Emilio De Marchi: Raccolta di opere
Emilio De Marchi
Giacomo l’idealista

PARTE PRIMA

XIII. Due povere anime.

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XIII. Due povere anime.

 

La vita della povera Celestina, dopo l'impensata tempesta, in cui era naufragata la sua felicità e la sua innocenza, si sarebbe potuta somigliare alla continuazione d'un inquieto, interminabile sogno.

Quello sforzo che la sua coscienza aveva fatto la notte fatale per afferrare la realtà del suo patimento, per liberarsi dall'incubo, dai lacci della sonnolenza, durava ancora e, perdurando, si trasformava in uno spasimo morale, in cui si sentiva avviluppata come in una rete tagliente.

Un senso di doloroso stupore intorpidiva i suoi movimenti e la rendeva più che sonnambula, cieca e sorda davanti alle cose e alle persone che la circondavano. Se non che di tratto in tratto un pensiero più vivo, guizzando come un lampo sinistro nell'oscurità degli altri, rischiarava momentaneamente tutto l'orrore dell'abisso in cui l'avevano gettata, e allora erano gridi strazianti, che uscivano dalle tenebre del suo cuore a invocare aiuto e misericordia.

In questo stato l'aveva trovata la contessa quella mattina che, uscendo dalla sua stanza dopo la confessione di Giacinto, era corsa, prima ancora che albeggiasse, a cercarla nella sua cameretta; e ve la trovò coi ginocchi a terra, quasi svenuta, colla testa sepolta nelle coltri, colle mani intirizzite dentro i capelli. Solamente la carità, la tenerezza, le lagrime, le supplicazioni, le promesse e le lusinghe della povera signora poterono ridestarla dal profondo terrore e salvarla da un repentino impeto di disperazione, che in quel primo momento la spinse verso la finestra.

A poco a poco la sua riflessione, guidata da una mente più forte della sua a giudicare del suo stato, la paura di uno scandalo pubblico, la vergogna di sé stessa, lo stordimento stesso di tutti i suoi sensi, giovarono a trattenerla per qualche tempo in un riserbo, che diede tempo alla contessa di preparare le prime difese. Nelle braccia della povera signora, colla testa appoggiata al suo petto, nel quale versò fiumi di lagrime, sentì a poco a poco venir meno molti istinti di ribellione. Molti gridi morirono sotto la pressione d'una mano leggiera, ch'essa era solita baciare con amore. La povera servetta sentì troppe volte battere vicino al suo un altro cuore, il cuore della madre, non meno agitato e spaventato del suo, e non ebbe la forza d'imprecare, di maledire, di chiedere vendetta. Si lasciò intenerire, ricadendo, come per desiderio di riposo, in un assopimento, che non arrivava fino a uno stato di dimenticanza. Allora ciò che era accaduto non le pareva più accaduto; sottentrava una tenue illusione che il sogno affannoso potesse da un momento all'altro rompersi e finire; mostravasi la Celestina naturale degli altri giorni, e poteva nella sua intera illusione illudere gli altri. Seguendo l'incanto d'una dolce ipotesi, pensava non essere possibile che in casa di così bravi e buoni signori avessero potuto farle un così gran male. Perché l'avrebbero ingannata e presa dentro a una rete? la contessa non era quella santa e cara signora che essa venerava come la Madonna? e donna Enrichetta non aveva dell'angelo perfino il profilo? e quel buon conte, così alla mano e così popolare, poteva essere complice di un tanto delitto? era dunque proprio vero che avessero abusato così slealmente della sua buona fede?

Tra queste consolazioni, che essa spremeva dal suo pensiero e che somministrava a stessa come un calmante, che un minuto di sonno e di oblio, per un subitaneo ritorno di sovraeccitazioni fisiche, si risvegliavano le acri sensazioni del supplizio. Nella brutale rivelazione di un mistero, che nessun amore aveva abbellito, che nessuna benedizione aveva santificato, ma nel quale essa era piombata come dal buio della notte in un braciere ardente, tutta la sua vita era rimasta sconvolta e disorganizzata. Un tal disastro avrebbe potuto essere l'agonia d'ogni altra creatura, ma per lei, per lei che amava un altro uomo...

