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LAUS VITAE | «» |
I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
di Don Nunzio già la prima volta pubblicata dal Piff! Paff!, il 30 maggio 1903, ed ora ristampata in questo volume alla maggior gloria di Gabriele.
—
Mi destò il sole
che m'irraggiava il viso.
E io sorsi
come un razzo lascivo; I risvegli
dal rustico letto
sorsi, sì come sorge
tra l'agreste verzura
l'ardito bolèto
edule; sorsi alla luce
come alla luce sorge
il cèreo senile;
sorsi dal letto, insomma
io sorsi, io sorsi, io sorsi.
E scesi ai campi;
libero mi sentia
e il polmone s'apria
a la vita freschissima L'aria, i campi
che, gorgogliando
come gorgoglia
l'acqua rizampillante
d'alpestre polla,
s'inabissava pei meandri
del mio petto rubesto.
Un moto interno
per tutto l'esser mio,
che compiuto nel riposo
notturno aveva
il digesto degli artocrèi Il digesto
sapienti, che oltramontano
còco con mano esperta
diuturnamente
preparami, sentia.
Un pampinoso
arbore di mortella La mortella
sacro a Venere madre
nel silenzio s'ergea
qual potente gigante
incompreso da tutti,
ma che rivela
dell'esser suo il segreto
a chi l'adora.
Io l'invito compresi
e m'appressai.
M'appressai, affrettando
il passo, timoroso
che non giungessi in tempo,
perchè il moto dell'alvo Il romore
giù mi rumoreggiava
internamente,
come di rupe in rupe
romoreggia l'eco, o come
sopra la riva
romoreggia il mare,
o come romoreggia
nel profondo cielo
il fulmine, o sul campo
come il cannon romoreggia,
come la voce del Tonante
romoreggiò sopra l'Ellade
antica; insomma
anch'io romoreggiava.
A' pie' della mortella
l'amica ortica
mi facea presagire
futuri godimenti, L'ortica
per le acri sue foglie
appena pubescenti
come la guancia
d'imberbe cinèdo,
che già cominci
a mettere le piume,
presaghe del futuro
volatore. – In silenzio Il silenzio
m'accoccolai;
m'accoccolai siccome
colui che suole
fare a meno
di monumento inglese.
Tutto taceva,
e in quel raccoglimento
della natura
che pareva spiarmi
come la madre spia
il figliuolo dormente,
io solo, io solo, io solo
sentivo palpitare La carezza
un'ignota carezza
che discendendo
s'estrinsacava
fuori dell'esser mio,
quasi anch'essa desiosa
di libertade,
non degenere figlia
del padre suo.
Stentava la carezza
a compiersi,
e del mio volto
ogni muscolo, ogni
nervo, ogni pelo,
s'irrigidiva
nello sforzo supremo
che compìa la mia anima
ripiena la faccia di pene,
per liberarsi
dalla carezza dolorosa.
Un tonfo, un colpo,
poi più nulla.
Ritornò nel silenzio
l'attonita natura, Il sollievo
che fruiva del fecondo
materiale abbandonato
sotto l'arbore sacro
a Venere. – Un pugno
strappai d'ortica
a compiere l'usata
fatica. – Gli occhi
chiusi, delizioso
abbandono dei sensi!
E l'ortica compiette
il suo ministero,
che nuova dolcezza
diede all'anima mia.
O ortica, o ortica,
non mai parsa m'eri sì bella!
E un altro da me canto avrai.
Piffus! Paffus!
bibliopola,
accuratissime impressit.
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