due grandi? La loro vita esteriore.... (essi vivono in mezzo a ciò che àvvi di più mondano, fra illustri prostitute che portano un superbo titolo di duchessa o di marchesa, fra ricconi, cui non par vero di trovarsi in contatto con «sì grandi uomini», fra generali, ammiragli, ministri, ambasciatori, fatti tali dall'intrigo-massonico-politico; fra giornalisti che li illustrano per esserne alla loro volta illustrati; fra grandi editori che fanno con essi degli affaroni, mistificando, d'accordo, le moltitudini; fra disegnatori di grido che, colla loro matita, riescono, se ben pagati, a dare un rilievo qualsiasi alle loro prose e ai loro versi; nei luoghi di piacere, ai bagni, alle corse, ai balli blasonati) – la loro vita, esteriore, dico, rigorosamente regolata da tutte le ricette del rito mondano, è base necessaria a dar valore di grossa cosa ai magri, infelici, rachitici parti della loro impotente fantasia, se chiamansi Rostand, o agli assurdi, abominevoli, infami prodotti della loro impotenza lasciva, se chiamansi D'Annunzio.
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Ricordate Chantecler? – Questo coso, che avrebbe seppellito sotto il ridicolo il suo autore se il suo autore fosse stato un senza-nome, pose a soqquadro il mondo reclamistico e occupò la pubblica opinione per parecchi mesi in una aspettazione febbrile come se esso fosse l'avvenimento più grande del tempo nostro! – Ricordate Pisanella, e i quattro mesi d'impaziente aspettativa suscitata dalla più roboante réclame? Se questa Pisanella, ossia La morte profumata, tale e quale è uscita dall'inconsapevole cervello del D'Annunzio, l'avessi scritta io o l'aveste scritta voi, nessuno impresario l'avrebbe messa in iscena, nessun editore l'avrebbe stampata, e, se recitata, non avrebbe trovati spettatori, e, se stampata, non avrebbe trovati lettori. Ecco qua un échantillon di questo meraviglioso immangiabile pasticcio; ecco la esilarante, ridicola descrizione che di Pisanella fa Blanchefleur, la damigella di Montolivo:
«Elle a la tête étroite
semblable à celle
de je ne sais quel doux serpent. Ses
yeux
je les ai dits. Ces cils
retiennent la douceur
du monde comme une feuille nouvelle
garde la larme
de la première pluie.
Souvent elle respire
par ses cheveux. Sa bouche
semble, souvent, redemander son souffle
à l’âme qui l'a close.
Et il n'y a rien d'autre.
C'est la cause de tout.
Parfois elle renverse
la tête: et il suffit
qu'elle mouille ses lèvres
du seul bout de la langue
pour que soudain tout son cruel
visage
semble tremper
dans une eau merveilleuse...
Quand elle marche elle balance et flotte
ses minces flancs,
ses longues cuisses
et tous ses rêves
sur ses genoux polis
comme jeu d'osselets.
A chaque pas elle recuille et traine
les beautés de la terre
comme par un filet.
Sa force devient tendre
comme le sang bleu de sa paupière
quand elle se repose.
Et il n'y a rien d'autre.
C'est la cause de tout.23
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Ora, provatevi a scrivere un due mila di cosiffatti versi, ed io scommetto che un psichiatra troverà in essi un formidabile documento per mandarvi dritto dritto al manicomio. Ma ciò, dico, toccherebbe a voi; ma al D'Annunzio ciò procura un trionfo: queste sciocchezze, poichè le ha scritte lui, sono «meravigliose bellezze». – Ma state a sentirmi: le ottocento mila lire apprestate dalla Rubinstein per la messa in iscena di cosiffatto documento di miseria intellettuale sont la cause de tout. Et il n'y a rien d'autre.
E avete posto mente che chi con sì ricercate parole, con sì peregrine frasi, con sì leccate immagini, con sì assurdi paragoni fa il ritratto della Pisanella è Blanchefleur, una cameriera? Non dimenticate che i personaggi dannunziani, di qualsiasi sesso, età e condizione non sono che burattini, i quali hanno – di ragione – tutti la stessa voce, parlano tutti ad un modo, perchè il burattinajo è uno, è lui, il Divo in petto e persona.
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E come ridere non devono in cuor loro cotesti due turlupinatori, Rostand e D'Annunzio, alle spalle dei loro turlupinati! È la storiella della lampadina non servibile più ad alcun uso trovata in un mucchio d'immondizie da un mio amico antiquario, che la vendette migliaia di lire a uno sciocchissimo inglese per una lampadina autentica del 2° secolo di Roma! Oh come rideva il mio amico nel raccontarmi questa storiella! – E cotesti due «grandi uomini» – che, certo, non ignorano la loro piccolezza intellettuale – (Rostand non so, ma Gabriele è anche piccolo di corpo) – si stimano, si apprezzano, si ammirano a vicenda trovandosi uguali nell'arte di turlupinare gl'Inglesi di Francia e d'Italia! E s'incensano scambievolmente affinchè il gran pubblico sappia, per la bocca dell'uno, la grandezza dell'altro. – Ecco, per esempio, come Gabriele telegrafò a Edmondo a proposito dello Chantecler.