Non poteva fermarsi un attimo sul pensiero di Giacomo, né udir pronunziare il suo nome, né prevederne il sopraggiungere, senza sentire tutto il suo sangue andare dal cuore alla testa e dalla testa al cuore come un torrente di fuoco. L'impulso era di correre da lui e dirgli tutto, subito: ma gli avrebbe piantato un coltello nel cuore. Avrebbe egli creduto alla sua innocenza? non era meglio seppellirsi viva piuttosto che andargli davanti così indegna? A questo suo povero Giacomo essa si sentiva legata da un'antica promessa, che non aveva mai avuto bisogno di essere pronunciata. Quando avesse cominciato il suo cuore ad appartenergli non avrebbe saputo dire. Forse era sempre stato suo.

Raccolta bambinella in casa dello zio Mauro, era cresciuta con Giacomo, accanto a Giacomo, all'ombra sua, quasi sui suoi ginocchi, come una piccola rosa innestata sul tronco d'una quercia. La casa, l'aia, la vignetta, la loggetta erano stati il loro regno comune per tutto il tempo che Giacomo stette presso i suoi. A lei non era parso di perderlo nemmeno quando tutti le dicevano, scherzando, che lui sarebbe diventato un vescovo. Nessuno meno di lei si era meravigliata quando, buttata la veste nera alle ortiche, Giacomo ricomparve ancora libero della sua volontà. Tutto questo era nel giro naturale delle cose. ‑ Per me ‑ gli disse quel giorno che le tornò davanti non più prete ‑ per me tu saresti sempre stato il mio padrone e io la tua serva.

Essa aveva allora poco più di quattordici anni; ma quando, qualche anno dopo, scoppiò la guerra, e il cugino partì con Garibaldi, oh! allora aveva cominciato a capire che l'amore è un patimento. Durante tutto il tempo della disgraziata campagna, furono per lei giorni e notti d'angoscie inesprimibili. Il suo cuore sentì tutte le fucilate, che potevano uccidere il suo povero Giacomo. Finalmente egli scrisse che sarebbe ritornato, e ritornò veramente, più bello nella bella camicia rossa del garibaldino, che non fosse stato mai, col viso abbronzato, colla barba così lunga, che non osò più dargli del tu. Non poté più guardarlo senza arrossire, fuggiva davanti a lui per una inesplicabile paura; le fucilate continuarono nel suo cuore anche a guerra finita; e nel parlargli col «voi» metteva in questo pronome nuovo un sentimento nuovo di rispetto e di venerazione, come se cercasse di sostenere in una parola più larga e più sostenuta la gran gioia che traboccava da tutte le parti. Che un giorno dovessero sposarsi era cosa tacitamente ammessa da loro e da tutti quelli che li conoscevano. Tutto si riduceva a una questione di tempo e di circostanze. Che cosa importava che fosse oggi o domani? Giacomo riprese a studiare nei libri latini, e qualcuno assicurava che avrebbe col tempo dato alle stampe qualche cosa di bello; ma allora non passò nemmeno per la mente a «Frulin» che il latino potesse guastare l'amore. Anche i sapienti hanno bisogno, e forse più degli altri, che qualcheduno voglia loro del bene. Così erano passati gli anni in una dolce aspettativa, fino al giorno che Giacomo le consigliò di entrare al servizio della contessa per sollevare lo zio Mauro e per mettere in disparte un po' di corredo. Egli sperava in un certo premio, pel quale lavorava sempre. Un anno ancora di pazienza, e poi chi sa? Aveva diciott'anni, quando la contessa la condusse nel Cremonese; e anche nella nuova casa non tardò ad acquistare la benevolenza di tutti. Il cuor contento, pieno di speranza, dava alla sua soda bellezza di ragazzona campagnuola un'affascinante espressione di giovialità. Al vecchio conte faceva allegria soltanto a vederla passare col secchiello dell'acqua o col cesto della biancheria. Non abituata ai salamelecchi e al cerimoniale compassato dei signori, che hanno molto tempo vuoto da riempire, quel suo andar per le lisce, quel suo parlar brianzuolo così pronto, così gustoso di proverbi, con cui sapeva difendersi tanto dagli adoratori platonici in guanti come dalle tenerezze troppo espansive dei servitori, aveva servito a rallegrare una casa che a molti pareva fin troppo imbottita di dottrina cristiana e di filologia. Donna Cristina, volendo raccogliere questa bellezza troppo vistosa, finì col dare l'ultimo tocco di pennello a un bel lavoro della natura: e fu appunto questa bellezza così fiorente, resa affascinante dal grembiulino e dalla cuffietta alla normanna, che colpì in pieno la fragilità di don Giacinto.

Aveva cominciato anche lui, durante una breve licenza d'inverno, a corteggiarla con qualche elegante facezia; ma chi bada a quel che dicono i signori, quando vogliono canzonare una povera ragazza? Una volta però essa minacciò il giovine di dire tutto alla contessa, se non la lasciava stare; e per fortuna il signorino fu richiamato al reggimento. Venute le vacanze d'autunno, don Giacinto tornò due o tre volte all'assalto; ma di nuovo essa lo pregò di non dare questo dispiacere alla signora. Fu durante il tempo delle corse d'estate, verso la fine d'agosto, che tornato improvvisamente al Ronchetto, dopo il celebre trionfo di Messalina, che gli aveva fatto tracannare una quantità enorme di sciampagna, fu in un momento di vertigine e di esaltazione sensuale che il suo cattivo genio lo condusse a varcare, nel silenzio istigatore della notte, una soglia, che avrebbe dovuto, per il bene suo, della sua mamma, della sua casa, sprofondargli sotto ai piedi. La ragazza, snervata dal sonno della sua età, si trovò nel male, prima che avesse tempo di aprire gli occhi.

Eran quasi passati due mesi da quell'ora terribile, due mesi, in cui due povere donne, avvicinate dallo stesso dolore, come possono soffrire due cuori trafitti dalla stessa spada, vedevano avvicinarsi ora per ora, minuto per minuto, il giorno che avrebbero dovuto chiamar Giacomo a giudice di un delitto. Questa fatalità si poteva con cento artifici nascondere e ritardare, ma i giorni passavano, passavano le notti insonni, e crescevano le responsabilità insieme agli spaventi.

Donna Cristina, che temeva la solitudine de' suoi pensieri, chiamava spesso di notte la ragazza nella sua camera (il conte per riguardo al suo cuore dormiva abbasso accanto allo studio), e vegliando con lei, pregando insieme colle quattro mani legate dallo stesso rosario, cogli occhi fissi nell'immagine dell'Addolorata, cercavano di prepararsi ad affrontare il terrore della loro situazione. Nell'ardore di quel tormento, che le consumava, scomparivano le differenze sociali; nel proprio dolore ciascuna sentiva l'altra, si compassionavano come sorelle e si eccitavano a vicenda con isquisite suggestioni. La raffinatezza di questa cura, mentre esauriva le forze dell'infermiera non era tale da infondere coraggio e quiete nella malata. Al contrario, i momenti di inquietudine nervosa si facevan più frequenti, più spesse tornavano le allucinazioni, le visioni, i terrori fatui, che facevan balzare la ragazza dal letto e trasalire la contessa nel mezzo de' suoi sogni torbidi e posticci. Durante certe notti, in cui la povera vittima non poteva chiudere occhio, toccava alla contessa scendere, tre, fin quattro volte, dal letto, attraversare il piccolo corridoio, che divideva la sua stanza da quella della ragazza, inginocchiarsi ai piedi dell'altro letto, pregare la sofferente di non piangere più, di non farsi sentire da Enrichetta, che dormiva poco lontano, la carezzava, le sussurrava orazioni e paroline di pace, la segnava colla croce, le metteva sul petto un crocifisso o vecchie reliquie benedette, finché la stanchezza e il cloralio tornassero ad assopirla.