«Edmondo, tu fai invidia ai più grandi.»
Cioè: «tu, Edmondo, che sei grandissimo, fai invidia a me che sono il più grande».
Edmondo e Gabriele! Come se dicessimo: i due poli della grandezza umana! I due unici! Gli inaccessibili! Gli inimitabili!
Nè hanno torto: non son essi i due maggiori genî della réclame? – Senza un qualsiasi capitale nè di mente nè di cuore, nè di studî nè di ideali, non son essi, col solo mezzo della réclame, divenuti i milionarî della gloria rubata? – Genî, sì, genî colossali, perchè – pur essendo incapaci di produrre la più piccola opera che abbia un organismo di vita, una funzione di logica, un valore estetico purchessia, mettono a soqquadro il mondo col solo annunzio di un'opera che, forse, non nascerà, o che, nascendo, è condannata miseramente a morire, come la Nave, come Fedra, come Forse che sì, forse che no, come lo Chantecler e come l'Aiglon. – Ma ciò non preme ai due grandi ciarlatani: non è per la gloria post mortem che essi lavorano, la quale è la gloria dei minchioni, che – (come Dante, come Shakspeare, come Cervantes, le tre più grandi glorie autentiche nel campo del pensiero e dell'arte) – vivono una vita di triboli e di spine; ma essi lavorano per la réclame, perchè tutti si occupino di loro, principalmente i barbieri disseminati in gran numero per tutti i gradi e ordini sociali, i più loquaci ed anche i più sinceri loro ammiratori, ai quali pare di poter essere qualche cosa afferrandosi a un lembo di quella gran cosa che là chiamasi Edmondo e qua Gabriele. I quali, se non son femine, hanno delle femine la irrefrenabile vanità, che raggiunge le più alte cime del ridicolo, agli occhi – s'intende – di coloro che oggi hanno la ventura di essere maschi nel senso vero e proprio della parola. – Sì, se non femine, effeminati: non si è – per esempio – il Divo (sempre innamorato di se stesso, come una donna) in groppa ad un cavallo tutto bianco, nudo come Apollo, e certamente più bello del Dio, lanciato nei verdi flutti del mare? Quanto al Rostand.... Sì, sono femine, almeno per elezione, perciò femine della peggiore specie, avendo abdicato a tutte le qualità maschie proprie del carattere (questa forza dello spirito creatore di cose grandi ed eterne) e discendendo sino all'infimo gradino dove natura ha collocato le cercatrici di ninnoli, di bibelots, di cosucce preziose e piccine, di eleganze esteriori e di insopportabili profumi, coltivatrici di passioni senza radici nè etiche nè intellettuali, e di collezioni ingombranti ed inutili. – Sì, femine: non ha il D'Annunzio la passione inutile ed ingombrante di collezionare le opere dei mistici, dei penitenti, dei dolorosi, dei tapini, che egli ha raccolte e va raccogliendo con «l'animo tremante ed esultante»? Quanto al Rostand.... – Ma già il suo Chantecler non è tutta una collezione di strani vestiti? Sì, femine, perchè – come tutte le femine, specie quelle da conio – amano tutte le eccentricità del lusso più dissipatore e più sfacciato. Ecco perchè i due amici, a procacciarsi gli occorrenti biglietti di Banca, lanciano pel mondo i loro libri collo stesso fragore di trombe con cui Pink lancia le sue pillole.
«Qualche volta ella getta in dietro la testa, e basta che essa inumidisca le sue labbra colla sola punta della lingua perchè all'improvviso tutto il suo volto crudele... (crudele come quello di un dolce serpente!!) – sembri bagnarsi in un'acqua meravigliosa... (forse nell'acqua Nunzia). – Quando cammina essa si dondola e fa ondeggiare i suoi fianchi delicati, le sue lunghe cosce... (non si dimentichi che sono le cosce della Rubinstein) – e tutti i suoi sogni – (anche!) – sulle ginocchia pulite... (forse lavate di fresco?) – pulite come giuoco di aliossi. (?!) Ad ogni passo raccoglie e trascina le bellezze della terra come per mezzo di una rete... (e la terra, poveretta, resta, così, nuda delle sue bellezze!) – La sua forza divien tenera come il sangue azzurro delle sue palpebre (il quale è anche tenero!) allorchè si riposa. E non c'è niente altro. – (meno male!) – Questa è la causa di tutto…» – Perciò è anche questa la causa per cui è nata cotesta meravigliosa Pisanella, che respira dai capelli, starnutisce, forse, dalle orecchie, mangia, forse, a mezzo dei paesi bassi, e digerisce, forse, dalla bocca.