Qualche altra volta, entrando nella stanzetta, trovava la disgraziata seduta sul letto, colle mani morte sui ginocchi, immobile come la statua della meditazione, insensibile al freddo, sorda alla voce di chi la chiamava, con tutte le facoltà concentrate e ipnotizzate in una sola idea, che si condensava nell'oscurità: che cosa doveva dire al suo Giacomo?

Di mano in mano che si avvicinava il tempo di tornare a Cremona (ritorno che avveniva sempre nell'estate di San Martino), la contessa, che vedeva la necessità di prendere una deliberazione, cominciò a parlare alla ragazza di queste sue buone parenti di Buttinigo, che l'avrebbero ricevuta volentieri. «Il luogo è quasi un convento, quieto come una chiesa, fuori dagli occhi del mondo. Nella compagnia delle buone signore, due vere sante, e nella vicinanza delle monache della Noce, avrebbe trovata la forza e la pazienza di sopportare la sua disgrazia, insieme ai balsami della religione e della carità. Così toglieva alla gente ogni occasione di sussurro, e dava a lei più libertà di preparare l'animo di Giacomo a ricevere il terribile colpo. Del bene se ne può fare dappertutto e in ogni stato: e se il Signore teneva conto del suo grande sacrificio, doveva un giorno rimunerarla con qualche grazia particolare. Qualunque fossero i suoi bisogni e i suoi desideri, avrebbe sempre trovato in lei una madre amorosa e riconoscente». E per dimostrarle che la sua compassione non era fatta di sole parole, le regalò e le mise al collo una preziosa crocetta di lapislazzuli, che una sua amica aveva portato da Lourdes: l'obbligò ad accettare una somma di denaro per far fronte ai bisogni e per accontentare qualche capriccio.

Con questo minuto lavoro di antiveggenze, di ingegnose astuzie, di raffinatezze femminili, che alla povera signora, non abituata agli artifici della simulazione, costavano notti intere di pensieri e di spasimi, le riusci di ridurre a poco a poco l'animo incolto e non indocile di Celestina, se non alla rassegnazione passiva, a considerare almeno il suo stato con meno tremito, con minore ribellione di spirito. Tutto il fascino, che una maggiore educazione di spirito, la forza della mente e gli splendori incantevoli della ricchezza possono esercitare su una natura primitiva, incapace di troppo lunghe resistenze, fu messo in opera dalla madre spaventata, colla rapida e sgomentata destrezza che c'insegna e fuggire da un pericolo incalzante; arrivò fino a far tacere, fino a respingere qualche rimorso, che il delicato senso della rettitudine naturale e della carità andava sollevando. In questa tremenda battaglia donna Cristina Magnenzio sapeva d'aver in giuoco la vita e l'onore de' suoi figli; e senza aver mai letto i consigli del Machiavelli, più che ai modi del vincere badava a vincere presto.

La ragazza agli ultimi di ottobre, nella sua integra ignoranza, non sospettava ancora quel che non era più un dubbio per l'esperienza della madre: per evitare che questa nuova coscienza le nascesse in casa, prima che l'intimo mistero si annunciasse con qualche moto, la signora si affrettò a sfruttare tutti i buoni propositi e le ultime debolezze della vittima.

Celestina, rimessasi da una lunga febbre, che ne aveva scossa e indebolita la volontà, si lasciò persuadere ad abbandonare la casa della sua disgrazia, senza avvertirne Giacomo. Per rendere questa partenza più naturale, una mattina la contessa fece attaccare assai di buon'ora, e, scesa con Celestina, lasciò detto al conte che sarebbero tornate per l'ora della colazione, dopo aver fatte certe loro divozioni alla Madonnina della Noce, dove si celebrava la festa centenaria. Partirono loro due sole con un tempo limpido e fresco, che pareva un sorriso della natura. Tutta la strada quanto fu lunga, dal Ronchetto alla Madonnina, non si dissero che poche parole e a lunghi intervalli: il tumulto dei pensieri impediva di parlare. Quando ebbero passato l'Adda sul traghetto d'Imbersago, entrambe mandarono un piccolo sospiro e si strinsero la mano. Quel fiume, che restava indietro, voleva dire per la ragazza tutta la sua bella vita perduta per sempre; per la signora invece una prima battaglia vinta.

Addio, povero Giacomo... ‑ fece la misera, con voce rotta, ma senza piangere.

Procura di essere buona e rispettosa verso queste signore, che hanno promesso di tenerti sotto la loro protezione, e vedrai che il Signore ti ricompenserà... ‑ Così cercò di consolarla la contessa con parole, in cui si sarebbe già potuto sentire un tono di minore angustia.

Al trotto serrato dei due cavalli, che sentivano l'energia del riposo e la sferza dell'aria mattutina, la carrozza, dopo aver risalita la riva sinistra dell'Adda, prese a correre sulla strada provinciale di Bergamo. Celestina vide diminuire e restar indietro le note montagne, e confondersi sotto il nuovo orizzonte la linea delle sue colline, che andavano rimpicciolendosi in una malinconica distanza, mentre le campagne a destra e a sinistra della strada si facevan piane, uguali, costeggiate da piccole siepi polverose, non interrotte che dalle piante smozzicate dei gelsi. Traversarono borgate ignote, quasi ancora deserte in quell'ora mattutina, dalle quali non usciva che il suono fuggente di qualche incudine, o il rombo d'un filatoio, che si accompagnava a una mesta cantilena di lavoratrici, o l'abbaiare di un cane, che uscito da un cascinale, inseguiva un tratto la carrozza; poi di nuovo ricominciava la strada bianca e si continuava a correre per luoghi sconosciuti, che suscitavano nell'animo superstizioso della giovine il sospetto che la menassero, come si dice, a perdersi.

«Addio, povero Giacomo...» ripeteva in cuor suo a lontani intervalli, concentrando in questo pietoso ritornello tutto quello che sentiva di soffrire e non era in grado di esprimere. E come se al rotolare delle ruote, che la menavan via, si svolgesse il filo delle sue memorie lontane, le passavan negli occhi chiusi le Fornaci, la vignetta, lo zio Mauro, la zia Santina, le stesse scontrosità un po' odiose della Lisa, che non la poteva vedere, ma che avrebbe avuto pietà di lei, se fosse andata a cercarle aiuto contro questi mali, che la perseguitavano; oh, potevano menarla lontano trecento miglia e seppellire il suo corpo trenta braccia sotto la terra; il cuore non si sarebbe mai mosso da quei siti.

Povero Giacomo! come avrebbe ricevuto il gran colpo? avrebbe creduto alla sua innocenza? Oh sì, ma non avrebbe voluto più rivederla. Né lei avrebbe osato più tornargli davanti, mai, dal momento che non poteva più essere quella di prima. Oh gli assassini che cosa avevan fatto di lei! Soltanto a ripensare quel che avrebbe potuto essere per il suo Giacomo, il cuore che pareva morto, ridestavasi con impeto doloroso; lei sarebbe morta un'ora o l'altra per uno di questi schianti. E doveva questa vergogna toccare al più santo degli uomini, al suo Giacomo, al suo angelo...

Osservava con occhio inerte le cose che passavano nella via, dicendo di sì con un movimento automatico del capo tutte le volte che la contessa rinnovava una raccomandazione, mentre il pensiero sprofondavasi con un senso quasi di amara voluttà nell'immaginare quel che non poteva più essere.

‑ Glielo dirà proprio che sono stata sorpresa? che sono innocente? ‑ balzò una volta a dire, afferrando con improvviso ardimento la mano della signora.

‑ Te lo giurorispose questa con sincera franchezza.

‑ E gli dica che cerchi di perdonare anche lui... ‑ soggiunse la poverina, umiliandosi di nuovo nell'angolo della carrozza.

Un brivido di commozione passò nel cuore di donna Cristina Magnenzio a quelle buone parole, che sollevavano un'anima semplice alle sublimi altezze della bontà e del perdono, mentre un'altra anima vicina era in via di godere, anzi pregustava già gli amari sapori dei male che trionfa. Socchiuse anch'essa gli occhi un istante per non vedere questa abbagliante seduzione di una virtù, che si eleva fino alla divina aristocrazia della bontà e del sacrificio, e ricompensò la carità della giovine collo stringerle a lungo la mano ardente tra le sue mani inguantate, come se volesse con quel lungo contatto comunicarle la sua tenerezza, e farle sentire con quell'atto materno tutta la forza di una promessa che non aveva parole per parlare. Col cuore immiserito, cogli occhi immobili verso le siepi, donna Cristina cercò di asciugare, con un battere frequente delle palpebre nell'aria viva, il velo di lagrime che le coprì le pupille. Un dolore crudele e duro la strozzava alla gola e al petto.

Un quarto d'ora dopo, Giosuè arrestò i cavalli sopra un piazzaletto erboso ombreggiato da antichi platani, che stava davanti alla vecchia chiesa della Madonnina. Il Rebecchino venne ad aprire la portiera.

‑ Siete qui? ‑ chiese la contessa ‑ chi c'è?

Donna Adelasia aspetta in chiesa.

La contessa andò avanti, e aspettò Celestina sulla porta. Entrarono nella chiesetta tutta parata a festoncini bianchi, azzurri, con frangie d'oro, mentre un prete stava celebrando la messa davanti a molte donnicciole. Donna Adelasia dal suo banco riservato fece un segno, e si ritirò per lasciar loro il posto sulla predella. Celestina si trovò in mezzo alle due signore nel momento che le quattro monache del coro intonavano un'orazione flebile e lamentevole, su cui la voce grossa del prete correva col rumore d'un carro in corsa. Celestina girò gli occhi intorno e si sentì una gran voglia di gridare. Che avevano fatto di lei? che luogo era questo? che cosa dicevano queste voci lamentose?

La contessa, che in questo supremo istante non cessava mai dal sorvegliarla, volle che sedesse e le passò con una soave carezza una mano sui capelli. E quando sonò il campanello dell'elevazione la signora e la cameriera, inginocchiate sulla stessa predella, accostarono la testa a pregare insieme fervorosamente. Quindi donna Cristina le disse piano:

‑ Non voglio far pensare male a casa. Ti lascio con donna Adelasia. Verrò a trovarti presto, appena gli avrò parlato. Coraggio e fiducia nel Signore...

Celestina strinse con la mano convulsa e irritata un lembo del vestito della contessa, e, fissandola con occhio spaventato, la supplicò di restare ancora. La signora aspettò ancora un istante: e quando donna Adelasia voltò il viso dalla sua parte, le fece capire che il momento doloroso era venuto. La vecchia dama circondò col braccio la vita della giovine, come se l'invitasse a ripetere una preghiera, e lasciò in tal modo alla contessa agio di sciogliere il vestito dalle dita tenaci. Il corpo di Celestina quasi si sfasciò sul banco.

Donna Cristina uscì dal tiepore e dalla religiosa penombra della chiesuola nell'aria cruda e viva, fece un segno quasi marziale col guanto a Giosuè, che si accostò alla carrozza. Essa vi entrò, il Rebecchino chiuse la portiera e i cavalli partirono a corsa. L'emozione, acerba come un rimorso, le impediva di piangere, e gli occhi, quanto fu lungo il viaggio, restarono immobili in una stupefazione insensibile, coperti di un velo di lagrime cristallizzate.

 

 

 


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